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CDP: solo il 3% delle aziende è veramente impegnato nella lotta alla desertificazione.

By : Aldo |Luglio 11, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su CDP: solo il 3% delle aziende è veramente impegnato nella lotta alla desertificazione.
Louise Viallesoubranne - Unsplash

Gli impegni a favore dell’ambiente sono tanti e vari e le aziende sono le prime a dover rispettarli a pieno. Tuttavia, in alcuni settori si notano ancora troppi pochi sforzi e in alcuni casi poca trasparenza nelle azioni sviluppate.

 

Carbon Discolure Project

Carbon Discolure Project è un’organizzazione no-profit che amministra il sistema di divulgazione globale per specifici settori. In pratica investitori, aziende, città, stati e regioni vi si affidano per gestire i propri impatti ambientali. L’organizzazione è leader mondiale (definito anche gold standard) del reporting ambientale, poichè possiede il data set più ricco e completo sull’azione aziendale e urbana.

L’obiettivo è quello di costruire un’economia sostenibile che funzioni a lungo termine, per mezzo di azioni concrete e trasparenti, per un successo collettivo. Nello specifico, il CDP misura e gestisce rischi e opportunità sul cambiamento climatico, la sicurezza idrica e la deforestazione dei suoi membri. Attualmente conta più di 5.800 aziende europee, 18.700 a livello globale; più di 150 governi locali europei e 1.100 in tutto il mondo. Inoltre, il ministero francese, tedesco ed italiano sono partner governativi di CDP Europe.

   

L’ultimo report CDP

Nell’ultimo report riguardo la deforestazione, il CDP riporta dati che sottolineano l’importanza di una modifica dell’approccio nei confronti della deforestazione. Lo studio dichiara che solo il 3% delle aziende traccia il rischio di deforestazione lungo la filiera, ossia garantiscono la piena tracciabilità dei propri movimenti. Quindi tali realtà sono le uniche ad effettuare valutazioni di rischi delle foreste, includendo la mappatura e la segnalazione dell’ubicazione delle operazioni e dei fornitori.

Ancora, il 60% delle imprese campionate ha delle misure anti-disboscamento, tuttavia sono poche quelle veramente virtuose.  Concretamente significa che 6 imprese su 10 sono trasparenti sull’impatto delle loro attività nelle foreste del mondo. Mentre il 10% ha dei programmi saldi e validi per ridurre la deforestazione a zero nell’arco di 2 anni. Ed infine, esclusivamente l’1% oltre alla deforestazione zero, si impegna nella tutela sociale ed economica per i lavoratori.

Deforestazione nel 2023

Quello della deforestazione sfortunatamente resta uno dei principali argomenti trattati se si parla di cambiamento climatico. In genere si discute della situazione in cui versano le foreste amazzoniche che sono state distrutte come mai prima d’ora. Attualmente i dati a riguardo sono controversi poiché, nei primi 6 mesi del 2023, il tasso di deforestazione è calato del 34% rispetto al 2022.  Purtroppo, però, determinate attività sono continuate in tutta tranquillità e nello stesso periodo sono stati rasi al suolo 2650 km2 di foresta tropicale.

Anche per quanto registrato dal CDP si può osservare una grande ripresa o crescita, accompagnata da dati meno positivi. Per esempio, dal 2017 le aziende che comunicano alcuni dei rischi del proprio business, legate alla deforestazione, sono cresciute del 300%. Nonostante ciò, azioni e piani validi per la salvaguardia delle foreste risultano pochi e poco efficaci. In breve, ci sono tante parole e pochi fatti.

Economia

Come detto nel paragrafo precedente, il CDP si occupa anche di economia dimostrando nei suoi report cifre legate ad attività nell’ambito del “polmone verde”. Quello che si legge nell’ultima analisi, afferma che gli investimenti per mitigare i rischi della deforestazione convengono più della noncuranza di un’azienda.

Il totale delle perdite potenziali, ossia perdite legate alla compensazione de danni provocati è di 330 milioni di dollari per azienda. Quando per le misure di mitigazione servono appena 17 milioni di euro. Anche in questo caso la prevenzione conviene sotto tutti i punti di vista.

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La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.

By : Aldo |Luglio 04, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.
Andrew Jephson - Unsplash

L’economia circolare si basa su un ciclo continuo che considera i rifiuti come risorse e materie con le quali dar vita a nuovi prodotti. Al giorno d’oggi possiamo approssimativamente riciclare tutto quello che creiamo e dal 27 giugno anche le navi attraverso un nuovo regolamento.

