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Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

By : Aldo |Agosto 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi |Commenti disabilitati su Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

Dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, una transizione energetica è la cosa più importante da attuare.

Tuttavia, nuovi sistemi, tecnologie e legislazioni devono essere introdotti e utilizzati per poter portare ad una nuova stabilità energetica il Paese.

    

La flessibilità energetica

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia con il termine flessibilità energetica si intende:

 

la capacità di un sistema elettrico di gestire in modo affidabile, economico la variabilità e l’incertezza di domanda e offerta in tutte le scale temporali rilevanti.


Ossia dal breve termine alla scala stagionale.

É la capacità di una risorsa di modificare il livello di immissione e /o consumo di energia ad un valore scelto. Che sia di un singolo impianto o di un aggregato, ha lo scopo di fornire il servizio richiesto dall’operatore del sistema elettrico.
  

Di norma, i sistemi energetici sono programmati per gestire in maniera efficace, le modifiche per via di incertezza e variabilità. La flessibilità esiste dal momento in cui è necessario regolare quotidianamente l’elettricità immessa nel sistema, per far combaciare sempre offerta e domanda. Questo sarà possibile con la modifica della programmazione produttiva richiesta alle centrali termoelettriche convenzionali e idroelettriche.

     

Il problema della “non programmabili”

Il problema della flessibilità è che crescerà il suo bisogno quindi la domanda, ma diminuirà la sua offerta: vediamo come.

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità. Peccato che proprio per le loro caratteristiche, la disponibilità di flessibilità sarà ridotto ampiamente.

Perchè questo tipo di sistemi sono discontinui e dunque rendono difficile il lavoro dell’operatore, di assicurare in ogni istante il bilanciamento tra produzione e consumi. La loro rigidità però non dipende esclusivamente da vincoli tecnici, ma anche economici.

   

Infatti, in casi come le centrali nucleari, sono presenti sistemi che non possono modulare velocemente la loro produzione in base al fabbisogno. E spesso, gli alti costi previsti, non rendono conveniente farli funzionare in maniera discontinua.

Perciò, in futuro sarà necessario un aumento dei requisiti di flessibilità del sistema elettrico, in modo da bilanciare domanda e offerta, grazie a delle soluzioni.

     

Le risposte alla domanda

A tal quesito, non vi è una sola soluzione, bensì sono favorite 4 classi di risorse divise in base alla posizione nella filiera elettrica. Quindi per mantenere l’equilibrio della rete servono:

  • lato domanda: comprende mezzi che influenzano modelli e entità dei consumi finali. Si chiamano programmi di demand response, i quali consentono di ridurre/aumentare i propri consumi rispetto le esigenze del mercato. Inoltre, in cambio di questa disponibilità, si può ricevere una remunerazione; azione attuabile anche dai cittadini. È consentita con la programmazione di ricarica di veicoli elettrici, carichi spostabili, pompe di calore e impianti di climatizzazione.
    Rilevante in questo settore è anche il V2X, (vehicle-to-everything), ossia le moderne tecnologie che permettono alle batterie dei veicoli elettrici, di funzionare in modo bidirezionale;
  • lato offerta: con misure e tecnologie si può modulare l’offerta delle unità di produzione elettrica. In questo ambito rientrano le centrali elettriche dispacciabili (turbine a gas, centrali elettriche a carbone/biomasse, impianti a gas a ciclo combinato, centrali idroelettriche);
  • lato rete: comprende interventi come la digitalizzazione o l’abilitazione di linee dinamiche o di interconnector;
  • altre fonti di flessibilità: includono lo stoccaggio stazionario (idroelettrico a pompaggi, volani, accumulo elettrochimico, accumulo a idrogeno). Le UVAM, Unità Virtuali Abilitate Miste.

Il futuro delle rinnovabili

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità, secondo i nuovi studi.

Il rapporto indicato è il “Flexibility requirements and the role of storage in future European power systems”, e dimostra le analisi svolte nel campo. Lo studio manifesta che il primo grande problema di tale requisito sono proprio le energie rinnovabili non programmabili. Queste sono destinate a crescere in maniera esponenziale, ma la loro natura intermittente e il carico residuo, determinano un’esigenza di flessibilità, in aumento.

  

Analogamente cambia la domanda poiché gli utenti stessi saranno attivi al mercato dell’energia grazie a veicoli elettrici, batterie su piccola scala, comunità rinnovabili e autoconsumo diffuso. E il fabbisogno cambierà giorno per giorno.

Inoltre, il Centro comune di Ricerca della Commissione Europea ha condotto uno studio per valutare i requisiti e le soluzioni di flessibilità nel sistema energetico. Il periodo di riferimento usato, per cui si necessita tale caratteristica è il ventennio 2030-2050.
  

L’analisi sviluppata è stata pubblicata nel rapporto “Requisiti di flessibilità e ruolo dello stoccaggio nei futuri sistemi energetici europei”. Questa dimostra una grande crescita per la rete europea: nel 2030 l’esigenza di flessibilità sarà raddoppiata, nel 2050 sarà 7 volte quella attuale.

I requisiti invece saliranno al 25% nel 2030, e raggiungeranno l’80% nel 2050.

È fondamentale anche ripartire i risultati a livello temporale, collegandoli alla produzione. Il risultato descrive la correlazione di una maggiore esigenza flessibilità giornaliera e la quota di produzione fotovoltaica. Al contrario i requisiti settimanali e mensili sono legati alla quota di produzione eolica (onshore e offshore).

