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Il riciclo meccanico non basta, ma quello chimico è davvero sostenibile?

By : Aldo |Maggio 09, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il riciclo meccanico non basta, ma quello chimico è davvero sostenibile?

La raccolta differenziata serve per il riciclo e la creazione di nuovi prodotti. La circolarità del sistema non è difficile da capire, ma forse complessa da portare a termine.

In questo campo infatti, la plastica resta uno dei punti interrogativi più grandi del settore.

         

Il Green Deal europeo

Dopo aver dichiarato l’emergenza climatica (nel 2019) il Parlamento europeo presenta il “Green deal” come un piano d’azione per attenuare l’impatto ambientale dell’Unione.

Tale strategia, vista come l’ultima e una delle più importanti iniziative dell’UE sul clima ha come obiettivo la neutralità climatica.
  

Il programma è basato sui punti cardine dell’agenda 2030, elevando la propria missione con obiettivi più ambiziosi. Un esempio, quello di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).

Per quanto riguarda la plastica invece, si punta ad una riduzione complessiva di rifiuti del 37% attraverso il riutilizzo e il riciclaggio.

Ci sarà un cambio di rotta obbligatorio delle imprese che dovranno offrire un’etichettatura degli imballaggi riutilizzabili se non una loro riduzione (per quanto possibile).
    

L’obiettivo è quello di eliminare imballaggi monouso per gli alimenti, soprattutto nel campo della ristorazione e di altri prodotti nell’hotellerie.

Un ulteriore passo importante riguarda i tassi vincolanti di contenuto riciclato che le aziende dovranno includere negli imballaggi di plastica. Aumentando in tale modo il valore del materiale riciclato.

         

Il parere di Zero Waste

Nonostante ciò, secondo la rete Zero Waste Europe il riciclo della plastica non è esattamente sostenibile come si pensa.

Ovvero esistono due tecniche di riciclo per i polimeri: quello meccanico e quello chimico. Di norma si predilige il primo ma spesso non è efficace come il secondo, o non è adatto a tutti i tipi di rifiuti.

Questo rappresenta un problema poiché il metodo chimico prevede una maggiore emissione di CO2 legata ai vari step, soprattutto quelli termici.

Per rispettare le linee imposte dal patto europeo, il metodo meccanico sembra non bastare quindi si tratta di una situazione contraddittoria se considerata la sua sostenibilità.
     

Metodo chimico

Riguarda la decomposizione dei polimeri di cui è fatto il prodotto in questione. Si procede alla divisione per mezzo di calore, catalizzatori o agenti chimici.

Grazie a tali meccanismi si ottiene una grande quantità di materie prime che possono essere impiegate nuovamente, con le stesse caratteristiche della materia prima vergine.

Tale sistema detto anche di “riciclo avanzato” ed è attualmente l’unico metodo efficace per il trattamento dei rifiuti di plastica.
     

Tuttavia, le analisi svolte su questa metodologia di riciclo hanno sollevato dei grandi dubbi, poiché contraddicono la sostenibilità tanto proclamata del sistema.

Il report di Zero Waste Europe, afferma che il riciclo chimico serve solo in casi particolari e dovrebbe essere scelto esclusivamente dopo quello meccanico.

Unicamente i prodotti con materiali durevoli e degradati che non possono essere decomposti in altri modi, dovrebbero passare al riciclo avanzato.

Inoltre, l’intero processo richiede grandi quantità di acqua ed energia e immette nell’ambiente grandi quantità di sostanze chimiche, che inquinano l’ambiente.
         

Cosa fare?

Questo non vuol dire che si tratti di un sistema non sicuro o da evitare, ma da scegliere in maniera appropriata.

Per far si che ciò accada serve un’ampia campagna di prevenzione e precauzione, in primo luogo delle aziende, in modo da cambiare il problema all’origine.

Si ipotizza una maggiore attenzione al design e alla qualità del prodotto, per renderlo riciclabile con il metodo meccanico.

Oppure sarebbe auspicabile un miglior consumo delle risorse, tra le quali l’energia, se non altro prendere in considerazione il taglio netto della plastica.

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Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.

By : Aldo |Maggio 08, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.
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Ogni giorno si scoprono nuove vie per ridurre l’impatto ambientale delle nostre attività e i relativi costi.

Senza dubbio la continua capacità di innovarsi è una qualità positiva per il mondo, la salute e l’economia di tutti.

      

Bitzer Italia

Il leader mondiale per la produzione di compressori (cuore degli impianti di refrigerazione) si interroga da tempo su come essere più green.

Sicuramente, essendo il maggior produttore di compressori nel settore, può migliorare le tecnologie e efficienza dei suoi prodotti ma può fare molto di più.

   

Per questo, Piero Trevisan, Direttore generale di Bitzer Italia ha da poco diffuso un’infrastruttura digitale per i suoi partner che li aiuti a tal proposito.

