obiettivomeno emissioni

Stop a diesel e benzina entro il 2035: la legge del Parlamento Europeo per una maggiore sostenibilità.

By : Aldo |Febbraio 20, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Il Parlamento Europeo punta al raggiungimento dei vari obiettivi sostenibili dell’Unione e di conseguenza è sempre più attento ad ogni particolare.

   

Il provvedimento


Il parlamento di Strasburgo ha finalmente approvato la nuova legge per raggiungere un obiettivo fondamentale, ossia quello delle auto ad emissioni zero.

Si parla della nuova direttiva per la quale la vendita di macchine a diesel e benzina si fermerà nel 2035; tra queste sono incluse anche le ibride.

Tale decreto ha lo scopo di eliminare le emissioni di CO2 scaturite dall’uso delle automobili, ma di seguito saranno compresi anche furgoni e autobus.

    

In cosa consiste

Con il regolamento 2019/631/CE l’Unione Europea dichiara che dal 1° gennaio 2035 non sarà possibile la vendita di auto a benzina o diesel. Da quella data, infatti, tutti i veicoli leggeri che verranno messi in commercio dovranno essere a zero emissioni.

La scelta della direttiva mira al raggiungimento degli obiettivi nel quadro delle misure previste dal piano “Fitfor55” (un insieme di riforme per ridurre l’impatto ambientale).

     

Tuttavia, i  veicoli immatricolati prima del 2035 non cambierà nulla; pertanto, sono stati fissati dei target per arrivare al traguardo finale. Si tratta di tagli della CO2 entro il 2030 al 55% per le auto e al 50% per i furgoni.

Poi nel 2025, come passo intermedio, la Commissione presenterà una nuova tecnica di analisi dei dati.  Servirà per esaminare e comunicare i valori sulla CO2 che viene emessa durante tutto il ciclo di vita dai velivoli presenti nella comunità europea.

   

Invece entro il 2026, sarà supervisionata la differenza tra i limiti di emissione e i dati reali del consumo di carburante ed energia. In questo modo la commissione potrà consigliare dei metodi ai costruttori, per adeguare le emissioni di CO2 proponendo delle misure per migliorare la produzione.  

Inoltre, proprio i costruttori di piccoli volumi godranno di una deroga di un anno. Questa è riferita quindi a chi produce dalle 100 alle 10 mila auto o dai mille ai 22 mila furgoni.  Tutti coloro che sono al di sotto di tali valori saranno esclusi dal decreto.

     

L’iter burocratico

Sebbene sia servito molto tempo per pensare dettagliatamente a tale direttiva, il parlamento l’ha approvata con 340 voti a favore, 279 contrari e 21 astensioni.

Effettivamente i vincoli erano stati già discussi nel Consiglio di ottobre 2022 e solo dopo una lunghissima trafila legislativa sono stati concordati con l’intera Unione. Secondo Jan Huitema (Renew, NL)


“il regolamento incoraggia la produzione di veicoli a emissioni zero e basse. Contiene un’ambiziosa revisione degli obiettivi per il 2030 e un obiettivo di zero emissioni per il 2035, che è fondamentale per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.”

         

Ulteriori cambiamenti

Ulteriori proposte saranno presentate prossimamente per incorporarle nel nuovo regolamento. Oltre alle automobili saranno inclusi autobus e camion, che dovranno ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 per rispettare il target delle emissioni zero.

Nello specifico la riduzione avverrà in maniera graduale del 45% nel 2030, del 65% al 2030 e del 90% al 2040.

Il fatto che la Commissione europea stia promuovendo e approvando leggi come questa, dimostra la forte volontà dell’Unione di cambiare il futuro.

   

Sebbene i dati affermino che i trasporti producano l’1% delle emissioni di CO2, le auto sono responsabili del 71% della piccola cifra. Di conseguenza direttive che mirano a ridurre vertiginosamente questo trend, sono fondamentali anche se il tempo previsto per concretizzarle sia ristretto.

Anche in questo caso si tratta di passi in avanti di grande importanza.

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amsterdam biciclette

Amsterdam apre l’innovativo parcheggio per biciclette… subacqueo

By : Aldo |Febbraio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Sembra che i Paesi Bassi abbiano un problema con le biciclette: sono troppe e devono trovare nuovi spazi per parcheggiarle.
Ed ecco che arriva l’idea dell’anno.