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PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Agosto 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici.

In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.

   

Il PNACC

PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi.

Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.

Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.

    

Il PNRR

Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU).

Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:

  • rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
  • favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.

Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;

Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.

    

Cosa sta succedendo?

Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro.

Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?

    

Critiche

Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai.

Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:

  • 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
  • 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
  • 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli).

 

Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.  

Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé.

  

Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica). Quando in realtà servivano per altro come:

  • lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
  • Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
  • Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
  • Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
  • Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
  • Impianti di rinnovabili (675 milioni);
  • Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
  • Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).


Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato.

   

È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.

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Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

By : Aldo |Agosto 03, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

Ambiente, salute, economia, politica sono macroaree che spesso non possono essere divise l’una dall’altra. Soprattutto in questi ultimi anni, in cui crisi economica e climatica influenzano sempre più le nostre vite e il nostro futuro.

    

I fenomeni degli ultimi giorni

Nelle ultime settimane l’Italia è stata colpita da eventi estremi quali grandine sparata a 150km/h (grande come palline da tennis) e ampi incendi al sud.
Tali fenomeni hanno destato non poche preoccupazioni tra chi ha vissuto in prima persona quelle anomalie e chi le ha seguite da lontano.

Gli effetti di eventi straordinari, così intensi ma soprattutto così diversi in un territorio che si estende per 1200 km, lasciano tutti (o almeno molti) a bocca aperta.  

    

Tuttavia, l’Italia non è l’unico stato colpito da tali fenomeni in questi ultimi mesi, vedi la Grecia, l’India, il Giappone.

Pertanto, è fondamentale ricordare che tal fenomeni recano danni non solo all’ambiente ma anche alle nostre vite. Ma di recente è aumentata la loro l’influenza anche nel settore economico.

  

L’influenza silenziosa nell’economia

L’economia troppe volte viene considerata come una realtà lontana e distaccata da tutte le altre macroaree che regolano il mondo. Così facendo, ci dimentichiamo di vivere in un pianeta completamente connesso sotto ogni punto di vista. Trattare i soldi senza tener conto dei cambiamenti climatici, nel 2023, rappresenta solo l’ennesima azione errata dell’uomo.

Questo perchè tutto quello che succede impatta per forza di cose anche l’economia. Per esempio, con l’alluvione in Emilia-Romagna, sono andati persi gran parte dei raccolti, sono state danneggiate industrie, edifici, intere città.

Così è stata colpita l’economia poiché, il costo di un prodotto aumenta a causa di una minore disponibilità di produzione causata dal cambiamento climatico negativo.  Senza contare poi i danni fisici degli immobili che determinano ulteriori spese per società ed industrie.

    

Tale situazione è stata analizzata dall’ l’associazione Consumerismo No Profit che ha studiato l’inflazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi. Quest’ultima non deriva solo dalla guerra ma anche da tutti i fenomeni che stanno modificando la nostra Terra.

Secondo il rapporto, dalla crisi climatica è scaturito un aumento di 4,7 miliardi di euro l’anno per la spesa degli italiani. Quindi l’inflazione climatica costa 246 € l’anno ad una famiglia con 2 figli solo per cibi e bevande (+3,2% dei prezzi al dettaglio). A questi si aggiungono 110€ annui per i costi del raffrescamento dettati dalle ondate di calore e aumentando le bollette (già care da 2 anni).Senza dimenticare poi, l’inflazione legata al ciclo economico che nel 2021 toccava +1,9%, mentre a giugno del 2023 era del +6,4%. Dunque, gli impatti comportano un aumento dei costi generali influenzando a loro volta i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico.

    

L’impatto nascosto

Nonostante quello che è accaduto negli ultimi mesi e i cambiamenti degli ultimi anni, c’è ancora una grande parte di popolazione che volta lo sguardo altrove.

La risposta si trova osservando i grandi avvenimenti degli ultimi 10, 20 anni che hanno determinato rilevanti modifiche del sistema. Le guerre, la pandemia, le crisi economiche, sono eventi che recano gravi danni ad elevate quantità di persone (o a tutto il mondo). Per di più avvengono in una linea temporale simile per tutti; dunque, sono eventi tangibili che allarmano tutti nello stesso momento.

Al contrario i cambiamenti climatici si sviluppano nel tempo, determinando “piccole” modifiche dell’ambiente, anno dopo anno.  Di conseguenza, consente di estraniarsi in modo facile e veloce da quello che accade intorno a noi, pensando al maltempo, oppure delle disgrazie della vita.

    

Inoltre, non viene preso così tanto in considerazione perchè non si bada al quadro completo dei danni che crea. Infatti, i pericoli ambientali, che ci riguarderanno sempre in prima persona, non sono gli unici che dobbiamo tenere sotto controllo.  

   

In conclusione, per affrontare questa “inflazione climatica”, è fondamentale scegliere delle politiche opportune (per ogni settore) di mitigazione e adattamento.
Questo è possibile con investimenti nella ricerca, nelle nuove tecnologie e nella sostenibilità, nella formazione e sensibilizzazione dei cittadini del mondo.

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La società italiana OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.

By : Aldo |Luglio 23, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su La società italiana OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.
OVS

Spesso si parla dei brand legati alla moda e ci si domanda quali siano i loro impegni nel campo della sostenibilità.

