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Pannelli fonoassorbenti dalle potature di ulivo. Ecco l’idea siciliana, sviluppata a Torino.

By : Aldo |Aprile 04, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Pannelli fonoassorbenti dalle potature di ulivo. Ecco l’idea siciliana, sviluppata a Torino.

Che la natura ci regala tutto ciò di cui abbiamo bisogno non è più un segreto. Ma proprio per questa enorme fortuna abbiamo il dovere di usare le risorse che ci dona nel migliore di modi. Ed è qui che entra in gioco la sostenibilità in ogni campo. In questo caso si parla del riuso di scarti agricoli per la creazione di pannelli fonoassorbenti.

   

L’importanza dell’ulivo

L’ulivo riveste un ruolo centrale nel Mediterraneo, non solo come pianta simbolo di tradizione e identità culturale e religiosa. È fondamentale anche a livello economico e ambientale. Pianta riconosciuta e valorizzata sin dall’antichità, l’ulivo e i suoi frutti costituiscono un elemento chiave della dieta mediterranea, celebrata per i suoi benefici per la salute. Nel 2023, l’Unione Europea ha dichiarato che la produzione di olio di oliva ha generato circa 8 milioni di tonnellate di scarti, i quali rappresentano circa il 30% del volume totale di olive lavorate.

   

Questo tema è rilevante soprattutto in Italia, il principale paese produttore di olio d’oliva in Europa che annualmente produce 3 milioni di tonnellate di scarti. Tuttavia, questi ultimi vengono sfruttati in maniera creativa ed efficiente, usando al 100% la risorsa, riducendo i rifiuti e quindi aiutando il pianeta. Per esempio, si usa la sansa come fertilizzante organico o per produrre energia attraverso processi di biomassa. O ancora le vinacce possono essere impiegate nella produzione di grappe e liquori, come materia prima per cosmetici e prodotti farmaceutici. Nei “rifiuti” di questo settore, possiamo considerare anche le potature, tema dell’articolo e dello studio in collaborazione tra Alcamo e Torino.

    

L’osservazione della tradizione

Un’osservazione semplice, ma illuminante, ha portato a un’idea innovativa nel campo dell’edilizia e delle nuove tecnologie.  Rossella Cottone, studentessa di Architettura al Politecnico di Torino, ha notato un contadino che bruciava potature di ulivo nei campi, scatenando la sua curiosità sul motivo dietro a tale pratica secolare. Ovviamente si tratta di processi che nel tempo si sono consolidati e fanno parte della tradizione contadina, che non per questo siano postivi per l’ambiente. Tuttavia, proprio grazie a tale incontro, la studentessa ha colto il grande potenziale della materia che aveva di fronte.

    

Così Louena Shtrepi, docente della studentessa, insieme a Valentina Serra, del Dipartimento Energia e Simonetta Pagliolico del Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia, hanno deciso di studiare a fondo questa tematica. Pertanto, hanno articolato uno studio sulla trasformazione di uno scarto agricolo in un nuovo materiale, utile per l’edilizia, prendendo spunto proprio dalla tesi di laurea di Rossella Cottone.

     

Dagli scarti all’edilizia

Il processo di trasformazione si basa sull’utilizzo del cippato ottenuto dagli dagli scarti delle potature di ulivo come materiale sfuso, un prodotto naturale sena altri elementi che limitano le lavorazioni. Questa è un’attenzione molto importante in processi simili, poiché consente di preservare e garantire le caratteristiche del materiale originale. Quindi una volta raccolti rami e foglie, si combina tutto con vari processi che portano alla formazione del cippato, che unito a sua volta forma un nuovo materiale. A questo punto si esegue un trattamento ignifugo poiché si parla sempre di materiale combustibile e da lì nasce la nuova “materia prima”. 

   

Il prodotto ottenuto è poroso con caratteristiche simili a quelle di altri materiali acustici, ovvero a fibre di poliestere. Questo consente il suo impiego nel campo dell’edilizia, precisamente in quello dell’isolamento acustico da rumori esterni. Infatti, può essere usato negli interni di appartamenti, come rivestimenti in uffici, scuole e studi di registrazione. Per di più, le cavità del materiale permettono valori di assorbimento superiori a 800 Hz, con i massimi a 1600 Hz e 4000 Hz, e il minimo a 3150 Hz.

   

Conclusioni

La produzione di pannelli fonoassorbenti con questa nuova materia potrebbe togliere tonnellate di scarti dall’ambiente ma non solo. Potrebbero consentire l’isolamento acustico a prezzi modici, quindi anche in questo caso la sostenibilità ci viene incontro in ambito economico e sociale. Anche perché i pannelli in questione, durano tanto quanto il legno, soprattutto se si tratta di applicazioni in spazi interni, quindi meno esposti alle varie condizioni ambientali che variano all’aperto.

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Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.

By : Aldo |Marzo 28, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.

Ormai si sa, la sfida per la transizione ecologica è presente in qualsiasi ambito e settore produttivo (e non). Tra i tanti, l’agricoltura è uno di quelli più incisivi, su cui c’è un enorme margine di miglioramento per mezzo di politiche e finanziamenti. Ed è così che in Italia è arrivato il bonus per l’agricoltura sostenibile.

L’impatto dell’agricoltura

Le emissioni derivanti dall’agricoltura a livello mondiale rappresentano una gran parte del totale delle emissioni di gas serra. Infatti, l’agricoltura contribuisce approssimativamente al 24% delle emissioni globali di gas serra, con il metano e il biossido di carbonio tra i principali agenti. Inoltre, l’uso massiccio di fertilizzanti nell’agricoltura è un altro fattore importante. Tra questi i principali sono l’azoto, il fosforo e il potassio, i quali contribuiscono alla produzione di gas serra, come l’ossido nitroso ed influenzano negativamente la qualità del suolo e dell’acqua. Parallelamente, l’uso di carburanti nell’agricoltura, soprattutto per l’uso dei trattori e di altre macchine agricole, favorisce ulteriormente la produzione di emissioni, soprattutto di anidride carbonica.

    

La situazione italiana non è così differente da quella internazionale, calcolando che contribuisce per circa il 19% alla produzione di emissioni totali del Paese. In gran parte derivanti anche dai fertilizzanti con un forte impatto sulla qualità ambientale: in particolare sulla salubrità del suolo e delle falde acquifere. Senza dimenticare poi l’utilizzo dei carburanti usati nel settore.

Per questo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha pensato all’erogazione di fondi per la transizione ecologica in questo ambito. Si tratta di un bonus della cifra totale di 193 milioni di euro. 

