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Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

L’Unione Europea spesso è nominata come una delle realtà più virtuose al mondo in termini di sostenibilità.

Sicuramente questa qualità è dettata da fondi e bandi pubblicati per nuovi progetti volti alla salvaguardia del pianeta e al miglioramento della vita di tutti.

    

Intelligent Cities Challenge

Quando la transizione ecologica chiama, l’Europa, di solito risponde con bandi e finanziamenti per migliorare la vita su questo pianeta.

Negli ultimi anni sono state indette molteplici gare e bandi per investimenti volti al miglioramento delle azioni ritenute necessarie per contrastare il cambiamento climatico.

Tra le decine di programmi pensati per le città europee e la loro trasformazione verde, si nomina anche l’ Intelligent Cities Challenge.

Si tratta, come riportato nel nome, di una sfida che vede come protagonisti, le migliori tecnologie per la formazione di smart cities e tanto altro.

Il bando scaduto il 31 maggio 2023, sostiene le città europee selezionate, nella transizione verde e digitale grazie a strumenti e conoscenze all’avanguardia.

    

Edizione 2023-2025

Per l’edizione 2023-2025 hanno partecipato 64 città europee, selezionate per favorire la crescita dell’ecosistema smart city e applicare sui luoghi e le città i principi del Local Green Deals. Il piano prevede che ogni territorio scelto, potrà usufruire di due anni di consulenza strategica da esperti internazionali su vari filoni tematici classificabili in 3 punti:

  • costruzioni e ambiente edificato
  • energia e rinnovabili;
  • mobilità e trasporti.

Questi sono i settori chiave delle città che hanno un alto grado di influenza locale, mentre quelli secondari sono

  • turismo;
  • piccole e locali vendite al dettaglio;
  • agroalimentare;
  • tessile;
  • settore creativo culturale.

O ancora, ambiti come economia verde, digitalizzazione della pubblica amministrazione, transizione verde e digitale del turismo, resilienza delle catene di approvvigionamento locale, riqualificazione dei territori. A ciascuna città partecipante sarà chiesto di attuare un Green Deal locale e una serie di azioni concrete per adottare economie più resilienti e sostenibili.

    

Le scelte dell’Italia

Il bando ha selezionato ben 9 centri urbani italiani, che si troveranno in prima linea per la transizione digitale e verde. Catania, Firenze, Busto Arsizio, Campobasso, Legnano, Mantova, Pescara, Rete Svezia Emilia-Romagna e l’Unione dei Comuni della Grecia Salentina sono le città scelte dalla Comunità europea.

Queste dovranno lavorare efficacemente di modo da attuare azioni per rendere le città sempre più intelligenti, sicure e sostenibili. In concreto, l’obiettivo è quello di sfruttare a pieno le potenzialità che le tecnologie possono avere sui centri urbani. Tutto questo per migliorare la qualità di vita dei cittadini, la competitività economica e la resilienza sociale.

Tra le 9 città italiane spicca il progetto di Mantova, considerato ambizioso per i suoi obiettivi e la situazione da cui parte.

   

Il calcolatore di emissioni

Mantova ha presentato un progetto basato sul monitoraggio delle concentrazioni di CO2, per mezzo dell’intelligenza artificiale. É un piano che riguarderà tutti i settori economici e amministrativi del centro urbano, così da poterlo trasformare in una smart city.

   

Il progetto però parte dall’EUCityCalc, un programma europeo che ha visto Mantova tra le 10 città pilota per implementare il primo European City Calcolator. Si tratta di un software open source che fornisce una visione completa (o ampia) dei livelli di inquinamento settore per settore.  In tal modo si possono studiare misure che possono essere impiegate per neutralizzare le emissioni e risanare la salubrità dell’atmosfera.

  

Non a caso, il piano è stato proposto da quello che è considerato come uno tra i più inquinati d’Europa. Inoltre, l’obiettivo prefissato è quello di diventare carbon neutral entro il 2030; dunque Mantova si presenta all’Unione Europea come una città super ambiziosa.

Il super calcolatore di emissioni, è supportato dalla tecnologia open source. In questo modo può raccogliere in autonomia e in tempo reale i dati sulle concentrazioni di anidride carbonica che arrivano va vari settori rilevanti. Tra questi citiamo ovviamente trasporti, industria, agricoltura, edilizia, che creano un’immagine completa del livello di inquinamento del territorio.

    

In questo caso, il progetto è supportato dall’Alleanza territoriale Carbon Neutrality, una rete composta da soggetti pubblici e privati impegnati nell’abbattimento delle emissioni. Si occupano anche della creazione di comunità energetiche, dell’incremento della forestazione e del verde urbano, dell’efficientamento energetico degli edifici anche del centro storico.

    

Questo non è il primo e non sarà l’ultimo caso, in cui si parla della centralità delle tecnologie per un futuro migliore. Attualmente il potere del mondo digitale è talmente forte che, se usato bene può essere una delle nostre migliori risorse per contrastare il cambiamento climatico. Senza dubbio servono finanziamenti adeguati a sviluppare certi sistemi e impianti, ma di sicuro non mancano le idee e gli studi.  

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È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare |Commenti disabilitati su È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

Le energie rinnovabili non sono più un tabù, ce ne sono molteplici e si sviluppano in vari ambiti.

Spesso si parla anche dell’energia idroelettrica e dell’offshore, ma in pochi ricordano l’esistenza dell’energia termica oceanica.