Tali quesiti sono cresciuti soprattutto con il passare degli anni e in relazione alle nuove inchieste nel campo tessile.

    

OVS primeggia nella moda

OVS la società d’abbigliamento italiana (dall’acronimo Organizzazione Vendite Speciali), primeggia per il terzo anno di fila nel Fashion Transparency Index.

Il brand si trova al primo posto, tra i 250 principali brand e retailer di moda al mondo, per la terza volta consecutiva. Il premio rappresenta in toto l’impegno della società nel campo della sostenibilità e quindi il suo investimento in un futuro migliore.

   

OVS si occupa dell’industria tessile e di tutto quello che concerne la loro produzione, sviluppando al contempo progetti anche nel sociale. Perciò ha raggiunto un grande risultato, valutato sulla base di molteplici criteri che spaziano dall’amministrazione alla produzione, fino alla comunicazione delle loro azioni.

    

Fashion Transparency Index 2023

Per quanto si parli di fast fashion, grandi merche e alta moda, bisogna soffermarsi sulla definizione del Fashion Transparency Index.

È un’indagine condotta annualmente su 250 fra i più grandi brand o rivenditori di moda e lusso, classificati in base alla loro trasparenza in vari temi. Tra questi i diritti umani, le politiche ambientali, l’impatto delle loro attività a partire dalla filiera, includenco 2 dei pilastri della sostenibilità: ambiente società.

Inoltre, si guarda anche alle pratiche di acquisto e al monitoraggio delle attività produttive per l’attivazione di azioni di miglioramento.

   

Nel 2023 OVS si posiziona al primo posto del Fashion Transparency Index con un punteggio dell’83% grazie ai miglioramenti in quattro dei cinque ambiti analizzati. Ovvero Policy and Commitments, riguardanti l’accessibilità delle policy aziendali rispetto la sostenibilità e la descrizione dei processi aziendali a supporto.

Mentre Governance, Know, show and fix, Spotlight issues valutano la chiarezza nel raccontare le azioni attivate in risposta ai fattori di rischio ambientali e sociali.

    

Inoltre, il gruppo ha incluso dati correlati alle emissioni di CO2 e all’utilizzo di acqua dei fornitori e dichiarato obiettivi destinati a supportare i lavoratori. Ha per giunta condiviso i piani di intervento con cui ha affrontato alcune criticità nella catena di fornitura.

L’indice descritto è un’idea del movimento Fashion Revolution di cui abbiamo già parlato nell’articolo sul “Bonus riparazione tessile”.

      

OVS e i suoi impegni

OVS è comunque molto impegnata nel campo sostenibile per via di molteplici progetti volti al miglioramento dell’azienda stessa e degli effetti che comporta all’ambiente. Non a caso da anni monitora tutti gli aspetti del suo business attraverso strumenti di tracciabilità e processi di controllo.

  

Per esempio, nel 2021 il gruppo ha pubblicato il piano di decarbonizzazione che prevede un’ulteriore riduzione del 46,2% di emissioni di CO2 entro il 2030. In aggiunta ha comunicato tutti i dati relativi alla performance ambientale e sociale della catena di fornitura.

   

É comprensibile quanto la trasparenza sia una un concetto fondamentale nella strategia di sostenibilità del gruppo, per accelerare il miglioramento anche dei suoi impatti. Se non altro è importante anche nei confronti della responsabilità che ha nei confronti degli stakeholder, visto anche la posizione da leader del mercato.

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Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.

By : Aldo |Luglio 22, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.
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La raccolta differenziata resta uno dei temi principali se si parla di sostenibilità ed economia circolare.

In Italia continua ad essere un problema in alcune città e una virtù per altre, ma sicuramente negli anni, la situazione sta migliorando.

    

Il Rapporto Comieco

Il Comieco ha presentato recentemente il 28° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone, annunciando notizie positive per il settore.

Infatti, sembra che la raccolta differenziata della carta in Italia, stia migliorando sempre più anche se a piccoli passi.  Stando ai dati dell’analisi, la differenziazione dei rifiuti cartacei ammonta a 3 milioni 600 mila tonnellate, con una media nazionale pro-capite di oltre 61 kg.

   

Tale risultato descrive senza dubbio un miglioramento delle abitudini dei cittadini e anche ad una maggiore attenzione dei produttori agli imballaggi. Atteggiamenti virtuosi che possono effettivamente portare ad un cambiamento, pratico ma anche ideologico e d’immagine del Belpaese.

Non a caso proprio grazie alla sensibilizzazione dei cittadini e ai loro comportamenti, gli imballaggi in carta e cartone che hanno superato l’81% di riciclo. Questa una cifra importante poiché conferma il superamento degli obiettivi europei al 2025 e il progressivo avvicinamento ai target fissati per il 2030.

    

La crescita nelle regioni

Il Comieco detiene 972 convenzioni con 6.840 Comuni o loro gestori all’interno dell’Accordo Quadro Anci-Conai, pertanto, presenta studi complessivi della situazione italiana da 25 anni. Così è stato redatto un rapporto con cifre specifiche per ogni regione, descrivendo una situazione più o meno omogenea del Paese. Ovviamente non mancano eccezioni positive e negative, ma di certo si registra una tendenza crescente.

