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“Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

By : Aldo |Settembre 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare |Commenti disabilitati su “Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

Il nostro pianeta gode di un’immensa biodiversità di specie animali e vegetali, con caratteristiche pazzesce spesso straordinarie.

E proprio grazie a tali qualità e alla ricerca, queste specie possono venire in nostro soccorso in molteplici ambiti e in varie modalità.ù

    

La depurazione delle acque reflue

Il processo di depurazione delle acque reflue è un’operazione complessa ma necessaria, per la salute di ogni popolazione e del territorio. É un’attività che si sviluppa per mezzo di una combinazione di trattamenti meccanici, chimici e biologici con l’obiettivo di rimuovere gli inquinanti dall’ acqua di scarico. In tal modo è possibile renderla abbastanza pulita da poter essere rilasciata nel suolo o nei corpi idrici senza danneggiare l’ambiente.

   

In Italia, La depurazione delle acque reflue come la intendiamo oggi si è diffusa dagli anni ’70. In quel periodo venne affrontato con particolare attenzione il tema e venne istituita la legge Merli (legge 319 del 1976). Quest’ultima, fu una mossa fondamentale, poiché vennero stabilite le concentrazioni limite dei parametri delle acque di scarico.

   

Solitamente distinguiamo due fondamentali tipologie di acque di scarico: gli scarichi civili e gli scarichi industriali. I primi, detti anche acque reflue urbane comprendono le acque di rifiuto domestico e le acque di ruscellamento, ossia l’acqua che finisce nei tombini stradali. Mentre i reflui industriali includono acque di scarto e la tipologia di inquinanti presenti varia a seconda del processo industriale utilizzato. Non a caso alcune attività (lavanderie industriali, cantine vinicole, industrie chimiche) sono obbligate trattare preventivamente le loro acque reflue.

    

La novità

È chiaro che il depuratore sia un importante mezzo per la salubrità di ogni cittadina. Tuttavia, per la sua funzione occupa ancora tanto spazio e in alcuni casi, se poco efficiente, potrebbe non filtrare alla perfezione. Pertanto, come qualsiasi tecnologia, sono ancora in corso degli studi per migliorare e rendere sempre più efficienti questi sistemi fondamentali.

Tra i vari casi, oggi si parla di una depurazione delle acque reflue, più specifica grazie all’introduzione di “pulci d’acqua”. Si parla dell’esperimento dell’Università di Birmingham, svolto da una squadra che ha dimostrato impressionanti capacità di depurazione delle acque reflue.

L’esito positivo dell’esperimento fa pensare che possano essere impiegate in tanti ambiti o semplicemente, possano essere introdotte in più depuratori. Si tratta di una soluzione più che ecologica, visto che per la loro attività non verrà consumata energia in più e non ci saranno ulteriori emissioni.

    

Le “pulci d’acqua”

Non si tratta pulci, ma di un gruppo di oltre 450 specie di minuscoli crostacei che vivono dentro laghi, stagni, ruscelli e fiumi. Gli individui del genere Daphnia sono organismi che filtrano il cibo, ingerendo eventuali piccole particelle di detriti, alghe o batteri nel processo. Vista la loro propensione a filtrare di tutto, sono stati selezionati per l’esame. Gli studiosi hanno pensato che probabilmente avrebbero potuto ingerire anche qualcosa di peggio, come sostanze chimiche tossiche.

  

L’introduzione di questa specie nel processo di trattamento deriva dalla problematica per la quale gli impianti di trattamento non siano così efficienti. Tali sistemi oggi non rimuovono tutti i contaminanti, anzi molti sfuggono ai filtri dei depuratori, e tornano nell’ambiente, danneggiando noi e la natura.

   

Così sono stati selezionati embrioni dormienti recuperati sul fondo dei fiumi: nello specifico ceppi dal 1900, 1960, 1980 e 2015.  Arrivati in laboratorio, hanno cresciuto le popolazioni di pulci clonando e testato il loro patrimonio genetico e le loro capacità di sopravvivenza. Successivamente hanno testato le capacità di aspirazione, prima in acquario, poi in 100 litri d’acqua, poi in un impianto da oltre 2.000 litri. I risultati strabilianti hanno portato alla scoperta di caratteristiche specifiche della specie.

   

I risultati

Gli inquinanti presenti nelle acque, che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari sono

  • Diclofenac, farmaco;
  • Atrazina, pesticida;
  • Arsenico, metallo pesante;
  • PFOS, prodotto chimico industriale, impermeabilizzare i vestiti.

Ricordiamo che alcuni embrioni scelti, si erano depositati in periodi in cui le sostanze inquinanti erano più diffuse. Mentre altri erano più “ingenui”, poiché originarie di periodi in cui i contaminanti erano assenti (come nel 1900).

Quindi erano possibili vari esiti, ma hanno prevalso quelli positivi, al punto che Karl Dearn co-autore dello studio afferma:

 

Abbiamo sviluppato il nostro bioequivalente di un aspirapolvere Dyson per le acque reflue, che è molto, molto emozionante”

Infatti le pulci d’acqua sono state in grado di assorbire il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del PFOS. L’ultima percentuale, per quanto fosse la minore rispetto alle altre, determina una scoperta rilevante e una specifica caratteristica della specie. Luisa Orsini co-autrice dello studio dichiara che tale rimozione è eccellente rispetto a ciò che esiste ora. Questo perchè perché nulla rimuove o metabolizza i PFOS in questo modo, e altri sistemi sono estremamente costosi, e producono molti sottoprodotti tossici.