L’azienda ha condiviso con il BITZER Digital Network (BDN), una piattaforma che consente ai soci di verificare le condizioni ottimali dei prodotti.

      

Dunque, la piattaforma offre una soluzione semplice per monitorare gli impianti grazie ai Moduli IQ, gestendo ed archiviando le loro informazioni e applicazioni.

Inoltre, per mezzo di questo servizio si possono organizzare interventi di manutenzione veloci, dato che certificazioni, specifiche tecniche e altri dati sono nel sito.

      

Impianti più green

L’idea di un portale per aiutare i partener ad essere più in equilibrio con l’ambiente deriva da un’attenta analisi di Trevisan.

Quest’ultimo crede che il momento storico che stiamo vivendo sia così delicato ma allo stesso tempo proficuo al punto che non si possa perdere tempo.

Non a caso, afferma l’importanza in tale periodo, di ridurre i consumi in modo da diminuire i costi massimizzando però l’efficienza dei propri impianti.

Solitamente i costi più alti sono correlati alle spese energetiche, per questo motivo di consiglia di andare oltre i soliti parametri di valutazione, in caso innovamento.

      

Quindi, se un’azienda volesse cambiare e ridurre il suo impatto dovrebbe prima analizzare il carico termico per individuare le soluzioni. Di questo passo si possono ridurre le dispersioni termiche, minimizzando il carico stesso.

In un secondo momento si procede con la massimizzazione dell’efficienza energetica della macchina, che produrrà solamente il freddo necessario.

     

Tali procedure sono più che fondamentali, se non altro perchè il costo dell’energia è un multiplo di qualche mese fa. Infatti, gli investimenti che riducono il consumo energetico hanno un ritorno particolarmente breve, di conseguenza è il momento migliore per investire nelle nuove tecnologie.

     

Le soluzioni

É importante ribadire che senz’altro ci sono delle linee guida per poter rendere l’industria e il prodotto più sostenibili.

Di norma di procede con la riduzione del fabbisogno frigorifero, modificando carichi termici e le dispersioni, isolando in modo ottimale l’impianto.

Si passa poi alla minimizzazione delle possibili emissioni dirette e si sceglie il refrigerante migliore per il caso (controllando anche il GWP). Infine, si minimizzano le emissioni indirette e dunque si ottimizza il consumo energetico dell’impianto.

Tuttavia, ci sono delle soluzioni che saranno individuali e specifiche caso per caso, che possono essere riscontrate dopo un’attenta analisi del problema.

               

É comunque auspicabile che ogni industria a prescindere dal settore in cui opera, faccia dei controlli periodici dei propri macchinari.

In tal modo, si possono risanare più facilmente e velocemente delle situazioni di minor efficienza o di mal funzionamento.

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Gli italiani sostengono il cambio di vita per risolvere la questione climatica.

By : Aldo |Maggio 04, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, plasticfree |Commenti disabilitati su Gli italiani sostengono il cambio di vita per risolvere la questione climatica.

Ogni giorno nel mondo vengono vagliate leggi, nuove misure e direttive per poter cambiare rotta rispetto alla crisi climatica.

Senza dubbio si tratta di iter spesso lenti e non del tutto pratici, ma risultano sempre più necessari col passare del tempo.

 

YouGov

YouGov, la società britannica internazionale di ricerche di mercato e analisi dati ha svolto uno studio ben preciso per determinare le idee vari paesi.

Il sondaggio riguardava la crisi climatica e mirava a determinare quanto le persone siano favorevoli a cambiare la loro vita per risolvere la questione climatica.

Per questo studio sono state intervistate oltre 1000 persone per ciascuno dei 7 stati coinvolti, quali Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Spagna, Danimarca e Svezia.

I risultati dell’analisi (svolta tra il 5 e il 24 aprile) dimostrano come gli italiani siano i più propensi a cambiare le proprie abitudini.

Gli italiani

Dopo aver elaborato i dati, è stato pubblicato il sondaggio in esclusiva sul “The Guardian”: le informazioni parlano chiaro e gli italiani sembrano pronti.

Innanzitutto, risultano i più preoccupati per la crisi climatica e i suoi effetti, probabilmente anche per la conformazione della penisola stessa.

Abbiamo una moltitudine di paesaggi, ambienti e caratteristiche uniche al mondo. La salvaguardia dell’ambiente e un’attenta vita sostenibile, proteggerebbero non solo la natura, ma anche la nostra economia e i tesori della storia che conserviamo.

Tale pensiero tocca l’81% degli intervistati italiani, mentre gli altri paesi arrivano a cifre inferiori fino alla Svezia che conta solo il 60%.

Siamo i più favorevoli a passare ai veicoli elettrici (+40%), a rinunciare a carne e latticini nelle nostre diete (anche con una legge, al 48%). Occupiamo il primo posto anche per la scelta di avere meno figli.