La convenzione di Hong Kong

La Convenzione di Hong Kong venne approvata nel 2009 con la descrizione di obiettivi e criteri ben precisi. Lo scopo della convenzione era quello di garantire che il riciclo delle navi non presentasse più rischi inutili per la salute e la sicurezza umana e ambientale. Si tratta dunque di un regolamento volto alla sostenibilità che  abbraccia il concetto del ciclo “dalla culla alla tomba”, senza arrecare ulteriori danni al pianeta.

Tuttavia, la norma è entrata in vigore solo dopo 16 anni, poiché sono stati raggiunti tutti e tre i requisiti richiesti dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale):

  • non meno di 15 Stati;
  • non meno del 40% del trasporto mercantile mondiale per stazza lorda;
  • capacità di riciclaggio delle navi non inferiore al 3% del tonnellaggio lordo della marina mercantile combinata degli Stati summenzionati.

L’entrata in vigore e i cambiamenti

Il 27 giugno 2023, la convenzione ha raggiunto il numero minimo di adesioni grazie alla firma di Liberia e Bangladesh. Oltre a loro avevano già approvato la convenzione Belgio, Repubblica del Congo, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Ghana, India, Giappone, Regno dei Paesi Bassi, Norvegia. E ancora Panama, Portogallo, São Tomé e Principe, Serbia, Spagna, Türkiye, Lussemburgo e Malta. Con le ultime due firme, il settore di riciclo delle navi è cambiato per sempre; sarà più regolamentato quindi sicuro a livello ambientale e umano.

Oggi gli stati contraenti sono 22, rappresentando circa il 45,81% del tonnellaggio lordo, mentre il volume annuale combinato di riciclo ammonta a 23.848.453 tonnellate.Tale cifra è pari al 3,31% del volume richiesto, quindi si prospetta un’ottima partenza, prevista 24 mesi dopo la firma degli ultimi due stati. La convenzione attribuisce responsabilità e obblighi a tutte le nazioni contraenti e nello specifico a molteplici figure e settori del campo navale. Tra questi gli armatori, i cantieri navali, gli impianti di riciclo delle navi, gli stati di bandiera, quelli di approdo e quelli dove avviene il riciclo.

A questo punto le navi una volta finita la loro vita operativa, dovranno presentare a bordo un inventario dei materiali pericolosi contenuti in essa.

Gli impianti autorizzati, dovranno fornire un piano di riciclo specifico per ogni imbarcazione e i governi dovranno rispettare l’accordo sugli impatti sotto la loro giurisdizione. La normativa entrerà in vigore concretamente il 26 giugno 2025.

Bangladesh

Il Bangladesh è uno dei paesi con la maggiore capacità di riciclo, poiché è lo stato in cui vengono portate più navi a fine vita. Solo nel 2019 sono arrivate a rottamazione ben 674 navi commerciali oceaniche e unità offshore. Di queste, ben 469 sono state demolite solamente su tre spiagge tra il Bangladesh, l’India e il Pakistan. Per questo il Bangladesh è parte del progetto SENSREC dell’IMO (finanziato dalla Norvegia per 4 milioni di dollari dal 2015).

Il programma ha lo scopo di coltivare un forte senso di proprietà nel riciclaggio ecologico delle navi in Banglades. Sono stati inclusi i lavoratori, i proprietari di cantieri e parti interessate, per sviluppare una comprensione completa delle sfide e delle opportunità all’interno del settore. Di questo passo, con iniziative, norme, obblighi e finanziamenti, anche i paesi in via di sviluppo possono trovare il loro posto nella transizione ecologica. 

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Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

By : Aldo |Maggio 11, 2023 |Efficienza energetica, Home, menomissioni, menorifiuti, Rifiuti |Commenti disabilitati su Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

Un mondo basato sull’economia circolare dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere in tempi più o meno brevi. La transizione ad un sistema simile non è semplice, ma come sempre ci sono dei piccoli passi che ci aiutano ad ottenere un buon risultato.

Robert Laursoo - Unsplash

Una nuova gomma

Un progetto sviluppato dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Brescia propone lo sviluppo di una nuova gomma riciclata adatta alle produzioni industriali. Si tratta di un prodotto creato per via dell’unione di pneumatici fuori uso e scorie di acciaio: un nuovo esempio di economia circolare. Nello specifico la gomma derivata dal connubio di questi scarti è adeguata alla creazione di tappetini per l’isolamento acustico o antivibranti. Dai PFU (pneumatici fuori uso) si può ricavare gomma, acciaio e fibra tessile che possono essere utilizzati nel settore delle infrastrutture, strade ed edilizia.

Lavorazione

Il processo pensato per ottenere questo nuovo materiale è costituito da passaggi specifici che garantiscono alla gomma delle caratteristiche uniche. Per prima cosa, si tratta di una lavorazione a freddo che non prevede l’aggiunta di additivi. I PFU vengono ridotti in polvere, che viene integrata con quantità crescenti di scorie di acciaio.

