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L’ONU dichiara che il buco dell’ozono si sta chiudendo!

By : Aldo |Gennaio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Andamento in metri quadrati della superficie dell’area del buco dell’ozono

Dopo anni di incertezze è finalmente arrivata la notizia che tutti aspettavano.

            
La grande notizia

Attraverso monitoraggi, studi ed analisi di vario tipo, l’ONU ha annunciato che il “buco” dell’ozono si sta riducendo.

La notizia arriva dal report “Scientific assessment of ozone depletion 2022”, in cui si ripercorrono i passi fatti contro il buco dell’ozono, durante gli anni.

            

Lo studio afferma che il buco si chiuderà intorno al 2066 sopra l’Antartide, entro il 2045 sopra l’Artico, e nel 2040 per il resto del mondo. È importante precisare che, con il verbo “chiudere” si intende che la situazione tornerà ai livelli precedenti agli anni ’80.

            

L’ozono e l’ozonosfera.

Le nozioni principali da sapere per comprendere l’importanza del fenomeno descritto riguardano l’ozono L’ozono infatti è un gas che crea uno strato atmosferico di grande rilevanza: l’ozonosfera. Tale strato ha il compito di assorbire e filtrare i raggi UV del Sole, evitando che quelli nocivi arrivino sulla Terra.

In questo modo l’ozonosfera protegge gli esseri viventi da patologie rare e delicate come tumori alla pelle ed è quindi necessaria per la nostra vita.

Un altro concetto da approfondire è quello del cosiddetto “buco”. In realtà non esiste un vero e proprio buco nell’ozonosfera; si tratta più di un assottigliamento causato da vari composti chimici, utilizzati dall’uomo.

Queste sostanze pericolose per la “coperta” atmosferica vennero scoperte solo successivamente all’identificazione dell’assottigliamento.

            
Storia

Il buco dell’ozono venne scoperto nel 1974 da Frank Sherwood Rowland e Josè Mario Molina, che incentivarono gli studi sul fenomeno. Nel 1985, Joseph Charles Farman rivelò la pericolosità del danno nella regione antartica e così si decise di prendere una strada precisa.

            

Nel 1989, 46 paesi firmarono il Protocollo di Montréal, ed altri 90 si aggiunsero nel 1990 dopo la scoperta di un assottigliamento al polo nord.

Il protocollo determinava la riduzione di produzione e consumo dei Clorofluorocarburi (CFC), a quel tempo ritenuti gli unici colpevoli del danno.
Solo nel 2016 vennero banditi anche gli idrofluorocarburi (HFC), composti chimici e gas serra 14 mila volte più potenti della CO2.
            

L’unione fa la forza

Quando questo fenomeno sembrava il pericolo ambientale più grande e temuto, molti governi si adoperarono per cambiare rotta senza dubbi e perplessità.
La partecipazione di ben 90 stati determinò un impatto decisivo e positivo sull’ambiente, eliminando il 99% dei CFC e dei HFC. Azione che ha ridotto di gran lunga anche il loro contributo all’effetto serra.

Jukka Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale dichiara:


“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima”

La sua affermazione non solo rende onore al lavoro svolto in questi anni ma da trasmette fiducia nel futuro.

            

Se solo il mondo riuscisse ad agire così velocemente e in maniera decisa, come successe nello scorso secolo, si risolverebbero tanti problemi. Uno tra questi, il cambiamento climatico!

La grande notizia degli ultimi giorni, ci rende consapevoli di quello che siamo capaci di fare quando ce ne è la necessità. Inoltre, ci dimostra come i governi, uniti, possano fare la differenza e questo importante traguardo ne è una prova fondamentale.

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L’UE mira al primato mondiale nel settore delle batterie.

By : Aldo |Gennaio 14, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, menorifiuti, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

 

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie.
Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

               

L’accordo.

Proprio due anni fa la Commissione Europea ha presentato una proposta sul regolamento delle batterie per rendere il loro settore più sostenibile.

La normativa è stata accolta ed esaminata dal Consiglio e dal Parlamento Europeo che hanno raggiunto, all’inizio del nuovo anno, un accordo.

Quest’ultimo rientra nell’ambito della strategia per la mobilità sostenibile e definisce una serie di requisiti che i produttori di batterie europei dovranno seguire.

               

E inoltre mira alla riduzione dell’impatto ambientale che ha l’intero ciclo di vita di una batteria; dall’estrazione delle materie prime alla produzione, fino allo smaltimento.

               

I requisiti delle batterie

L’accordo riporta in modo dettagliato quelle che sono le specifiche che vari tipi di batteria dovranno soddisfare d’ora in poi per essere vendute nell’Unione europea.