  

I dati riportano un +0,4% al Nord, ossia 8 mila tonnellate in più rispetto al 2021, con Valle d’Aosta, Lombardia ed Emilia-Romagna in crescita. Il loro ottimo lavoro compensa però il calo di Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige, mentre Friuli-Venezia Giulia e Liguria restano stabili.

Meglio il centro, che con +0,5% determina un aumento di 4 mila tonnellate per merito di Toscana e Umbria che portano a +12 mila tonnellate. Anche qui, Marche e Lazio non sono riuscite a migliorare anche a causa dei gravi problemi presenti a Roma.

Il sud invece sovrasta tutti con il suo +0,8% registra un aumento di quasi 8 mila tonnellate: la Campania resta stabile. Calano invece Sardegna e Abruzzo al contrario delle altre regioni che crescono ad un ottimo ritmo. Tuttavia, il caso meridionale, rappresenta una grande possibilità di sviluppo e di grande crescita del settore. Questo perchè proprio nel sud è disponibile oltre il 50% delle 800 mila tonnellate di carta e cartone che si stima finiscano ancora nell’indifferenziato.

           

C’è da dire anche, che spesso sono le grandi città ad ampliare le dinamiche nazionali, visti i numeri di abitanti che le contraddistinguono. Si pensi che solo i grandi agglomerati urbani rappresentano il 13% di tutti gli italiani e producono 4 milioni circa di tonnellate di rifiuti annui. Di questi vengono raccolti 1 milione e 800 mila tonnellate, di cui 500 mila sono di carta e cartone (esattamente il 14%).

     

Il contesto storico

La crescita positiva del campo è determinata anche da vari fattori dipesi da eventi che ultimamente hanno cambiato l’assetto del pianeta.

Dapprima la pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina e l’intensificazione del cambiamento climatico. Sono questi gli eventi che hanno modificato in modo diverso il nostro mondo e che continueranno a farlo. Perciò i loro effetti sono stati tenuti in considerazione anche nella redazione del 28° Rapporto Comieco, proprio per spiegare meglio le differenze con gli anni precedenti.

   

In primo luogo, stiamo vivendo una crisi economica per cui sono calati gli acquisti e di conseguenza anche la produzione di rifiuti. Nonostante ciò, tale fenomeno non ha inciso sui volumi di raccolta differenziata della carta e del cartone.  È più probabile che la cosiddetta “policrisi”, abbia ridotto la produzione di rifiuti di un milione di tonnellate. Precisamente sembra che calo degli acquisti alimentari abbia inciso sulle vendite di imballaggi in carta e cartone.

   

Il Comieco, parte integrante dell’ente Conai, ha descritto con il suo studio annuale, una nuova realtà. L’Italia in questo settore, riesce a raggiungere gli obiettivi europei grazie ai comportamenti sostenibili dei cittadini e una migliore amministrazione.  

  

Sicuramente con controlli precisi e una continua formazione degli abitanti di ogni città, le cose potranno solo migliorare. Tuttavia, è fondamentale che a capo della gestione dei rifiuti ci sia un’organizzazione adeguata ed efficiente. In questo modo da non vanificare tutti gli sforzi e le azioni positive della popolazione.

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Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.

By : Aldo |Luglio 20, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.
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Come noto, l’economia circolare non si limita ad un solo settore o ad un solo tipo di ente. La circolarità è una caratteristica applicabile in ogni ambito e per la prima volta se ne parla in relazione ad un parco divertimenti.

  

Gardaland a Rifiuti Zero

Gardaland Resort di recente è diventato il primo parco divertimenti italiano a ottenere la certificazione “Rifiuti Zero”.  Una grande realtà con 200 dipendenti fissi e i 1.500 stagionali che non delude mai le aspettative di grandi e bambini.

Il parco situato in provincia di Verona è la seconda attrazione turistica dell’Italia per numero di biglietti venduti, superata solo dal Colosseo. È a tutti gli effetti è il sesto parco europeo per numero di visitatori: 2.950.000 nel 2022.

La sua rilevanza nel territorio italiano è indiscutibile e pertanto, la sua certificazione “Rifiuti Zero” determina un ottimo progresso verso un futuro sostenibile. Se non altro, rappresenta un modello per gli altri parchi tematici, divertimenti, che possono prendere spunto per migliorarsi.

    

La sostenibilità del Resort

Gardaland è stato certificato come primo parco divertimenti italiano a “Rifiuti Zero” grazie al lavoro dell’intera azienda e della scrupolosa indagine di AENOR.

Già dal 2019, il Parco era riuscito nell’impresa di azzerare la plastica monouso a favore di materiali compostabili e biodegradabili all’interno dei punti ristorazione. Un cambio rilevante poiché la plastica monouso è diffusa per la sua comodità, quindi più agevole anche con i bambini che frequentano il parco.

Ma non si parla solo della plastica: l’azienda ha puntato molto sulla raccolta differenziata, all’interno di tutto il Resort potenziando i processi circolari. In più, l’ente si è occupato di investire in una loro gestione virtuosa.

   

La determinazione dell’azienda è stata possibile grazie al coinvolgimento di tutto l’entourage che con piccole azioni ha cambiato totalmente abitudini quotidiane o automatiche. Pertanto, nel 2022, il parco ha raggiunto il traguardo del 93,4% di rifiuti valorizzati sul totale dei rifiuti prodotti. In questo modo, il gruppo ha contribuito allo sviluppo di nuove iniziative sostenibili, con operazioni di recupero e di economia circolare.