 

La nuova tecnica è efficiente anche perchè le pulci sono autosufficienti (si riproducono per clonazione) e si autoregolano. Ossia aumentano o riducono la popolazione a seconda dei nutrienti disponibili. Inoltre, data la loro adattabilità, le pulci potrebbero essere impiegate in tanti altri tipi di sistema. Senza contare il fatto che si tratta di un agente economico e privo di emissioni di carbonio, potrebbe trattarsi di una soluzione sofisticata.  O comunque potrebbe essere usata per impianti di trattamento delle acque e nei paesi in via di sviluppo con meno infrastrutture

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I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

By : Aldo |Settembre 11, 2023 |Arte sostenibile, Home, mare |Commenti disabilitati su I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

Abbiamo già parlato di come la natura spesse volte si possa curare, rigenerare e recuperare attraverso le sue stesse risorse. Stavolta si tratta del mare e dei suoi abitanti, ma soprattutto di come possiamo sanificarlo con processi naturali e poco invasivi.

Le barriere coralline

Tutti abbiamo in mente un’immagine di una barriera corallina: solitamente si pensa ai coralli colorati, a pesci di varie specie, spugne ed altro. Effettivamente le barriere sarebbero così se non avessimo inquinato il mondo intero e quindi anche il mare, con un’azione diretta e negativa sulla loro salute. Le barriere coralline non sono solamente un elemento marino che crea un bel paesaggio. Si tratta di strutture che ospitano una biodiversità unica al mondo quindi proteggerle significa tutelare il patrimonio naturale ma anche altro. Un esempio sono le comunità che da esse dipendono sia economicamente che socialmente legate per l’appunto alla biodiversità che le abita. Precisamente ci sono centinaia di milioni di persone che grazie al coralligeno hanno un indotto economico e anche del cibo.

   

Le minacce e il pericolo

Nonostante abbia dei ruoli importanti come quello di nursery, di sink di carbonio e di centro di biodiversità, la barriera corallina è in grave pericolo. Il problema? Sempre lui, il cambiamento climatico (o potremmo dire l’uomo), che ha portato ad un “elevato rischio di estinzione” i coralli.  Questa situazione è scaturita da una serie di eventi correlati all’uomo, quali la pesca, la distruzione di habitat e l’inquinamento e l’innalzamento delle temperature.  

   

Per la velocità e l’intensità dei cambiamenti climatici è già prevista una perdita del 50% nei prossimi 30 anni.  Nello specifico, gli studi affermano che, con un aumento della temperatura di 1,5°C, potremmo perdere il 90% delle barriere coralline, con 2°C scomparirebbero totalmente.  Per comprendere bene quello che sta accadendo si può riportare un esempio pratico. Dal 2009 al 2019 le barriere hanno subito ripetuti ed estesi eventi di mortalità di massa, causando una riduzione delle aree del reef del 14%.

    

Si potrebbe pensare sia una cifra minima, ma in realtà rappresenta una perdita di superficie pari all’area totale coperta dalle barriere coralline australiane. Pertanto, ricercatori, biologi marini e ambientologi da anni studiano delle tecnologie per ripristinare questi habitat, la loro biodiversità, dunque le attività umane ad essi correlate.
  

I nuovi reef

I progetti per cambiare rotta sono molteplici e tra i tanti possiamo descrivere uno particolare. Si tratta di un progetto di rigenerazione del mare parte dallo sviluppo di una specie di barriera corallina derivata dalle ostriche. Il piano prevede un arricchimento della biodiversità che determina importanti benefici socio-economici per il territorio in cui verrà sviluppato.  Il programma ideato dall’ENEA mira alla creazione di prototipi di reef, realizzati con scarti di allevamento dei molluschi quali gusci di militi e fibre naturali.

   

Ci sono invece altri programmi a livello internazionale che mirano alla rigenerazione del coralligeno per mezzo di una coltivazione di coralli. Si parla di aree sul substrato marino che accolgono delle strutture nelle quali sono disposti frammenti di coralli, che cresceranno con il tempo.

   
Le ostriche e L’ENEA

Il primo progetto citato ha come obiettivo quello di ripopolare con l’ostrica piatta europea il mare del Golfo di La Spezia. Si sviluppa in collaborazione con la Cooperativa Mitilicoltori Associati di La Spezia, rientrando anche nel progetto PNRR RAISE. Quest’ultimo (Robotics and AI for Socio-economic Empowerment) è un programma usato per consolidare l’innovazione ad alta vocazione tecnologica tra le filiere portanti dell’economia ligure.Prevede un budget di 120 milioni di euro a valere sulle risorse previste per il PNRR. In aggiunta il piano segue i principi della rete Native Oyster Network, un organo consultivo già attivo in altre nazioni come l’Irlanda e il Regno Unito.

  

E come se non bastasse, l’ENEA e la Cooperativa, sono parte di Smart Bay S. Teresa, un centro di ricerca specializzato negli ecosistemi calcificanti. È un laboratorio dedicato anche a tutto quello che concerne la rigenerazione dell’ambiente e delle aree portuali e la valorizzazione degli scarti dell’acquacoltura.

   

Perchè proprio l’ostrica piatta

La scelta di questa specie ovviamente non è casuale, anzi deriva dalla sua capacità di rigenerare gli ambienti marini e fornire altri servizi ecosistemici.

