Quando si tratta di sanzioni e leggi contro i crimini si aprono delle grandi diatribe su cosa è sensato, esagerato, giusto o irrilevante. Sebbene sia un tema molto delicato poiché spesso non si capisce a pieno il testo delle direttive, l’Europa ha deciso di affrontarlo anche nel campo ambientale.
I responsabili degli ecocidi
L’ecocidio è un concetto che esprime la distruzione su vasta scala degli ecosistemi naturali, causata principalmente dalle attività umane. Questa rovina può manifestarsi attraverso la deforestazione massiccia, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la perdita di biodiversità e l’alterazione irreversibile degli habitat naturali. Non c’è dubbio che i responsabili di tali azioni siamo noi, la specie umana, ma è opportuno fare delle precisazioni. Di solito, i soggetti che possono essere giudicati come responsabili di tali scempi sono proprio le grandi aziende e le industrie. Questo perché sono loro che hanno un imponente impatto sul pianeta e che perseguono il profitto a spese dell’ambiente, sfruttando le risorse naturali senza criteri adeguati. In secondo luogo, sono responsabili anche i governi che promuovono politiche che non tengono conto dell’ambiente e non applicano regolamentazioni efficaci contribuendo all’ecocidio.
Nella storia si sono verificati numerosi ecocidi alcuni dei quali continuano a verificarsi da decenni. Tra questi la deforestazione dell’Amazzonia, la catastrofe nucleare di Chernobyl, del 1986 o l’inquinamento delle grandi città industriali. Anche nell’Unione Europea, i crimini ambientali hanno avuto un impatto significativo su diversi fronti e in varie regioni. Si possono citare, la deforestazione delle foreste primarie in Romania e Polonia, l’inquinamento dell’aria di grandi città come Londra, Parigi e Milano. E ancora le pratiche agricole intensive, principalmente in Francia, Spagna e Germania, e la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee a causa dell’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Proprio per evitare che tali fatti avvengano con maggiore frequenza o che possano verificarsi senza sanzioni, l’Europa ha preso provvedimenti. La notizia arriva da Strasburgo, dove il 27 febbraio il Parlamento Europeo ha approvato la nuova legge contro l’ecocidio e a favore il ripristino della natura.
La nuova direttiva
È recente la notizia dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova direttiva contro i crimini ambientali. Per la prima volta si parla di “ecocidi” poiché nel crimine commesso sono presenti una vittima (la natura, gli esseri viventi e la loro salute) ed un colpevole (l’uomo). Con questa nuova definizione aumenta il potere e la responsabilità del diritto penale ambientale che dovrebbe essere distinto da quello amministrativo.
È un passo importante quello di martedì 27 febbraio poiché, la criminalità ambientale è la quarta attività criminale più grande al mondo. Per di più la sua crescita è due, tre volte più rapida rispetto a quella dell’economia mondiale ed il motivo principale di tale crescita è la malavita. Ossia, i crimini ambientali, sono tra le principali fonti di reddito per la malavita organizzata insieme al traffico di droga, armi ed esseri umani. Nonostante la direttiva 2008/99/CE avesse introdotto il principio secondo cui i reati ambientali avrebbero dovuto essere combattuti e puniti, non ha raggiunto i suoi obiettivi, dunque la nuova norma potrebbe essere la soluzione definitiva.
Crimini, politiche e sanzioni.
Lo scopo della nuova direttiva è quello di progredire verso l’istituzione di un codice di diritto penale dell’Unione in materia ambientale. Di preciso, è una legge sul ripristino della natura che obbliga i Paesi Ue a riportare in buone condizioni il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030, e per tutti gli ecosistemi entro il 2050.
Nel testo è presente la lista di tutti i reati ambientali, colpevoli di decesso o gravi danni alla salute delle persone. Tra questi:
- gli incendi boschivi su larga scala;
- la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e dei medicinali, tra cui i materiali radioattivi;
- il riciclaggio delle navi e i loro scarichi di sostanze inquinanti;
- l’installazione, l’esercizio o lo smantellamento di un impianto in cui è svolta un’attività pericolosa o in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze, preparati o inquinanti pericolosi;
- l’estrazione e la contaminazione di acque superficiali o sotterranee;
- l’uccisione, la distruzione, il prelievo, il possesso, la commercializzazione di uno o più esemplari delle specie animali;
- l’immissione o la messa a disposizione sul mercato dell’Unione di legname o prodotti provenienti dalla deforestazione illegale;
- qualsiasi azione che provochi il deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
- la produzione, l’immissione sul mercato, l’importazione, l’esportazione, l’uso, l’emissione o il rilascio di sostanze che riducono lo strato di ozono, e di gas fluorurati a effetto serra;
- l’estrazione, lo sfruttamento, l’esplorazione, l’uso, la trasformazione, il trasporto, il commercio o lo stoccaggio di risorse minerarie.
Mentre per quanto riguarda le sanzioni ci sarà una maggiore rigidità. Innanzitutto, saranno puniti i singoli trasgressori, inclusi i rappresentanti e i membri del consiglio di amministrazione delle aziende. Questi ultimi potranno essere condannati fino a 10 anni di reclusione a seconda della gravità del reato. Inoltre, i colpevoli dovranno ripristinare l’ambiente distrutto e risarcire i danni con ammende che potranno arrivare fino al 5% del fatturato mondiale dell’azienda (anche fino a 40 milioni di euro).
Per di più, nella direttiva sono stati introdotti dei punti molto importanti che riguardano obblighi e misure di protezione. Pertanto, sono state definite misure precauzionali che obbligano gli Stati membri ad adottare le azioni necessarie per ordinare la cessazione immediata di condotte illecite, senza aspettare i tempi di un processo penale. Un’importante tutela riguarda invece chi denuncia reati ambientali o assiste nelle indagini, che saranno protetti a livello Europeo. Dopo l’entrata in vigore della norma, gli stati dell’Unione Europea avranno 2 anni di tempo per recepirla.