 

Il bonus per l’agricoltura sostenibile

Il bonus presentato dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica prevede il finanziamento e il supporto della transizione ecologica nell’ambito agricolo. Si tratta di 193 milioni di euro che saranno investiti in impianti di biogas, trattori a biometano e biofertilizzanti. Ossia in tutti quei processi, sistemi o macchinari che sono ad oggi i più impattanti del settore.

   

Il bonus prevede un contributo in conto capitale pari a un massimo di 600 mila euro, che copre il 65% delle spese sostenute. La particolarità del bonus riguarda la sua partizione: infatti il 40% delle risorse spetterà al sud al quale saranno indirizzati 77,2 milioni di euro. Tuttavia, verranno finanziati progetti che mirino allo sviluppo di nuove tecniche, nuovi sistemi necessari alle pratiche agricole ma che riducano il loro impatto sull’ambiente. Dunque, si parla di programmi che possano salvaguardare il suolo, l’acqua ma anche l’atmosfera e la biodiversità.

   

Le categorie di intervento oggetto di incentivo sono di tre tipologie:

  • le “Pratiche ecologiche” nei campi e lo sviluppo di poli consortili per lo sfruttamento del digestato;
  • la sostituzione di trattori obsoleti con quelli alimentati a biometano;
  • interventi per l’efficienza degli impianti già esistenti per la produzione di biogas.

Gli interventi

Tra gli interventi previsti si possono citare quelli legati agli impianti a biogas. I progetti che mirano al loro sviluppo hanno la grande maggioranza delle risorse, ben 124 milioni di euro. Attualmente in Italia se ne contano circa 1.803 con una produzione di 2,5 miliardi di m3 di gas rinnovabile. Quest’ultimo è poi destinato alla produzione elettrica e termica rinnovabile e al consumo di biometano per i trasporti.

  

Per quanto riguarda i biofertilizzanti sono stati stanziati 54 milioni di euro, specificamente per la produzione e l’utilizzo di concime organico e l’adozione di macchinari più efficienti. Inoltre serviranno per la creazione di poli consortili dedicati al trattamento centralizzato del digestato. Il digestato non è altro che un materiale prodotto dal processo di digestione anaerobica di biomasse vegetali, scarti di allevamento e sottoprodotti animali. Essendo ricco di nutrienti come azoto, fosforo e potassio è un ottimo biofertilizzante.

   

E infine i trattori, per i quali sono stati devoluti 15 milioni di euro, per la sostituzione di quelli vecchi con quelli nuovi e più efficienti. Il bonus è previsto solo per mezzi alimentati a biometano e dotati di strumenti per l’agricoltura di precisione. Tecnica (quest’ultima) che permette di usare i trattori come supporto all’operatore che garantiscono maggiore sostenibilità e maggiore efficienza operativa.

 

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New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.

By : Aldo |Marzo 25, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.

Abbigliamento e fast fashion, fibre sintetiche, bassi prezzi e produzioni che hanno un elevato impatto sull’ambiente. Ormai non c’è dubbio che le microplastiche ritrovate in mare siano correlate principalmente al nostro abbigliamento e quindi al suo lavaggio. Ora però la lotta si è ampliata alle famose pods.

   

Microplastiche nel mondo

Le microplastiche derivanti dal lavaggio di tessuti rappresentano un’importante e preoccupante fonte di inquinamento ambientale su scala mondiale. Le stime affermano che, circa il 35% delle microplastiche presenti nei mari e negli oceani derivino direttamente dal rilascio di fibre plastiche durante il lavaggio dei tessuti. Questo fenomeno è particolarmente diffuso in tutto il mondo che purtoppo consente alle microplastiche di infiltrarsi nei cicli naturali dell’acqua diventando una minaccia per tutti gli esseri viventi, uomo compreso.

    

A livello europeo, non cambiano le percentuali previste per l’intero pianeta. Anche qui, il particolato correlato alle microfibre di plastica costituisce fino al 30% delle microplastiche rilevate nei sedimenti marini e costieri dell’Unione Europea. Questo problema è stato riconosciuto dall’UE, che ha adottato misure per contrastare l’inquinamento da microplastiche, tra cui normative per ridurre l’uso di microplastiche nei prodotti e per migliorare la gestione delle acque reflue contenenti microplastiche. Neanche l’Italia si sottrae a tale tendenza, poiché il 20% delle microplastiche presenti nel Mediterraneo sono costituite da fibre di tessuto.

    

Si tratta quindi di un problema che va affrontato e risolto urgentemente a livello mondiale, con politiche e nuove norme anche per le grandi aziende tessili. Quello che possiamo fare noi cittadini è semplice: prestare attenzione alle etichette dei vestiti, comprare il più possibile tessuti naturali e non solo. Una mossa importante è quella di scegliere adeguatamente i detersivi, questa è la lotta intrapresa dalla startup Blueland e dal consigliere municipale Democratico James Gennaro.

    

La proposta di legge di New York

Il consigliere municipale Democratico James Gennaro ha presentato una legge dal nome “Pods Are Plastic”. La campagna mira a portare l’attenzione su prodotti di uso comune come le pods, piccole capsule contenenti vari tipi di detersivi usate per i lavaggi in lavatrice. Con tale legge il consigliere vuole ribadire un concetto semplice a volte trascurato, ossia che anche queste pods sono composte di plastica, in particolare di PVA o PVOH (alcool polivinilico).

    

Si tratta di plastica, sintetica a base di petrolio e dunque inquinano tanto quanto gli altri tipi di plastica, come ricordato nello studio dei ricercatori dell’Arizona State University. L’analisi da loro compiuta nel 2021 ha incrementato l’attenzione su questo tema, con grande impegno per sensibilizzare sempre più cittadini. Tuttavia, a questa proposta, le aziende hanno risposto in maniera negativa o con dati riferiti ad analisi della American Cleaning Institute. Quest’ultimo si è fatto portavoce delle aziende, ribadendo che

il PVA si scompone in componenti non tossici, rendendolo un’alternativa più sostenibile alle plastiche tradizionali, quando viene esposto all’umidità e ai microrganismi”.

Tuttavia, secondo lo studio universitario, il 77% del PVA (circa 8mila tonnellate all’anno) che arriva negli impianti di trattamento delle acque reflue viene poi rilasciato intatto nell’ambiente. Questo succede perché spesso non ci sono i microrganismi giusti negli impianti. Oppure il tempo di permanenza del materiale è troppo breve, con un massimo di una settimana, quando sarebbero ideali 60 giorni, per una degradazione del 90%.