Così aumenta il coefficiente di rigidità, garantendo una buona compattezza e coesione del prodotto che ottiene anche una maggiore conducibilità termica e buone proprietà magnetiche. In tal modo si rende utile il materiale per applicazioni in cui è necessaria la dissipazione di calore.

Vantaggi ambientali e salutari

Questi fogli di gomma con spessore di 1 millimetro possono migliorare le condizioni dell’ambiente che ci circonda e della nostra salute. Infatti, oltre ad unire due settori lontani, aiuta il riciclo delle scorie soprattutto in Lombardia, dove coesistono molteplici industrie di acciaio per forno elettrico. Questo è un settore che ogni anno produce 20.4 milioni di tonnellate di acciaio, di cui il 10-15% è composto da scorie nere. Quindi grazie a tale progetto si riduce il rilascio di metalli pesanti e potenzialmente tossici per l’uomo come il cromo, il molibdeno e il vanadio. In aggiunta si rende sostenibile il settore degli pneumatici, che produce 435 mila tonnellate di rifiuti l’anno, di cui solo il 20% viene rigenerato.

Un problema all’orizzonte

Il riciclo di pneumatici è una delle eccellenze dell’economia circolare italiana che porta alla creazione di gomma per impianti sportivi, strade, infrastrutture ed altro. Purtroppo, l’Europa ha votato per il bando dell’intaso polimerico nelle superfici sportive quindi, gli impieghi prima citati potrebbero venire meno. Tale decisione deriva dal fatto che il 90% dei campi da calcio in Europa sono stabilizzati con questa gomma.

Tuttavia, Ecopnenus (consorzio che trasforma 200 mila tonnellate di pfu) dichiara che una legge simile potrebbe creare un grande problema, ambientale economico e sociale. Pertanto, richiede, insieme a Legambiente di rivedere la normativa approvata, poichè il non utilizzo del prodotto, porterebbe ad una maggiore dispersione di pfu nell’ambiente.

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Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con una struttura.

By : Aldo |Marzo 27, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, menorifiuti |Commenti disabilitati su Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con una struttura.

Il solare rappresenta una delle fonti rinnovabili di energia più comuni e diffuse al giorno d’oggi. Tuttavia, i due metodi distinti che lo caratterizzano, hanno una base comune che garantisce dei benefici per l’uomo senza creare danni all’ambiente.

Laura Ockel - Unsplash

Termico e fotovoltaico

Prima di tutto è fondamentale ribadire che il termico e il fotovoltaico sono due tecnologie che sfruttano l’energia solare in due modi diversi. I pannelli solari termici sono in grado di usare l’energia del sole per scaldare l’acqua ad uso domestico o per l’impianto di riscaldamento. Mentre i pannelli solari fotovoltaici sono capaci di convertire l’energia solare in energia elettrica. In entrambi i casi, la fonte energetica è il sole, quindi i pannelli sono costruiti con delle variazioni a seconda della loro funzione. Tuttavia, negli anni, sono stati studiate varie strutture nelle quali concentrare tali unità per rendere efficace ed efficiente la produzione di energia rinnovabile. Così sono state costruite delle torri solari, con l’obiettivo di produrre più energia usando il minor spazio possibile.

Torre solare

È un sistema di produzione energetica fondato sul concetto della serra e si compone di un parco di unità trasparenti, che circondano la torre stessa. Alla base è posizionato il collettore: un piano di pannelli di vetro o plastica (aperto all’estremità) dove l’aria viene riscaldata dai raggi solari. In questo modo si crea l’effetto serra necessario.

Il collettore è collegato alla torre, alla quale convoglia l’aria calda e fredda, fino alla sommità insieme affinché si crei una corrente d’aria nel complesso.  Infine, le turbine tra le due strutture vengono attivate dalla corrente d’aria creando energia elettrica. Il vantaggio deriva dal fatto che il calore può essere trasmesso dal suolo o dall’acqua sottostante i vetri, nelle ore successive (massimo 24 ore).

Torre solare a concentrazione

Tra i vari modelli realizzati, spiccano delle varianti che presentano una struttura simile, con qualche differenza nelle componenti o nel funzionamento. Un esempio è il progetto tedesco HelioGLOW che è riuscito ad ottimizzare il solare a concentrazione. Si tratta di un impianto con un campo di specchi (eliostati) che circondano la base della torre, sulla cui sommità si trova un ricevitore.

Quest’ultimo contiene un fluido termovettore che viene riscaldato grazie ai raggi solari riflessi dagli specchi. Successivamente viene accumulato e inviato verso il generatore di vapore a cui cede il calore. Il materiale in questione può scaldarsi anche oltre i 1000°C ed è sostenibile, poichè non corrosivo e prodotto per mezzo del riciclo.