       

L’idea

Amsterdam inaugura il primo parcheggio di biciclette subacqueo nel centro della città. Si tratta di un’idea che risolve molteplici problemi per cittadini, pendolari e turisti.

Il progetto ideato da Wurck, costato 60 milioni di euro, collocato nei pressi della stazione centrale Stationsplein ha 7 mila slot per le due ruote.

Di questi 7000 posti, 6.300 sono adibiti alle biciclette personali e 700 per il bike sharing, un’ulteriore soluzione sostenibile. Le cifre del maxi-parcheggio sono straordinarie ma giuste in funzione dei dati analizzati del centro urbano.

Proprio Amsterdam conta 600 mila bici per 750 mila abitanti; quindi, non c’è dubbio che dei parcheggi così grandi siano una priorità per la città.

       

I tecnicismi del parcheggio

Ha 7000 rastrelliere disposte su due livelli fornite da VelopA che possono essere monitorate da una tecnologia LumiGuide.

Gode di un servizio aperto tutta la settimana h24 e in più, la prima giornata di sosta è gratuita, dopodiché si paga 1,35 euro. In più, i pagamenti possono essere effettuati con la carta di trasporto olandese OV-chipkaart, oppure con Fietstag (un’etichetta per l’identificazione).

    

L’area in descrizione è situata sotto la stazione metropolitana centrale della città, di modo che i viaggiatori possano arrivare direttamente al garage senza deviazioni.  Per entrarvi si segue la pista ciclabile a livello della strada fino ad arrivare all’interno del garage.

   

Inoltre, il design creato in collaborazione con il Museo di Amsterdam include delle colonne numerate per ricordare le sezioni del garage. Fuori invece dei cartelli digitali riportano il numero dei posti disponibili all’interno dell’area.

          

I vantaggi

Nonostante nell’area di sosta manchino check-in con smartphone e smartwatch o punti di ricarica per le e-bike, resta sempre una grande novità. Questo progetto oltre ad avere un design moderno e una struttura accattivante, regala molteplici benefici alla città e ai suoi abitanti.

    

Senza dubbio offre uno spazio sicuro per le biciclette sia dai ladri che dalle intemperie, in un’area che non toglie spazio a strade e marciapiedi.

In secondo luogo, si incentiva l’uso del mezzo più sostenibile che esista, con grandi vantaggi per la salute. In realtà è stato stimato che si eviterebbero 170 mila morti all’anno grazie alla scelta della bicicletta.

 

D’altra parte, il massiccio utilizzo del veivolo a due ruote, riduce di gran lunga l’inquinamento atmosferico. Secondo un recente studio, se ognuno percorresse 2,6 km al giorno in bicicletta, potremmo tagliare 686 milioni di tonnellate all’anno CO2.

        

Passato e futuro

Non è di certo la prima volta che viene costruito un parcheggio sotterraneo, ma nulla somiglia a quello di Amsterdam. Per esempio, ad Utrecht esiste un garage sotterraneo con ben 12.000 slot: venne realizzato perchè necessario per i cittadini.

Il motivo di tale scelta erano le abitudini del centro urbano: il 50% dei residenti usa la bicicletta quotidianamente.  Difatti su questa falsa riga il governo continua ad incentivare il mezzo per una maggiore sostenibilità grazie anche a varie agevolazioni economiche.

      

Invece se guardiamo al futuro, è già stata dichiarata una nuova inaugurazione: verrà aperto un altro parcheggio sull’IJboulevard nel mese di febbraio.  Anche se più piccolo dell’area subacquea, conterà 4.000 slot e la sua costruzione è stata finanziata con 25 milioni di euro.

         

I Paesi Bassi sono sempre un’ottima guida per la mobilità sostenibile, poiché nulla ferma i loro cittadini dal muoversi in bicicletta; neanche il freddo invernale.

Rappresentano un modello di determinazione da seguire soprattutto in Italia dove sono appena stati tagliati i fondi per le piste ciclabili.

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buco ozono

L’ONU dichiara che il buco dell’ozono si sta chiudendo!

By : Aldo |Gennaio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Andamento in metri quadrati della superficie dell’area del buco dell’ozono

Dopo anni di incertezze è finalmente arrivata la notizia che tutti aspettavano.

            
La grande notizia

Attraverso monitoraggi, studi ed analisi di vario tipo, l’ONU ha annunciato che il “buco” dell’ozono si sta riducendo.