   

Energia talassotermica

È una fonte affidabile e costante di energia rinnovabile, più rispettosa dell’ambiente rispetto alle fonti energetiche tradizionali. Nasce come una risorsa di energia che non distruggesse l’ambiente che la produce o la possiede ed è legata al mare e agli oceani del mondo.

  

Energia termica oceanica, talassotermica o mareotermica, questi sono i termini che la definiscono, oltre alla sigla OTEC che sta per Ocean Thermal Eneegy Conversion. Quest’ultima comprende l’apparato inerente, l’impianto dedicato alla produzione di energia.  Tale fonte usufruisce delle diverse temperature misurabili tra i vari livelli di mari e oceani (ossia tra la superficie e le profondità). Questa è la sua più importante caratteristica, una peculiarità che la rende completamente differente dalle altre rinnovabili. 

   

Il primo a studiarla fu l’ingegnere francese Jacques Arsene d’Arsonval, mentre il suo allievo George Claude costruì la prima stazione. Questo discreto successo risale al 1881, dopodiché non si sentì più parlare di tale tecnologia, fino agli anni ’70.  Il Giappone in quel periodo costruì degli impianti con una potenza di circa 120 kW nelle isole Hawaii, dove ancora oggi è utilizzato questo meccanismo.

    

Come funziona

La tecnologia alla base dell’energia talassotermica è sviluppata sulla differenza delle temperature che esistono tra i diversi livelli di oceani e mari.

Si tratta di un prototipo che può generare elettricità 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, senza emissioni di CO2. Tale variazione (o “gradiente termico”) determina la produzione di una buona quantità di energia. Per esempio, per 60 Km2 di mare esposto al sole, si può produrre tanta energia quanto quella fornita da 250 miliardi di barili di petrolio. *

 

Ma come funziona un OTEC? Un impianto per l’energia talassotermica è attivo grazie ad un ciclo chiuso, aperto o ibrido a seconda della tecnologia scelta.

  

  • Ciclo chiuso: l’acqua calda consente l’evaporazione di un liquido interno, creando un aumento di pressione che fa girare una turbina collegata ad un generatore. Successivamente l’acqua fredda permette di ricominciare il ciclo da capo, quando l’ammoniaca (il liquido interno) torna allo stato liquido.
  • Ciclo aperto: in questo caso, il liquido utilizzato è la stessa acqua calda, che viene espulsa una volta desalinizzata e raffreddata alla fine del processo.
  • Ciclo ibrido: mescola i due cicli in modo efficace; pertanto, risulta il più complesso.

In generale sia l’acqua calda raffreddata, che l’acqua fredda riscaldata, vengono scaricate nell’oceano dopo essere passate attraverso gli scambiatori di calore. Per far sì che un OTEC funzioni è necessario un gap di temperatura di almeno 20°C tra le profondità delle acque e la loro superficie.

   

Tra i vantaggi di tale tecnologia, si riscontra la capacità di poter contribuire all’alimentazione elettrica di base grazie ad una disponibilità stabile e costante. Questo perchè il suo potenziale è molto più elevato di altre forme di energia oceanica. Addirittura, si potrebbero produrre fino 10.000 TWh /anno di elettricità con l’OTEC, senza danneggiare la struttura dell’oceano. Di certo, questo valore è raggiungibile solamente in alcune aree, come per esempio quelle tropicali, dove il gradiente termico è maggiore di 20°C durante tutto l’anno.

Un secondo ed importante vantaggio è la sua multifunzionalità: un OTEC può essere integrato nella dissalazione dell’acqua, nella sua produzione o in quella dell’aria fredda.

   

*(Stime del National renewable energy laboratory – Nrel)

    

La situazione odierna

Oggi nel mondo esistono vari impianti in attività, alcuni dei quali sono esclusivamente delle installazioni dimostrative. Come è stato già riportato, il Giappone possiede degli impianti; attualmente conta due OTEC sperimentali da 30 e 100 kW. Tuttavia, ne sta ultimando un terzo da 1 MW di potenza.

Altre installazioni attive si trovano nell’isola della Reunion (da 15 kW) e nelle Hawaii (da 105 kW) connesse alla rete elettrica. I progetti però non sono finiti qui perchè ne sono stati pianificati altri in India, Bahamas, Filippine, Maldive e Sri Lanka.

    

Tra questi è presente anche il progetto di ricerca europeo denominato PLOTEC, finanziato con oltre 1 milione di euro dall’Unione Europea. Il programma prevede la pianificazione di una piattaforma in grado di resistere agli effetti meteorologici estremi degli oceani tropicali.  Tale progetto ha l’obiettivo di definire un modello di costo accessibile per quei luoghi e una convalida del sistema in scala reale.

   

Sicuramente delle strutture simili avranno bisogno di maggiori manutenzioni a causa dell’azione dell’acqua e del sale disciolto in essa. Pertanto l’Università delle Hawaii e dal Pacific International Center for High Technology Research ha rilasciato dei dati per quanto riguardano i costi dell’impianto. La stima per un OTEC di 5MW va dagli 80 ai 100 milioni di dollari in cinque anni.

    

Ovviamente sono installazioni esposte a molti rischi ed è per questo che finora gli investimenti sono stati indirizzati altrove. Purtroppo, non c’è un ampio margine di manovra, d’altro canto si possono migliorare quotidianamente le caratteristiche di un OTEC, soprattutto se possono portare ulteriori benefici.

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Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

By : Aldo |Agosto 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi |Commenti disabilitati su Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

Dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, una transizione energetica è la cosa più importante da attuare.

Tuttavia, nuovi sistemi, tecnologie e legislazioni devono essere introdotti e utilizzati per poter portare ad una nuova stabilità energetica il Paese.