   

Le critiche

Alla proposta di legge del consigliere Gennaro, ha risposto lo stesso American Cleaning Institute, che invece lo accusa di aver supportato la sua proposta con dati non veritieri. Ed inoltre afferma che la stessa startup Blueland, abbia creato una campagna di disinformazione sul tema, servendosi proprio della ricerca dell’Arizona State University.

    

Un’altra forte opposizione arriva dall’ U.S. Environmental Protection Agency, la quale ha rigettato ogni richiesta dell’impresa, riguardante la rimozione del PVA dall’elenco delle sostanze chimiche sicure. L’ente nazionale ha affermato che le base dati sarebbero incomplete e che gli studi invece confermino la sicurezza del composto.

   

L’unica cosa su cui concordano tutti i ricercatori è che la sorgente di diffusione di microplastiche più vicina ai cittadini è la lavatrice. I dati sono certi e nel 2019 si paralava di ben 1,5 milioni di microfibre di plastica per kg di tessuto lavato. Microparticelle che poi arrivano in mare ogni anno, con un peso specifico tra i 200.000 e le 500.000 tonnellate.  Nel frattempo, Blueland si fa strada nella sostenibilità con la produzione di prodotti di detersione in compresse vegane, prive di PVA, parabeni, fosfati, ammoniaca, candeggina, ftalati e tanti altri elementi chimici nocivi per l’ambiente.  

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Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.

By : Aldo |Marzo 21, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.

La formazione dei ragazzi è la soluzione più efficace per crescere delle persone che abbiano una consapevolezza del loro ruolo nel mondo e di quello che li circonda. Per questo sono molto importanti progetti ed iniziative scolastiche che riguardino tutti gli ambiti della vita di una persona, dall’aspetto personale, sportivo a quello di educazione civica, come il progetto Ecopneus.


Il problema dei PFU

I Pneumatici Fuori Uso (PFU) rappresentano un’importante categoria di rifiuti nell’ambito dell’economia circolare. Nel mondo, si stima che vengano generati circa 1,5 miliardi di PFU ogni anno, con una percentuale significativa proveniente dall’Europa. Secondo i dati più recenti, l’Europa produce circa il 25% dei PFU mondiali, pari a circa 375 milioni di pneumatici all’anno. In Italia, invece, se ne generano approssimativamente 180.000 tonnellate annue rappresentando circa il 12% del totale europeo.

Queste cifre sottolineano la necessità di nuove ed efficaci strategie di gestione dei rifiuti, del loro riciclo e riutilizzo per uno smaltimento corretto e sostenibile dei PFU. Ad oggi ci sono varie tecniche di riciclo di questo materiale tra le quali:

  • Triturazione e granulazione, che consentono il loro impiego nell’edilizia o nel settore stradale o ancora per la produzione di tappeti per parchi giochi e pavimentazioni in gomma;
  • Riciclo del tessuto in fibra, sempre usata per tappeti, materassi o isolamento acustico;
  • Riciclo dell’acciaio e della fibra di nylon, materiali estratti dagli pneumatici, recuperati e usati in altri settori.

In particolare, la prima soluzione è stata al centro di un grande progetto nelle scuole italiane volto alla sensibilizzazione sul tema del riciclo dei PFU. Il programma è stato promosso dalla società Ecopneus che ha conferito premi “unici” alle scuole.

   

Ecopneus

Ecopneus è una società senza scopo di lucro, responsabile del rintracciamento, della raccolta, del trattamento e del recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU) in Italia. Venne fondata dai principali produttori di pneumatici nel paese, ed è obbligata secondo l’articolo 228 del Decreto Legislativo 152/2006 a gestire una quantità di PFU equivalente a quella immessa nel mercato nell’anno precedente, seguendo il principio della Responsabilità Estesa del Produttore. Inoltre, si occupa del loro tracciamento e della rendicontazione verso le autorità, oltre a promuovere l’uso della gomma riciclata e sensibilizzare sul riciclo. Il suo obiettivo è quello di garantire il recupero di circa 200.000 tonnellate di PFU all’anno.

    

Attualmente, conta 50 soci, ossia aziende di produzione o importazione di pneumatici che si sono volontariamente affiliate a Ecopneus.  La società venne incaricata di questo ruolo nel 2011, poiché mancava un sistema nazionale strutturato per la gestione completa dei PFU. Quindi con questo investimento si assistì ad un grande cambiamento, visto che ogni anno in Italia circa 350.000 tonnellate di pneumatici, equivalente a oltre 38 milioni di pneumatici per auto, raggiungono la fine della loro vita utile.

    

Da quel momento la filiera è organizzata su un modello innovativo che racchiude una rete di aziende qualificate, incaricate di tutte le operazioni necessarie. Quindi dalla raccolta al trasporto dei PFU agli impianti specializzati per il trattamento e il recupero, garantendo il raggiungimento degli obiettivi ambientali al minimo costo. Ecopneus però è anche impegnata molto nella sensibilizzazione sul tema e proprio dal 2012 porta avanti questo programma anche nelle scuole per mezzo di differenti iniziative.

 

I progetti educativi nelle scuole

Ecopneus in collaborazione con Legambiente, hanno creato un programma di sensibilizzazione sul tema dei PFU diffuso in tutta Italia. Ad oggi ha coinvolto 11 regione italiane, circa 12.000 studenti e 4.200 docenti e inoltre ha donato ben 11 superfici sportive per la riqualifica delle palestre. In più ha dotato le suole di nuove infrastrutture sostenibili e performanti che rappresentano spazi sportivi e di aggregazione. I beneficiari di tali opere sono i giovani studenti e gli atleti delle associazioni sportive territoriali. Questa volta, hanno partecipato le scuole secondarie di primo e di secondo grado dell’Umbria. Gli educatori di Legambiente hanno aiutato i ragazzi ad approfondire i temi del riciclo in generale e della gomma riciclata da PFU nello specifico.

    

A vincere la XII edizione del premio sono state le classi dell’Istituto Comprensivo Pianciani-Manzoni di Spoleto con il video Nuova vita ai PFU-Ecopneus sei un eroe e quelle del Liceo Linguistico Gandhi di Narni Scalo con il video Destinazione Futuro. I lavori dei ragazzi erano incentrati sul corretto riciclo del materiale in esame e sono stati giudicati dai tecnici del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di Ecopneus e Legambiente. La società, quindi, premierà le due scuole, con un campo da basket 3×3 in gomma riciclata, per promuovere anche la legalità e la tutela ambientale.

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Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.

By : Aldo |Marzo 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.

Come sottolineato più volte, il cambiamento climatico comporta delle modifiche in tantissimi ambiti. Eppure, ogni giorno si parla di un nuovo settore in cui si riscontrano nuove problematiche e/o innovazioni correlate a questo tema. Oggi si parla anche delle assicurazioni.