La notizia arriva dal report “Scientific assessment of ozone depletion 2022”, in cui si ripercorrono i passi fatti contro il buco dell’ozono, durante gli anni.

            

Lo studio afferma che il buco si chiuderà intorno al 2066 sopra l’Antartide, entro il 2045 sopra l’Artico, e nel 2040 per il resto del mondo. È importante precisare che, con il verbo “chiudere” si intende che la situazione tornerà ai livelli precedenti agli anni ’80.

            

L’ozono e l’ozonosfera.

Le nozioni principali da sapere per comprendere l’importanza del fenomeno descritto riguardano l’ozono L’ozono infatti è un gas che crea uno strato atmosferico di grande rilevanza: l’ozonosfera. Tale strato ha il compito di assorbire e filtrare i raggi UV del Sole, evitando che quelli nocivi arrivino sulla Terra.

In questo modo l’ozonosfera protegge gli esseri viventi da patologie rare e delicate come tumori alla pelle ed è quindi necessaria per la nostra vita.

Un altro concetto da approfondire è quello del cosiddetto “buco”. In realtà non esiste un vero e proprio buco nell’ozonosfera; si tratta più di un assottigliamento causato da vari composti chimici, utilizzati dall’uomo.

Queste sostanze pericolose per la “coperta” atmosferica vennero scoperte solo successivamente all’identificazione dell’assottigliamento.

            
Storia

Il buco dell’ozono venne scoperto nel 1974 da Frank Sherwood Rowland e Josè Mario Molina, che incentivarono gli studi sul fenomeno. Nel 1985, Joseph Charles Farman rivelò la pericolosità del danno nella regione antartica e così si decise di prendere una strada precisa.

            

Nel 1989, 46 paesi firmarono il Protocollo di Montréal, ed altri 90 si aggiunsero nel 1990 dopo la scoperta di un assottigliamento al polo nord.

Il protocollo determinava la riduzione di produzione e consumo dei Clorofluorocarburi (CFC), a quel tempo ritenuti gli unici colpevoli del danno.
Solo nel 2016 vennero banditi anche gli idrofluorocarburi (HFC), composti chimici e gas serra 14 mila volte più potenti della CO2.
            

L’unione fa la forza

Quando questo fenomeno sembrava il pericolo ambientale più grande e temuto, molti governi si adoperarono per cambiare rotta senza dubbi e perplessità.
La partecipazione di ben 90 stati determinò un impatto decisivo e positivo sull’ambiente, eliminando il 99% dei CFC e dei HFC. Azione che ha ridotto di gran lunga anche il loro contributo all’effetto serra.

Jukka Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale dichiara:


“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima”

La sua affermazione non solo rende onore al lavoro svolto in questi anni ma da trasmette fiducia nel futuro.

            

Se solo il mondo riuscisse ad agire così velocemente e in maniera decisa, come successe nello scorso secolo, si risolverebbero tanti problemi. Uno tra questi, il cambiamento climatico!

La grande notizia degli ultimi giorni, ci rende consapevoli di quello che siamo capaci di fare quando ce ne è la necessità. Inoltre, ci dimostra come i governi, uniti, possano fare la differenza e questo importante traguardo ne è una prova fondamentale.

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L’UE mira al primato mondiale nel settore delle batterie.

By : Aldo |Gennaio 14, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, menorifiuti, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

 

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

               

L’accordo.

Proprio due anni fa la Commissione Europea ha presentato una proposta sul regolamento delle batterie per rendere il loro settore più sostenibile.

La normativa è stata accolta ed esaminata dal Consiglio e dal Parlamento Europeo che hanno raggiunto, all’inizio del nuovo anno, un accordo.

Quest’ultimo rientra nell’ambito della strategia per la mobilità sostenibile e definisce una serie di requisiti che i produttori di batterie europei dovranno seguire.

               

E inoltre mira alla riduzione dell’impatto ambientale che ha l’intero ciclo di vita di una batteria; dall’estrazione delle materie prime alla produzione, fino allo smaltimento.

               

I requisiti delle batterie

L’accordo riporta in modo dettagliato quelle che sono le specifiche che vari tipi di batteria dovranno soddisfare d’ora in poi per essere vendute nell’Unione europea.

               

Innanzitutto, la legge varrà sia per la produzione che per l’importazione di batterie in Europa, siano esse per veicoli elettrici, applicazioni industriali e dispositivi portatili.