    

La flessibilità energetica

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia con il termine flessibilità energetica si intende:

 

la capacità di un sistema elettrico di gestire in modo affidabile, economico la variabilità e l’incertezza di domanda e offerta in tutte le scale temporali rilevanti.


Ossia dal breve termine alla scala stagionale.

É la capacità di una risorsa di modificare il livello di immissione e /o consumo di energia ad un valore scelto. Che sia di un singolo impianto o di un aggregato, ha lo scopo di fornire il servizio richiesto dall’operatore del sistema elettrico.
  

Di norma, i sistemi energetici sono programmati per gestire in maniera efficace, le modifiche per via di incertezza e variabilità. La flessibilità esiste dal momento in cui è necessario regolare quotidianamente l’elettricità immessa nel sistema, per far combaciare sempre offerta e domanda. Questo sarà possibile con la modifica della programmazione produttiva richiesta alle centrali termoelettriche convenzionali e idroelettriche.

     

Il problema della “non programmabili”

Il problema della flessibilità è che crescerà il suo bisogno quindi la domanda, ma diminuirà la sua offerta: vediamo come.

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità. Peccato che proprio per le loro caratteristiche, la disponibilità di flessibilità sarà ridotto ampiamente.

Perchè questo tipo di sistemi sono discontinui e dunque rendono difficile il lavoro dell’operatore, di assicurare in ogni istante il bilanciamento tra produzione e consumi. La loro rigidità però non dipende esclusivamente da vincoli tecnici, ma anche economici.

   

Infatti, in casi come le centrali nucleari, sono presenti sistemi che non possono modulare velocemente la loro produzione in base al fabbisogno. E spesso, gli alti costi previsti, non rendono conveniente farli funzionare in maniera discontinua.

Perciò, in futuro sarà necessario un aumento dei requisiti di flessibilità del sistema elettrico, in modo da bilanciare domanda e offerta, grazie a delle soluzioni.

     

Le risposte alla domanda

A tal quesito, non vi è una sola soluzione, bensì sono favorite 4 classi di risorse divise in base alla posizione nella filiera elettrica. Quindi per mantenere l’equilibrio della rete servono:

  • lato domanda: comprende mezzi che influenzano modelli e entità dei consumi finali. Si chiamano programmi di demand response, i quali consentono di ridurre/aumentare i propri consumi rispetto le esigenze del mercato. Inoltre, in cambio di questa disponibilità, si può ricevere una remunerazione; azione attuabile anche dai cittadini. È consentita con la programmazione di ricarica di veicoli elettrici, carichi spostabili, pompe di calore e impianti di climatizzazione.
    Rilevante in questo settore è anche il V2X, (vehicle-to-everything), ossia le moderne tecnologie che permettono alle batterie dei veicoli elettrici, di funzionare in modo bidirezionale;
  • lato offerta: con misure e tecnologie si può modulare l’offerta delle unità di produzione elettrica. In questo ambito rientrano le centrali elettriche dispacciabili (turbine a gas, centrali elettriche a carbone/biomasse, impianti a gas a ciclo combinato, centrali idroelettriche);
  • lato rete: comprende interventi come la digitalizzazione o l’abilitazione di linee dinamiche o di interconnector;
  • altre fonti di flessibilità: includono lo stoccaggio stazionario (idroelettrico a pompaggi, volani, accumulo elettrochimico, accumulo a idrogeno). Le UVAM, Unità Virtuali Abilitate Miste.

Il futuro delle rinnovabili

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità, secondo i nuovi studi.

Il rapporto indicato è il “Flexibility requirements and the role of storage in future European power systems”, e dimostra le analisi svolte nel campo. Lo studio manifesta che il primo grande problema di tale requisito sono proprio le energie rinnovabili non programmabili. Queste sono destinate a crescere in maniera esponenziale, ma la loro natura intermittente e il carico residuo, determinano un’esigenza di flessibilità, in aumento.

  

Analogamente cambia la domanda poiché gli utenti stessi saranno attivi al mercato dell’energia grazie a veicoli elettrici, batterie su piccola scala, comunità rinnovabili e autoconsumo diffuso. E il fabbisogno cambierà giorno per giorno.

Inoltre, il Centro comune di Ricerca della Commissione Europea ha condotto uno studio per valutare i requisiti e le soluzioni di flessibilità nel sistema energetico. Il periodo di riferimento usato, per cui si necessita tale caratteristica è il ventennio 2030-2050.
  

L’analisi sviluppata è stata pubblicata nel rapporto “Requisiti di flessibilità e ruolo dello stoccaggio nei futuri sistemi energetici europei”. Questa dimostra una grande crescita per la rete europea: nel 2030 l’esigenza di flessibilità sarà raddoppiata, nel 2050 sarà 7 volte quella attuale.

I requisiti invece saliranno al 25% nel 2030, e raggiungeranno l’80% nel 2050.

È fondamentale anche ripartire i risultati a livello temporale, collegandoli alla produzione. Il risultato descrive la correlazione di una maggiore esigenza flessibilità giornaliera e la quota di produzione fotovoltaica. Al contrario i requisiti settimanali e mensili sono legati alla quota di produzione eolica (onshore e offshore).

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PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Agosto 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici.

In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.

   

Il PNACC

PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi.

Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.

Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.

    

Il PNRR

Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU).

Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:

  • rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
  • favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.

Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;

Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.

    

Cosa sta succedendo?

Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro.

Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?

    

Critiche

Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai.

Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:

  • 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
  • 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
  • 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli).

 

Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.  

Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé.

  

Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica). Quando in realtà servivano per altro come:

  • lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
  • Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
  • Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
  • Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
  • Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
  • Impianti di rinnovabili (675 milioni);
  • Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
  • Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).


Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato.

   

È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.

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Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

By : Aldo |Agosto 03, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

Ambiente, salute, economia, politica sono macroaree che spesso non possono essere divise l’una dall’altra. Soprattutto in questi ultimi anni, in cui crisi economica e climatica influenzano sempre più le nostre vite e il nostro futuro.

    

I fenomeni degli ultimi giorni

Nelle ultime settimane l’Italia è stata colpita da eventi estremi quali grandine sparata a 150km/h (grande come palline da tennis) e ampi incendi al sud.
Tali fenomeni hanno destato non poche preoccupazioni tra chi ha vissuto in prima persona quelle anomalie e chi le ha seguite da lontano.

Gli effetti di eventi straordinari, così intensi ma soprattutto così diversi in un territorio che si estende per 1200 km, lasciano tutti (o almeno molti) a bocca aperta.  

    

Tuttavia, l’Italia non è l’unico stato colpito da tali fenomeni in questi ultimi mesi, vedi la Grecia, l’India, il Giappone.

Pertanto, è fondamentale ricordare che tal fenomeni recano danni non solo all’ambiente ma anche alle nostre vite. Ma di recente è aumentata la loro l’influenza anche nel settore economico.

  

L’influenza silenziosa nell’economia

L’economia troppe volte viene considerata come una realtà lontana e distaccata da tutte le altre macroaree che regolano il mondo. Così facendo, ci dimentichiamo di vivere in un pianeta completamente connesso sotto ogni punto di vista. Trattare i soldi senza tener conto dei cambiamenti climatici, nel 2023, rappresenta solo l’ennesima azione errata dell’uomo.

Questo perchè tutto quello che succede impatta per forza di cose anche l’economia. Per esempio, con l’alluvione in Emilia-Romagna, sono andati persi gran parte dei raccolti, sono state danneggiate industrie, edifici, intere città.

Così è stata colpita l’economia poiché, il costo di un prodotto aumenta a causa di una minore disponibilità di produzione causata dal cambiamento climatico negativo.  Senza contare poi i danni fisici degli immobili che determinano ulteriori spese per società ed industrie.

    

Tale situazione è stata analizzata dall’ l’associazione Consumerismo No Profit che ha studiato l’inflazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi. Quest’ultima non deriva solo dalla guerra ma anche da tutti i fenomeni che stanno modificando la nostra Terra.

Secondo il rapporto, dalla crisi climatica è scaturito un aumento di 4,7 miliardi di euro l’anno per la spesa degli italiani. Quindi l’inflazione climatica costa 246 € l’anno ad una famiglia con 2 figli solo per cibi e bevande (+3,2% dei prezzi al dettaglio). A questi si aggiungono 110€ annui per i costi del raffrescamento dettati dalle ondate di calore e aumentando le bollette (già care da 2 anni).Senza dimenticare poi, l’inflazione legata al ciclo economico che nel 2021 toccava +1,9%, mentre a giugno del 2023 era del +6,4%. Dunque, gli impatti comportano un aumento dei costi generali influenzando a loro volta i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico.

    

L’impatto nascosto

Nonostante quello che è accaduto negli ultimi mesi e i cambiamenti degli ultimi anni, c’è ancora una grande parte di popolazione che volta lo sguardo altrove.

La risposta si trova osservando i grandi avvenimenti degli ultimi 10, 20 anni che hanno determinato rilevanti modifiche del sistema. Le guerre, la pandemia, le crisi economiche, sono eventi che recano gravi danni ad elevate quantità di persone (o a tutto il mondo). Per di più avvengono in una linea temporale simile per tutti; dunque, sono eventi tangibili che allarmano tutti nello stesso momento.

Al contrario i cambiamenti climatici si sviluppano nel tempo, determinando “piccole” modifiche dell’ambiente, anno dopo anno.  Di conseguenza, consente di estraniarsi in modo facile e veloce da quello che accade intorno a noi, pensando al maltempo, oppure delle disgrazie della vita.

    

Inoltre, non viene preso così tanto in considerazione perchè non si bada al quadro completo dei danni che crea. Infatti, i pericoli ambientali, che ci riguarderanno sempre in prima persona, non sono gli unici che dobbiamo tenere sotto controllo.  

   

In conclusione, per affrontare questa “inflazione climatica”, è fondamentale scegliere delle politiche opportune (per ogni settore) di mitigazione e adattamento.
Questo è possibile con investimenti nella ricerca, nelle nuove tecnologie e nella sostenibilità, nella formazione e sensibilizzazione dei cittadini del mondo.

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Lidl si attiva per ridurre lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.

By : Aldo |Luglio 31, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Lidl si attiva per ridurre lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.

Sono tante le realtà nel mondo che promuovo iniziative per ridurre la produzione di rifiuti, con l’obiettivo di dare un nuovo valore a tali prodotti.

Purtoppo il settore alimentare, resta un ambito nel quale si scartano tonnellate di cibo solamente perchè non rispetta gli standard estetici del mercato. Proprio per tale ragione si parla di nuove attività per far fronte a questo problema.

    

Il “sacchetto antispreco”

Negli ultimi anni sono stati messi in atto molteplici programmi per la riduzione dello spreco alimentare anche in Italia.