               

Innanzitutto, la legge varrà sia per la produzione che per l’importazione di batterie in Europa, siano esse per veicoli elettrici, applicazioni industriali e dispositivi portatili.

Per essere precisi, quelle con una capacità maggiore di 2 kWh dovranno riportare la “dichiarazione dell’impronta di carbonio”. Così facendo verrà certificata la quantità di CO2 emessa durante la loro produzione.  
Oltre a questa etichetta, sarà obbligatorio apporre un QR code, con tutte le caratteristiche della batteria (capacità, prestazioni, durata e composizione chimica).

               

Invece le batterie più piccole (per smartphone) dovranno essere facili da rimuovere e sostituire entro il 2030. Infine, la Commissione valuterà anche la possibilità di bandire le pile non ricaricabili.
          
    

 

Riciclo

Per quanto riguarda il riciclo, sono stati fissati molteplici obiettivi correlati alla raccolta del prodotto e il riuso delle materie prime.

Infatti, è stato stabilito, che le batterie usate debbano essere raccolte senza ulteriori costi per il consumatore. L’obiettivo è di raccogliere il 45% delle portatili nel 2023, per poi arrivare al 73% nel 2030.
Per le batterie dei veicoli elettrici si punta al 61% nel 2031.

               

Gli altri obiettivi comprendono le materie prime; il loro recupero permetterebbe di limare dei rapporti di dipendenza tra nazioni, nati per necessità di produzione.

Nel settore è quindi richiesto il recupero e il riutilizzo del, 85% per il piombo, 16% per il cobalto, 6% per litio e nichel.

               

Politiche

Senza dubbio tali requisiti, obiettivi e regole, sono tra i più rigidi al mondo e pertanto potrebbero migliorare tanti meccanismi, anche quelli del mercato.

Non a caso il capo negoziatore dell’Europarlamento, Achille Variati, è sicuro che le norme europee
               

diventeranno un punto di riferimento per l’intero mercato mondiale”.

Dal momento in cui verrà ratificato l’accordo, le aziende produttrici e importatrici di batterie nel mercato Ue, dovranno seguire una “politica di due diligence”. In questo modo si eviteranno rischi sociali e ambientali dovuti alla produzione dell’oggetto.

Tali garanzie saranno fondamentali calcolando che nel 2030, questo mercato crescerà di 14 volte rispetto all’attuale.

               

Ad ogni modo, il concordato mira anche a cambiare i rapporti tra Paesi nel mondo.
Proprio Cina, Giappone e Corea del Sud sono i maggiori produttori di batterie. In questo caso l’Europa cercherà di ribaltare gli equilibri in tema di sostenibilità, frenando l’enorme potere dell’industria asiatica.

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terreni

Terreni inutilizzati censiti per la sostenibilità grazie a Cererly e Urban Farmer.

By : Aldo |Dicembre 21, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |0 Comment
Urban-Farmer

Andrea Guarassi e Aren Hoxha creatori di Cererly e Urban Farmer

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Dall’informatica all’agricoltura

Andrea Guarrasi e Aren Hoxha, amici di una vita con un passato nel campo dell’informatica hanno cambiato vita scegliendo l’agricoltura e la sostenibilità.

Rendendosi conto dell’elevato livello di abbandono di terreni nella loro Puglia hanno sviluppato Cererly e Urban Farmer.  

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‎‎Urban Farmer

É una startup nata dall’intuizione di Andrea Guarrasi sull’uso di terreni incolti e il desiderio di Aren Hoxha di creare FarmVille nella vita reale.
Da lì è nato un progetto rivolto ad agricoltori e consumatori attenti alla sostenibilità ed ai proprietari di terreni incolti.

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Hanno creato una realtà per la quale il proprietario del terreno può coltivare prodotti nel rispetto dell’ambiente ed incrementare l’economia locale. Come? Dal sito, può vendere i suoi prodotti di stagione e a km 0, ed offrire anche una “Farming experience” ai suoi clienti.

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Cererly

È la piattaforma online che affianca Urban Farmer e permette di mappare i terreni incolti che possono essere riutilizzati per l’agricoltura o per il fotovoltaico.

L’iniziativa è volta al recupero del suolo, per combattere i cambiamenti climatici e allo stesso tempo riqualificare il loro paese.

Tale censimento offre un servizio minuzioso volto alla collaborazione tra cliente e proprietario del terreno (che siano enti, aziende o privati).

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Chiara Scialdone, advisor di Urban Farmer, spiega:

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“Il proprietario del terreno può inserire gratuitamente nella piattaforma i dati relativi al suo appezzamento […] Dopodiché un algoritmo di Cererly incrocia queste informazioni con i dati catastali, le processa e restituisce un report di fattibilità per progetti sostenibili su quel terreno con il vantaggio anche di snellire l’iter burocratico”.