Per essere precisi, quelle con una capacità maggiore di 2 kWh dovranno riportare la “dichiarazione dell’impronta di carbonio”. Così facendo verrà certificata la quantità di CO2 emessa durante la loro produzione.  
Oltre a questa etichetta, sarà obbligatorio apporre un QR code, con tutte le caratteristiche della batteria (capacità, prestazioni, durata e composizione chimica).

               

Invece le batterie più piccole (per smartphone) dovranno essere facili da rimuovere e sostituire entro il 2030. Infine, la Commissione valuterà anche la possibilità di bandire le pile non ricaricabili.
          
    

 

Riciclo

Per quanto riguarda il riciclo, sono stati fissati molteplici obiettivi correlati alla raccolta del prodotto e il riuso delle materie prime.

Infatti, è stato stabilito, che le batterie usate debbano essere raccolte senza ulteriori costi per il consumatore. L’obiettivo è di raccogliere il 45% delle portatili nel 2023, per poi arrivare al 73% nel 2030.
Per le batterie dei veicoli elettrici si punta al 61% nel 2031.

               

Gli altri obiettivi comprendono le materie prime; il loro recupero permetterebbe di limare dei rapporti di dipendenza tra nazioni, nati per necessità di produzione.

Nel settore è quindi richiesto il recupero e il riutilizzo del, 85% per il piombo, 16% per il cobalto, 6% per litio e nichel.

               

Politiche

Senza dubbio tali requisiti, obiettivi e regole, sono tra i più rigidi al mondo e pertanto potrebbero migliorare tanti meccanismi, anche quelli del mercato.

Non a caso il capo negoziatore dell’Europarlamento, Achille Variati, è sicuro che le norme europee
               

diventeranno un punto di riferimento per l’intero mercato mondiale”.

Dal momento in cui verrà ratificato l’accordo, le aziende produttrici e importatrici di batterie nel mercato Ue, dovranno seguire una “politica di due diligence”. In questo modo si eviteranno rischi sociali e ambientali dovuti alla produzione dell’oggetto.

Tali garanzie saranno fondamentali calcolando che nel 2030, questo mercato crescerà di 14 volte rispetto all’attuale.

               

Ad ogni modo, il concordato mira anche a cambiare i rapporti tra Paesi nel mondo.
Proprio Cina, Giappone e Corea del Sud sono i maggiori produttori di batterie. In questo caso l’Europa cercherà di ribaltare gli equilibri in tema di sostenibilità, frenando l’enorme potere dell’industria asiatica.

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rolls royce easyjet

I primi test sui motori aerei ad idrogeno hanno dato esito positivo: decarbonizzazione dei voli entro il 2050.

By : Aldo |Dicembre 11, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

In tutti settori c’è una nuova attenzione e ricerca alla sostenibilità; ora anche nell’ambito dell’aviazione.


L’inquinamento dei voli

Gli aerei come ogni altro mezzo di locomozione inquinano l’atmosfera: nello specifico il traffico aereo comporta il 2,4% dell’emissioni globali.

Secondo l’ICCT (International Council on Clean Transportation), volare produce 285 g di CO2 per passeggero (la media: 88 persone a volo) per chilometro percorso.

L’ascesa del low cost poi, ha sdoganato l’idea del viaggio come un’esclusiva per ricchi, permettendo a tutti di volare a poche decine di euro.

Con questa “innovazione” le emissioni sono duplicate negli ultimi anni e si calcola che nel 2050 saranno 7 o 10 volte maggiori rispetto al 1990.

Il carburante sostenibile

Rolls Royce e EasyJet stanno lavorando insieme al programma Race to Zero, delle Nazioni Unite, per raggiungere un obiettivo considerevole. I due grandi nomi hanno testato un motore alimentato da idrogeno verde a terra, su un aereo dimostrativo.

Il test è stato effettuati in un impianto di prova all’aperto, nell’aeroporto militare MoD Boscombe Down (UK). Il motore utilizzato è un Rolls-Royce AE 2100-A ed è alimentato dal cosiddetto “idrogeno verde”.

Questo carburante sostenibile è fornito dall’EMEC (European Marine Energy Centre), che produce energia pulita nelle isole Orcadi (UK).

 

Il successo dello studio

Lo studio ha confermato che l’idrogeno, potrebbe rappresentare una rivoluzione nell’ambito dell’aviazione sostenibile.
Le 2 grandi società, quindi, continueranno a testare il carburante “pulito” anche sui motori Rolls-Royce Pearl 15, per poi provarli in volo.