Il progetto creato dal Fraunhofer ISE (Institute for Solar Energy Systems) è in grado di aumentare la resa e abbassare i costi di tale strumento.  Inoltre, è considerato come una delle soluzioni più potenti nell’ambito del concentrating solar system (CPS).

Torre fotovoltaica

Un secondo esempio arriva dalla Three Sixty Solar, azienda canadese che ha creato la torre che resiste agli uragani di categoria 1. Difatti, oltre ad essere un’ottima struttura per produrre energia usando il 90% di suolo in meno, è pensata per la massima resa. I pannelli posti in verticale non hanno bisogno di una pulizia costante (come quelli in orizzontale) nè dai rifiuti, nè dalla neve. Tale caratteristica fa sì che i moduli non subiscano variazione di tensione o corrente. In più la torre è stata pensata per essere collocata nei paesi in cui il sole non è sempre disponibile, senza apportare cambiamenti dannosi all’ambiente.

La sua principale qualità è la resistenza a condizioni meteo particolari: nello specifico resiste a venti fino a 135 km/h, forti piogge, neve e grandine.   Le torri solari sono l’ennesimo esempio di come la produzione energetica rinnovabile possa comportare benefici all’uomo evitando un impatto negativo sull’ambiente. Sicuramente ci sono tanti aspetti delle nuove tecniche che devono essere migliorati, ma la soluzione è davanti i nostri occhi.

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Dalle isole di plastica, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

By : Aldo |Marzo 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Dalle isole di plastica, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

Nel mare ci sono sempre più tonnellata di plastica che poi si tramuta in microplastiche nel nostro cibo. Fortunatamente c’è chi si ingegna e pensa a come trasformare questi rifiuti in risorse.

Alexander Grey - Unsplash

 

Plastica marina

Da qualche anno si parla di “Garbage patch” ovvero di grandi isole di plastica formatesi nei più grandi mari del mondo. Ogni anno si contano ben 8 milioni di tonnellate di plastica nelle acque marine, che si accumulano sia in superficie che in profondità. Questi insieme restano intrappolati in vortici acquatici, per mesi se non anni, creando danni irreversibili sia alla natura che alla catena alimentare.

Tale processo si verifica perchè la plastica degradandosi, di frammenta in pezzi di varie grandezze e forme principalmente microscopiche e leggerissime che si confondono con il plancton. Inoltre, le particelle che cadono nei fondali sono ancora più difficili da degradare rispetto a quelle in superficie.

Legacy plastic

Proprio per limitare tale problema, la Ocean Legacy Foundation ha pensato di recuperare specifici materiali da queste isole per dargli una nuova vita. Così hanno lanciato Legacy Plastic™, il primo pellet composto interamente di plastica oceanica riciclata. Si tratta di un programma di recupero e trasformazione dei rifiuti per incrementare il valore dell’economia circolare plastica.

Chloé Dubois co-fondatrice della non profit canadese, riconosce di essere sorpresa dell’interesse che l’iniziativa ha ricevuto da parte delle aziende.  L’attenzione è correlata soprattutto agli obiettivi o gli oneri che le aziende hanno nei confronti della sostenibilità. Non a caso, molte si sono rivolte alla fondazione, per incorporare nei loro prodotti, dei materiali riciclati, in modo da ridurre l’inquinamento (soprattutto marino).

Materiale d’origine

Il materiale preso dalla Ocean Legacy risale principalmente dalle attrezzature marine. Si tratta quindi di pellet formato da corde e reti da pesca, galleggianti, boe, ma anche rifiuti raccolti durante le attività di pulizia. Ad ogni modo, riciclando questi rifiuti, la fondazione riesce a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, poiché la loro produzione emette anche meno emissioni. Infatti, i loro prodotti sono creati per mezzo di resine riciclate di alta qualità post-consumo, le quali garantiscono una quantità inferiore di CO2.

In generale, i rifiuti in mare sono talmente tanti che fondazioni come la Ocean Legacy hanno l’imbarazzo della scelta. Tra le isole di plastica più grandi abbiamo la Great Pacific Garbage Patch, situata nel Pacifico, tra la California e le Hawaii. Ha più o meno 60 anni e copre un massimo di 10 milioni di km2, contando tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi. Altri vortici simili, di dimensioni ridotte rispetto alla prima si incontrano nel sud del Pacifico, nel nord e nel sud dell’Atlantico e nell’Oceano Indiano.

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Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

By : Aldo |Marzo 08, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

Il riciclo è uno dei fattori fondamentali per ridurre lo spreco e alzare il livello di sostenibilità nel mondo. Con gli ultimi studi, sempre più prodotti possono sottoporsi al processo del riciclo, tra questi anche le batterie.