Tra le varie azioni svolte dall’ostrica piatta si possono citare la regolazione del clima e il mantenimento della biodiversità. In più, essendo un filtratore aiuta a mantenere pulita l’acqua, senza dimenticare una delle sue funzioni più legata all’uomo, ossia l’essere fonte di cibo.

  

È un mollusco originario dell’Europa, che cresce lentamente e che può formare strutture molto simili ad una barriera corallina. Pertanto, è capace di creare un habitat adatto a pesci giovani (se non nursery), granchi, lumache di mare e spugne. Le capacità dell’ostrica erano già verso il 1900, purtroppo però Le attività costiere, l’impatto antropico e il cambiamento climatico ne hanno ridotto drasticamente la presenza.

 

Questo come tanti altri, sono progetti con un’ampio range di azione, proprio perchè legati all’ecologia e alla sostenibilità quindi, godono di una visione a 360°. Non a caso, si passa dall’azione di ripristino dell’habitat marino, ai vantaggi per l’intero mare, fino alle proprietà che favoriscono l’economia blu.

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È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare |Commenti disabilitati su È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

Le energie rinnovabili non sono più un tabù, ce ne sono molteplici e si sviluppano in vari ambiti.

Spesso si parla anche dell’energia idroelettrica e dell’offshore, ma in pochi ricordano l’esistenza dell’energia termica oceanica.

   

Energia talassotermica

È una fonte affidabile e costante di energia rinnovabile, più rispettosa dell’ambiente rispetto alle fonti energetiche tradizionali. Nasce come una risorsa di energia che non distruggesse l’ambiente che la produce o la possiede ed è legata al mare e agli oceani del mondo.

  

Energia termica oceanica, talassotermica o mareotermica, questi sono i termini che la definiscono, oltre alla sigla OTEC che sta per Ocean Thermal Eneegy Conversion. Quest’ultima comprende l’apparato inerente, l’impianto dedicato alla produzione di energia.  Tale fonte usufruisce delle diverse temperature misurabili tra i vari livelli di mari e oceani (ossia tra la superficie e le profondità). Questa è la sua più importante caratteristica, una peculiarità che la rende completamente differente dalle altre rinnovabili. 

   

Il primo a studiarla fu l’ingegnere francese Jacques Arsene d’Arsonval, mentre il suo allievo George Claude costruì la prima stazione. Questo discreto successo risale al 1881, dopodiché non si sentì più parlare di tale tecnologia, fino agli anni ’70.  Il Giappone in quel periodo costruì degli impianti con una potenza di circa 120 kW nelle isole Hawaii, dove ancora oggi è utilizzato questo meccanismo.

    

Come funziona

La tecnologia alla base dell’energia talassotermica è sviluppata sulla differenza delle temperature che esistono tra i diversi livelli di oceani e mari.

Si tratta di un prototipo che può generare elettricità 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, senza emissioni di CO2. Tale variazione (o “gradiente termico”) determina la produzione di una buona quantità di energia. Per esempio, per 60 Km2 di mare esposto al sole, si può produrre tanta energia quanto quella fornita da 250 miliardi di barili di petrolio. *

 

Ma come funziona un OTEC? Un impianto per l’energia talassotermica è attivo grazie ad un ciclo chiuso, aperto o ibrido a seconda della tecnologia scelta.

  

  • Ciclo chiuso: l’acqua calda consente l’evaporazione di un liquido interno, creando un aumento di pressione che fa girare una turbina collegata ad un generatore. Successivamente l’acqua fredda permette di ricominciare il ciclo da capo, quando l’ammoniaca (il liquido interno) torna allo stato liquido.
  • Ciclo aperto: in questo caso, il liquido utilizzato è la stessa acqua calda, che viene espulsa una volta desalinizzata e raffreddata alla fine del processo.
  • Ciclo ibrido: mescola i due cicli in modo efficace; pertanto, risulta il più complesso.

In generale sia l’acqua calda raffreddata, che l’acqua fredda riscaldata, vengono scaricate nell’oceano dopo essere passate attraverso gli scambiatori di calore. Per far sì che un OTEC funzioni è necessario un gap di temperatura di almeno 20°C tra le profondità delle acque e la loro superficie.

   

Tra i vantaggi di tale tecnologia, si riscontra la capacità di poter contribuire all’alimentazione elettrica di base grazie ad una disponibilità stabile e costante. Questo perchè il suo potenziale è molto più elevato di altre forme di energia oceanica. Addirittura, si potrebbero produrre fino 10.000 TWh /anno di elettricità con l’OTEC, senza danneggiare la struttura dell’oceano. Di certo, questo valore è raggiungibile solamente in alcune aree, come per esempio quelle tropicali, dove il gradiente termico è maggiore di 20°C durante tutto l’anno.

Un secondo ed importante vantaggio è la sua multifunzionalità: un OTEC può essere integrato nella dissalazione dell’acqua, nella sua produzione o in quella dell’aria fredda.

   

*(Stime del National renewable energy laboratory – Nrel)

    

La situazione odierna

Oggi nel mondo esistono vari impianti in attività, alcuni dei quali sono esclusivamente delle installazioni dimostrative. Come è stato già riportato, il Giappone possiede degli impianti; attualmente conta due OTEC sperimentali da 30 e 100 kW. Tuttavia, ne sta ultimando un terzo da 1 MW di potenza.