 

Grazia Vittadini, direttore tecnico di Rolls-Royce afferma:

“…Stiamo superando i limiti per scoprire le possibilità dell’idrogeno a zero emissioni di carbonio, che potrebbero contribuire a rimodellare il futuro del volo”

Mentre Johan Lundgren, CEO di easyJet dichiara:

“…Sarà un enorme passo avanti nell’affrontare la sfida dello zero emissioni nette entro il 2050“.

Tuttavia sarebbero sorti dei dubbi per quanto riguarda le difficoltà tecniche di produzione e disponibilità di idrogeno, lo stoccaggio e le modifiche da apportare all’aereo.

Ma dati gli ottimi risultati, questa rivoluzione si presenta come una soluzione con la quale cambiare le sorti dell’aviazione e renderla più sostenibile.

Intanto le compagnie o addirittura gli stati cercano soluzioni per rimediare all’inquinamento dei voli. Per esempio, la WizzAir sta optando per il biodiesel, mentre la Francia vieterà voli nazionali se la destinazione è raggiungibile con il treno

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stadio

Il Galatasaray ha uno stadio da record: Guinness per l’energia solare.

By : Aldo |Novembre 25, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
stadio

Tra i tanti Guinness dei primati ci sono oggetti, eventi o persone con caratteristiche peculiari.

Questa volta però, il protagonista è uno stadio.

Il primato

Lo stadio Türk Telekom è una struttura situata ad Istanbul inaugurata nel 2011 che ospita 52 223 spettatori.

É parte di un complesso di edifici più ampio legato allo stadio Ali Sami Yen, più piccolo e intitolato al primo presidente del club.

La struttura ha vinto il record grazie alla maggiore produzione di energia solare del mondo: si tratta di 4,2 MW nell’arco di un mese.

Questo primato è stato possibile grazie all’istallazione di pannelli fotovoltaici sul tetto della struttura, che aiuterà l’ambiente ma anche la loro economia.

L’energia da record

Il Türk Telekom ha sorpassato l’Estádio Nacional Mané Garrincha di Brasilia che ha una capacità solare di 2.5 MW. La struttura turca ha installato un impianto da 2,1 milioni di euro, composto da 10.000 pannelli solari su una superficie di 40mila m2.

Il sistema fotovoltaico ha la capacità di trasmissione per fornire elettricità a 2 mila famiglie e inoltre riduce le missioni di CO2 di 3.250 tonnellate. Vale a dire, che nei 25 anni del progetto, lo stadio potrà salvare 200.000 alberi.

L’energia prodotta “sul tetto” garantisce tra il 63 e il 65% del consumo dello stadio, la percentuale restante invece deriva da un fornitore pubblico.

Le cifre in denaro

Il club ha giocato d’anticipo con l’aumento dei prezzi: all’inizio, infatti, si prevedeva un risparmio più lontano nel tempo.

Tuttavia, con la guerra, le cose sono cambiate e di conseguenza è stata constatata l’efficienza del progetto da subito.

Difatti grazie alla stabilità dei prezzi dell’energia solare, il Galatarasay ha già risparmiato 385.000 euro tra gennaio e agosto.

Proprio Ali Çelikkıran, ingegnere elettrico e direttore dello stadio ha affermato che:

“Di questi tempi, che lo voglia o no, una grande azienda deve essere ambientalista perché l’energia è davvero costosa”

Vantaggi economici

Oltre a tutte fantastiche qualità, la struttura offre anche dei vantaggi economici a più enti.

La squadra è attualmente in un contratto di 9 anni con l’azienda energetica Enerjisa, che acquista l’energia prodotta dai pannelli.

Per di più, il sistema di illuminazione viene usato solo 150 ore l’anno (25 partite), quindi viene prodotta più energia di quella che necessita lo stadio.  Proprio da questa abbondanza, il club riesce a guadagnare, perchè rivende energia alla città di Istanbul, ad un prezzo a noi sconosciuto.

La squadra godrà di un beneficio finale quando il contratto terminerà e di conseguenza, non dovrà più pagare nessuno, guadagnando dalla rivendita dell’energia.

Ovviamente non tutti gli stadi possono permettersi una innovazione simile, non solo per quanto riguarda gli investimenti ma per la loro posizione geografica. In ogni modo, questo primato stabilito a marzo 2022, potrebbe essere un’ispirazione per tante altre strutture sportive e non, nel mondo.