Inoltre, dopo gli spagnoli siamo i più propensi ad evitare l’automobile, scegliendo biciclette, trasporti pubblici e le camminate.  

Contemporaneamente siamo i meno inclini a pagare di più i voli per compensare le emissioni.

 

L’insieme

In generale tra 75% e l’85% degli intervistati è d’accordo sulla necessità di un lavoro di gruppo per poter cambiare effettivamente il futuro.

Allo stesso tempo però non sono tutti convinti sulle pratiche da mettere in atto per poter concretizzare tale trasformazione. In pratica si vuole risolvere attenuare la crisi climatica ma più una misura cambia lo stile di vita e meno viene sostenuta.

Per quanto riguarda la plastica il 40% (Danimarca) e il 56% (Regno Unito, Spagna e Italia) non acquisterebbe più prodotti monouso. Mentre tra il 63% (Svezia) e il 75% (Spagna) la vieterebbero

Di certo i sussidi dei governi per l’efficientamento delle abitazioni sono ben accetti da tutti (fino all’86% in Spagna). Tuttavia, gli spagnoli sarebbero favorevoli al 40% nel coprire tali costi personalmente.

La Germania accetterebbe per il 28% un cambio di abitudini alimentari mentre, il Regno Unito (24%) approverebbe una legge in tal senso.

Parlando invece dei trasporti ci sono delle opinioni contrastanti.

La possibilità di passare all’auto elettrica prende un massimo del 32% (Danimarca), mentre il 40% (Spagna) sarebbe disposto a rinunciare al veicolo.

Altri stati invece dichiarano di aver già considerato e applicato tale misura, dal minimo del 21% di svedesi al massimo del 28% dei tedeschi.

Una grande opposizione si è registrata per l’aumento obbligatorio dell’imposta sul carburante e il divieto di produzione e vendita di auto a benzina e diesel.

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Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

By : Aldo |Maggio 02, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

In precedenti articoli si è trattato il tema del monitoraggio dell’aria e di come siano importanti i progetti ad esso legati.

Altrettanto rilevanti sono i programmi che includono il cittadino rendendolo parte del processo di ricerca e di raccolta dati: di seguito un nuovo esempio.

   

Flatburn

Il dispositivo figlio della collaborazione tra il Senseable City Lab dell’Mit di Boston e l’azienda italiana Fae Technology è attivo.

Si tratta di uno strumento adibito al monitoraggio ambientale, in grado di rilevare e condividere dati sensibili per quanto riguarda l’ambiente.

La caratteristica di tale sistema è quella di essere uno dei nuovi tipi di rilevatori drive-by, dunque ospitato in un veicolo stradale (automobile e autobus). 

      

Tale qualità rende possibile la raccolta di dati di varia natura anche grazie ai molteplici sensori integrati nel sistema e gli effettivi campi da controllare.

Pertanto, Flatburn permette di monitorare la qualità dell’aria, l’umidità, le isole di calore nei centri urbani, quindi l’efficienza energetica e l’impatto acustico.

   

Come funziona

L’impianto è posizionato sul tetto del veicolo per via di un magnete ed è auto-alimentato da energia solare. Questo è possibile grazie al pannello solare integrato che garantisce di accumulare energia in situazioni di scarsa luminosità.

È composto di parti meccaniche prodotte con stampa 3D, facilmente reperibili o da creare per via delle informazioni rilasciate dallo stesso. Infatti, le istruzioni su come costruirlo e usarlo sono pubbliche.

     

Nello specifico, per valutare l’efficienza energetica degli uffici usa le immagini termiche; per l’analisi degli inquinanti nell’aria predilige il laser.

Inoltre, può anche mappare la qualità delle strade tenendo conto delle vibrazioni del veicolo.

      

Il dialogo

Flatburn è incluso nella piattaforma per il monitoraggio ambientale City Scanner, la quale trasforma i veicoli in sentinelle per i rilevamenti.

Il dialogo è rilasciato obbligatoriamente con licenza open source in modo tale da diffondere dati e sviluppare più velocemente le sue tecnologie contribuendo alla sostenibilità.

         

Tali caratteristiche regalano una nuova e accurata visione dell’ambiente urbano, fondamentale non solo per il cittadino che ci vive.

Infatti, anche sindaci, enti e amministrazioni usufruendo di tali dati possono prendere decisioni politiche e ambientali più specifiche e produttive.

Al momento, la Fae Technology (società benefit bergamasca) ha sottoscritto un accordo biennale come “consortium member” con l’ente americano per continuare questo tipo di ricerca.

      

In più il dispositivo è già attivo in 6 città del mondo, come New York, Boston, Stoccolma e Amsterdam.

Di certo arriverà anche negli altri centri urbani, in questo modo sarà più semplice applicare norme e sanzioni, supportando la sostenibilità.

E perchè no anche al salute umana.

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Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.