Altre installazioni attive si trovano nell’isola della Reunion (da 15 kW) e nelle Hawaii (da 105 kW) connesse alla rete elettrica. I progetti però non sono finiti qui perchè ne sono stati pianificati altri in India, Bahamas, Filippine, Maldive e Sri Lanka.

    

Tra questi è presente anche il progetto di ricerca europeo denominato PLOTEC, finanziato con oltre 1 milione di euro dall’Unione Europea. Il programma prevede la pianificazione di una piattaforma in grado di resistere agli effetti meteorologici estremi degli oceani tropicali.  Tale progetto ha l’obiettivo di definire un modello di costo accessibile per quei luoghi e una convalida del sistema in scala reale.

   

Sicuramente delle strutture simili avranno bisogno di maggiori manutenzioni a causa dell’azione dell’acqua e del sale disciolto in essa. Pertanto l’Università delle Hawaii e dal Pacific International Center for High Technology Research ha rilasciato dei dati per quanto riguardano i costi dell’impianto. La stima per un OTEC di 5MW va dagli 80 ai 100 milioni di dollari in cinque anni.

    

Ovviamente sono installazioni esposte a molti rischi ed è per questo che finora gli investimenti sono stati indirizzati altrove. Purtroppo, non c’è un ampio margine di manovra, d’altro canto si possono migliorare quotidianamente le caratteristiche di un OTEC, soprattutto se possono portare ulteriori benefici.

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Risparmiare acqua con l’irrigazione a goccia: ecco l’innovazione sostenibile.

By : Aldo |Giugno 29, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare, menoacqua, plasticfree |Commenti disabilitati su Risparmiare acqua con l’irrigazione a goccia: ecco l’innovazione sostenibile.

É arrivata l’estate e il caldo non tarda a manifestarsi e con lui purtoppo la siccità.

Pertanto, c’è chi ha pensato di focalizzare i propri studi su innovativi metodi di irrigazione, per far sì che in agricoltura non si sprechi troppa acqua.

   

La situazione irrigua in Europa

Da anni purtoppo la siccità è parte delle nostre estati se non anche delle primavere. Non è una novità che l’acqua dolce scarseggia sempre più e che la colpa sia dei cambiamenti climatici e della scarsa manutenzione delle reti idriche.

Ma se certe cose sono difficili da ripristinare è comunque vantaggioso scegliere nuovi metodi per l’uso dell’acqua; in primis quello dell’irrigazione.

In tal senso, l’Europa cerca costantemente di migliorare le sue prestazioni anche se presenta casi diversi a seconda della posizione geografica.

    

Per esempio, l’Italia è uno dei paesi con più propensione all’irrigazione a livello europeo. Si posiziona al quarto posto dopo Malta, Grecia e Cipro, tra i paesi in cui più del 20% della superficie agricola utilizzata viene sottoposta a irrigazione.

Poiché nel Belpaese più della metà del volume idrico è impiegato per scopi irrigui, è necessario un efficientamento degli strumenti per ridurre gli sprechi.

Di solito l’irrigazione considerata è quella a spruzzo, a rotore o a pioggia con un’efficienza tra il 35% e il 50%; per questo si parla di irrigazione a goccia (efficienza al 90%).

     

L’innovazione è usata principalmente per gli alberi da frutto, viti e pomodori e di certo è il metodo più efficiente e considerato per le serre. Inoltre, a Piacenza l’80% dei suoli utilizza tale metodo garantendo un’efficienza idrica dell’95% e un risparmio d’acqua variabile dal 35% al 55%.

    

L’irrigazione a goccia di Stanford

Per quanto possa esser un sistema di irrigazione avanzato, efficiente, attento agli sprechi e quindi anche ai costi, c’è ancora margine di miglioramento.

Così che i ricercatori dell’Università di Stanford hanno deciso di ottimizzare ulteriormente l’irrigazione a goccia, riducendo nuovamente l’uso dell’acqua.

    

La studio si basa su un sistema intelligente che possa rilasciare acqua solo quando e dove necessario determinando un risparmio doppio dell’oro blu.

Infatti, la tecnologia permette di stimare la perdita d’acqua per via dellevapotraspirazione, in modo che la pianta riassorba quella evaporata.

Si tratta di un sistema con alti livelli di precisione e di velocità, la quale cambia tanti aspetti di una possibile coltivazione. Perchè se combinata con varie tecnologie si potrebbe adattare l’irrigazione a seconda del bisogno della pianta ma anche alle condizioni meteorologiche.

     

La tecnologia

È proprio la velocità dettata dall’informatica a rendere più efficiente il sistema di Stanford. Infatti, sono stati selezionati 2 algoritmi che lavorano con dati misurati disponibili (umidità del suolo e assorbimento di acqua delle radici) e misurazioni successive. Dopo vengono elaborati dei risultati nell’arco di 10 minuti, rendendo il sistema 100 volte più veloce di uno convenzionale.

    

A tal punto i vantaggi sono molteplici e non riguardano solo l’uso dell’acqua ma anche un efficientamento nell’uso della risorsa suolo e quindi dell’agricoltura.

Nello specifico si pensa che l’applicazione di questo nuovo modello potrebbe nutrire la popolazione mondiale in crescita senza danneggiare ulteriormente l’ambiente. Quindi preservandolo per le generazioni future.