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cop27 insegna

La COP 27 si conclude con una piccola grande vittoria e il malcontento di molti (ma non proprio tutti).

By : Aldo |Novembre 21, 2022 |Clima, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno emissioni |0 Comment
cop27 insegna

Si è conclusa, con 30 ore di “ritardo” la 27esima edizione della COP; tra malcontenti e piccole vittorie, analizziamo la Convenzione del 2022.

 

Sharm el-Sheikh

Nuovo anno, nuovo Stato ospitante; le uniche cose che non sono cambiate con gli anni sono gli obiettivi.

Le ambizioni di quest’anno non erano tanto diverse da quelle di Glasgow, destando la preoccupazione scienziati e attivisti, che prima dell’inizio prevedevano un flop totale.  

 

La plenaria finale, complicata e poco armonica, ha sforato di 30 ore la fine della convenzione, terminando domenica 20 novembre. Le cause di questo ritardo sono dovute a risultati poco chiari, disaccordi tra stati, conclusioni deludenti e obiettivi mancati.

Tra i temi più discussi, l’obiettivo 1,5°C correlato alle emissioni e il fondo “Loss and damage”.

Tenere la temperatura sotto 1,5°C

Sembra sempre più una “mission impossible” visto che gli stessi propositi  si rimandano da ormai 7 anni.

Il disaccordo di più stati è dettato dall’assenza di vincoli legati alle emissioni o all’utilizzo di combustibile fossile; non ci son obblighi per nessuno.

Si richiede principalmente la riduzione dell’uso del carbone per la produzione elettrica, non si parla della sua eliminazione, tantomeno un abbattimento delle conseguenti emissioni

 

Oltretutto, la mancanza di obblighi conduce ad una poca efficienza del patto visto il traguardo da raggiungere entro il 2030. Infatti, l’impegno sarà concretizzato quando le emissioni saranno ridotte del 43% entro il 2030, peccato che con gli attuali trend si tocchi solo lo 0,3%.

cop27

La vittoria chiamata “Loss and damage”

Il tema più discusso è diventato l’unica vittoria della convenzione: l’istituzione del fondo “Loss and damage”, precisamente ‘perdita e danno’.

 

Il fondo compensativo presuppone che gli Stati ricchi risarciscano quelli in via di sviluppo, per i danni causati dalla loro industrializzazione.  Il compito per la COP28 include la nascita di un comitato che deciderà quali paesi potranno attingere alle risorse del fondo e quali dovranno finanziarlo.

 

Anche questa modalità ha creato delle proteste poiché Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, non intendono essere gli unici finanziatori. Perciò chiedono, che il fondo venga finanziato anche da altre potenze economiche, come la Cina. Inoltre sarà difficile rispettare l’impegno per i paesi d’occidente vista la crisi post pandemia e l’attuale guerra in Ucraina.

 

Al fine di ridimensionare l’accordo, Fran Timmermans (capo delegazione dell’UE) ha proposto ristori solo ai Paesi “più vulnerabili”. L’idea è frutto di un ragionamento più realistico che considera l’impossibilità di raccogliere i fondi per tutti i 100 Stati in via di sviluppo.

Punti di vista

Dopo la plenaria finale, sono sorti dubbi e critiche nei confronti del documento redatto. Proprio Timmermans affronta la discussione dichiarandosi deluso dalle decisioni prese:

 

“Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del “Loss and damage”, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e molto tempo, rispetto alla Cop26 di Glasgow.

Anche il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si espone sul verdetto:

 

“Tuttavia, il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che Cop27 non ha affrontato […]La Cop27 si conclude con molti compiti e poco tempo”.

Conclusioni

È ormai chiaro a tutti, che la 27esima edizione della convenzione, non abbia avuto un grande successo.

 

L’istituzione del fondo è una grande vittoria, anche simbolica visto che proprio in Africa ci sono 9 dei 10 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. É una vittoria di tanti, dei più deboli, che per la prima volta sono stati ascoltati veramente ottenendo quello di cui avevano più bisogno.

 

Non si può dire lo stesso riguardo le emissioni, che hanno deluso molti, tranne chi gode di questo accordo non vincolante. Come dichiarato dalla ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock:

 

“L’Europa e i paesi più colpiti si sono battuti per norme molto più vincolanti. Un’alleanza tra paesi ricchi di petrolio e grandi emettitori lo ha impedito e ha posto inutili ostacoli sulla strada di 1,5°C”.