I metodi scelti sono di vario tipo, tra cui si possono elencare applicazioni, offerte dei supermercati o collaborazione con enti sociali del territorio. Proprio la catena di supermercati Lidl ha sviluppato un ottimo progetto a riguardo.

Il “sacchetto antispreco” è il piano attivo da luglio 2023 che mira al recupero di frutta e verdura invendute. Questi pezzi restano solitamente in negozio perchè non belli oppure per difetti del loro packaging, ma ancora freschi e buoni per la consumazione.

Gli obiettivi di tale programma sono molteplici ma rispettano i criteri di sostenibilità che sono fondamentali ora più che mai nella nostra società.

 

I vantaggi sostenibili

Sicuramente grazie a questa idea, si riduce la mole di rifiuti della catena, si rispetta l’ambiente e si creano vantaggi economici per tutti.

I “sacchetti” sono preparati quotidianamente dal personale del punto vendita, a seconda disponibilità giornaliera di prodotti ortofrutticoli brutti ma buoni.  Di solito, queste buste di ortaggi sono posizionate nello spazio che si trova dietro le casse, in modo da invogliare i consumatori ad acquistarli.

Quindi nei negozi della Lidl sono disponibili sacchi da 4 kg di frutta e verdura, al prezzo fisso di 3 euro. In questo modo guadagna sia il supermercato che il cliente, come? Il primo crea guadagno da prodotti che solitamente avrebbe buttato, mentre il consumatore, prende ad un prezzo irrisorio una grande quantità di prodotti risparmiando.

 

Tale programma rientra nel progetto Too Good To Waste, lanciato sempre da Lidl nel 2019, che prevede sconti su prodotti vicini alla data di scadenza.  Anche grazie a questi affari si incentiva la vendita di alimenti che andrebbero buttati, abbattendo così lo spreco alimentare.

   

Insieme alla Fondazione Banco Alimentare

Non si ferma qui la lotta allo spreco alimentare della grande catena; infatti, già da tempo vanta una solida collaborazione con un importante ONLUS italiana.

“Oltre il carrello – Lidl contro lo spreco” è il nome della collaborazione tra Lidl e la Fondazione Banco Alimentare. Grazie a tale iniziativa sono state recuperate più di 31mila tonnellate di cibo, diventate 62 milioni di pasti donati a persone bisognose.

  

Nel 2017 è stato creato un team di lavoro interfunzionale per sviluppare un processo idoneo alla donazione delle eccedenze alimentari a Banco Alimentare. Nel 2018 è stata avviata la cooperazione che prevede un ritiro praticamente giornaliero degli alimenti da distribuire nel territorio.

Così facendo si aiuta anche il settore sociale, poiché i pasti creati con tali alimenti, vengono distribuiti nei centri caritativi in tutta Italia. Questo è un impegno tangibile che rafforza ulteriormente il legame del brand con il territorio.

   

La sostenibilità di Lidl

La catena di supermercati tedesca, ora diffusa in tutta Europa, sembra essere molto attenta alla sostenibilità.  La sua ottica antispreco ha reso possibile una grande ottimizzazione dei processi di ordine, stoccaggio e rotazione della merce.

In aggiunta all’impegno nei programmi appena descritti, la società si occupa anche di sensibilizzare i suoi clienti sui temi della cura dell’ambiente. Infine partecipa ad iniziative e collaborazioni con REset Plastic, Science Based Target, UN Global Impact, ABIO, PizzAut, la fondazione Umberto Veronesi e la Croce Rossa Italiana.

   

Dall’alimentare al sociale, dall’acqua al tessile, fino alla ricerca, la catena di supermercati, è molto attenta all’ambiente. Con ben 730 punti vendita in Italia punta a migliorarsi sempre più, rendendo positivo il suo impatto nel mondo giorno dopo giorno.

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La società italiana OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.

By : Aldo |Luglio 23, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su La società italiana OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.
OVS

Spesso si parla dei brand legati alla moda e ci si domanda quali siano i loro impegni nel campo della sostenibilità.

Tali quesiti sono cresciuti soprattutto con il passare degli anni e in relazione alle nuove inchieste nel campo tessile.

    

OVS primeggia nella moda

OVS la società d’abbigliamento italiana (dall’acronimo Organizzazione Vendite Speciali), primeggia per il terzo anno di fila nel Fashion Transparency Index.

Il brand si trova al primo posto, tra i 250 principali brand e retailer di moda al mondo, per la terza volta consecutiva. Il premio rappresenta in toto l’impegno della società nel campo della sostenibilità e quindi il suo investimento in un futuro migliore.

   

OVS si occupa dell’industria tessile e di tutto quello che concerne la loro produzione, sviluppando al contempo progetti anche nel sociale. Perciò ha raggiunto un grande risultato, valutato sulla base di molteplici criteri che spaziano dall’amministrazione alla produzione, fino alla comunicazione delle loro azioni.

    

Fashion Transparency Index 2023

Per quanto si parli di fast fashion, grandi merche e alta moda, bisogna soffermarsi sulla definizione del Fashion Transparency Index.

È un’indagine condotta annualmente su 250 fra i più grandi brand o rivenditori di moda e lusso, classificati in base alla loro trasparenza in vari temi. Tra questi i diritti umani, le politiche ambientali, l’impatto delle loro attività a partire dalla filiera, includenco 2 dei pilastri della sostenibilità: ambiente società.

Inoltre, si guarda anche alle pratiche di acquisto e al monitoraggio delle attività produttive per l’attivazione di azioni di miglioramento.