By : Aldo |Aprile 27, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.

Tra iniziative locali e mondiali, piccoli e grandi cambiamenti nella produzione e una nuova consapevolezza, ci si interessa sempre più all’ambiente.

Ma c’è chi ha combattuto da singolo contro grandi imperi ed è riuscito a vincere per il bene del Pianeta.

    

Goldman Environmental Prize

Il Goldman Environmental Prize rende onore ai raggiungimenti e alla leadership dell’attivismo ambientale nel mondo, ispirando tutti quanti ad essere parte del cambiamento.

È stato ideato per sostenere e riconoscere gli sforzi e le azioni dei singoli per proteggere l’ambiente a loro rischio e pericolo. Nello specifico, vengono premiati coloro che difendono la Terra coinvolgendo le comunità locali, creando un movimento positivo e propositivo.

Il titolo nasce dall’idea del filantropo Richard e sua moglie Rhoda Goldman nel 1989, per dimostrare pubblicamente la natura dei problemi ambientali.

I vincitori vengono annunciati durante una cerimonia che si svolge proprio durante la giornata della Terra, nella Opera House di San Francisco.

      

Oggi

Certamente sono cambiate tante cose dalla prima premiazione nel 1990: dopo 33 anni abbiamo risolto e creato tanti problemi. La cosa chiara a tutti è che bisogna proteggere il pianeta come proteggiamo le persone o i beni più preziosi nella nostra vita.

Di conseguenza c’è chi ha preso a cuore quest’idea rendendola la missione della propria vita, andando anche contro le più grandi realtà del mondo.

Pertanto, con la cerimonia si premiano le “persone di origini ordinarie che fanno cose straordinarie per salvare la nostra Terra”.

          

I vincitori del 2023

  • Zafer Kizilkaya ha collaborato con le cooperative pescherecce turche per espandere la rete di AMP in Turchia per 800 km2 nelle coste Mediterranee.
    Queste aree approvate dal governo turco nel 2020, proteggono interi ecosistemi marini, danneggiati dalla pesca illegale e intensiva e dall’eccessivo turismo. Grazie a tale iniziativa il numero di pesci per m2 è decuplicato mentre i redditi dei pescatori sono aumentati del 400%.
  • Chilekwa Mumba in Zambia, ha denunciato la Konkola Copper Mines per danni ambientali causati nella provincia di Copperbelt, stabilendo un importante precedente legale.
    Per la prima volta, un’azienda viene ritenuta responsabile per i danni ambientali per via dalle operazioni gestite da una filiale in un altro paese.
    Mumba ha vinto contro la Vedanta Resources davanti la Corte Suprema del Regno Unito: di seguito venne accusata la Shell Global per l’inquinamento in Nigeria.
  • Diane Wilson ha seguito lo stesso cammino di Mumba, battendosi contro la multinazionale Formosa Plastics. Ha accusato l’azienda di aver scaricato ingenti quantità di rifiuti tossici plastici nella costa del Golfo del Texas.
    Dopo 34 anni, ha vinto la causa e 50 milioni di dollari registrando un grande record. Ha ottenuto il più grande premio in una causa di un cittadino contro un inquinatore industriale nella storia del Clean Water Act degli USA.
  • Alessandra Korap Munduruku allo stesso modo si è scontrata con la società mineraria britannica Anglo American. Quest’ultima stava rovinando un pozzo di biodiversità importantissimo nella foresta pluviale del Brasile.
    L’azienda nel 2021 ha ritirato 27 domande di esplorazione e ricerca nei territori indigeni, anche se già approvate. La protezione venne estese anche al territorio di Sawré Muybu, il più ricco di risorse minerarie della zona.
  • Mentre Delima Silalahi ha intrapreso un progetto burocratico in Indonesia. Si è battuta affinché 17.824 acri di foresta tropicale venissero affidati legalmente a delle comunità indigene di Sumatra.
    Questo perchè la gestione alloctona di tali aree aveva portato ad una monocoltura di eucalipto mettendo in pericolo la biodiversità autoctona.
  • Infine, Tero Mustonen è riuscito ad essere a capo del ripristino di 62 ex siti minerari e forestali in Finlandia. In tal modo ha potuto trasformare delle zone abbandonate in zone umide e habitat ricchi di biodiversità e di materia organica delle torbiere.

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Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

By : Aldo |Aprile 24, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menomissioni, Rifiuti |Commenti disabilitati su Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

L’economia circolare non ha segreti, ma solo tanto potenziale da scoprire soprattutto per proteggere il nostro futuro.

Spesso, in questo settore, il mare è una base esemplare per molteplici progetti di sostenibilità e salvaguardia della natura.

Dai laboratori universitari

Ancora una volta le startup fondate da giovani studenti hanno la meglio.  Nello specifico Relicta è formata da 5 studenti sardi legati dall’amore per il mare e da competenze acquisite nei loro percorsi di studio.