Si mira infatti a colture di alberi da frutto, foreste urbane, piante per la fitodepurazione di suolo e aria.

Tuttavia, i terreni sono adibiti ad impianti fotovoltaici nel caso in cui non avessero le caratteristiche per la coltivazione.

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Si stima che con meno dell’1% di questi appezzamenti, si potrebbe raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 italiana: i 70 GW di energia rinnovabile.

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Risultati

Gli inventori hanno già registrato 75 ettari di terreni solo in Puglia e per questo hanno fatto un appello alle autorità regionali:

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“Il nostro portale è a vostra disposizione, gratuitamente: incontriamoci”.

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I due tarantini collaborano anche con l’Università di Bari, per un progetto su biogas e fertilizzante bio ed economico.

Per quanto analizzato, un cambio d’uso di 3,5 milioni gli ettari di terre inattive, creerebbe un valore di 3 miliardi di euro all’agricoltura. 5,3 miliardi di energia rinnovabile.

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Le cifre parlano da sole e portano in alto la scelta interdisciplinare di Cererly e Urban Farmer in nome della sostenibilità. 

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fusione nucleare

Fusione nucleare: la scoperta attesa per anni dalla scienza, non è proprio come viene descritta.

By : Aldo |Dicembre 19, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Il 13 dicembre il Washington Post annuncia una svolta nel campo energetico.
In realtà si tratta di una possibile soluzione futura ma solo in alcuni ambiti.

 

La scoperta

Si aspettava questo momento da anni. Il 13 dicembre gli scienziati della National Ignition Facility nei Lawrence Livermore National Laboratory sono riusciti a produrre energia in eccesso da una fusione nucleare.

Non era mai successo prima e la notizia è risuonata nel mondo intero come la concretizzazione di un evento impossibile agli occhi di tutti.

In questo esperimento infatti sono stati prodotti 2,5 MJ di energia attraverso un processo di fusione a confinamento inerziale, alimentato da 2,1 MJ. Questo significa che è stato ottenuto il 19% di energia in eccesso.

Il meccanismo delle stelle

Il meccanismo è lo stesso che agisce all’interno delle stelle: due atomi di idrogeno si fondono per crearne uno di elio, generando energia.

Nel caso specifico, si tratta di fusione a confinamento inerziale, un insieme di microesplosioni ottenute dal bombardamento di piccole sfere di deuterio e trizio. Le sfere sono colpite da fasci di laser ad alta energia che le riscaldano attivando l’implosione del combustibile (deuterio e trizio).
Di conseguenza la temperatura permettere di raggiungere la condizione iniziale della fusione.

In laboratorio sono stati usati 192 raggi laser ad altissima energia ed una sfera piccola quanto un grano di pepe, in cui la fusione ha raggiunto 3 milioni di gradi.
La grande scoperta è proprio quello di essere riusciti a produrre più energia di quella consumata nella reazione, in un laboratorio.

 

Il futuro

Questa scoperta è senza dubbio un raggiungimento incredibile della storia della scienza (soprattutto quella americana), ma non è esattamente quello che hanno riportato i giornali.

É stata raccontata come una soluzione sostenibile, il Washington Post la considera “il Sacro Graal” dell’energia senza emissioni di carbonio ed è presentata come soluzione più ecologica per varie caratteristiche. Tra queste una minore produzione di radiazioni, scorie più facili da gestire e un minor costo di produzione.

Tuttavia, l’esperimento ha lasciato qualche dubbio per quanto riguarda tempi, step e l’utilizzo del processo.

 

Gli inconvenienti

La fusione non potrà essere usata per produrre energia a scopo civile, perchè mancano dei passaggi fondamentali.  Come dichiarato da Kim Budil, direttrice del Lawrence Livermore National Laboratory:

«Questa è stata l’accensione, una volta, di una capsula ma per ottenere l’energia commerciale da fusione […] Bisogna essere in grado di produrre molti eventi di accensione per fusione per minuto e bisogna avere un robusto sistema di elementi di trasmissione per realizzarli».

Infatti, anche il tempo è un fattore limitante, poiché l’esperimento prevede una preparazione di 15 giorni, per ottenere una quantità di energia pari a 0.1 Wh.

Infine, il trizio non è facilmente reperibile ed è anche costoso. Per poter produrre un’ingente quantità di energia servirebbe una grande risorsa dell’isotopo, attualmente non disponibile.