Possessed Photography - Unsplash

 

Il nuovo settore

In Italia, dal 2019 al 2021, la diffusione delle auto “plug-in” è aumentata del 251,5% con 60.000 auto immatricolate (tra elettriche e ibride). Tale crescita avvenuta anche in Europa, ha consentito di studiare in maniera dettagliata i motori di queste macchine sotto ogni punto di vista.

Non a caso, tra i vari aspetti è stato studiato il motore, che ha portato ad un’intuizione di grande rilevanza, economica e non solo. Di conseguenza in Europa si è aperto un settore dal valore di 6 miliardi di euro: quello del riciclo delle batterie dei veicoli elettrici.

Il vantaggio economico

Il vero beneficio di cui potrebbe godere l’Unione è proprio quello legato alla sostenibilità dunque all’economia circolare.  Questo lo dimostra lo studio “Il riciclo delle batterie dei veicoli elettrici @2050: scenari evolutivi e tecnologie abilitanti”.

Presentata il primo marzo da Motus-E, il Politecnico di Milano e Strategy&, l’analisi descrive un futuro brillante la comunità europea. Nello specifico si ipotizza che al 2050, si potrebbero ricavare 6 miliardi di euro dalla vendita di materie prime, anche rare, riciclate. Si parla di litio, cobalto e nichel, tra i minerali più usati nella composizione di motori elettrici, come in tanti dispositivi elettronici.

Il nuovo settore è poi incentivato dai nuovi target europei sul contenuto minimo di materiale riciclato nelle batterie dei veicoli elettrici. Pertanto, si prevede che nel 2050, 3,4 milioni di tonnellate di batterie alla fine della seconda vita, vengano riciclate. In tal modo si supererebbero le cifre attuali che non vanno oltre le 80.000 tonnellate annue.

Inoltre, la direttiva 2006/66/CE definisce in modo chiaro, la fase finale della vita della batteria di un veicolo elettrico. Dopo l’utilizzo è destinata al riciclo. Successivamente al primo uso, la batteria viene riportata in vita ed impiegata per applicazioni stazionarie pubbliche o privati. Dopodiché si avvia la fase di riciclaggio.

Un futuro business italiano

Includere questo meccanismo nell’economia del nostro Paese potrebbe riconoscergli un ruolo da protagonista in Europa. Poiché l’Italia ha una grande esperienza con i motori e con il riciclo, potrebbe far convergere i due mondi per crescere.  Secondo le statistiche, potrebbe ricavare tra i 400 e i 600 milioni di euro contando solamente le batterie già presenti nel suo territorio. Se questo settore si ampliasse, si verificherebbe un effetto domino (di incremento) anche sul parco elettrico circolante.

Uno sviluppo simile sarebbe capace di offrire tanti benefici occupazionali e ambientali se non a rendere indipendente lo stato. Esattamente con il riciclo e la lavorazione delle materie prime in “casa”, si potrebbe fare leva sulle proprie potenzialità. Questa possibilità ha permesso di incentivare nuovi studi ma soprattutto di investire nel campo descritto, per avere un vantaggio competitivo.

Se si verificasse concretamente, questa soluzione consentirebbe all’Italia di affermarsi in un settore tecnologico e avanzato. Inoltre, i suoi benefici sarebbero talmente tanti, da coprire una vasta gamma di persone, impieghi e modi di vivere. Questo è il concetto alla base della sostenibilità, ovvero un’interconnessione tra ambiente, società ed economia.

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Nokia torna in pista con la telefonia sostenibile.

By : Aldo |Marzo 06, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Dopo anni, la Nokia torna sul commercio con una nuova visione del mondo della telefonia. Un nuovo logo e nuovi modelli cambieranno le sorti del colosso.

Raunak Jha - Unsplash

Il nuovo modello

G22 è il nuovo smartphone della Nokia, unico al mondo nel suo genere. Si tratta del primo telefono al mondo pensato per essere riparato facilmente, rendendolo molto più sostenibile di tanti altri telefoni. É dotato di un display da 6,5”, memoria interna che può variare tra i 4 e i 128 GB, 3 fotocamere esterne e una interna.

Ovviamente, quelli elencati non sono i connotati di un pezzo di alta gamma ma d’altronde non era quello l’obiettivo della Nokia. Questo lo si può intuire anche dal prezzo, di soli 189 euro, una cifra tra le più basse nel mercato dei nuovi smartphone. Ulteriori caratteristiche che lo rendono particolare sono la scocca in plastica riciclata al 100% e la possibilità di ripararlo direttamente a casa.

iFixit

Il nuovo prototipo è accessibile ad un’ampia clientela sia per il prezzo che per la possibilità di una durata maggiore. Grazie alle tecnologie di iFixit (comunità globale volta a promuovere la riparazione dei dispositivi elettronici), si potrà aggiustare il telefono in pochi minuti. Che si tratti di uno schermo danneggiato, il cambio della batteria o la porta di ricarica piegata, nulla sarà più costoso. iFixit ha messo appunto un kit di riparazione (probabilmente del costo di 5 euro) che permetterà di poter risolvere delle problematiche comuni in maniera efficiente.