Si sono conosciuti nel 2017, durante il concorso universitario Contamination Lab, dopo il quale hanno unito idee e studi per il grande risultato. Successivamente nel 2020 è stata fondato il gruppo.

L’impresa, infatti, ha creato un materiale che potrebbe cambiare le sorti del mondo o almeno quelle del Mar Mediterraneo.

Si tratta di una bioplastica, che deriva dal mare nel quale può scomparire: è stata chiamata Relicta come l’azienda ed ha riscosso un grande successo.

La bioplastica

Il prototipo di bioplastica ideato da Davide e Matteo Sanna, Andrea Farina, Giovanni Conti e Mariangela Melino si compone di materiali di scarto.

In particolare, sono stati scelti gli rifiuti della produzione ittica quali scaglie e lische di pesce per produrre plastica di due tipi diversi.

Il gruppo ha infatti sviluppato due modelli, uno flessibile e uno rigido per poterli applicare a vari e molteplici impieghi.

Non a caso Relicta può essere è usata come film per il packaging di alimenti, cosmetici e dispositivi elettronici ma anche col sottovuoto.

In quel caso, si applica per prodotti delicati come mascherine chirurgiche, cibi da conservare e medicinali, poiché le proprietà isolanti restano intatte per 12 mesi.

Inoltre, la pellicola è inodore e solubile in acqua, grazie alla sua base naturale e ai processi a cui viene sottoposta la materia prima.

L’economia circolare

Anche Relicta, come tanti altri progetti, nasce dal recupero di “rifiuti”, in questo caso scarti di produzione ittica. Il gruppo di studenti ha pensato di produrre la pellicola con materie derivanti dall’acquacultura che garantisce un grande quantitativo di scarti utili all’azienda.

Pertanto, si rifornisce da una multinazionale di salmone, che utilizza la stessa biopellicola per il suo packaging. Al momento, l’impresa può ottenere 300 g di bioplastica da 1 kg di scarti che vale tra i 0,20 € a 1,5 €, quindi i margini di guadagno sono elevati.

Resta comunque la caratteristica migliore, la sua capacità di decomposizione in acqua nell’arco di 20 giorni. Di questo passo, la bioplastica creata dal mare può scomparire nel mare senza lasciare traccia o produrre danni, favorendo l’economia circolare di cui abbiamo bisogno.   

La startup ha una missione, quella di essere parte della soluzione al grande problema dell’inquinamento scaturito dalla plastica.

Senza dubbio, Relicta può raggiungere il suo obiettivo anche grazie al finanziamento di 500 mila euro. L’investimento arriva dalla Scientifica Venture Capital insieme all’acceleratore di startup Terra Next (nell’ambito della Bioeconomia) e Vertis SGR attraverso il fondo Venture 3 Technology Transfer.

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ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

By : Aldo |Aprile 20, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoacqua |Commenti disabilitati su ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

Sappiamo che per i server e i data centre serve tanta energia elettrica ma anche acqua e suolo. Tali risorse sono necessarie per specifiche funzioni e sono quindi fondamentali in questo settore.

É importante ricordare però che più server, servizi e tecnologie ci sono e più risorse serviranno.
      

Il fenomeno attuale

È stata bloccata in Italia (dal Garante della Privacy) Chat Gpt, l’intelligenza artificiale conversazionale con grande un successo negli ultimi mesi.

Il suo nome deriva dall’acronimo Generative Pretrained Transformer, ossia uno strumento che elabora il linguaggio naturale con algoritmi avanzati di apprendimento automatico.

Tale caratteristica serve per poter generare risposte simili a quelle di una persona vera, in un discorso qualsiasi, dal più semplice al più tecnico.

L’AI funziona molto semplicemente: l’utente inserisce un messaggio, Chat GPT lo elabora e genera una risposta. Più è dettagliato l’input e più sarà specifica e pertinente la risposta.

    

Al momento in Italia è stata bloccata per revisionare la sicurezza dei dati sensibili degli utenti. Tuttavia, potrebbe essere sbloccata il 30 aprile, se rispetta i criteri di privacy.

      

La sete di Chat GPT

Il caso Chat GPT è diventato subito un fenomeno, un particolare soggetto di discussioni e ricerca su vari temi, dalla sicurezza dati, alla sostenibilità.

Tra i tanti, l’Università del Colorado Riverside e quella del Texas ad Arlington hanno svolto uno studio sul consumo di acqua da parte della piattaforma.

La ricerca “Making Ai Less Thirsty” (Rendere l’Ai meno assetata) ha l’obiettivo di diffondere informazioni riguardo l’utilizzo di acqua da parte dei suoi data centre.

Nello specifico affronta la questione dei sistemi di raffreddamento che utilizzano grandi quantità di oro blu per svolgere le loro funzioni.

Il problema sta nel fatto che per raffreddare i server e addestrare le AI serve un volume d’acqua pari a quello di un reattore nucleare.