   

Inoltre, ha adottato un approccio ottimizzato nella gestione dei rifiuti indifferenziati, destinandoli a impianti di selezione e cernita. Ovvero, con tale procedimento si massimizza il recupero delle risorse. Questa iniziativa mira a massimizzare l’ammontare di rifiuti, riducendo quasi completamente la quantità di materiale destinato alle discariche.

Inoltre, l’attività descritta ha permesso anche la collaborazione con una Cooperativa Sociale. Grazie al suo coinvolgimento è nato un progetto per il riutilizzo delle divise dismesse e la loro integrazione nel mercato equo solidale.

     

AENOR e la certificazione

La certificazione del Gardaland Resort è arrivata per mezzo di un’attenta e scrupolosa analisi di AENOR. Tale azienda è tra i 10 dieci enti certificatori internazionali più importanti al mondo ed è riconosciuta in ben 90 paesi. L’ente si occupa principalmente di individuare e certificare le aziende capaci di gestire in modo virtuoso i rifiuti, massimizzando le azioni di prevenzione e recupero.

Nel caso specifico, l’organizzazione ha valutato ogni documento per qualsiasi passaggio della filiera correlata alla gestione dei rifiuti, comprendendo ciascun settore e attività del parco. Tra questi i rifiuti derivanti da negozi e uffici, che comprendevano scarti alimentari indumenti, scarti dei negozi come giocattoli rotti, pile, carta e cartone.

     

Senza dubbio una valutazione così importante, per un parco divertimenti, attira l’attenzione su un nuovo ambito. Gardaland così diventa un modello per tutte le aziende del settore sia italiano che europeo.

Soprattutto perchè un parco di quel genere è a tutti gli effetti una piccola città. Include edifici abitabili, bagni, ristoranti, veicoli, negozi e uffici amministrativi. Dunque, non sarebbe assurdo pensare che anche tali realtà si impegnino (per quanto possibile) nel raggiungimento di obiettivi sostenibili di vario tipo.

La riduzione delle loro emissioni potrebbe essere la prossima meta?

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Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e circolano i primi dati.

By : Aldo |Luglio 19, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e circolano i primi dati.

La transizione ecologica non è un’ipotesi, ma la soluzione, una delle più importanti per poter (almeno) rallentare il cambiamento climatico.

Al suo interno, la transizione energetica è ugualmente fondamentale, proprio per poter ridurre le emissioni di CO2 dall’atmosfera.

   

Il decreto

Giovedì 13 luglio è stato trasmesso il decreto alla valutazione della Conferenza Unificata. Si parla di un decreto atteso da più di un anno, necessario per portare avanti la transizione energetica italiana. L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante il Question Time alla Camera.

Il testo è rilevante per la determinazione di criteri e obiettivi in merito all’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile. Inoltre, serve per quantificare l’ipotetica potenza che l’Italia potrebbe raggiungere grazie a maggiori fonti “green” attivando pratiche ferme da anni.

La bozza presenta anche il cosiddetto “burden sharing” ossia gli obiettivi minimi da raggiungere nel rispetto dell’obiettivo nazionale al 2030. Con l’impegno di tutti e l’aiuto delle nuove tecnologie si compiranno impegni fissati dal PNIEC derivanti dall’attuazione del pacchetto “Fit for 55”. Senz’altro si risponde anche ai requisiti del pacchetto “Repower UE”.

    

Pratiche e potenza

È previsto che le 19 regioni e le due Province autonome di Trento e Bolzano dovranno spartirsi gli 80 GW di nuova capacità rinnovabile. Questa è attesa per la fine del decennio e sarà ripartita in porzioni diverse a seconda delle caratteristiche di ogni regione.

Così facendo il piano aiuterà a velocizzare e semplificare la realizzazione dei grandi impianti fotovoltaici ed eolici in Italia. Per fare ciò, serve appunto un testo che spieghi come un’area possa essere considerata o meno “idonea” all’installazione di FER.

   

Per quanto riportato nel decreto ad ogni territorio è stata assegnata una potenza minima da raggiungere ogni anno dal 2023 al 2030. Precisamente la Sicilia dovrà installare 10,3 GW di rinnovabili, la Lombardia 8,6 GW, la Puglia 7,2 GW. Mentre l’Emilia-Romagna la Sardegna circa 6,2 GW a testa.

Nel conteggio annuale verranno presi in considerazione tutti i nuovi impianti a terra entrati in esercizio a partire dal 1° gennaio 2022.  In più si tiene conto della potenza nominale aggiuntiva derivante da interventi di rifacimento o ricostruzione integrale.  In caso dei nuovi impianti rinnovabili offshore si tiene conto invece solo del 40% della potenza nominale delle installazioni.

  

Sarà il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica insieme al Gestore dei Servizi Energetici a monitorare tutte le operazioni del caso.

    

Termini e condizioni

Per il raggiungimento degli obiettivi, Regioni e Province autonome dovranno identificare aree idonee entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Tale procedimento dovrà necessariamente rispettare dei principi di minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio. Tutto ciò sarà possibile grazie all’adozione o integrazione di strumenti opportuni del governo del territorio.

Nel caso in cui questo non accadesse entro i limiti delle leggi, l’ente predisposto proporrà al Presidente del Consiglio, schemi di atti normativi di natura sostitutiva.