I danni dei fenomeni estremi

Negli ultimi anni, i danni legati ai cambiamenti climatici hanno raggiunto cifre allarmanti. Nel 2023, in particolare, si è registrato un significativo aumento rispetto agli anni precedenti incrementando esponenzialmente i costi economici ad essi correlati. I numeri da capogiro sono tali da gravare pesantemente sul bilancio delle nazioni coinvolte. In Italia, gli eventi estremi si sono moltiplicati, con un numero record di disastri naturali come alluvioni, ondate di calore, e incendi boschivi. Questi hanno causato danni devastanti alle infrastrutture, all’agricoltura e alla vita delle persone.

    

Pertanto, si rafforza la necessità di adottare misure concrete per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici, poiché il costo umano, economico e ambientale continua a crescere in modo inarrestabile. Il peso economico di tali fenomeni viene studiato ed è diventato una tematica rilevante anche nell’ambito delle assicurazioni, con non pochi dubbi, richieste e scontri di pensiero.

    

Il cambiamento delle assicurazioni

Le assicurazioni di tutto il mondo sono ormai entrate in un vortice che riguarda i risarcimenti per danni legati ai fenomeni estremi, riconducibili al cambiamento climatico. La questione risulta complicata poiché nello stesso momento le compagnie stanno aumentano le franchigie e i premi ed alcune addirittura negano le coperture, con conseguenze che ricadono su cittadini ed imprese.

   

Sebbene non si tratti di una questione semplice è ancora più complicato spiegare i movimenti finanziari e le decisioni alla base di tale mercato, tanto da coniare un termine: uninsurability crisis. Un esempio che può spiegare la situazione è quello riguardante la Florida, dove i prezzi delle assicurazioni per le case sono triplicati. A causa dell’aumento della frequenza degli uragani e della loro potenza, si è passati dai 1988 dollari del 2019 ai 6.000 dollari di oggi.  

   

Sicuramente la Penisola italiana non ha registrato gli stessi danni degli Stati Uniti, ma l’allerta è aumentata da qualche anno. Difatti, dopo le grandinate dello scorso luglio, sono arrivate tantissime segnalazioni dei cittadini che addirittura non riuscivano più ad acquistare coperture per gli eventi atmosferici, vista l’enorme domanda. Fino al 2022 si trattava di un anno stabile, mentre il 2023 ha registrato delle cifre oltre le previsioni, tanto da far dubitare gli esperti sull’eccezionalità della questione.

 

Il sistema assicurativo

Le assicurazioni funzionano poiché esiste il concetto di “mutualità”. Per tale sistema, ci si assicura per tutelarsi dall’imprevisto (che nella gran parte dei casi non si verificherà). Tuttavia, la somma dei premi raccolti consente di risarcire chi riporta il danno: si tratta di una scommessa (calcolata con modelli matematici) per le compagnie e per il singolo, che però alimentano un sistema globale. Quindi se si verifica un uragano, si registreranno perdite ingenti, che saranno compensate comunque dalla raccolta dei premi effettuata in altre aree. Così non si ci sono problemi per il riassicuratore.

   

Sebbene si tratti di un sistema consolidato, si evidenziano le lacune quando si tratta di danni legati al clima, poiché aumenta la frequenza e la potenza degli eventi nello stesso momento in tutto il mondo. In questo caso, non ci si può rifare al concetto di mutualità e per questo diventa difficile calcolare nuove polizze, nuovi premi o contratti.  Soprattutto perché gli obiettivi degli assicuratori è quello di continuare a garantire tali protezioni al cliente, senza venire meno alle logiche economiche del mercato.

   

C’è da dire però, che il rialzo dei premi non dipende solamente dal fattore climatico ma anche dall’inflazione e da tutti i fenomeni macroeconomici globali. Lo Stato italiano si è mosso in questo senso, con la nuova legge di bilancio, la quale impone che le imprese si assicurino contro i rischi catastrofali entro la fine del 2024. Così facendo il bacino dei clienti viene ampliato consentendo lo sviluppo del concetto di “mutualità”.

   

Considerazioni generali

Le perdite economiche globali (calcolate per il 2022) per danni correlati a quattro tra i fenomeni meteo principali (inondazioni, cicloni tropicali, tempeste invernali in Europa e temporali di grande intensità), ammontano a ben 200 miliardi di dollari. Dove solo gli USA ne contano 97 miliardi, mentre l’Italia è al 17° posto con 2.3 miliardi (0.11% del PIL).

   

Il trend dei fenomeni estremi aumenta, ma quelli come la grandine a luglio, sono dei rischi impliciti per chi fa assicurazione. Il caso è diverso se gli eventi sono di portata e frequenza maggiore, per cui è necessario diminuire la vulnerabilità. Per far si che si riduca la vulnerabilità c’è bisogno di investimenti nelle opere di adattamento di ogni Paese, o almeno questo è quello che alcuni gruppi affermano.

    

C’è chi invece è contrario a tale dichiarazione, che sembra quasi uno scaricabarile sugli Stati. Difatti, evidenziano come proprio le assicurazioni finanzino spesso e volentieri attività ed economie che alimentano il cambiamento climatico, come le estrazioni di combustibili fossili. Nonostante ciò, imporre alle compagnie assicurative e ai suoi clienti di ridurre le emissioni, non sembra essere una buona strategia. Questo perché l’obbligo ha portato ad un aumento delle polizze, gas e altri servizi.

   
Sicuramente è un argomento delicato, fatto di tantissime ipotesi, rischi e calcoli matematici. Non si tratta di un tema facilmente comprensibile per tutti, ma in qualche modo, parlarne può potare ad una maggiore sensibilizzazione di tutto il mondo.

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L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.

By : Aldo |Marzo 14, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.

Si sa che l’Italia è impegnata a mantenere salde certe tradizioni, che non riguardano solo l’aspetto culinario ma anche produttivo. Il Paese che vanta secoli di storia detiene anche grandi esempi di virtuosità legati al settore sostenibile. Ecco il caso della biocantina Orsogna.

    

Il virtuoso Abruzzo

L’Abruzzo è una regione che si distingue per il suo forte impegno ambientale per mezzo di importanti progetti e politiche. Non a caso oltre il 30% del territorio è parte di riserve naturali e aree protette, tra cui

  • il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise;
  • il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
  • il Parco Nazionale della Majella.