L’ultima perplessità è correlata al fatto che l’esperimento è stato finanziato maggiormente dal Dipartimento della Difesa USA. L’obiettivo era lo sviluppo di armi che rispettino il trattato internazionale, che pone un limite alla potenza di un ordigno nucleare sperimentale.

 

In conclusione.

Il test rappresenta senz’altro un passo in avanti per la scienza, una tappa attesa dagli anni 50 che finalmente è diventata realtà.

Purtoppo però, non potremmo godere di tale scoperta in termini di energia pulita per tutti, di sostenibilità o scelta ecologica. C’è chi spera in uno sviluppo nell’arco di vari decenni, chi pensa che non si arriverà mai all’utilizzo commerciale.

Senza dubbio dobbiamo riconoscere il grande lavoro compiuto dagli scienziati.

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rolls royce easyjet

I primi test sui motori aerei ad idrogeno hanno dato esito positivo: decarbonizzazione dei voli entro il 2050.

By : Aldo |Dicembre 11, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

In tutti settori c’è una nuova attenzione e ricerca alla sostenibilità; ora anche nell’ambito dell’aviazione.


L’inquinamento dei voli

Gli aerei come ogni altro mezzo di locomozione inquinano l’atmosfera: nello specifico il traffico aereo comporta il 2,4% dell’emissioni globali.

Secondo l’ICCT (International Council on Clean Transportation), volare produce 285 g di CO2 per passeggero (la media: 88 persone a volo) per chilometro percorso.

L’ascesa del low cost poi, ha sdoganato l’idea del viaggio come un’esclusiva per ricchi, permettendo a tutti di volare a poche decine di euro.

Con questa “innovazione” le emissioni sono duplicate negli ultimi anni e si calcola che nel 2050 saranno 7 o 10 volte maggiori rispetto al 1990.

Il carburante sostenibile

Rolls Royce e EasyJet stanno lavorando insieme al programma Race to Zero, delle Nazioni Unite, per raggiungere un obiettivo considerevole. I due grandi nomi hanno testato un motore alimentato da idrogeno verde a terra, su un aereo dimostrativo.

Il test è stato effettuati in un impianto di prova all’aperto, nell’aeroporto militare MoD Boscombe Down (UK). Il motore utilizzato è un Rolls-Royce AE 2100-A ed è alimentato dal cosiddetto “idrogeno verde”.

Questo carburante sostenibile è fornito dall’EMEC (European Marine Energy Centre), che produce energia pulita nelle isole Orcadi (UK).

 

Il successo dello studio

Lo studio ha confermato che l’idrogeno, potrebbe rappresentare una rivoluzione nell’ambito dell’aviazione sostenibile.
Le 2 grandi società, quindi, continueranno a testare il carburante “pulito” anche sui motori Rolls-Royce Pearl 15, per poi provarli in volo.

 

Grazia Vittadini, direttore tecnico di Rolls-Royce afferma:

“…Stiamo superando i limiti per scoprire le possibilità dell’idrogeno a zero emissioni di carbonio, che potrebbero contribuire a rimodellare il futuro del volo”

Mentre Johan Lundgren, CEO di easyJet dichiara:

“…Sarà un enorme passo avanti nell’affrontare la sfida dello zero emissioni nette entro il 2050“.

Tuttavia sarebbero sorti dei dubbi per quanto riguarda le difficoltà tecniche di produzione e disponibilità di idrogeno, lo stoccaggio e le modifiche da apportare all’aereo.

Ma dati gli ottimi risultati, questa rivoluzione si presenta come una soluzione con la quale cambiare le sorti dell’aviazione e renderla più sostenibile.

Intanto le compagnie o addirittura gli stati cercano soluzioni per rimediare all’inquinamento dei voli. Per esempio, la WizzAir sta optando per il biodiesel, mentre la Francia vieterà voli nazionali se la destinazione è raggiungibile con il treno

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deforestazione

L’Unione Europea blocca l’import di chi deforesta.

By : Aldo |Dicembre 06, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Un accordo definito “storico” dal Parlamento Europeo, che segna la fine di un’era di indifferenza.

deforestazione

La norma

L’iter legislativo, iniziato a novembre 2021, ha imposto un nuovo piano d’attacco: il blocco dell’import.


Si tratta di un freno al commercio di alimenti, prodotti con processi che coinvolgono terreni disboscati da dicembre 2020 in poi.

Cacao, caffè, soia, carne bovina, cioccolato, olio di palma entreranno nell’UE solo se le loro aziende rispetteranno i criteri imposti dal Parlamento europeo. La gomma è stata aggiunta a settembre, nella lista di prodotti, per volontà degli eurodeputati, che hanno deciso di rafforzare il provvedimento.