I vantaggi

In primo luogo, non si dovrà portare il telefono in assistenza, quindi si risparmieranno soldi e tempo, inoltre si aiuta anche l’ambiente. Infatti, tra le soluzioni più sostenibili è compresa la riparazione del dispositivo. Poiché ad oggi solo l’1% degli smartphone nel mondo viene riciclato, la possibilità di riparare il proprio, in casa, rende il G22 un modello all’avanguardia.

Oltretutto, le tecnologie impiegate consentono alla batteria di durare addirittura 3 giorni, prolungando la vita dello stesso telefono. Tale peculiarità permette di ridurre le emissioni di CO2 del 26% annuo, senza tenere conto di tutti gli altri passaggi della produzione.

Produzione europea.

La Nokia ha un’ulteriore sorpresa nel campo della sostenibilità. L’azienda avrebbe deciso di portare la produzione in Europa. Il colosso è di proprietà dell HDM Global che ha annunciato tale cambiamento; una scelta di rilievo soprattutto per quanto riguarda il benessere della Teerra. Questo perchè l’83% delle emissioni riconducibili alla vita di un dispositivo, sono riconducibili alla fase di produzione e trasporto.

Per tale motivo, la decisione di spostare le fabbriche in Europa nei prossimi anni garantirebbe un minor impatto sul pianeta. Altresì, Ben Wood, Chief Analyst di CCS Insight dichiara:

… al di fuori del periodo di garanzia, circa metà degli intervistati e possessori di smartphone hanno dichiarato l’interesse a poter riparare il proprio dispositivo a un costo ragionevole e autonomamente in caso di rottura.

 

Sembra così, che l’idea della Nokia possa far breccia nei cuori dei più attenti alla sostenibilità e non solo. Sicuramente se riuscisse in questa impresa, si cambierebbero le sorti del settore della telefonia, dimostrando quanto le tecnologie siano di aiuto per raggiungere un futuro sostenibile.

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Arrivano a Roma i cestini per la carta “intelligenti”; l’AMA guarda al futuro.

By : Aldo |Febbraio 07, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

In vista di grandi eventi e obiettivi da raggiungere, Roma apporta dei cambiamenti nella città.

L’iniziativa

A Roma approdano i cestini della carta “intelligenti” grazie ad un comodato d’uso dell’AMA che cerca di portare una ventata d’aria fresca nella capitale. L’idea è quella di migliorare la città, che troppo spesso ha ricevuto e riceve critiche per la mancata cura e pulizia di strade e marciapiedi. Oltre ad essere tra le 9 centri urbani italiani scelti per il programma europeo delle Smart Cities, Roma è prossima al Giubileo. Questo significa che i riflettori saranno puntati sulla città che si dovrà presentare nel migliore dei modi e perchè no, anche all’avanguardia.

I cestini intelligenti

I cestini sono stati ideati con un’elevata cura dei dettagli, coniugando sostenibilità, sicurezza, igiene, raccolta differenziata e tecnologia. Di fatto sono stati creati 2 prototipi che differiscono solo per la capienza. L’impianto di largo Gaetana Agnesi (altezza ingresso Metro B Colosseo), ha una capacità di 240 litri mentre quello nell’area di Fontana di Trevi 120 litri.

Tecnologia e sostenibilità sono alla base di questi sistemi. Infatti, il cestino è controllato per mezzo di un’app che segnala quando deve essere svuotato. Il tutto è alimentato da all’energia solare  poiché l’impianto è dotato di un pannello fotovoltaico che fornisce l’energia necessaria anche per la pressa. Presenti anche led e sensori. Un altro aspetto tecnologico è la pressa interna (azionata dall’energia solare), capace di compattare i rifiuti, riducendone la massa fino a 5 volte.  

I nuovi cestoni sono composti di acciaio zincato e “anti intrusione” per evitare spiacevoli episodi avvenuti più volte nella capitale. Per quanto riguarda l’igiene, è stato pensato un pedale per aprire il bidoncino, permettendo ai cittadini di non toccarlo con le mani.

Nareeta Martin - Unsplash

La gestione

Ulteriori dettagli del cesto sono correlati al lavoro svolto dagli addetti dell’AMA, che potranno svuotare il contenitore più facilmente e velocemente. L’iniziativa avrà una fase di sperimentazione di 4 mesi dei nuovi modelli che  hanno una capacità pari a quella di 7 cestini e questo farà la differenza. Il vicedirettore Generalre dell’AMA, Emiliano Limiti, afferma che si collocheranno a Roma, circa 10 mila nuovi raccoglitori. Sarà un processo di rinnovamento, efficientamento verso una maggiore pulizia e sostenibilità.