Tale attenzione è determinata anche dall’elevata percentuale di biodiversità che presenta tra flora e fauna, che va oltre il 40%. Inoltre, la regione spicca per la sua riduzione significativa delle emissioni di CO2 del 20% negli ultimi dieci anni.  Un ulteriore settore rilevante per il territorio è quello della produzione biologica, che rappresenta oltre il 10% della produzione agricola totale. Questa specialità è talmente importante e che negli ultimi 5 anni, il 15% delle aziende agricole hanno adottato pratiche biologiche. Tale scelta influisce non solo sulla produzione e sul consumo di alimenti di qualità, ma ha un forte impatto anche nell’economia locale, favorendo inoltre il turismo ecologico. Quest’ultimo è cresciuto del 25% valorizzando la natura, le tradizioni e la produzione e favorendo sviluppo sostenibile della regione.

    

L’Abruzzo si sta rinnovando attraverso un nuovo modo di pensare il consumo del suolo e la produzione di cibo, rispettando gli ecosistemi, incrementando la sostenibilità del territorio stesso.

   

Il caso della Bio Cantina Orsogna

La virtuosità della regione è dovuta anche o principalmente alle scelte delle aziende, che decidono di approcciarsi alla produzione in maniera innovativa. Tra i tanti nomi però spicca quello della Bio Cantina Orsogna, un esempio di eccellenza nell’ambito della sostenibilità.

    

Nel 1964 35 viticoltori idearono la Cantina Sociale del paese per unire le loro produzioni agricole. Sin dall’inizio, la produzione vinicola era una delle attività principali della zona, non a caso si contavano più di 40 grandi cantine cooperative. La rilevanza della cooperativa è evidente poiché si impegna non solo nelle sue attività ma si sviluppa su un concetto complessivo di produzione. Per questo è sempre stata attiva nella salvaguardia ambientale, la conservazione delle conoscenze e la produzione di vini di qualità.

    

Nel 1995 è iniziato percorso di conversione al biologico ha coinvolto il 100% della superficie vitata nel 2022 contava 1400 ettari, mentre il 45% è dedicato all’agricoltura biodinamica (Demeter) dal 2003. Grazie a tale impegno e dal 2022 tutti i vignaioli della cooperativa sono stati certificati per la biodiversità degli agroecosistemi (Biodiversity Friend®).

    

La produzione

È chiaro che si tratti di una realtà che ha a cuore il suo territorio e non solo. Perché questo tipo di dedizione e di approccio alla produzione con una filosofia totalmente nuova è frutto di una grande attenzione anche verso le generazioni future. Precisamente la cooperativa segue la “filosofia agricola” ispirata al pensiero di Rudolf Steiner, il quale creò una visione quasi spirituale della produzione di alimenti.

    

Una filosofia che introduce nella cura della vigna, una serie di riti, attenzioni e pratiche per la creazione del miglior prodotto. Si tratta di un modello “biodinamico” che unisce pratiche per la coltivazione al concetto di energia vitale del suolo. Un nuovo modo si pensare l’agricoltura che tuttavia non si ferma alle nuove generazioni, perché la cooperativa è disposta a formare i viticoltori della zona che possano comunque portare avanti le tradizioni con la loro esperienza e la loro manodopera.

     

Un’altra eccezione di questa realtà è il suo successo, perché al contrario di quello che si possa ipotizzare, la Bio Cantina produce tra i 2 e i 2,5 milioni di bottiglie all’anno. In particolare, vende Trebbiano d’Abruzzo, Malvasia, Moscato, Passerina, Cococciola, Pecorino, Chardonnay, Montepulciano e Sangiovese. In più, lavora con fermentazioni spontanee, grandi vasche interrate o anfore d’argilla per la Malvasia.

   

Si tratta a tutti gli effetti di una produzione a ciclo chiuso, autosufficiente e sostenibile, poiché niente viene sprecato o lasciato a se. Oltre alle pratiche già note, come l’utilizzo del letame per la concimazione del suolo, la pratica del sovescio, il pascolo di ovini nei vigneti, si punta a innovare ancora di più il sistema. Infatti l’idea della cooperativa è quella di coltivare piante erbacee tra le viti, per ridurre al minimo la monocoltura intensiva (pratica diffusa e altrettanto negativa per gli ecostistemi).

   

Il tutto è pensato per produrre alimenti, vini ed altro riducendo al minimo l’impatto umano sulla terra. In questo caso, la Bio Cantina Orsogna ne è un modello impeccabile.

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La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

By : Aldo |Marzo 11, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

La sostenibilità è un argomento sempre più importante dei nostri giorni, dalla quotidianità dei cittadini agli investimenti delle aziende. Di recente però, questo tema ha raggiunto un grande settore nell’ambito dello sport europeo, la UEFA.

L’impatto del calcio

Il calcio ha una grandissima influenza sulla società e l’economia internazionale. È probabilmente lo sport più seguito e popolare con oltre 4 miliardi di fan in tutto il mondo, un gioco che unisce tutti ed elimina qualsiasi tipo di barriere linguistiche, culturali e socioeconomiche. In questo modo contribuisce alla coesione sociale e comunitaria (nonostante ultimamente si siano verificate situazioni spiacevoli sotto questo punto di vista).

Tale portata è riflessa, anche in modo ampliato, all’economia globale, non a caso le entrate mondiali legate a questo sport hanno toccato i 30 miliardi di dollari annui. Tale processo è definito attraverso le grandi competizioni, come le famose “Coppe” della FIFA, la UEFA, la Champions Legue, l’Europa Legue e tanto altro. Questi eventi hanno un enorme impatto sociale, mediatico, turistico e dunque economico perché i tifosi si spostano, conoscono nuovi luoghi, frequentano ristoranti e alloggiano in hotel, compreranno gadget ed altro.

Sebbene sia una macchina gigante con alle spalle un mercato infinito, non sono solo questi gli ambiti in cui ha un impatto rilevante. Infatti, il calcio, con le sue molteplici attività, iniziative ed altro ha un grande impatto anche sull’ambiente: emissioni di carbonio, consumo di risorse naturali, trasferte, sono solo alcuni dei fattori analizzati.

Il “calcio” all’ambiente

Come citato pocanzi, sono tantissime le attività correlate al calcio, che hanno degli effetti più o meno negativi sul pianeta. In primis si parla di trasferte, che rappresentano il 40% dell’inquinamento ambientale correlato alla mobilità dei tifosi, mentre una partita europea produce ben 4,2 tonnellate di emissioni di CO2 (750 ton l’anno). Senza contare quanto spazio occupano le infrastrutture degli stadi che determinano una maggiore urbanizzazione e all’uso intensivo del suolo, con conseguenti impatti sulla biodiversità e sulle risorse idriche. E poi ovviamente i consumi di energia e tutti i servizi necessari a supportare migliaia di persone ogni weekend negli spalti.