Tuttavia, la versione finale darà la possibilità di allargare i vincoli ad altri terreni (entro e non oltre un anno dall’entrata in vigore).

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Termini e condizioni

Come ogni accordo che si rispetti, sono state discusse regole e criteri per garantire un risultato efficiente, ma anche multe per chi trasgredirà la norma.

In primo luogo, verrà stilata una classifica sul livello di rischio di deforestazione delle nazioni, per adeguare le regole che vi saranno applicate. Le aziende invece, dovranno dichiarare l’origine delle loro merci, ovviamente non dovranno essere collegate a processi di disboscamento. In questo caso però, i livelli di controllo sono elevati, basti pensare che la vigilanza usufruirà di sistemi di geolocalizzazione delle colture tramite satellite.

Il testo, inoltre, riporta gravi sanzioni nei confronti dei trasgressori, che potrebbero pagare fino al 4% del fatturato totale annuo.

In futuro

É stabilito che dopo due anni dall’entrata in vigore, la Commissione dovrà valutare vari aspetti dell’operato.
Per esempio, potrebbe decidere di allargare i vincoli ad altri prodotti come il mais, torbiere e ecosistemi ricchi di stoccaggio del carbonio. O ancora obbligare le istituzioni finanziarie a rifiutare crediti o servizi che possono associarli ad attività di deforestazione.

Christophe Hansen (Ppe), negoziatore per il Parlamento afferma che:

«…il testo include anche garanzie per proteggere i diritti delle popolazioni indigene, i nostri migliori alleati contro la deforestazione».

Anche il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, conferma l’importanza della normativa e aggiunge:

“Occorre garantire che le importazioni di prodotti da Paesi terzi, rispettino gli stessi standard sociali, sanitari e ambientali delle produzioni italiane ed europee”

Ricorda anche la validità del principio di reciprocità, e i livelli di sicurezza alimentare in Europa.

“…ben l’80% degli allarmi alimentari scattati in Italia sono stati causati dai cibi importati dall’estero. In testa alla classifica […]c’è la Turchia responsabile del 13% degli allarmi alimentari scattati in Europa”.

In conclusione

La nuova legge non riguarda solo l’ambiente, come spiegato da altri enti, ma concerne vari aspetti dall’economia alla salute, dai diritti civili al biologico.

Tale normativa è anche legata all’impatto negativo che le importazioni dell’Unione hanno sull’ambiente. Purtoppo è definita come secondo distruttore di foreste tropicali, dopo la Cina, soprattutto per l’import di soia e olio di palma.

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In Scozia l’Ocean Energy produrrà energia grazie alle onde del mare.

By : Aldo |Dicembre 05, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, menomissioni |0 Comment

Si parla sempre più di energia pulita e soluzioni sostenibili: solare, eolico e idrico.

Raramente invece, si discute della “potenza” del mare e le sue applicazioni.

Ocean Energy

Si definisce come una nuova industria in Europa che può essere affiancata al solare e all’eolico, quindi rappresenta una soluzione sostenibile. In aggiunta è presentata come un’opportunità di export per l’Europa ma anche di sicurezza e indipendenza energetica.

La società irlandese coordina il progetto WEDUSEA insieme ad altre realtà come l’Enterprise Ireland, università e industrie di Francia, Regno Unito, Germania, Spagna e Irlanda.

L’idea da 19,6 milioni di euro è finanziata per metà da Horizon Europe Programme, 5,3 milioni dalla Innovate UK e il resto arriva dai privati.

WEDUSEA

Il progetto è parte del programma Horizon Europe ed è l’acronimo di “Wave Energy Demonstration at Utility Scale to Enable Arrays”.

Il programma mira a creare soluzioni per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’ONU e per affrontare i cambiamenti climatici.

Il professor Tony Lewis, direttore tecnico di Ocean Energy, dichiara che:

“L’energia delle onde è la risorsa rinnovabile più preziosa e persistente del mondo, ma di questo non ci si è ancora resi pienamente conto. Questo progetto europeo dimostrerà che la tecnologia è matura e pronta per essere industrializzata su larga scala. In un futuro non troppo lontano sarà proprio l’energia naturale dei mari ad alimentare le reti elettriche”.

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OE35

OE 35 è attualmente considerato come “il dispositivo galleggiante per l’energia delle onde con la maggiore capacità al mondo”. Capacità correlata alla quantità di energia elettrica che un generatore produce nel momento in cui lavora a pieno regime.

L’impianto è ancorato al fondale, ma galleggia in superficie ed è composto da una parte mobile e una cabina chiusa contenente le attrezzature. La parte inferiore è aperta verso l’acqua, che grazie ai suoi movimenti convoglia l’aria in una turbina, che girando crea energia elettrica.