  

Le aree classificate idonee hanno dei requisiti che si  differenziano sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto, scelto dall’amministrazione. Nonostante ciò, per individuare le aree adeguate, gli enti burocratici possono usare la piattaforma digitale, integrata dai dati sull’uso del suolo agricolo desumibili dal SIAN.

Lo schema del decreto presenta una classificazione delle aree: superfici e aree idonee, superfici e aree non idonee, e aree soggette alla disciplina ordinaria. Di certo una zona definita idonea per il fotovoltaico potrebbe non esserlo per l’eolico, per il quale ci sono altri criteri di scelta.

     

Di seguito sono riportate quelle che sono considerate superfici e aree idonee secondo il DM:

  • siti dove risultano già installati impianti rinnovabili che sfruttano la stessa fonte e i cui lavori di riqualifica, ristrutturazione, potenziamento ecc. Inoltre, non che devono comportare una variazione dell’area occupata superiore al 20% (fotovoltaico escluso);
  • aree oggetto di bonifica individuate ai sensi del Titolo V;
  • cave e miniere abbandonate o in condizioni di degrado ambientale o porzioni delle stesse non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
  • siti e gli impianti del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, dei gestori di infrastrutture ferroviarie e delle società concessionarie autostradali. Analogamente a quelli delle società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuali;
  • aree non ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela e che non ricadono nella fascia di rispetto. Quindi 3 km dal perimetro dei beni sottoposti, 500 metri per gli impianti fotovoltaici;
  • esclusivamente per gli impianti fotovoltaici e di produzione di biometano, le aree classificate agricole, racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi SIN, cave e miniere. Le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e quelle classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento; le aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri;
  • i beni del demanio militare in uso al Ministero della Difesa, dell’Interno, della Giustizia (e uffici giudiziari), e da quello dell’Economia e delle Finanze;
  • le superfici degli edifici, delle strutture e dei manufatti su cui vengono realizzati impianti fotovoltaici rientranti nel regime di manutenzione ordinaria.

Sarà questo il passo che serve all’Italia per cambiare rotta? Sicuramente è un programma di grande spessore che deve entrare in vigore il prima possibile per iniziare un nuovo percorso verso un futuro migliore.

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Giovani, Minecraft e smart cities: quando la scuola forma a 360° gli adulti di domani.

By : Aldo |Luglio 18, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Giovani, Minecraft e smart cities: quando la scuola forma a 360° gli adulti di domani.
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Troppe volte i videogiochi dei ragazzi sono stati giudicati poco opportuni o diseducativi. Oggi però esistono delle nicchie per le quali il videogame può incrementare la crescita e la formazione del giocatore e non solo.

     

Minecraft per il futuro

È curioso pensare che nel 2023 si cerchino giocatori di Minecraft per progettare le città del mondo. No, non si tratta di un film ma della realtà.

Il progetto Schools Reinventing cities (di C40) è un’iniziativa in collaborazione con Minecraft Education, il famoso videogioco d’avventura.

L’iniziativa prevede che gli studenti delle scuole medie e superiori di tutto il mondo, ridisegnino in modo “sostenibile” le proprie città. In questo modo, i ragazzi, gli adulti del futuro, potranno modificare i centri urbani che abitano, a prova di futuro.

   

Il programma nato a Londra è approdato anche a New York, Buenos Aires e Calgary, con la speranza di farlo arrivare in tanti altri Stati.

L’obiettivo più grande è proprio quello di coinvolgere le nuove generazioni nella gestione cittadina sostenibile. A tal proposito, gli studenti saranno protagonisti dei cambiamenti necessari per un futuro migliore, ovvero il loro.

   

In breve, rappresenta una vera e propria sfida alla pianificazione urbana delle proprie città.

    

Schools Reinventing Cities

É importante che i giovani studenti delle scuole medie e superiori, abbiano la possibilità di ideare e creare una città diversa da quella che conoscono. È rilevante per molteplici motivi che in alcuni casi vanno oltre il “semplice” studio della sostenibilità.

    

Sicuramente è un sistema che aiuta i ragazzi a conoscere sotto vari aspetti, magari anche sconosciuti il luogo in cui vivono. Tale conoscenza li rende consapevoli di tutti i servizi che il centro abitato offre, o in altri casi non presenta. Proprio così gli studenti potranno avere una panoramica della situazione per poi studiare quali modifiche apportare nel loro modello digitale.

   

Vista l’entità del piano, i cambiamenti da proporre riguardano il settore della sostenibilità dunque, i ragazzi dovranno studiare bene le loro mosse. Sicuramente si potrebbe mirare sull’ aggiunta di aree verdi, spazi collettivi e di mobilità sostenibile, oppure sulla riduzione delle isole di calore. Così facendo i giovani si avvicinano anche alle nuove tecnologie utili per la transizione ecologica quindi per le modifiche che proporranno.

   

Tuttavia, la collaborazione tra il videogioco più in voga negli ultimi anni e un progetto per le smart cities offre anche un altro beneficio. Quello della formazione degli adulti del futuro.

Infatti la scuola non dovrebbe anche aiutare i ragazzi a formarsi come cittadini del mondo, con obiettivi e sogni da raggiungere e realizzare. Perciò è fondamentale la possibilità di far conoscere loro, nuove passioni, gli impieghi del futuro, dimostrargli studi e carriere che potranno intraprendere dopo le scuole superiori.