Come in tanti altri casi, serviranno altri test in campo per valutare qualsiasi variabile, miglioramento o chiarire ogni dubbio.

   

Il vantaggio di risparmio idrico si lega al risparmio economico derivante dall’efficienza del sistema. Ulteriori benefici sono dati dal fatto che riduce la lisciviazione di acqua e nutrienti al di sotto della zona radicale.

    

In cosa consiste l’irrigazione a goccia.

Tale tecnica consiste nel posizionamento di una rete di tubi con degli erogatori che si trovano ad una distanza fissa l’uno con l’altro. O comunque sono disposti in corrispondenza delle piante che devono ricevere l’acqua.

Questi consentono un’applicazione uniforme, misurata e controllata di acqua e nutrienti necessarie alla crescita, direttamente nella zona radicale.

Così facendo, la pianta reintegra quasi immediatamente l’umidità e i nutrienti, senza mai arrivare ad uno stato di stress idrico. La pianta, quindi, avrà la possibilità di crescere in maniera ottimale e la piantagione sarà caratterizzata da una resa elevata.

In particolare, il 21,3% della superficie irrigua nazionale è legato alla tecnica della micro-irrigazione, in modo rilevante in Liguria, Puglia, Sicilia e Basilicata.

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Giornata mondiale degli oceani 2023: le condizioni attuali e gli obiettivi per il futuro.

By : Aldo |Giugno 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare, plasticfree |Commenti disabilitati su Giornata mondiale degli oceani 2023: le condizioni attuali e gli obiettivi per il futuro.

Le così dette “giornate mondiali” sono giornate intente a celebrare, ricordare e sensibilizzare gli abitanti di tutto il mondo ad un determinato tema.

Per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente ne sono state istituite varie tra cui quella di oggi.

      

Giornata mondiale degli oceani

L’idea di celebrare una giornata dedicata agli oceani venne proposta durante il Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992.

Venne presentata per la prima volta dal Centro Internazionale Canadese per lo Sviluppo Oceanico (ICOD) e l’Ocean Institute of Canada (OIC).

Purtoppo però, ci vollero ben 16 anni prima del suo riconoscimento e della sua approvazione da parte dell’ONU che avvenne nel 2008.

Oltre ad essere l’anniversario del Summit, è un’occasione per riflettere sull’importanza degli oceani, la loro salvaguardia e sul potere che abbiamo per cambiare l’attuale situazione.

Per questo motivo si organizzano eventi di attivismo dediti alle azioni concrete e alla sensibilizzazione delle persone su questo tema.

        

2023

Lo slogan di quest’anno è “Le maree stanno cambiando”, una frase concisa che tuttavia descrive il grande cambiamento che sta avvenendo o quello di cui avremmo bisogno.

Per oggi l’ONU ha organizzato degli eventi online con grandi ospiti, esperti, istituzioni internazionali e ovviamente Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite.

Inoltre, l’ente ha messo a disposizione del materiale digitale per partecipare alla campagna di sensibilizzazione creata per l’occasione.

    

Le minacce per gli oceani vanno dall’aumento delle temperature alla pesca, dall’estrazione mineraria alla scomparsa della barriera corallina, l’inquinamento generico e la plastica.

 

La pesca

Al momento la situazione non è delle migliori e tutti conosciamo il responsabile dei danni recati agli oceani.

Il sovrasfruttamento delle risorse (qualsiasi esse siano) risulta sempre un’azione negativa per l’ambiente e per il nostro futuro.  
Per questo serve un cambio di rotta dell’industria ittica, specialmente della pesca intensiva, industriale e illegale (bycacth o catture accessorie). Infatti, a causa di tali attività oggi consumiamo 19kg di pesce a testa, il doppio rispetto a 50 anni.

    

In aggiunta, cresce il numero di specie a rischio di estinzione o in pericolo; attualmente il numero di specie minacciate è raddoppiato dal 2014.

Mentre le specie in pericolo sono triplicate: 3 sono “probabilmente estinte” (secondo la classifica IUCN).

 

L’estrazione mineraria

L’altra grande minaccia è il Deep Sea Mining, ovvero l’estrazione mineraria in mare aperto: un’attività in aumento che crea ulteriori danni all’ecosistema marino.

La scelta del mare aperto conviene alle grandi industri per molteplici motivi, tra i quali il grande e crescente mercato delle materie prime.

Un altro vantaggio è quello di evitare denunce e inchieste correlate alle condizioni dei lavoratori e il rispetto dei diritti umani delle miniere su terra.

Scegliere il mare come pozzo di minerali preziosi per la nostra quotidianità, quali cobalto e manganese potrebbe avere un impatto irreversibile sul mondo.

 

Cosa possiamo fare?

Proprio in virtù di queste attività che crescono a vista d’occhio sulla base delle nostre necessità, siamo sempre noi che possiamo fare la differenza.

Senz’altro ci deve essere un supporto o una spinta iniziale dagli enti governativi che a tal proposito hanno deciso di apportare delle migliorie burocratiche.

    

Infatti, durante la COP 15 dello scorso dicembre, è stato approvato l’obiettivo “30×30, con il quale si punta a proteggere il 30% del pianeta entro il 2030.

Di conseguenza tutto ciò che riguarda quelle aree sarà sorvegliato attentamente e pertanto si pongono le basi per una maggior cura degli habitat.