L’ente ha curato al massimo i dettagli è ha annunciato che tutta la carta conferita nei nuovi cestini verrà riciclata, nell’impianto dei rifiuti raccolti in strada. Roma dovrà aspettarsi tante iniziative e cambiamenti come questi, visti gli impegni presi con l’Europa. Tutto ciò che potrà rendere migliore la Capitale, sotto ogni punto di vista, sarà una modifica positiva per il futuro. Migliorerà anche la vita dei  suoi cittadini e dei milioni di turisti che la scelgono come meta ogni anno. 

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“Torello”: 200kg di rifiuti trasformati in bioenergia in 15 minuti.

By : Aldo |Febbraio 05, 2023 |bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

I rifiuti aumentano e di pari passo aumenta la richiesta di tecnologie avanzate per smaltirli. Sea Marconi ha lavorato per questo.

Torello

L’impianto, lungo 7 m e largo 1,5 m è in grado di trasformare rifiuti in bioenergia e bioprodotti riducendo costi e tempi. La sfida di Torello o BioEnPro4TO è quella di riciclare 200kg di rifiuti convertendoli in energia elettrica e biofertilizzante, nell’arco di soli 15 minuti.  Di fatto, la sua caratteristica è quella di poter superare gli impianti tradizionali, che impiegano 90 giorni per lo stesso identico processo. Il macchinario creato dalla Sea Marconi è stato avviato ad ottobre e presentato il 31 gennaio alla Lavanderia a Vapore di Collegno.

Secondo il fondatore della Sea Marconi, Vander Tumiatti, Torello potrebbe essere “una soluzione integrativa per la produzione di biogas”. Questo sarà possibile per tempi e costi abbattuti grazie alla termochimica e per il fatto che “non ha bisogno di grandi investimenti o infrastrutture”.        

Álvaro Serrano - Unsplash

Struttura e funzioni

BioEnPro4TO è essenzialmente un progetto di ricerca di elevato livello di maturità tecnologica (TRL7) che può trasformare rifiuti in energia e altro. Converte parte organica dei rifiuti solidi urbani, le biomasse primarie o residuali (sfalci), i fanghi di depurazione delle acque reflue civili e materiali plastici.  Tutto ciò può diventare energia elettrica, termica, acqua sterilizzata, biostimolanti, biogas, biofertilizzanti, syngas, biochar.

È un sistema che tende all’impatto zero, soprattutto per le tecnologie utilizzate nella sua creazione. Non a caso, gli scarti subiscono un processo di conversione termochimica, fondamentale per la trasformazione in energia, perchè scalda ma non brucia.  Tra l’altro, l’impianto è capace di comprendere 1500 tonnellate di rifiuti (per anno) garantendo 7500 ore di lavoro all’anno.

Impieghi

I benefici che Torello può offrire sono vari ed essenziali, come la riduzione dei rifiuti in discarica o la produzione di energia verde. Con tale macchinario si potrebbero risolvere anche i problemi legati al trasporto di rifiuti, una questione molto sentita soprattutto nei centri più piccoli. Infatti, sono proprio le piccole e medie comunità (fino a 250 mila abitanti) le prescelte per l’utilizzo del sistema.

Ne è un esempio Torino Ovest, dove si gestiscono 112,5 mila tonnellate di RSU (Rifiuto Solido Urbano) e circa 20 mila tonnellate di organico. Oppure il Comune di Collegno, costretto a portare le sue mille tonnellate di fanghi di depurazione (all’anno) negli impianti di Bergamo e Brescia. Con un sistema simile si ridurrebbe il bisogno di trasportare determinati materiali e si ridurrebbero i costi di smaltimento e trasporto.   In aggiunta, l’unità principale di Torello è trasportabile con un camion e può essere installato senza troppe difficoltà.

Finanziamenti

Il programma è stato avviato verso la fine del 2018 grazie ai 6,9 milioni di euro finanziati dalla Regione Piemonte.  Così da creare nuovi posti di lavoro e ha permesso il deposito di 10 brevetti, ai quali hanno collaborato 11 enti, tra aziende e università. Un’ulteriore punto a favore dell’impianto è il ritorno di investimento che supera qualsiasi altro sistema tradizionale. Si tratta di 1000 euro per tonnellata e un ritorno che potrebbe ammontare al 140%, rispetto al solito 15 o 20%. Come sottolinea il fondatore Tumiatti, la volontà è di “produrre di più e meglio, consumando di meno”.