Inoltre, l’ampio spazio di stoccaggio a bordo permette di fornire energia per più attività come quella dei desalinizzatori o degli impianti di acquacoltura.

Step by step

Il programma durerà 4 anni, partendo con la progettazione di OE35 da 1 MW, seguita da un periodo di sperimentazione di 2 anni. Questa prova consiste nel collegare l’impianto ad una rete elettrica, presso l’arcipelago delle Orcadi dove ha sede l’EMEC (Centro Europeo per l’energia marina).

Il piano si chiuderà con la commercializzazione della struttura.

Le onde marine hanno una densità di energia più elevata rispetto alle altre fonti di energia rinnovabile, rendendole più “sicure ed affidabili”. Perciò l’obiettivo dell’EMEC è quello di poter costruire un impianto pilota da 20 MW.

La US Energy information Administration ha confermato che uno sfruttamento efficiente delle onde negli USA, potrebbe produrre il 64% di energia elettrica per il paese.

Negli ultimi anni anche l’Italia sta studiando nuove tecnologie legate al moto ondoso per la produzione di energia rinnovabile; chissà se un giorno riusciremo a sfruttare a pieno ed in modo sostenibile le risorse di cui il nostro paese è ricco.

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stadio

Il Galatasaray ha uno stadio da record: Guinness per l’energia solare.

By : Aldo |Novembre 25, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
stadio

Tra i tanti Guinness dei primati ci sono oggetti, eventi o persone con caratteristiche peculiari.

Questa volta però, il protagonista è uno stadio.

Il primato

Lo stadio Türk Telekom è una struttura situata ad Istanbul inaugurata nel 2011 che ospita 52 223 spettatori.

É parte di un complesso di edifici più ampio legato allo stadio Ali Sami Yen, più piccolo e intitolato al primo presidente del club.

La struttura ha vinto il record grazie alla maggiore produzione di energia solare del mondo: si tratta di 4,2 MW nell’arco di un mese.

Questo primato è stato possibile grazie all’istallazione di pannelli fotovoltaici sul tetto della struttura, che aiuterà l’ambiente ma anche la loro economia.

L’energia da record

Il Türk Telekom ha sorpassato l’Estádio Nacional Mané Garrincha di Brasilia che ha una capacità solare di 2.5 MW. La struttura turca ha installato un impianto da 2,1 milioni di euro, composto da 10.000 pannelli solari su una superficie di 40mila m2.

Il sistema fotovoltaico ha la capacità di trasmissione per fornire elettricità a 2 mila famiglie e inoltre riduce le missioni di CO2 di 3.250 tonnellate. Vale a dire, che nei 25 anni del progetto, lo stadio potrà salvare 200.000 alberi.

L’energia prodotta “sul tetto” garantisce tra il 63 e il 65% del consumo dello stadio, la percentuale restante invece deriva da un fornitore pubblico.

Le cifre in denaro

Il club ha giocato d’anticipo con l’aumento dei prezzi: all’inizio, infatti, si prevedeva un risparmio più lontano nel tempo.

Tuttavia, con la guerra, le cose sono cambiate e di conseguenza è stata constatata l’efficienza del progetto da subito.

Difatti grazie alla stabilità dei prezzi dell’energia solare, il Galatarasay ha già risparmiato 385.000 euro tra gennaio e agosto.

Proprio Ali Çelikkıran, ingegnere elettrico e direttore dello stadio ha affermato che:

“Di questi tempi, che lo voglia o no, una grande azienda deve essere ambientalista perché l’energia è davvero costosa”

Vantaggi economici

Oltre a tutte fantastiche qualità, la struttura offre anche dei vantaggi economici a più enti.

La squadra è attualmente in un contratto di 9 anni con l’azienda energetica Enerjisa, che acquista l’energia prodotta dai pannelli.

Per di più, il sistema di illuminazione viene usato solo 150 ore l’anno (25 partite), quindi viene prodotta più energia di quella che necessita lo stadio.  Proprio da questa abbondanza, il club riesce a guadagnare, perchè rivende energia alla città di Istanbul, ad un prezzo a noi sconosciuto.

La squadra godrà di un beneficio finale quando il contratto terminerà e di conseguenza, non dovrà più pagare nessuno, guadagnando dalla rivendita dell’energia.

Ovviamente non tutti gli stadi possono permettersi una innovazione simile, non solo per quanto riguarda gli investimenti ma per la loro posizione geografica. In ogni modo, questo primato stabilito a marzo 2022, potrebbe essere un’ispirazione per tante altre strutture sportive e non, nel mondo.