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La COP: obiettivi, limiti e protocolli per un’azione comune.

By : Aldo |Novembre 18, 2022 |Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
COP

Si è svolta, tra il 6 e il 18 novembre, la 27a Conferenza delle Parti a Sharm el-Sheikh.

Curiosità e critiche sono arrivate da tutto il mondo, ma prima di scoprire gli esiti della Convenzione in Egitto, spieghiamo cos’è la COP.

 

COP

La COP (Conference of Parties) è una riunione annuale alla quale partecipano i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, (UNFCCC).

È un trattato ambientale internazionale firmato nel 1992 durante il famoso “Earth Summit” a Rio de Janeiro, che mira al raggiungimento di obbiettivi collettivi.

Tra questi la riduzione delle emissioni di gas serra per evitare un ulteriore riscaldamento globale.

 

Da chi è formata

La convenzione firmata in primis da 154 Stati, oggi ne conta 197.

I vari Paesi sono divisi in tre sezioni a seconda del loro sviluppo e quindi, a seconda delle loro possibilità d’azione.

  • Paesi dell’Allegato I (Paesi industrializzatie paesi ex socialisti ad economia in transizione: 40 Paesi e l’Unione europea).
  • Paesi dell’Allegato II (24 Paesi industrializzati)
  • Paesi in via di sviluppo

Si tratta di un criterio che porta a delle responsabilità “comuni ma differenziate”.

 

Così i Paesi dell’Allegato I, hanno una responsabilità maggiore nella riduzione delle emissioni, perchè primi inquinatori e possessori di mezzi per raggiungere l’obiettivo.

Al contrario dei Paesi in via di sviluppo che non hanno le tali possibilità e di non possono arrivare a quelle mete, nello stesso tempo.

La storia della COP

Dal 1994 iniziarono ad essere organizzate annualmente le COP con l’obiettivo di “prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre”.


COP 1 Berlino 1995

Alla prima COP, si intraprese una fase di analisi e ricerca per poter sviluppare un futuro piano d’azione.

Di seguito vennero istituiti di organismi di supporto e controllo, per essere sicuri che tutti rispettassero le decisioni prese con i mezzi preposti.

 

COP 3 Il protocollo di Kyoto 1997

Fu il primo vero successo della conferenza, con la ratifica di un nuovo protocollo che imponeva degli obblighi principalmente ai Paesi sviluppati.  Si sollecitò la riduzione di gas serra, in misura non inferiore all’8,65% rispetto a quelle del 1990, nel periodo 2008- 2012.

Per entrare in vigore, il protocollo doveva essere ratificato da più di 55 Stati, produttori di almeno il 55% delle emissioni. Questa condizione si raggiunse nel 2004 con l’entrata della Russia, che da sola comportava il 17,6% delle emissioni, mentre gli USA si ritirarono con Bush.

 

COP13 Bali 2007: vennero finalizzati gli accordi sui meccanismi del Protocollo di Kyoto e si posero le basi per un’azione unita per affrontare i cambiamenti climatici.

 

COP14 Poznan 2008: venne ideato il “Fondo di adattamento”, si pensò ad un Kyoto-bis e si introdusse REDD+ (riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degrado forestale).

 

COP15 Copenhagen 2009: la missione di un accordo globale sul clima entro il 2012 fallì; venne rimandato tutto al 2015. Arrivarono le prime proposte per un Fondo Verde per il Clima.

 

COP 18 Doha 2012: si estese il protocollo di Kyoto fino al 2020 solo per Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia. Venne creato il meccanismo sul “Loss and Damage”, per il quale le nazioni ricche sono tenute a finanziare i Paesi poveri e più colpiti dal clima.  

 

COP20 Lima 2014: il Fondo Verde arrivò a 10,2 miliardi di dollari. Venne concordato che ogni governo dovesse presentare i propri impegni nazionali sul tema delle emissioni.

 

COP21 Parigi 2015: venne realizzato il patto globale sul clima, con 196 stati partecipanti, senza però alcun vincolo. L’unico limite definito fu quello di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura.  

 

COP26 Glasgow 2020: dopo il grande fallimento di Madrid 2019, non sono cambiate tanto le cose. Sono stati fatti dei passi indietro per quanto riguarda i combustibili fossili, evitando la loro eliminazione.

Inoltre, il tempo limite per i 100 miliardi di dollari, è stato spostato dal 2020 al 2023.