Questo importante punto è centrato pienamente dal progetto, poichè gli studenti interpretano il ruolo dei professionisti quotidianamente incaricati di gestire l’ambiente costruito anche per un solo giorno. Quindi capiranno di cosa si occupa un architetto, un pianificatore, un direttore delle costruzioni piuttosto che un ingegnere o un designer.

   

Dunque saranno in grado di avvicinarsi a determinate professioni, o ad allontanarsi nel caso capissero che quel tipo di impiego non fa per loro.

In entrambi i casi si tratta di formazione di un certo tipo, che raramente si trova negli istituti italiani, nei quali, inoltre, il progetto non è ancora arrivato.

      

L’entità C40

C40 è l’ente all’origine di questo grande progetto. È una rete globale di circa 100 sindaci delle principali città del mondo, che insieme vogliono affrontare la crisi legata al cambiamento climatico.

Il piano intende creare una collaborazione basata su un approccio inclusivo e scientifico. L’obiettivo è quello di dimezzare le emissioni di ogni città, entro il 2030, e di costruire comunità sane, eque e resilienti attraverso una diplomazia internazionale. Inoltre, si punta a facilitare investimenti in lavori verdi e progetti che migliorano la resilienza nelle città.
   

La partecipazione all’iniziativa non si basa sulle tasse ma sulle prestazioni di ogni città che a tal proposito ha dei doveri da rispettare.

Come già detto deve presentare un piano d’azione per il clima resiliente e inclusivo in linea con l’ambizione di 1.5 °C dell’accordo di Parigi. In questo senso servirà poi un regolare aggiornamento di tale piano, anche in virtù del fatto che l’impegno deve essere portato avanti fino al 2024. Successivamente sarà rinnovato per il 2030.

     

Tali modifiche avverranno grazie a strumenti di vario tipo per affrontare la crisi climatica, integrando i propri obiettivi climatici nei processi decisionali maggior impatto. Senza dubbio servono innovazioni e iniziative inclusive e resilienti per affrontare le emissioni al di fuori del controllo diretto del governo della città.

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Bando “Parco Agrisolare”: 1 miliardo di euro per rendere rinnovabili le campagne.

By : Aldo |Luglio 12, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Bando “Parco Agrisolare”: 1 miliardo di euro per rendere rinnovabili le campagne.
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I centri urbani si stanno evolvendo per abbracciare la sostenibilità nel miglior ed efficiente modo possibile, determinando un trend che aumenta ogni giorno di più.

Ma questo avanzamento tecnologico si sta verificando anche nelle campagne, in modo da renderle ancora più “green” di quanto già lo siano.

     

Nuovo bando PNRR

Il nuovo bando “Parco Agrisolare” mette a disposizione ben un miliardo di euro del PNRR per efficientare il consumo di energia delle aziende agricole. Si tratta di un investimento per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti dei fabbricati agricoli, per produrre e vendere energia.

Un bando del genere era già uscito ma non prevedeva tante delle nuove caratteristiche per migliorare le prestazioni nei terreni coltivati. Le principali novità vertono sul consumo e la produzione di energia, ma anche sull’incremento dei contributi a fondo perduto.

Ovviamente le imprese che avranno la possibilità di godere di questo bando sono quelle correlate al settore. Parliamo di imprese e cooperative agricole, agroindustriali, consorzi, associazioni temporanee e raggruppamenti temporanei di impresa e infine all’agriturismo.

    

Nuovi finanziamenti

La nuova pubblicazione prevede la divisione dei finanziamenti per molteplici attività legate ad imprese di produzione e trasformazione di prodotti agricoli.

Il primo cambiamento fondamentale è l’incremento del contributo a fondo perduto, che con l’ultimo aggiornamento coprirà l’80% della spesa. Successivamente si riscontra un raddoppio della spesa massima ammissibile per i sistemi di accumulo e ricarica.

  

Si tratta di un aumento delle spese, che ammonta a 100.000 euro (prima pari a 50.000 euro), eventualmente integrabile ad un’ulteriore quota. È prevista una spesa fino a 30.000 euro, se si installano dei dispositivi di ricarica elettrica per la mobilità e le macchine agricole. Ma non è tutto.

 

Nella stesura della gara è stato introdotto un nuovo concetto di autoconsumo condiviso. In pratica ci sarà la possibilità di installare impianti di autoconsumo condiviso, per aziende che svolgono lo stesso tipo di attività. Per l’installazione degli impianti sono stati stanziati 700 milioni di euro (per la produzione) e 150 milioni di euro per le aziende di trasformazione. Mentre una quota maggiore sarà destinata alle PMI, soprattutto se in aree svantaggiate.

 

Novità energetiche

Nel campo energetico invece, si riportano delle novità che possono cambiare a tutti gli effetti il settore agricolo (sia di produzione che di trasformazione).

Senza dubbio, un passo in avanti è stato definito dall’eliminazione (in alcuni casi) del vincolo di autoconsumo. Pertanto, sarà possibile per la prima volta, ricevere dei contributi designati per la vendita dell’energia prodotta. Mai prima d’ora i bandi si erano spinti così oltre ed oggi si promuove l’installazione di impianti per la vendita sul mercato di energia prodotta.