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ulivo

L’ulivo è la pianta perfetta per far fronte alle emissioni di CO2.

By : Aldo |Novembre 23, 2022 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Ogni giorno sentiamo parlare di emissioni di CO2, di come ridurle, di nuove tecnologie per eliminarle.

Spesso però non ci rendiamo conto che una delle tante soluzioni si trova proprio in natura.

 

Gli alberi nel mondo.

Che gli alberi siano una risorsa fondamentale per ridurre le emissioni di CO2, è ormai chiaro a tutti.

Proprio nell’ultimo decennio sono nati progetti, startup e iniziative con lo scopo di sensibilizzare la popolazione e apportare un cambiamento sulla Terra.

Grazie a tali attività, si riconosce l’importanza delle specie arboree nel processo di riduzione di CO2 atmosferica.

 

Per questo, grandi aziende e privati si dedicano da anni al recupero e realizzazione di agrosistemi, permettendo al pubblico di “adottare” gli alberi.  

Di solito si tratta di piante originarie del Sud America o dell’Africa, ma ultimamente sono disponibili anche specie tipiche del proprio paese.  Per esempio, in Italia si può optare tra pini, abeti, querce faggi e altro.

 

L’ulivo

Tra le tante specie c’è anche l’ulivo: simbolo di pace, del mediterraneo e soprattutto della Puglia che conta ben 5 milioni di alberi.

La sua coltivazione è correlata alla produzione di olio, alimento tipico ed essenziale della dieta mediterranea, in Italia, Spagna, Tunisia, Grecia e Turchia (maggiori produttori).  

 

Oltre alla sua rilevanza a livello alimentare, economico e sociale, l’ulivo risulta un ottimo alleato nella lotta ai cambiamenti climatici.

ulivo

La pianta per la regolazione del clima.

In un’intervista per Italia Olivica nel 2019, Juan Vilar (consulente strategico per istituzioni come la FAO) confermava le potenzialità della specie per la cattura di CO2.

“L’olivo è la più grande coltura legnosa del mondo ed è il più potente fissativo di CO2 artificiale esistente”

Afferma di seguito che un ulivo può assorbire 2 chili di CO2 al giorno. Se moltiplicati per gli 11,7 milioni di ettari di olivi piantati nel mondo, potremmo considerare la pianta come un’arma perfetta per limitarne le concentrazioni.

 

Ancora più specifico è lo studio del Dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Perugia che spiega l’efficienza della pianta nel dettaglio. Infatti, nell’intervista rilasciata per TGR Umbria, viene dichiarato che:

 

“È una specie longeva, quindi il carbonio che si accumula nella struttura legnosa, rimane stoccato per decine di anni, addirittura per secoli. In secondo luogo, l’ulivo ha una notevole massa legnosa ed infine, la coltivazione in genere è condotta secondo tecniche a basso impatto ambientale.”

Il dipartimento ha diretto studi anche legati alla produzione di olio, eliminando ogni dubbio sul suo possibile impatto ambientale.

 

“A fronte di 3kg di CO2 emessa per litro di olio, c’è un assorbimento di 6kg di CO2 per litro d’olio. Aver prodotto quella bottiglia di olio, significa aver ridotto la quantità di CO2 nell’aria”

adopt me

Nel pratico.

A questo punto, si spera che un giorno gli olivicoltori possano vendere crediti di carbonio sul mercato, per compensare le attività delle aziende inquinanti.  Allo stesso tempo si potrebbero integrare nella nostra economia, progetti come quello di Adopt me.

 

La startup vincitrice del Bando Pin (Pugliesi innovativi) nasce grazie a Antonio Vaccariello e Lucia Delvecchio, giovani pugliesi cresciuti in famiglie di agricoltori.

Conoscendo l’ambiente, hanno deciso di rilanciare l’economia locale attivando l’adozione di ulivi, per riportare in auge la “filiera corta” simbolo di sostenibilità.

L’azienda si impegna nel monitorare l’assorbimento di CO2 delle piante e dell’azienda e condividendo inoltre, informazioni sulla qualità del terreno e dell’acqua usata per l’irrigazione.

Attualmente sono stati adottati 300 ulivi, maggiormente secolari, ma l’idea è quella di espandersi in altre zone d’Italia, per aumentare la diversità.

 

Valutando le analisi, gli studi e le iniziative citate, possiamo confermare che l’ulivo ha un ruolo peculiare su più fronti.

E poiché sempre più aree nel mondo sono adatte alla coltivazione di ulivi, possiamo pensare che un giorno, la pianta della pace, sarà uno dei protagonisti della lotta contro i cambiamenti climatici.

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La COP: obiettivi, limiti e protocolli per un’azione comune.