Precisamente per l’apprendimento di Gpt-3 ne sono stati usati 700 mila litri.

     

Il problema nascosto

Un ulteriore obiettivo della ricerca è quello di evidenziare la serietà del problema, spesso oscurato dalla questione energetica.

Sicuramente il consumo di energia elettrica e le emissioni sono un grande tema da tenere sorvegliare, ma l’impronta idrica dei server non è da meno.

Sia chiaro, questo appunto non è riferito solo alle intelligenze artificiali, ma a tutto il settore che riguarda servizi di cloud, streaming e altro.

Soffermandosi su Chat GPT, la ricerca ha portato dati inequivocabili. Per una conversazione media, l’intelligenza artificiale preleva un volume pari ad una bottiglia d’acqua.

     

In numeri

Per rendere l’idea della quantità d’acqua usata in questi ambiti, i ricercatori hanno fatto dei paragoni chiari e semplici.

I 700 mila litri usati per addestrare la terza versione dell’AI, sono pari ai litri impiegati per la produzione di 370 auto o 320 Tesla

Inoltre, è da sottolineare il fatto che tali dati, sono riferiti agli edifici Microsoft in negli USA. Infatti, se si prendessero in considerazione i data centre asiatici, avremmo dei dati triplicati poiché meno ottimizzati e meno all’avanguardia.

La situazione descritta nello studio delle Università americane è delicata ma fondamentale per poter migliorare le tecnologie del futuro.

Soprattutto se ci si sofferma sulla rilevanza delle risorse idriche nel mondo ma anche alla loro carenza.

        

La domanda di potenza di calcolo aumenta esponenzialmente, raddoppiando ogni 2,3 mesi solo per le AI. Esclusivamente i server di Google hanno assorbito 12,7 miliardi di litri per il raffreddamento nel 2021 di cui il 90% potabile.

Per l’addestramento della piattaforma, ne sono serviti altri 2,8 milioni legati al consumo di elettricità. Per un totale di 3,5 milioni di litri negli USA e 4,9 milioni di litri in Asia.

      

Sicuramente Chat-GPT non è il colpevole assoluto della carenza d’acqua nel mondo, ma gran parte del settore digitale incrementa tale problema.

Sarebbe opportuno trovare nuovi metodi e meccanismi per svolgere le stesse funzioni, senza però togliere acqua potabile alla popolazione umana.

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“Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

By : Aldo |Aprile 18, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su “Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

Come accennato in un precedente articolo, Roma è stata selezionata tra le Città smart incluse nella “Cities Mission” del programma Horizon Europe.

È la città più verde d’Europa e ogni giorno sembra portare alla luce nuovi spazi naturali, fondamentali per la salute umana e la biodiversità.

Roma diventa green

Vari quartieri romani stanno vivendo una rivoluzione green, dimostrandosi al passo con i cambiamenti del secolo.

Precisamente sono stati avviati dei progetti legati agli importanti corridoi ecologici che possono migliorare la salute mentale e fisica dell’uomo e la biodiversità nel centro.

Roma quindi si veste di verde ma con abiti diversi proprio per portare avanti nuovi ideali e piani per la sostenibilità. Si parla del Bosco urbano, lo Zen garden e la Green Island.

Bosco urbano

Un progetto “di evoluzione e rigenerazione urbana” incluso nel programma eUrban, che unisce natura, business e architettura.

Il bosco si posiziona all’ombra della torre EuroSky e del centro commerciale Euroma2, in una piazza tutta da scoprire quasi come piazza Gae Aulenti.

L’area, chiamata “Bosco Transitorio” o “The Moving Forest” è nata in collaborazione con l’Orto Botanico di Roma, miglior alleato per tale piano.

Il disegno prevede la presenza di 400 alberi e oltre 50 arbusti che dovrebbero assorbire circa 250 tonnellate di CO2. Inoltre, consentirebbero il recupero delle polveri sottili e l’abbassamento di 2,3 gradi della temperatura.

Le decine di specie coinvolte spaziano tra grandi varietà andando oltre la macchia mediterranea. Si va dalle roverelle ai corbezzoli, dagli aceri agli olmi, e sono compresi anche meli, ciliegi e pioppi bianchi

 

Il giardino zen e la galleria d’arte.

Vicino al tesoro della piazza nel quartiere finanziario di Roma si possono ammirare un giardino zen e una galleria d’arte contemporanea “en plein air”.

“L’Italian zen garden” è costituito di erbe officinali e aromatiche come timo, calendula e issopo ed è affiancato dall’arte del “The Walkaround Gallery”. Un’installazione pubblica che include 182 opere di 12 artisti internazionali che si snoda per 400 metri nell’area pedonale della piazza.