 

La novità sta nel fatto che non ci saranno limiti nell’autoconsumo, l’unico criterio imposto riguarda il posizionamento dei sistemi. Questi devono essere installati esclusivamente sulle coperture. I beneficiari sono ancora le imprese di produzione primaria e quelle di trasformazione, che potranno attingere ad un contributo di 75 milioni di euro.

 

Mentre se si parla di tecnicismi è importante ricordare i nuovi target per la potenza installabile. Infatti, i nuovi impianti ammessi, devono avere una potenza maggiore uguale a 6kWp ma non superiore a 1000 kWp. Si tratta di cifre raddoppiate rispetto all’ultima pubblicazione.

In aggiunta saranno possibili interventi per la sostituzione delle coperture di amianto dei fabbricati agricoli (totale o parziale) per mezzo dei nuovi impianti. Dunque, sono inclusi interventi mirati al loro efficientamento energetico.

    

Con bandi e iniziative simili, si potrà trasformare un settore primario fondamentale soprattutto per l’Italia, rendendolo più sostenibile.

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Le cozze potranno aiutarci nella riduzione delle microplastiche in acqua.

By : Aldo |Giugno 26, 2023 |Clima, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Le cozze potranno aiutarci nella riduzione delle microplastiche in acqua.

Spesso la natura che noi stessi dovremmo proteggere, ci regala delle soluzioni a problemi da noi creati.

Proprio per queste capacità sarebbe importante studiarla sempre meglio, usufruendone nel migliore dei modi possibili.

      

La scoperta della “natura”

È recente lo studio pubblicato nel Journal of Hazardous Materials che spiega come le cozze possono aiutarci nel ridurre le microplastiche in acqua.

L’analisi condotta dal Plymouth Marine Laboratory afferma che i filtratori, possano intrappolare le microplastiche, concentrandole nelle loro feci.

Nello specifico si tratta della cozza azzurra (Mytilus edulis), un mollusco filtrante e verace caratterizzato da un un guscio blu-nero.

In questo momento, la ricerca svolta ha dato ottimi risultati che tuttavia non sono la soluzione a questo grande problema, ma sicuramente un grande aiuto.

    

Gli step dell’analisi

I ricercatori hanno scelto queste cozze da un allevamento in Cornovaglia e le hanno sottoposte a vari test.

Nella prima prova i bivalvi vengono situati in un contenitore d’acciaio, nel quale viene pompata l’acqua carica di microplastiche.

Con questo primo test, gli studiosi hanno visto che i filtratori consumano circa due terzi delle microplastiche presenti nel serbatoio. Successivamente le secernono dal loro corpo attraverso le loro feci.

Dopo un primo successo, si è attuata una seconda prova in un porto locale, precisamente in un’insenatura soggetta ad inquinamento da imbarcazioni. Dunque, l’ambiente risulta altamente inquinato anche per le fuoriuscite di inquinanti o materiali legate a scarichi delle stesse imbarcazioni.

300 esemplari sono stati riposti in cestini disposti in vasche calate in acqua: ognuno di questi contenitori ha un setaccio per catturarne le feci. Intanto uno sbocco in un altro serbatorio permette all’acqua di ritornare nell’ambiente originale.

A quel punto, gli scienziati hanno confermato il fatto il che le feci con le microplastiche affondano rapidamente nel mare. Pertanto, risulta più facile raccoglierle, al contrario delle particelle sospese in acqua.

    

Le cifre della ricerca

È stato calcolato che 5 kg di cozze in un porto urbano possono raccogliere circa 240 (±145) microplastiche, ma è importante la loro localizzazione.

Perchè si, le cozze filtrano l’acqua dai contaminanti, ma allo stesso tempo le loro concentrazioni non possono eccedere nel piccol corpo dell’esemplare. Tale attenzione è fondamentale per non rovinare l’habitat e permettere una vita sana al bivalve.

In concreto con circa 3 miliardi di cozze, poste in prossimità di un estuario si potrebbe estrarre il 4% delle microplastiche che arrivano dai fiumi.

       

L’incertezza dello studio

I test hanno portato ad un risultato sorprendente: i bivalvi in esame sembrerebbero capaci di rimuovere circa un quarto di un milione di particelle all’ora.

Nonostante tale scoperta sia un passo in avanti, non risulta essere una soluzione definitiva, ma un processo da affiancare ad attività di maggiore impatto.

Questo perchè per fare la differenza serve una quantità immensa di individui in tante aree diverse. Si tratta più o meno di 2 milioni o più di cozze che filtrano 24 ore al giorno (costantemente) per trattare una baia del New Jersey.

Tale situazione è abbastanza irreale poiché le condizioni descritte non sono compatibili con la natura. D’altra parte, instaurando una grande quantità di bivalvi in una determinata area, si romperebbero gli equilibri dell’ecosistema scelto.

           

Le conclusioni

Questo studio dimostra come dei piccoli esseri, possano aiutarci nella lotta contro la plastica, dannosa per l’ambiente e per noi.

Sembra addirittura che da queste microplastiche si possa creare biofilm, così da rimuovere l’inquinante per trarne dei benefici, attuando anche in questo caso un’economia circolare.

Sicuramente serviranno ulteriori studi e test per poter dichiarare questa pratica come efficiente. Nell’attesa è importante ricordare che la prima azione di grande impatto resta sempre il cambio delle nostre abitudini nell’uso e consumo della plastica.

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