   

Nel 2023 OVS si posiziona al primo posto del Fashion Transparency Index con un punteggio dell’83% grazie ai miglioramenti in quattro dei cinque ambiti analizzati. Ovvero Policy and Commitments, riguardanti l’accessibilità delle policy aziendali rispetto la sostenibilità e la descrizione dei processi aziendali a supporto.

Mentre Governance, Know, show and fix, Spotlight issues valutano la chiarezza nel raccontare le azioni attivate in risposta ai fattori di rischio ambientali e sociali.

    

Inoltre, il gruppo ha incluso dati correlati alle emissioni di CO2 e all’utilizzo di acqua dei fornitori e dichiarato obiettivi destinati a supportare i lavoratori. Ha per giunta condiviso i piani di intervento con cui ha affrontato alcune criticità nella catena di fornitura.

L’indice descritto è un’idea del movimento Fashion Revolution di cui abbiamo già parlato nell’articolo sul “Bonus riparazione tessile”.

      

OVS e i suoi impegni

OVS è comunque molto impegnata nel campo sostenibile per via di molteplici progetti volti al miglioramento dell’azienda stessa e degli effetti che comporta all’ambiente. Non a caso da anni monitora tutti gli aspetti del suo business attraverso strumenti di tracciabilità e processi di controllo.

  

Per esempio, nel 2021 il gruppo ha pubblicato il piano di decarbonizzazione che prevede un’ulteriore riduzione del 46,2% di emissioni di CO2 entro il 2030. In aggiunta ha comunicato tutti i dati relativi alla performance ambientale e sociale della catena di fornitura.

   

É comprensibile quanto la trasparenza sia una un concetto fondamentale nella strategia di sostenibilità del gruppo, per accelerare il miglioramento anche dei suoi impatti. Se non altro è importante anche nei confronti della responsabilità che ha nei confronti degli stakeholder, visto anche la posizione da leader del mercato.

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Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.

By : Aldo |Luglio 22, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.
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La raccolta differenziata resta uno dei temi principali se si parla di sostenibilità ed economia circolare.

In Italia continua ad essere un problema in alcune città e una virtù per altre, ma sicuramente negli anni, la situazione sta migliorando.

    

Il Rapporto Comieco

Il Comieco ha presentato recentemente il 28° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone, annunciando notizie positive per il settore.

Infatti, sembra che la raccolta differenziata della carta in Italia, stia migliorando sempre più anche se a piccoli passi.  Stando ai dati dell’analisi, la differenziazione dei rifiuti cartacei ammonta a 3 milioni 600 mila tonnellate, con una media nazionale pro-capite di oltre 61 kg.

   

Tale risultato descrive senza dubbio un miglioramento delle abitudini dei cittadini e anche ad una maggiore attenzione dei produttori agli imballaggi. Atteggiamenti virtuosi che possono effettivamente portare ad un cambiamento, pratico ma anche ideologico e d’immagine del Belpaese.

Non a caso proprio grazie alla sensibilizzazione dei cittadini e ai loro comportamenti, gli imballaggi in carta e cartone che hanno superato l’81% di riciclo. Questa una cifra importante poiché conferma il superamento degli obiettivi europei al 2025 e il progressivo avvicinamento ai target fissati per il 2030.

    

La crescita nelle regioni

Il Comieco detiene 972 convenzioni con 6.840 Comuni o loro gestori all’interno dell’Accordo Quadro Anci-Conai, pertanto, presenta studi complessivi della situazione italiana da 25 anni. Così è stato redatto un rapporto con cifre specifiche per ogni regione, descrivendo una situazione più o meno omogenea del Paese. Ovviamente non mancano eccezioni positive e negative, ma di certo si registra una tendenza crescente.

  

I dati riportano un +0,4% al Nord, ossia 8 mila tonnellate in più rispetto al 2021, con Valle d’Aosta, Lombardia ed Emilia-Romagna in crescita. Il loro ottimo lavoro compensa però il calo di Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige, mentre Friuli-Venezia Giulia e Liguria restano stabili.

Meglio il centro, che con +0,5% determina un aumento di 4 mila tonnellate per merito di Toscana e Umbria che portano a +12 mila tonnellate. Anche qui, Marche e Lazio non sono riuscite a migliorare anche a causa dei gravi problemi presenti a Roma.

Il sud invece sovrasta tutti con il suo +0,8% registra un aumento di quasi 8 mila tonnellate: la Campania resta stabile. Calano invece Sardegna e Abruzzo al contrario delle altre regioni che crescono ad un ottimo ritmo. Tuttavia, il caso meridionale, rappresenta una grande possibilità di sviluppo e di grande crescita del settore. Questo perchè proprio nel sud è disponibile oltre il 50% delle 800 mila tonnellate di carta e cartone che si stima finiscano ancora nell’indifferenziato.

           

C’è da dire anche, che spesso sono le grandi città ad ampliare le dinamiche nazionali, visti i numeri di abitanti che le contraddistinguono. Si pensi che solo i grandi agglomerati urbani rappresentano il 13% di tutti gli italiani e producono 4 milioni circa di tonnellate di rifiuti annui. Di questi vengono raccolti 1 milione e 800 mila tonnellate, di cui 500 mila sono di carta e cartone (esattamente il 14%).

     

Il contesto storico

La crescita positiva del campo è determinata anche da vari fattori dipesi da eventi che ultimamente hanno cambiato l’assetto del pianeta.

Dapprima la pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina e l’intensificazione del cambiamento climatico. Sono questi gli eventi che hanno modificato in modo diverso il nostro mondo e che continueranno a farlo. Perciò i loro effetti sono stati tenuti in considerazione anche nella redazione del 28° Rapporto Comieco, proprio per spiegare meglio le differenze con gli anni precedenti.