Questi primi 3 progetti sono stati ideati per conto della Silver Fir Capital con GWM Group per riqualificare il quartiere dei grattacieli. L’idea, in collaborazione con l’artista e co-founder dell’agenzia di comunicazione Arkage, Ria Lussi, crea il connubio perfetto tra architettura, sostenibilità e arte. Senz’altro sarà un’area a favore della biodiversità locale.

 

“Green island” o “Bosco verticale”

Oltre alle 3 novità appena descritte, ce n’è un’altra che richiama il bosco verticale di Milano. Sorge infatti sulla via Ostiense il nuovo rettorato di Roma Tre, definito la “green island” dell’Eur, in piazza dei Navigatori.

La struttura è vicina all’ex velodromo olimpico e si estende per ben 13.200 m2 con una specifica caratteristica: la massiccia presenza di vegetazione.

L’architetto, Gennaro Farina ha unito spazi ampi e aperti con la natura, formando così 16 giardini pensili in tutti i piani. I 4 patii interni (dotati di alberi) rinfrescano lo stabile, mentre i giardini assorbono la CO2 emessa dal traffico.

In pratica, la flora svolge più funzioni riducendo costi ed emissioni per il riscaldamento e il raffreddamento degli ambienti, senza tralasciare l’estetica del palazzo.

Senza dubbio l’edifico rappresenta l’edilizia di ultima generazione, attenta ai nuovi standard di sostenibilità e con una forte impronta ecologica.

 

Il verde e la mental health

Il piano dell’architetto non mira solamente all’ecologia ma anche al benessere dell’uomo; infatti, dopo il covid, molte persone hanno sviluppato un forte legame con la natura.

Pertanto, è sempre più frequente l’associazione della salute fisica e mentale con il verde. Di conseguenza lo stabile presenta dei dettagli ideati proprio su questo connubio, praticamente necessario dopo la pandemia.

Quindi nel nuovo rettorato, lo spazio di lavoro sarà sia interno (come un normale ufficio) che esterno, nelle terrazze ricche di vegetazione.

Gli uffici sono capaci di ospitare ben 1300 persone mentre la struttura gode di 200 posti auto. Il tutto è arricchito dalla lucentezza dell’alluminio trattato con vernici color bronzo, che ricopre il palazzo.

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La zizania sostituisce il riso: come adattarsi al cambiamento climatico.

By : Aldo |Aprile 16, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, plasticfree |Commenti disabilitati su La zizania sostituisce il riso: come adattarsi al cambiamento climatico.
Rebel-Grains

Il cambiamento climatico è in grado di creare fenomeni estremi ma anche di modificare pian piano attività abituali come l’agricoltura.

Di conseguenza è fondamentale capire come adattarsi ai cambiamenti trasformando colture, abitudini e tecnologie.

    

La zizania

La zizania è proprio uno dei cosiddetti “cibi del futuro” poiché dotata di caratteristiche che rendono la sua coltivazione e il consumo più sostenibile.

Questo significa che la pianta potrebbe sostituire uno tra i cereali più consumati al giorno d’oggi, garantendo la sicurezza alimentare nei prossimi anni.

    

Nello specifico la zizania è una pianta tipica delle coste atlantiche degli USA e appartiene alla tribù delle Oryzeae (a cui appartiene il comune riso).

Effettivamente sembra riso, ma differisce per il suo colore rosso-bruno se non nero, dalla forma allungata e dal suo sapore (tè misto alla nocciola).

     

Caratteristiche ambientali e nutrizionali

La zizania cresce in ambienti freddi e per questo viene seminata inverno al contrario del comune cereale, che necessita di temperature più calde.

Infatti, la zizania, crescendo in inverno non ha bisogno di ulteriori irrigazioni (viste le abbondanti precipitazioni), al contrario del riso. Quest’ultimo ha un elevato fabbisogno idrico che si concentra in un periodo di forte siccità quale l’estate.

In tal modo, la pianta non deve “lottare” per i nutrienti e lo spazio, poiché cresce prima delle piante infestanti e si riossigena il terreno.

Inoltre, l’antico cereale non ha bisogno di particolari pesticidi e la sua introduzione ridurrebbe la monocoltura, tecnica che crea molteplici danni all’ambiente.  Uno di questi è l’incremento della resistenza, che necessita un aumento delle dosi di pesticidi; non a caso, trovare il riso biologico è quasi impossibile.

     

Anche per quanto riguarda la nutrizione, la zizania resta un ottimo sostituto del riso se si guarda al futuro e ad una possibile crisi alimentare.

Sempre sulla base di questo confronto, la zizania ha il 100% di proteine e il 300% di fibre in più rispetto al riso. Pertanto, gode di un elevato potere saziante e un basso indice glicemico.

    

La novità con Rebel grains

L’impresa “Rebel grains” creata da Giovanni Giuseppe Savini e Alessandro Bossi, mira all’introduzione di cereali sconosciuti ma vincenti a livello nutrizionale e produttivo.