By : Aldo |Novembre 18, 2022 |Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
COP

Si è svolta, tra il 6 e il 18 novembre, la 27a Conferenza delle Parti a Sharm el-Sheikh.

Curiosità e critiche sono arrivate da tutto il mondo, ma prima di scoprire gli esiti della Convenzione in Egitto, spieghiamo cos’è la COP.

 

COP

La COP (Conference of Parties) è una riunione annuale alla quale partecipano i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, (UNFCCC).

È un trattato ambientale internazionale firmato nel 1992 durante il famoso “Earth Summit” a Rio de Janeiro, che mira al raggiungimento di obbiettivi collettivi.

Tra questi la riduzione delle emissioni di gas serra per evitare un ulteriore riscaldamento globale.

 

Da chi è formata

La convenzione firmata in primis da 154 Stati, oggi ne conta 197.

I vari Paesi sono divisi in tre sezioni a seconda del loro sviluppo e quindi, a seconda delle loro possibilità d’azione.

  • Paesi dell’Allegato I (Paesi industrializzatie paesi ex socialisti ad economia in transizione: 40 Paesi e l’Unione europea).
  • Paesi dell’Allegato II (24 Paesi industrializzati)
  • Paesi in via di sviluppo

Si tratta di un criterio che porta a delle responsabilità “comuni ma differenziate”.

 

Così i Paesi dell’Allegato I, hanno una responsabilità maggiore nella riduzione delle emissioni, perchè primi inquinatori e possessori di mezzi per raggiungere l’obiettivo.

Al contrario dei Paesi in via di sviluppo che non hanno le tali possibilità e di non possono arrivare a quelle mete, nello stesso tempo.

La storia della COP

Dal 1994 iniziarono ad essere organizzate annualmente le COP con l’obiettivo di “prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre”.


COP 1 Berlino 1995

Alla prima COP, si intraprese una fase di analisi e ricerca per poter sviluppare un futuro piano d’azione.

Di seguito vennero istituiti di organismi di supporto e controllo, per essere sicuri che tutti rispettassero le decisioni prese con i mezzi preposti.

 

COP 3 Il protocollo di Kyoto 1997

Fu il primo vero successo della conferenza, con la ratifica di un nuovo protocollo che imponeva degli obblighi principalmente ai Paesi sviluppati.  Si sollecitò la riduzione di gas serra, in misura non inferiore all’8,65% rispetto a quelle del 1990, nel periodo 2008- 2012.

Per entrare in vigore, il protocollo doveva essere ratificato da più di 55 Stati, produttori di almeno il 55% delle emissioni. Questa condizione si raggiunse nel 2004 con l’entrata della Russia, che da sola comportava il 17,6% delle emissioni, mentre gli USA si ritirarono con Bush.

 

COP13 Bali 2007: vennero finalizzati gli accordi sui meccanismi del Protocollo di Kyoto e si posero le basi per un’azione unita per affrontare i cambiamenti climatici.

 

COP14 Poznan 2008: venne ideato il “Fondo di adattamento”, si pensò ad un Kyoto-bis e si introdusse REDD+ (riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degrado forestale).

 

COP15 Copenhagen 2009: la missione di un accordo globale sul clima entro il 2012 fallì; venne rimandato tutto al 2015. Arrivarono le prime proposte per un Fondo Verde per il Clima.

 

COP 18 Doha 2012: si estese il protocollo di Kyoto fino al 2020 solo per Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia. Venne creato il meccanismo sul “Loss and Damage”, per il quale le nazioni ricche sono tenute a finanziare i Paesi poveri e più colpiti dal clima.  

 

COP20 Lima 2014: il Fondo Verde arrivò a 10,2 miliardi di dollari. Venne concordato che ogni governo dovesse presentare i propri impegni nazionali sul tema delle emissioni.

 

COP21 Parigi 2015: venne realizzato il patto globale sul clima, con 196 stati partecipanti, senza però alcun vincolo. L’unico limite definito fu quello di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura.  

 

COP26 Glasgow 2020: dopo il grande fallimento di Madrid 2019, non sono cambiate tanto le cose. Sono stati fatti dei passi indietro per quanto riguarda i combustibili fossili, evitando la loro eliminazione.

Inoltre, il tempo limite per i 100 miliardi di dollari, è stato spostato dal 2020 al 2023.

Oggi, 18 novembre 2022, si conclude la 27 esima COP tra i mille dubbi degli scienziati e i discorsi motivazionali António Guterres (segretario dell’ONU).

A breve verranno esplicitati i traguardi raggiunti e le nuove proposte, ma tra le notizie sembra che non si sia realizzato molto.

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