Ovviamente tutto ciò non vuol dire che il calcio abbia solo lati negativi, ma allo stesso tempo ha un’influenza talmente importante che, se potesse apportare dei cambiamenti potrebbe fare veramente la differenza.

Già alcune società hanno iniziato a investire nelle energie rinnovabili per alimentare i propri stadi ma serve di più. Ed è per questo che la UEFA ha presentato il nuovo progetto, per cambiare il settore calcistico e migliorare la sua sostenibilità.

Carbon footprint calculator

Proprio il 6 marzo la UEFA ha presentato il progetto al quale lavorava da ben 2 anni: il cabron footprint calculator. Si tratta del primo calcolatore di impronta carbonica dedicato a tutte le organizzazioni calcistiche europee, uno strumento che le guiderà ad una maggiore sensibilizzazione e approccio alle innovazioni green nel settore. Il programma è stato introdotto dal direttore Social and Environmental Sustainability Michele Uva, durante una conferenza all’Emirates Stadium di Londra, che ha descritto tutte le novità e le iniziative di tale progetto.

Come prima cosa bisogna sottolineare che l’iniziativa promuove un software gratuito che permetterà a tutti i club e federazioni di seguire un metodo unico e certificato, per calcolare la propria impronta. Il programma è basato sul GHG Protocol, un metodo di calcolo certificato a livello internazionale che aiuta aziende, società, amministrazioni ed enti nel conteggio della CO2 emessa. La particolarità di questo progetto riguarda il coinvolgimento delle squadre stesse come l’Arsenal, la Roma e il Manchester City, le Federazioni calcio francese, olandese, austriaca, la Premiere League ma anche l’ONU e l’UNFCCC.

Per quanto riguarda le principali voci di emissioni di CO2 considerate, si citano:

  • la costruzione di nuovi stadi;
  • gli spostamenti di squadre e tifosi;
  • l’elettricità consumata durante gli eventi;
  • la gestione dei rifiuti.

Si tratta di poche voci ma significative, soprattutto quella legata agli spostamenti che sappiamo non essere proprio attenti all’ambiente e ai consumi di energia. Anche perché tutto questo non vale solo ed esclusivamente per i grandi club, ma anche per tutto il mondo dilettantistico o professionale ma di categoria inferiore. Infatti, si conta che ogni settimana 40 milioni di ragazzi in Europa giochino a calcio: questo significa che si spostano, muovendo famiglie e staff. Se poi ci aggiungiamo anche i 450 mila tifosi l’anno per la UEFA, il quadro della situazione è abbastanza chiaro.

In conclusione

Il progetto mira a cambiare l’impegno del calcio, per far si che la sua grande influenza possa anche portare un beneficio ambientale e quindi un miglioramento della vita di tutti. L’idea è quella di calcolare le emissioni di CO2 della finale di Champions, per poi moltiplicare quella quantità per il prezzo di una tonnellata di anidride carbonica (attualmente tra i 50 e i 60 euro, ndr). Così facendo si raccoglierebbe una somma destinata a finanziare progetti sostenibili, nelle squadre di territori più difficili o di piccole squadre, per aiutarle a migliorarsi. Quindi in occasione dei Campionati europei in Germania, è stato aperto un fondo per aiutare  i club dilettantistici che investono sull’ambiente. Un piano da 7 milioni di euro che conta già 1700 richieste.  

  

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Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.

By : Aldo |Marzo 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.
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Che l’Europa si stia muovendo per una neutralità climatica è evidente. Norme, iniziative e obblighi sono all’ordine del giorno e dovrebbero essere anche per i suoi Stati membri. In Italia, per esempio, si è palesata la volontà di monitorare maggiormente le condizioni delle regioni in questo senso. Ecco perché è nato il database CIRO.

    

Neutralità climatica

La sfida della neutralità climatica rappresenta un obiettivo cruciale per il quale, il mondo intero, considera urgente la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici. In Italia, il percorso verso la neutralità climatica è iniziato con l’adozione di diverse iniziative chiave, tra cui l’approvazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile nel 2017 e l’impegno nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) nel 2020.  Questi testi fissano obiettivi ambiziosi, sebbene la strada verso la neutralità climatica sia ancora lunga e con grandi sfide da affrontare.

    

Ad oggi, l’Italia ha fatto progressi importanti in questo senso con una riduzione delle emissioni di CO2 del 27% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi stabiliti e superare le sfide legate alla decarbonizzazione di settori dell’economia fondamentali, come l’energia, i trasporti e l’industria. Tale transizione richiederà un enorme sforzo e impegno costante da parte di tutti, dal governo ai cittadini per mezzo di nuove politiche, abitudini e adeguati finanziamenti.

    

Il database CIRO

Italy for Climate ha scelto otto “temi” per valutare le prestazioni climatiche delle Regioni italiane, tra cui emissioni, energia, rinnovabili, edifici, industria, trasporti, agricoltura e vulnerabilità. Questi ambiti sono considerati fondamentali per valutare i progressi verso la neutralità climatica dei territori ma non solo. Sono necessari per comprendere gli effetti delle azioni intraprese finora a livello locale, ma anche i rischi derivanti dal riscaldamento globale a seconda dell’area e delle comunità.

     

Per rendere questo monitoraggio possibile è stato inventato CIRO (il database delle Regioni sul clima) il quale ha identificato due o più “indicatori chiave” per ciascun tema. Così facendo è in grado di mostrare una panoramica aggiornata e dettagliata dei cambiamenti nel tempo. Italy for Climate, per questo programma si è avvalsa dei dati di istituzioni italiane autorevoli nel settore dell’ambiente, dell’energia e della mobilità, tra cui Ispra, Istat, Enea, Gse, Terna, Aci, Mims, Mipaaf. In tal modo le istituzioni sono capaci di migliorare le condizioni del proprio territorio con nuove pratiche per affrontare la sfida della neutralità climatica. Le 8 tematiche evidenziate dall’istituzione, comprendono ben 26 indicatori su cui nasce CIRO.

   

Le emissioni

Gli indicatori considerati per valutare le emissioni in una regione includono le “Emissioni pro capite di gas serra”, che considerano i livelli di consumo energetico, l’uso di fonti fossili, e le attività industriali e agricole, e gli “Assorbimenti”, che misurano le emissioni di gas serra assorbite dai sistemi naturali, soprattutto forestali, in rapporto alla superficie regionale. Valori negativi indicano che le emissioni superano l’assorbimento, come nel caso della Sicilia.