Questo vuol dire che in quelle aree potrebbe essere vietata la pesca e in alcuni casi anche il passaggio di imbarcazioni di vari tipi.

    

Inoltre, si fortifica la prevenzione contro l’inquinamento da parte delle città adiacenti a tali aree, proprio per creare un contesto che possa proteggere effettivamente l’ambiente.

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Amsterdam apre l’innovativo parcheggio per biciclette… subacqueo

By : Aldo |Febbraio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Sembra che i Paesi Bassi abbiano un problema con le biciclette: sono troppe e devono trovare nuovi spazi per parcheggiarle.
Ed ecco che arriva l’idea dell’anno.

       

L’idea

Amsterdam inaugura il primo parcheggio di biciclette subacqueo nel centro della città. Si tratta di un’idea che risolve molteplici problemi per cittadini, pendolari e turisti.

Il progetto ideato da Wurck, costato 60 milioni di euro, collocato nei pressi della stazione centrale Stationsplein ha 7 mila slot per le due ruote.

Di questi 7000 posti, 6.300 sono adibiti alle biciclette personali e 700 per il bike sharing, un’ulteriore soluzione sostenibile. Le cifre del maxi-parcheggio sono straordinarie ma giuste in funzione dei dati analizzati del centro urbano.

Proprio Amsterdam conta 600 mila bici per 750 mila abitanti; quindi, non c’è dubbio che dei parcheggi così grandi siano una priorità per la città.

       

I tecnicismi del parcheggio

Ha 7000 rastrelliere disposte su due livelli fornite da VelopA che possono essere monitorate da una tecnologia LumiGuide.

Gode di un servizio aperto tutta la settimana h24 e in più, la prima giornata di sosta è gratuita, dopodiché si paga 1,35 euro. In più, i pagamenti possono essere effettuati con la carta di trasporto olandese OV-chipkaart, oppure con Fietstag (un’etichetta per l’identificazione).

    

L’area in descrizione è situata sotto la stazione metropolitana centrale della città, di modo che i viaggiatori possano arrivare direttamente al garage senza deviazioni.  Per entrarvi si segue la pista ciclabile a livello della strada fino ad arrivare all’interno del garage.

   

Inoltre, il design creato in collaborazione con il Museo di Amsterdam include delle colonne numerate per ricordare le sezioni del garage. Fuori invece dei cartelli digitali riportano il numero dei posti disponibili all’interno dell’area.

          

I vantaggi

Nonostante nell’area di sosta manchino check-in con smartphone e smartwatch o punti di ricarica per le e-bike, resta sempre una grande novità. Questo progetto oltre ad avere un design moderno e una struttura accattivante, regala molteplici benefici alla città e ai suoi abitanti.

    

Senza dubbio offre uno spazio sicuro per le biciclette sia dai ladri che dalle intemperie, in un’area che non toglie spazio a strade e marciapiedi.

In secondo luogo, si incentiva l’uso del mezzo più sostenibile che esista, con grandi vantaggi per la salute. In realtà è stato stimato che si eviterebbero 170 mila morti all’anno grazie alla scelta della bicicletta.

 

D’altra parte, il massiccio utilizzo del veivolo a due ruote, riduce di gran lunga l’inquinamento atmosferico. Secondo un recente studio, se ognuno percorresse 2,6 km al giorno in bicicletta, potremmo tagliare 686 milioni di tonnellate all’anno CO2.

        

Passato e futuro

Non è di certo la prima volta che viene costruito un parcheggio sotterraneo, ma nulla somiglia a quello di Amsterdam. Per esempio, ad Utrecht esiste un garage sotterraneo con ben 12.000 slot: venne realizzato perchè necessario per i cittadini.

Il motivo di tale scelta erano le abitudini del centro urbano: il 50% dei residenti usa la bicicletta quotidianamente.  Difatti su questa falsa riga il governo continua ad incentivare il mezzo per una maggiore sostenibilità grazie anche a varie agevolazioni economiche.

      

Invece se guardiamo al futuro, è già stata dichiarata una nuova inaugurazione: verrà aperto un altro parcheggio sull’IJboulevard nel mese di febbraio.  Anche se più piccolo dell’area subacquea, conterà 4.000 slot e la sua costruzione è stata finanziata con 25 milioni di euro.

         

I Paesi Bassi sono sempre un’ottima guida per la mobilità sostenibile, poiché nulla ferma i loro cittadini dal muoversi in bicicletta; neanche il freddo invernale.

Rappresentano un modello di determinazione da seguire soprattutto in Italia dove sono appena stati tagliati i fondi per le piste ciclabili.

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Mai più scontri tra balene e navi: l’AI che salverà i grandi cetacei.

By : Aldo |Novembre 09, 2022 |Acqua, bastaplastica, cetacei, Emissioni, Home, mare, plasticfree |0 Comment
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Ogni anno più di 80 balene, muoiono a causa degli scontri con le navi nella West Coast.

Per mettere fine a questa “normalità”, il Benioff Ocean Initiative dell’Università della California, ha sviluppato un metodo di monitoraggio interattivo.

La situazione nei porti della California.

Come riportato 2 anni fa, i porti della California meridionale hanno in mano la maggior parte dei carichi oceanici di tutti gli USA.
La situazione però non è diversa nei canali del nord, dove insieme alle migliaia di navi container ci sono anche tante balene in via d’estinzione.