Oggi, 18 novembre 2022, si conclude la 27 esima COP tra i mille dubbi degli scienziati e i discorsi motivazionali António Guterres (segretario dell’ONU).

A breve verranno esplicitati i traguardi raggiunti e le nuove proposte, ma tra le notizie sembra che non si sia realizzato molto.

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Pannelli solari nel campo fotovoltaico più grande d'Italia

Il parco fotovoltaico più grande d’Italia si trova in Puglia.

By : Aldo |Ottobre 12, 2022 |Clima, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Il parco fotovoltaico più grande d’Italia si trova in Puglia.

Il parco fotovoltaico più grande d’Italia si trova in Puglia.

Pannelli solari nel campo fotovoltaico più grande d'Italia

L’Italia è un paese pieno di meraviglie, prima tra tutte il clima che ci permette di godere a pieno tutte le stagioni e di avere grandi vantaggi nella sostenibilità.

Proprio per questa caratteristica, un’azienda danese, la European Energy, ha creato il più grande parco fotovoltaico d’Italia, precisamente a Foggia.

Inaugurato a giugno del 2020, con un finanziamento di 94,5 milioni di euro, il parco è un gioiello di ingegneria, sostenibilità ma anche di cura del territorio e della sua storia.

“DIMENSIONI E POSIZIONE”

Si sviluppa per un’area di circa 1.500.000 metri quadrati, (l’equivalente di 200 campi da calcio), in costante aumento dalla fase di progettazione fino al 2021.

L’azienda danese ha dato un grande valore a quel terreno a livello paesaggistico, naturale ma anche storico.

Infatti, dopo un’indagine legata al parco, ha finanziato con 1 milione di euro gli scavi dai quali sono emersi reperti di una basilica e di un insediamento del neolitico.

“POTENZA”

 

Parlando di energia invece, possiamo affermare con piacere che i 275 mila moduli fotovoltaici sono di ultima generazione e sviluppano 103 MW di capacità.

Ciò significa che con la produzione annua di 150 GWh può soddisfare completamente le necessità di energia elettrica di una città di 200 mila abitanti.

Il parco fotovoltaico di Foggia è al primo posto in Italia per grandezza e potenza, seguito da quello di Montalto di Castro e quello di Rovigo.

È il 17° in classifica mondiale, dominata dalla Cina seguita dallo stato della California e dall’India.

L’European Energy, dopo gli ottimi risultati e la grande efficienza del progetto, si dichiara pronta ad investire ulteriori 800 milioni di euro per il mantenimento e il miglioramento del sistema.

La struttura concilia il rispetto della natura, del territorio e della storia con le nuove tecnologie.

Un mix perfetto, porta avanti l’idea di sostenibilità in un’area della nostra penisola, che forse non è valorizzata nel massimo delle sue potenzialità.

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L’Italia alla canna del gas…serra (di Greenpeace Italia 13.06.2019)

By : Aldo |Giugno 19, 2019 |Clima, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |0 Comment

 

Contrastare il riscaldamento globale è un obiettivo che dovrebbe essere in cima all’agenda di ogni Paese. Spagna, Francia, Belgio e altri Paesi europei hanno deciso di sottoscrivere un impegno comune per accelerare il processo di decarbonizzazione, ma ad oggi l’Italia manca all’appello.

Il nostro Paese infatti non ha firmato, e non si sa se vorrà farlo, un documento in cui si chiede all’Unione Europea di raggiungere emissioni zero al 2050. L’obiettivo non è certo tra i più ambiziosi, ma un impegno in tal senso sarebbe quantomeno un buon primo passo.

Il 20 e 21 Giugno ci sarà il Consiglio Europeo e si parlerà anche di clima. L’Italia firmerà per UE a emissioni zero al 2050? Il nostro Governo ha ancora un’ultima chance per dimostrare la reale volontà di combattere i cambiamenti climatici. Per questo stiamo chiedendo al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Ambiente di prendere posizione e impegnarsi concretamente per ridurre le emissioni.

Non possiamo lottare contro i cambiamenti climatici senza mettere in atto una vera rivoluzione energetica, economica e sociale. O si è parte della soluzione, o si è parte del problema: non esistono vie di mezzo.

Aderendo a questo impegno comunitario il Governo può dimostrare di stare dalla parte dei cittadini che subiscono gli impatti dei cambiamenti climatici, anziché da quella delle grandi aziende che producono energia sporca scaricando le conseguenze su tutti noi.

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