    

Per l’energia Energia e le rinnovabili

In questo caso si valutano i consumi energetici regionali considerando:

  • i consumi finali pro capite, che rappresentano il fabbisogno energetico individuale e includono contributi da tutti i settori,
  • il mix energetico primario ossia la percentuale di energia derivante da fonti, sia fossili che rinnovabili, per soddisfare il fabbisogno energetico regionale.

Secondo dei dati già 14 regioni italiane sono coal free (quindi non consumano più carbone).

Mentre per le fonti energetiche rinnovabili, l’Italia si concentra sullo sviluppo dell’eolico, del solare e dell’idroelettrico. Tra i suoi indicatori sono compresi:

  • La quota di consumi energetici da rinnovabili;
  • Nuovi impianti rinnovabili;
  • Comunità energetiche rinnovabili (attivate nel 2022). Il Veneto si distingue per la maggioranza di 13 nuove.

Per le infrastrutture e trasporti

Per gli edifici si ha una suddivisione in 4 parti quali:

  • Emissioni pro capite di gas serra degli edifici;
  • Consumi di energia degli edifici;
  • Quota di consumi elettrici negli edifici;
  • Quota di edifici in classe A.

In questo caso per mancano i dati della Campania e della Sardegna. Insieme alle infrastrutture, i trasporti rappresentano un punto cruciale della transizione. Infatti, in questo caso gli indicatori riguardano:

  • Emissioni pro capite di gas serra dei trasporti
  • Numero di automobili (ogni mille abitanti)
  • Passeggeri trasportati dal trasporto pubblico locale
  • Quota di auto elettriche nelle nuove immatricolazioni

Per il settore industriale, agricolo e la vulnerabilità 

Anche nell’industria ha il suo dovere e deve portare le sue modifiche e a tal proposito si parla si individuano i seguenti criteri:

  • Emissioni di gas serra dell’industria per valore aggiunto: tonnellate di CO2 equivalente emesse per milione di euro di valore aggiunto dei settori manifatturiero e edile:
  • Consumi di energia per valore aggiunto: tengono conto di tutte le fonti fossili e rinnovabili (come le biomasse), oltre che dei consumi elettrici.

Per concludere si cita anche il settore dell’agricoltura che come già evidenziato ha un grande impatto nell’ambito delle emissioni. Anche qui ritroviamo le emissioni pro capite seguite dai “capi bovini allevati (ogni 1000 abitanti)”, la “quota di agricoltura biologica” e “l’utilizzo di fertilizzanti” (kg di azoto per ettaro). E infine si descrive la vulnerabilità, per descrivere quali aree e regioni siano più soggette a danni ed effetti del cambiamento climatico in base al tasso di consumo del suolo e delle perdite della rete idrica e la quota di popolazione esposta al rischio alluvione.

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Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

By : Aldo |Marzo 05, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

Il problema dello scarto alimentare è un tema che riguarda tutti quanti in modo concreto. Tra gli scarti domestici e quelli delle aziende agricole, si contano migliaia di tonnellate di prodotto con grandi potenzialità che non vengono sfruttate. E per questo che in Italia la ricerca in questo senso sta aumentando per una maggiore circolarità.

    

Gli scarti agroalimentari

Gli scarti alimentari rappresentano un grave problema a livello globale, con importanti implicazioni ambientali, economiche e sociali. Nel mondo si stima che oltre il 33% di tutti gli alimenti prodotti vada sprecato, ossia circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno. Questi scarti contribuiscono in maniera significativa all’aumento delle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Inoltre, rappresentano un enorme spreco di risorse idriche e di terre coltivabili. In Italia la situazione non è diversa poiché stima che ogni anno vengano prodotti circa 5,1 milioni di tonnellate di scarti agroalimentari, che corrispondono a circa il 15% del totale della produzione alimentare nazionale.

   

Ridurre tali scarti è una sfida cruciale da affrontare e risolvere il prima possibile per garantire la sostenibilità del nostro sistema alimentare e preservare le risorse naturali per le generazioni future. A questo proposito sono già in azione strategie di miglioramento della gestione delle filiere alimentarie di sensibilizzazione dei consumatori. Tuttavia, queste pratiche dovrebbero essere supportate dall’implementazione di politiche pubbliche mirate possono che contribuiscono a mitigare questo problema globale.

   

Gli scarti dei carciofi

Per affrontare tale problema c’è chi si è focalizzato sugli scarti di un ortaggio specifico, il carciofo. Ma perché proprio i carciofi? In Italia, l’annuale produzione e consumo di Cynara cardunculus (dati Ismea 2020), si aggira intorno alle 378 mila tonnellate. Purtroppo, però, gli scarti derivanti da questa produzione rappresentano oltre il 60% del totale raccolto, fino ad un 75% nelle lavorazioni industriali. Tali cifre evidenziano un grave problema che necessita soluzioni efficaci e sostenibili.

   

Se si pensa poi alla totale produzione di ortaggi, si può solamente immaginare quanto materiale venga eliminato nell’industria, e quanto potenziale esiste tra gli scarti. Proprio per rimediare a tale problema sono nate startup o grandi aziende hanno investito nella ricerca per poter migliorare ed efficientare la loro produzione.

   

La farina Karshof

Circular Fiber è una startup fondata da Luca Cotecchia e Nicola Ancilotto. I due hanno deciso di lavorare la parte erbacea più dura dei carciofi per produrre la Karshof. Si tratta di una farina funzionale ad alta digeribilità, priva di glutine, a basso contenuto di zuccheri ma ricca di fibre (60%), proteine (13%) inulina e cinarina. L’idea è nata dalla tesi di laurea di 5 studenti del master MBA al MIB Trieste School of Management ed è parte del progetto Terra Next di Fondazione Cariplo. Quest’ultimo sostiene l’innovazione nell’ambito della bioeconomia e dell’agricoltura rigenerativa.

    

Il programma prevedeva la formazione di una filiera del carciofo per sfruttare tutto lo scarto possibile. Purtoppo però l’idea è stata abbandonata in poco tempo vista la deperibilità del prodotto che non consente la sua lavorazione in zone lontane dal luogo di produzione. Tale difficoltà ovviamente riguarda l’intera produzione agroalimentare, che spreca fino al 30% della materia prima nell’UE. La  situazione descritta determina enormi perdite economiche oltre ad essere responsabile del 26% delle emissioni di gas serra.

    

Produzione e investimenti

Quindi i due founder di Circular Fiber hanno pensato ad una serie di succursali vicine alle aree di coltivazione e raccolta dei carciofi. Nonostante il progetto sia conveniente e possa effettivamente cambiare il settore, esiste un problema più grande legato ai macchinari. Perché un impianto per la lavorazione degli scarti dell’ortofrutta può costare anche 1.5 milioni di euro a modulo. Questi ultimi sono fondamentali per la trasformazione dello scarto in farina o comunque per produrre altri materiali; quindi, per poter affrontare tale sfida sono necessari anche dei grandi investimenti.