La pericolosità di questo fenomeno aumenta quotidianamente, tanto che lo scorso mese, nella Baia di San Francisco è morta una megattera peculiare.

Fran, la megattera famosa, grazie ai suoi 277 avvistamenti dal 2005, è morta a causa di un impatto con una nave.

 

Le cause

Per l’aumento della temperatura, le balene sono costrette a cercare cibo in zone per loro pericolose come i porti.

Purtoppo, loro non sanno che quella in cui si dirigono è una zona stracolma di navi da container che non rispettano i limiti di velocità.
Sì, in teoria le navi dovrebbero rallentare entrando nei porti, in pratica molti capitani non rispettano la regola e le conseguenze sono chiare a tutti.

 

Succede nei pressi di San Francisco e di Santa Barbara: ogni anno muoiono più di 80 balene per gli scontri con le navi.

Solo tra il 5% e il 17% delle carcasse viene recuperato, il resto affonda senza lasciare traccia, tra la noncuranza di marinai, capitani e lavoratori.

 

Whale Safe

Douglas McCauley, direttore del Benioff Ocean Initiative della University of California e la sua squadra hanno trovato una soluzione per proteggere le balene.
Whale Safe è un nuovo sistema di monitoraggio in funzione dal 2020 nella baia di San Francisco e dal 2021 nel canale Santa Barbara.
Il programma è basato sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nelle cosiddette boe intelligenti ideate da Mark Baumgartner.

Grazie al suo lavoro presso il Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts, oggi è possibile monitorare gli individui e salvarli.


Il meccanismo

Le boe intelligenti sono collocate a 40 km dalla costa e sono connesse a microfoni che si trovano a 80m di profondità.

In questo modo, i microfoni captano il canto delle balene che solitamente si muovono tra i 400 e gli 800 metri di profondità.

 

Successivamente, le boe trasmettono i versi ad una centrale tramite satellite e grazie ad un database si stima l’area interessata dai “giganti marini”.

Questo sistema è affiancato dall’app Whale Alert, con la quale chiunque può segnalare un avvistamento in tempo reale.

Così, la centrale crea un indice di presenza sempre più preciso, con il quale informa le navi della possibile presenza di individui.

L’indice varia da un livello basso ad uno molto alto e sfortunatamente, ad oggi, sia a San Francisco che a Santa Barbara registrano un livello altissimo.

 

Oltre alle boe e all’app, Whale Safe ha pensato bene di creare delle pagelle per le navi, rendendo pubblici i dati sulla condotta di ognuna.  

Le pubblicazioni mettono chiunque al corrente dei comportamenti delle navi, quindi del loro atteggiamento rispetto la salvaguardia delle balene.

 

Per ora, il sistema sembra funzionare e con le pagelle le varie società commerciali non possono più nascondersi.

La salvaguardia delle balene in via d’estinzione è fondamentale per la biodiversità ed è importante che al giorno d’oggi si sfruttino le migliori tecnologie per questi progetti.

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I Gondolieri Sub: i volontari che puliscono i canali di Venezia.

By : Aldo |Novembre 02, 2022 |bastaplastica, Home, mare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment
gondolieri sub

I gondolieri sono i veri padroni di Venezia; nessuno conosce i canali meglio di loro che li vivono 365 giorni l’anno.

Così è nata un’associazione per la pulizia dei canali per mezzo di volontari speciali, i gondolieri sub.

I Gondolieri Sub.

Potrebbe sembrare il nome di gruppo di supereroi e in parte potremmo dire che si tratta proprio di loro.

I Gondolieri Sub sono un gruppo di gondolieri che possiedono il brevetto da subacqueo e lo sfruttano per offrire un servizio speciale alla comunità.

L’iniziativa.

Il progetto è nato nel 2019, promosso dal comune di Venezia e dall’azienda che si occupa della pulizia della città, Veritas.

Quest’ultima ha messo ha disposizione dei battelli per la rimozione dei rifiuti speciali e per garantirne il giusto smaltimento.

Al loro fianco anche le pattuglie dei vigili urbani che controllano e bloccano il traffico dei canali interessati dalla pulizia.

Il “clean up” dei canali.

Il “clean up” dei canali i svolge nelle acque torbide dei canali pieni di rifiuti di ogni tipo.

I sommozzatori si aiutano con le torce e sono dotati anche di  videocamere per documentare l’attività a tutto tondo, sia dentro che fuori l’acqua.

Sui fondali è stato trovato qualsiasi tipo di rifiuto: scarti di cantiere, pezzi di arredamento, un’elica, molte bottiglie e tubi, telefoni, tv, sanitari.

I sub hanno trovato anche materiali di grandi dimensioni, come carretti e scale che possono diventare un pericolo per la navigazione.

Il retino in gondola.

Tra i vari rifiuti, la plastica ha primeggiato per quantità e frequenza ma questo non ha spaventato i subacquei, che hanno trovato subito un rimedio.
Infatti, alcuni gondolieri hanno allestito le proprie gondole con dei retini per raccogliere la plastica (principalmente quella in superficie) durante i loro tour.

Altri oggetti che tengono testa alla plastica sono i copertoni utilizzati come parabordi per le barche.

Le corde che li tengono si possono sciogliere, quindi, le ruote affondano senza riemergere, da qui la scelta di sostituirli con i galleggianti.

I risultati.

Il piano, inizialmente sperimentale, è oggi un progetto di collaborazione di 2 anni tra l’associazione e la giunta del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.