In aggiunta, lo scopo dei due imprenditori è quello di salvaguardare la biodiversità delle colture italiane e non solo. Per questo il WWF l’ha inserito tra i 50 cibi del futuro.

L’impresa ha già intrapreso un progetto di coltivazione a Pavia, accompagnato dall’introduzione del cereale nel mercato nazionale.

Attualmente è distribuito da Esselunga, Famila, Conad, Cortilia e Iper Tosano, in confezioni sostenibili e senza plastica.

     

Tuttavia…

La zizania è sostenibile anche perchè, sazia più dei soliti cereali consumati, i suoi 50 g equivalgono a 80 g si riso.  Di questo modo, con la stessa quantità, la zizania, come altri cereali ignoti. potrebbe sfamare più persone nel mondo.

L’unico problema riguarda il prezzo di 16 euro al kg, giustificati ovviamente dalle caratteristiche ambientali, nutrizionali e dal costo di introduzione in Italia.

    

Il cambiamento climatico sicuramente non può essere fermato, ma con nuovi studi e tecnologie possiamo trovare i modi con cui adattarci.

Colture diverse possono solo aumentare la possibilità di prendere in mano la situazione senza danneggiare ancora il pianeta.

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Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

By : Aldo |Aprile 13, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

Per quanto bella e piena di natura, l’Italia registra livelli di inquinamento atmosferico più alti della media.

Per questo c’è chi ha pensato a delle soluzioni concrete per limitare i danni.

La questione nord

Secondo il rapporto di Legambiente “MalAria di città” l’Italia presenta delle forti criticità legate all’inquinamento atmosferico soprattutto tra le regioni settentrionali.

Nello specifico si afferma che il 76% dei centri urbani italiani supera i limiti delle polveri sottili definiti dall’Unione Europea.

Secondo i dati del 2022, 29 città su 95 hanno registrato livelli giornalieri di PM10 superiori alla norma europea, perciò è difficile risolvere il problema.

La direttiva 2008/50/CE e il D. Lgs 155/2010 determinano un valore limite annuale di 40 µg/m³ e uno giornaliero di 50 µg/m³.

Tali valori sono disposti affinché si protegga la salute umana ed in particolare il secondo non può essere superato più di 35 volte in un anno.

Con i dati rilevati, è stata stilata una classifica delle città che superano giornalmente i livelli limite:

1° posto: Torino con 98 giorni di sforamento;

2° posto: Milano con 84;

3° posto: Asti con 79,

A seguire Modena 75, Padova e Venezia con 70 giorni.

Il seguente problema dovrebbe essere arginato in tempi brevi, ma vista l’attuale condizione è necessario più tempo del previsto.

Il primo step

Per limitare i danni dell’inquinamento, monitorare i valori limite e accelerare il cambiamento c’è una soluzione: la tecnologia di Wiseair.

L’azienda composta da 4 ragazzi romani mira al controllo della qualità dell’aria italiana per mezzo di sensori studiati e progettati con le università.

Paolo Barbato, Carlo Alberto Gaetaniello, Andrea Bassi e Fulvio BambusiI, dopo aver studiato ingegneria del Politecnico di Milano si sono interessati alla questione.

Il loro progetto inizia quindi dallo studio trasformato in una possibilità concreta di cambiare le cose: una tecnologia per monitorare la qualità dell’aria.

Un piano fondamentale, basato su dei sensori che servono per raccogliere dati senza i quali è impossibile pensare e trovare una soluzione vincente.

La soluzione

Vista l’entità del problema, Wiseair afferma che non si può continuare affidandosi solo alle centraline governative, pertanto, hanno coinvolto anche i cittadini.

Per questo l’azienda ha distribuito sensori e dati direttamente alla popolazione, per poter diffondere dati e dialogare più facilmente anche con le amministrazioni.

Il principio che li guida ricorda che più sensori sono attivi e più dati ci saranno e il monitoraggio dell’inquinamento sarà migliore.

Dunque, un secondo step è stata la creazione di una community di cittadini attivi e appassionati, divisi in 50 comuni che lavorano con l’impresa. Tra loro Milano, Torino, Roma e Bari.

 

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Il kit

L’azienda vende alle amministrazioni un kit specifico per il monitoraggio della qualità dell’aria. Il prodotto si adatta ad ogni ambiente ed è installabile in qualsiasi posizione.

Sono dotati di un pannello solare che garantisce l’autonomia energetica in modo da garantire anche la trasmissione di dati costante (anche grazie alle tecnologie wireless).

Aziende e progetti di questo genere sono fondamentali al giorno d’oggi per due motivi.

Spesso agiscono in modo più diretto e veloce rispetto alle amministrazioni e soprattutto possono godere di una maggiore fiducia dei cittadini.

In questo caso poi, si tratta di un problema da risolvere anche per la salute della popolazione che risente del forte inquinamento atmosferico.

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