    

I sistemi necessari sono costosi a causa delle caratteristiche dello scarto stesso. Infatti, per produrre la Karshof, serve arrivare ad una fibra secca al 7% di umidità, mentre il carciofo parte da un tasso dell’80%. Per raggiungere le giuste condizioni servono degli essiccatori potenti come quelli del tabacco che eliminano il 75% di umidità in pochi minuti, ma proprio questi sono molto costosi. Circular Fiber ha avuto la possibilità di integrare tali moduli grazie all’investimento di un grande trasformatori della zona, che di recente è entrato nella società. Di certo, non tutti i coltivatori e produttori d’Italia hanno questa fortuna e dunque un diverso utilizzo degli scarti resta una possibilità remota.

    

Spostamenti e sostenibilità

Come anticipato, oltre a tutte le difficoltà citate, in questo settore manca una filiera. Pertanto l’idea dei fondatori di Circular Fiber è quella di far si che la materia possa essere trasformata in zone limitrofe per evitare trasporti lunghi, costosi e inquinanti.

    

Il progetto è quello di produrre farina direttamente nei luoghi di coltivazione e lavorazione dei carciofi, creando così un consorzio di riferimento che consentirà anche di lavorare scarti di altri alimenti.  Così facendo si ridurrebbero gli spostamenti, il tempo e le emissioni di CO2 e i costi legati al carburante e all’energia.

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La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

By : Aldo |Marzo 04, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

La riforestazione è una strategia di compensamento sempre più in voga per varie ragioni, che siano la facilità nel finanziare tali operazioni o i vantaggi ambientali, economici e sociali che ne derivano. Di certo è un sistema necessario per affrontare il cambiamento climatico, rappresenta infatti una soluzione rilevante. Tuttavia, c’è chi si domanda se si tratti ancora di un metodo efficace, che possa effettivamente determinare una riduzione delle emissioni di CO2 dall’atmosfera in modo significativo.

   

Il compensamento

Con la ricerca e lo studio dei cambiamenti climatici, sono nate tante soluzioni per limitare i loro danni e per rallentare la loro avanzata. Infatti, più si va avanti e più si hanno idee per frenare questo imponente cambiamento. Uno tra i tanti, legato alla riduzione delle emissioni di carbonio in atmosfera è il compensamento del carbonio.

   

Il compensamento del carbonio è un approccio fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. È una strategia che mira a ridurre le emissioni di gas serra per mezzo di varie procedure, tra cui la più scelta, la riforestazione. Un processo per cui si piantano alberi in specifiche zone del mondo, per assorbire CO2 dall’atmosfera, immagazzinandolo nel legno o nel suolo.

    

Sebbene sia una pratica nata per diminuire i gas serra nell’atmosfera, è un sistema che consente di apportare rilevanti benefici all’ambiente. Per esempio, promuove la biodiversità e ne preserva gli ecosistemi, mitiga gli effetti dell’erosione del suolo e contribuisce a ripristinare e proteggere gli habitat naturali.

    

La riforestazione

La riforestazione è una pratica che negli ultimi anni ha subito una crescita significativa e forse in alcuni casi è quasi diventata una moda. Tuttavia, è una strategia di cui si discute già da vari decenni, in diversi contesti scientifici ed ambientali. Di certo ha acquisito ancora più valore e risonanza con l’accentuarsi della perdita di biodiversità e con l’incremento degli effetti del cambiamento climatico. Così nel 1992, con la ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si include la riforestazione nei meccanismi di mitigazione.

  

Da lì, nell’arco di qualche anno, le aziende di tutto il mondo hanno accolto l’occasione di investire in maniera massiccia in tale strategia. Di seguito sono nate società e startup che hanno facilitato le procedure di questi investimenti e hanno fatto diventare la riforestazione una “cosa” per tutti. In altre parole, chiunque può adottare alberi in tutto il mondo favorendo la crescita di nuovi habitat e non solo. Perché spesso le aziende che si occupano di questa pratica investono anche per quanto riguarda l’ambito sociale ed economico di zone e persone che si occuperanno dei futuri alberi.

   

Insomma, la riforestazione al giorno d’oggi è un’attività alla portata di tutti, in cui si investe sempre più. Ma c’è chi crede che non sia più la strategia più efficace di compensamento per molteplici ragioni che andremo ad analizzare.

    

L’indagine di Runsheng Yin

Il professore Runsheng Yin di economia forestale presso la Michigan State University (USA), ritiene che questo modello di compensamento sia ormai sopravvalutato. Precisamente crede che alcuni meccanismi sovrastimino il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte. Il docente ha pubblicato di recente un libro in cui spiega cosa sta accadendo proprio in questo settore dal nome Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance. Con il testo curato da Taylor&Francis Group, Yin, afferma che i massicci investimenti fatti in questo senso non sono efficaci come si crede.

   

Quindi, sottolinea la necessità di modificare il metodo di calcolo del valore dei carbon credit. Un sistema che tutt’oggi insinua dubbi sulla sua efficacia e trasparenza, ma sul quale molte aziende confidano, poiché rappresenta un modo facile e veloce di investire nell’ambiente senza troppi pensieri. Infatti, come riporta uno studio pubblicato su Science, la maggior parte dei programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. Mentre quelli che effettivamente hanno un potere di riduzione delle emissioni, presentano delle percentuali molto inferiori rispetto a quella prevista e dichiarata al principio.

   

Successivamente, illustra i risultati di un suo studio sul processo di sequestro e stoccaggio del carbonio di una foresta presentando una “sopravvalutazione” del meccanismo studiato. Infatti, attraverso l’indagine ha verificato che la quantità di crediti di carbonio ottenibili da un terreno sono sovrastimati di almeno 3 volte. Questo perché non si tiene conto degli alberi che verranno tagliati perciò del tempo necessario al carbonio immagazzinato di rientrare in atmosfera ed è importante considerare la finalità di legno come prodotto. Se viene impiegato in altri oggetti o se viene bruciato può reimmettere emissioni nell’atmosfera. Perciò è necessario che il carbonio resti immagazzinato nel legno per un periodo abbastanza lungo da considerarlo “permanente”, perché il credito sia efficiente.

   

Lo studio così mette in discussione modelli non controllati che non considerano le possibili trasformazioni del legname, una volta abbattuti gli alberi. Si tratta di un nuovo concetto che potrebbe portare ad un miglioramento dei sistemi di carbon credit e dunque di un efficientamento del compensamento di CO2 nel mondo.

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