Si sono svolte circa 15 immersioni grazie alle quali i volontari hanno portato alla luce più di 9000 kg di rifiuti

L’attività ha riscosso un grande successo ed è diventata virale dopo l’ultima immersione (30 ottobre) con dei video girati dai passanti.

I 12 volontari del gruppo hanno già stabilito le prossime date, sono pronti a ripulire la città e a sensibilizzare i cittadini sul tema.

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Zeno combatte la pesca a strascico: l’Università di Pisa si unisce a Greenpeace.

By : Aldo |Ottobre 21, 2022 |Acqua, bastaplastica, Emissioni, Home, mare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Zeno combatte la pesca a strascico: l’Università di Pisa si unisce a Greenpeace.

Cosa nasce dall’unione tra l’Università di Pisa e Greenpeace?

Zeno.

 

Il robot

Zeno è un robot progettato dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa per combattere la pesca a strascico illegale.

É un dispositivo compreso di sonar con i quali descrive la conformazione e la presenza di solchi nel substrato marino grazie all’analisi dell’eco riflessa.

Le fotocamere servono per dare maggiori informazioni visive per la successiva mappatura del fondale oltre i 50 metri, una zona solitamente difficile da monitorare.

 

I solchi e le attività illecite in aree protette che Zeno è in grado di captare sono correlati alla pesca a strascico illegale.


La pesca a strascico

É un metodo di pesca che consiste nel trainare attivamente una rete da pesca sul fondo del mare con un impatto negativo su vari aspetti.

É capace di distrugge interi ecosistemi come le praterie di posidonia e non consente una vera selezione delle specie raccolte.

Infatti, i pescherecci non fanno differenza tra esemplari adulti o giovani, né tra specie commerciali e non commerciali, comportando gravi modifiche all’equilibrio dell’ambiente marino.

 

In Italia è stata quindi vietata questa tecnica entro le 3 miglia marine o sopra i 50 metri per risanare la problematica.

Purtroppo, molti pescherecci continuano la loro attività creando danni irreparabili, diventando una delle prime cause del depauperamento del coralligeno, delle praterie di posidonia e della fauna ittica.

 

Greenpeace e l’Università di Pisa

La nota ONG Greenpeace e il dipartimento di Ingegneria dell’Informazione si sono uniti per poter monitorare le possibili attività illecite con l’aiuto del robot.

Sotto la guida del docente di robotica, Riccardo Costanzi, hanno testato il drone nell’area di Castiglione della Pescaia (Grosseto) verso la fine di giugno 2022.

Nei mesi successivi si sono spostati nell’area di foce dell’Ombrone e poi nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

 

La richiesta parte dall’organizzazione, che per contrastare l’illegalità nel campo ambientale, ha scelto di rivolgersi al mondo della ricerca soprattutto per verifiche e monitoraggi validi e specifici.

 

Per le stesse ragioni, il dipartimento si  è reso disponibile a queste collaborazioni per dare il proprio contributo nella transizione ecologica e per un miglioramento a livello ambientale.

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“SEATY”, il progetto di Worldrise per la conservazione delle coste.

By : Aldo |Ottobre 06, 2022 |Acqua, cetacei, Home, mare, plasticfree |0 Comment

Golfo Aranci ospiterà la prima area SEATY, un tratto di costa dal valore ecologico inestimabile.

📍Cala Moresca, Golfo Aranci

L’Italia è bagnata per 8300km dal Mediterraneo, un mare che vanta dei paesaggi costieri meravigliosi e più di 17 mila specie; eppure, resta uno dei più sovrasfruttati al mondo con solo l’1% di aree marine protette.

Per questo Worldrise, onlus italiana fondata da Mariasole Bianco, ha da anni l’obiettivo di proteggere il nostro mare, per dare valore alla natura che ci circonda.

L’organizzazione, per mezzo di attività volte alla sensibilizzazione (lezioni e laboratori nelle scuole, borse di studio per gli universitari) è riuscita a condividere la propria missione fino a realizzare la prima area SEATY.

Una SEATY è un’Area di Conservazione Marina Locale, ovvero un tratto di costa dall’elevata importanza ecologica che per tale valore viene delimitata e protetta.
Grazie alle conoscenze di studiosi, l’aiuto di volontari e il finanziamento di Fastweb, è stata inaugurata la prima area a Golfo Aranci in Sardegna.

Parliamo di un tratto di costa di 1300 m (dalla spiaggia di Baracconi fino a Cala Moresca), entro il quale vengono svolte varie attività come lo yoga in spiaggia, i beach clean up e lo snorkeling gestite dai volontari della stessa onlus.

La missione è supportata anche dalla segnaletica che Worldrise ha creato con descrizioni semplici, fresche e accattivanti per spiegare al visitatore cosa ha di fronte e i comportamenti da mantenere durante la permanenza in quella zona, tanto è vero che la pesca, la navigazione o l’ancoraggio e sport come il kitesurf o windsurf sono interdetti.

I pannelli informativi si trovano anche in acqua attaccati alle boe, per uno snorkeling e una balneazione consapevoli ed
efficienti.

Questo è solo il primo passo verso un grande obiettivo che viene perseguito quotidianamente con la campagna “30×30 Italia” (campagna di Worldrise), un programma con lo scopo di proteggere il 30% del mare italiano per mezzo di AMP (aree marine protette) entro il 2030.

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