   

In primo luogo, stiamo vivendo una crisi economica per cui sono calati gli acquisti e di conseguenza anche la produzione di rifiuti. Nonostante ciò, tale fenomeno non ha inciso sui volumi di raccolta differenziata della carta e del cartone.  È più probabile che la cosiddetta “policrisi”, abbia ridotto la produzione di rifiuti di un milione di tonnellate. Precisamente sembra che calo degli acquisti alimentari abbia inciso sulle vendite di imballaggi in carta e cartone.

   

Il Comieco, parte integrante dell’ente Conai, ha descritto con il suo studio annuale, una nuova realtà. L’Italia in questo settore, riesce a raggiungere gli obiettivi europei grazie ai comportamenti sostenibili dei cittadini e una migliore amministrazione.  

  

Sicuramente con controlli precisi e una continua formazione degli abitanti di ogni città, le cose potranno solo migliorare. Tuttavia, è fondamentale che a capo della gestione dei rifiuti ci sia un’organizzazione adeguata ed efficiente. In questo modo da non vanificare tutti gli sforzi e le azioni positive della popolazione.

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Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.

By : Aldo |Luglio 20, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.
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Come noto, l’economia circolare non si limita ad un solo settore o ad un solo tipo di ente. La circolarità è una caratteristica applicabile in ogni ambito e per la prima volta se ne parla in relazione ad un parco divertimenti.

  

Gardaland a Rifiuti Zero

Gardaland Resort di recente è diventato il primo parco divertimenti italiano a ottenere la certificazione “Rifiuti Zero”.  Una grande realtà con 200 dipendenti fissi e i 1.500 stagionali che non delude mai le aspettative di grandi e bambini.

Il parco situato in provincia di Verona è la seconda attrazione turistica dell’Italia per numero di biglietti venduti, superata solo dal Colosseo. È a tutti gli effetti è il sesto parco europeo per numero di visitatori: 2.950.000 nel 2022.

La sua rilevanza nel territorio italiano è indiscutibile e pertanto, la sua certificazione “Rifiuti Zero” determina un ottimo progresso verso un futuro sostenibile. Se non altro, rappresenta un modello per gli altri parchi tematici, divertimenti, che possono prendere spunto per migliorarsi.

    

La sostenibilità del Resort

Gardaland è stato certificato come primo parco divertimenti italiano a “Rifiuti Zero” grazie al lavoro dell’intera azienda e della scrupolosa indagine di AENOR.

Già dal 2019, il Parco era riuscito nell’impresa di azzerare la plastica monouso a favore di materiali compostabili e biodegradabili all’interno dei punti ristorazione. Un cambio rilevante poiché la plastica monouso è diffusa per la sua comodità, quindi più agevole anche con i bambini che frequentano il parco.

Ma non si parla solo della plastica: l’azienda ha puntato molto sulla raccolta differenziata, all’interno di tutto il Resort potenziando i processi circolari. In più, l’ente si è occupato di investire in una loro gestione virtuosa.

   

La determinazione dell’azienda è stata possibile grazie al coinvolgimento di tutto l’entourage che con piccole azioni ha cambiato totalmente abitudini quotidiane o automatiche. Pertanto, nel 2022, il parco ha raggiunto il traguardo del 93,4% di rifiuti valorizzati sul totale dei rifiuti prodotti. In questo modo, il gruppo ha contribuito allo sviluppo di nuove iniziative sostenibili, con operazioni di recupero e di economia circolare.

   

Inoltre, ha adottato un approccio ottimizzato nella gestione dei rifiuti indifferenziati, destinandoli a impianti di selezione e cernita. Ovvero, con tale procedimento si massimizza il recupero delle risorse. Questa iniziativa mira a massimizzare l’ammontare di rifiuti, riducendo quasi completamente la quantità di materiale destinato alle discariche.

Inoltre, l’attività descritta ha permesso anche la collaborazione con una Cooperativa Sociale. Grazie al suo coinvolgimento è nato un progetto per il riutilizzo delle divise dismesse e la loro integrazione nel mercato equo solidale.

     

AENOR e la certificazione

La certificazione del Gardaland Resort è arrivata per mezzo di un’attenta e scrupolosa analisi di AENOR. Tale azienda è tra i 10 dieci enti certificatori internazionali più importanti al mondo ed è riconosciuta in ben 90 paesi. L’ente si occupa principalmente di individuare e certificare le aziende capaci di gestire in modo virtuoso i rifiuti, massimizzando le azioni di prevenzione e recupero.

Nel caso specifico, l’organizzazione ha valutato ogni documento per qualsiasi passaggio della filiera correlata alla gestione dei rifiuti, comprendendo ciascun settore e attività del parco. Tra questi i rifiuti derivanti da negozi e uffici, che comprendevano scarti alimentari indumenti, scarti dei negozi come giocattoli rotti, pile, carta e cartone.

     

Senza dubbio una valutazione così importante, per un parco divertimenti, attira l’attenzione su un nuovo ambito. Gardaland così diventa un modello per tutte le aziende del settore sia italiano che europeo.

Soprattutto perchè un parco di quel genere è a tutti gli effetti una piccola città. Include edifici abitabili, bagni, ristoranti, veicoli, negozi e uffici amministrativi. Dunque, non sarebbe assurdo pensare che anche tali realtà si impegnino (per quanto possibile) nel raggiungimento di obiettivi sostenibili di vario tipo.