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Riciclare le batterie con gli agrumi: è realtà grazie ad AraBat, l’eccellenza italiana.

By : Aldo |Gennaio 26, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Aumentano le eccellenze italiane nel mondo delle tecnologie: spicca la startup pugliese AraBat.

La startup

AraBat è una startup italiana che ha sviluppato delle tecnologie uniche al mondo, per riciclare le batterie. Nasce a febbraio 2022 dall’idea di 5 ragazzi pugliesi con dei background simili e lo stesso obiettivo: quello di cambiare il mondo. Come in tanti altri casi, tutto parte da corsi universitari e curiosità verso il mondo della tecnologia. Così AraBat e l’Università di Foggia, firmano un accordo di ricerca e partnership scientifica, permettendo ai ragazzi di realizzare il loro progetto innovativo e sostenibile.

Durante lo sviluppo del loro programma, i fondatori hanno lavorato anche su altri fronti, per poter ricevere un maggiore supporto. Dopo vani tentativi di ricerca di un partener italiano, guardano oltreoceano e riescono ad avere l’appoggio del CEO di Linkedin; un incontro che cambierà tutto. Con tale colloquio, AraBat ha instaurato una partnership internazionale che le garantisce un’importante crescita, ma soprattutto la possibilità di realizzare un impianto industriale in Puglia.

Da qui il team ha vinto una serie di premi per l’innovazione, anche nazionali, che hanno determinato l’ascesa della società. Tra i tanti, l’avviso pubblico «Estrazione dei Talenti» di ARTI Puglia, il PIN (Premio Nazionale dell’Innovazione) ed il premio Encubator 2023.

John Cameron - Unsplash

La questione da risolvere

AraBat è quindi una delle nuove eccellenze italiane nel settore della tecnologia legata alla sostenibilità: nello specifico si occupa di riciclare batterie esauste. I ragazzi sono riusciti a rivoluzionare il tipico processo idrometallurgico rendendolo ancora più sostenibile ed efficiente. Come? Con gli scarti degli agrumi. Solitamente le batterie si riciclano per mezzo della pirometallurgia: un sistema costoso ed inquinante, che elimina anche i non metalli (a causa delle alte temperature).


Recentemente è stata scoperta l’opzione idrometallurgica, che invece, usa temperature più basse e acidi per estrarre i metalli richiesti. Il problema che sussiste però riguarda l’aspetto ambientale. Per quanto possa essere efficiente, l’idrometallurgia continua a creare alte percentuali di inquinanti secondari responsabili di ulteriori rischi per la natura e la salute. A questo proposito, AraBat ha sviluppato un metodo innovativo, unico al mondo che ha cambiato le sorti del team.

La soluzione innovativa.

Grazie alla collaborazione con il Facility Center dell’Università di Foggia, l’impresa è riuscita a realizzare un meccanismo all’avanguardia e sostenibile. Il piano si concentra sul miglioramento delle tecniche già in uso nell’idrometallurgia, con la sostituzione di elementi e materiali.
Dopo lunghi studi, AraBat ha deciso di usare acido citrico (debole) presente negli agrumi, al posto degli acidi inorganici forti, per la lisciviazione. L’acido citrico viene combinato con la buccia d’arancia, che per mezzo di essiccazione e macinatura, fornisce una quantità di cellulosa rilevante per altri step della lavorazione.

Infatti, la cellulosa serve per l’estrazione e un miglior recupero dei metalli: così come gli antiossidanti naturali presenti nello scarto organico. Grazie a tale procedura, la startup è in grado di restituire vari metalli quali, carbonato di litio, idrossido di cobalto, idrossido di manganese e idrossido di nichel ed altri.

Economia circolare

L’azienda non si occupa solo del riciclo di batterie anzi, rappresenta a tutto tondo l’idea di sostenibilità perchè impegnata in più campi. La missione è quella di creare un commercio di materie prime seconde, riciclate. Come abbiamo visto il team si occupa di batterie a ioni di litio esauste (LIB) e RAEE. Tale procedura permette di sviluppare un mercato competitivo ed un piano di economia circolare, fondamentale al giorno d’oggi.

Inoltre, AraBat è impegnata nella produzione di energia rinnovabile e in attività di consulenza per la green economy. L’impresa rappresenta a livello mondiale, un sistema industriale circolare unico e originale. Non a caso, il suo impianto di riciclo è stato definito il più sostenibile nel quadro europeo. Le startup di giovani come questa possono valorizzare il nostro paese e incrementare il suo livello di sviluppo. Che sia per nuove tecnologie, per la sostenibilità o in ambito sociale, le nuove idee fornite dai giovani, dovrebbero essere valorizzate sempre di più. Perchè come ci insegna questo caso, possono portare il marchio italiano nel mondo, apportando cambiamenti concreti.

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