La riduzione delle loro emissioni potrebbe essere la prossima meta?

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Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e circolano i primi dati.

By : Aldo |Luglio 19, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e circolano i primi dati.

La transizione ecologica non è un’ipotesi, ma la soluzione, una delle più importanti per poter (almeno) rallentare il cambiamento climatico.

Al suo interno, la transizione energetica è ugualmente fondamentale, proprio per poter ridurre le emissioni di CO2 dall’atmosfera.

   

Il decreto

Giovedì 13 luglio è stato trasmesso il decreto alla valutazione della Conferenza Unificata. Si parla di un decreto atteso da più di un anno, necessario per portare avanti la transizione energetica italiana. L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante il Question Time alla Camera.

Il testo è rilevante per la determinazione di criteri e obiettivi in merito all’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile. Inoltre, serve per quantificare l’ipotetica potenza che l’Italia potrebbe raggiungere grazie a maggiori fonti “green” attivando pratiche ferme da anni.

La bozza presenta anche il cosiddetto “burden sharing” ossia gli obiettivi minimi da raggiungere nel rispetto dell’obiettivo nazionale al 2030. Con l’impegno di tutti e l’aiuto delle nuove tecnologie si compiranno impegni fissati dal PNIEC derivanti dall’attuazione del pacchetto “Fit for 55”. Senz’altro si risponde anche ai requisiti del pacchetto “Repower UE”.

    

Pratiche e potenza

È previsto che le 19 regioni e le due Province autonome di Trento e Bolzano dovranno spartirsi gli 80 GW di nuova capacità rinnovabile. Questa è attesa per la fine del decennio e sarà ripartita in porzioni diverse a seconda delle caratteristiche di ogni regione.

Così facendo il piano aiuterà a velocizzare e semplificare la realizzazione dei grandi impianti fotovoltaici ed eolici in Italia. Per fare ciò, serve appunto un testo che spieghi come un’area possa essere considerata o meno “idonea” all’installazione di FER.

   

Per quanto riportato nel decreto ad ogni territorio è stata assegnata una potenza minima da raggiungere ogni anno dal 2023 al 2030. Precisamente la Sicilia dovrà installare 10,3 GW di rinnovabili, la Lombardia 8,6 GW, la Puglia 7,2 GW. Mentre l’Emilia-Romagna la Sardegna circa 6,2 GW a testa.

Nel conteggio annuale verranno presi in considerazione tutti i nuovi impianti a terra entrati in esercizio a partire dal 1° gennaio 2022.  In più si tiene conto della potenza nominale aggiuntiva derivante da interventi di rifacimento o ricostruzione integrale.  In caso dei nuovi impianti rinnovabili offshore si tiene conto invece solo del 40% della potenza nominale delle installazioni.

  

Sarà il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica insieme al Gestore dei Servizi Energetici a monitorare tutte le operazioni del caso.

    

Termini e condizioni

Per il raggiungimento degli obiettivi, Regioni e Province autonome dovranno identificare aree idonee entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Tale procedimento dovrà necessariamente rispettare dei principi di minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio. Tutto ciò sarà possibile grazie all’adozione o integrazione di strumenti opportuni del governo del territorio.

Nel caso in cui questo non accadesse entro i limiti delle leggi, l’ente predisposto proporrà al Presidente del Consiglio, schemi di atti normativi di natura sostitutiva.

  

Le aree classificate idonee hanno dei requisiti che si  differenziano sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto, scelto dall’amministrazione. Nonostante ciò, per individuare le aree adeguate, gli enti burocratici possono usare la piattaforma digitale, integrata dai dati sull’uso del suolo agricolo desumibili dal SIAN.

Lo schema del decreto presenta una classificazione delle aree: superfici e aree idonee, superfici e aree non idonee, e aree soggette alla disciplina ordinaria. Di certo una zona definita idonea per il fotovoltaico potrebbe non esserlo per l’eolico, per il quale ci sono altri criteri di scelta.

     

Di seguito sono riportate quelle che sono considerate superfici e aree idonee secondo il DM:

  • siti dove risultano già installati impianti rinnovabili che sfruttano la stessa fonte e i cui lavori di riqualifica, ristrutturazione, potenziamento ecc. Inoltre, non che devono comportare una variazione dell’area occupata superiore al 20% (fotovoltaico escluso);
  • aree oggetto di bonifica individuate ai sensi del Titolo V;
  • cave e miniere abbandonate o in condizioni di degrado ambientale o porzioni delle stesse non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
  • siti e gli impianti del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, dei gestori di infrastrutture ferroviarie e delle società concessionarie autostradali. Analogamente a quelli delle società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuali;
  • aree non ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela e che non ricadono nella fascia di rispetto. Quindi 3 km dal perimetro dei beni sottoposti, 500 metri per gli impianti fotovoltaici;
  • esclusivamente per gli impianti fotovoltaici e di produzione di biometano, le aree classificate agricole, racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi SIN, cave e miniere. Le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e quelle classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento; le aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri;
  • i beni del demanio militare in uso al Ministero della Difesa, dell’Interno, della Giustizia (e uffici giudiziari), e da quello dell’Economia e delle Finanze;
  • le superfici degli edifici, delle strutture e dei manufatti su cui vengono realizzati impianti fotovoltaici rientranti nel regime di manutenzione ordinaria.

Sarà questo il passo che serve all’Italia per cambiare rotta? Sicuramente è un programma di grande spessore che deve entrare in vigore il prima possibile per iniziare un nuovo percorso verso un futuro migliore.

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