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Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.

By : Aldo |Settembre 18, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.

Non è facile produrre un oggetto, un alimento o fornire un servizio senza avere un impatto sul pianeta, ma almeno ci si può provare. Apple da anni prova migliorarsi, ponendosi dei grandi obiettivi e mantenendo le sue promesse in fatto di sostenibilità, sorprendendo il mondo intero.

   

L’evento Apple

Ogni anno Apple organizza vari eventi per presentare i nuovi modelli dei suoi prodotti con tante novità in molteplici settori. Tuttavia, l’ultimo, tenutosi il 12 settembre ha segnato punto di svolta dell’azienda nel campo della sostenibilità. Durante l’evento infatti, si è parlato molto di un approccio “green” riferito non solo alla sede centrale e agli store ma anche ai nuovi modelli.

 

Il momento più alto della presentazione è stato la proiezione di un corto dove Octavia Spencer ricopriva il ruolo di una madre natura molto severa. Una figura diffidente rispetto le affermazioni dei dipendenti e del CEO Tim Cook, per quanto riguarda il loro impegno nella sostenibilità. L’attrice americana con la sua figura ha probabilmente espresso anche i dubbi di tante persone nel mondo. Questo sketch ha preceduto la comunicazione più importante dell’evento, ovvero Apple ha creato il suo primo prodotto 100% “carbon neutral”.

   

Apple Watch Series 9

Come ogni anno, sono state presentate le nuove caratteristiche del modello in questione: aggiornamenti, nuove tecnologie e funzioni. Effettivamente si tratta di un prodotto già consolidato nel mercato e quindi sarebbe potuto passare velocemente in cavalleria. Invece non è stato così, perchè Apple lo ha presentato come primo prodotto 100% “carbon neutral” dell’azienda. Un raggiungimento importante per la società di Cupertino, che da anni cerca di ridurre l’impatto delle sue attività, sul pianeta.

 

Questo è solo uno dei tanti obiettivi nell’ambito del piano Apple 2030, il quale prevede l’azzeramento totale delle emissioni per tutti i prodotti Apple.  É un programma che non riguarda la sola produzione ma l’intero ciclo di vita dei prodotti, e che dovrà concretizzarsi entro il 2030. Per tale motivo, questa volta, le iniziative ambientali non sono state delle idee marginali, quanto il tema principale della presentazione.

  

L’orologio “carbon neutral”

La domanda che ora si fanno tutti è: come fa un orologio ad essere “carbon neutral”? Apple ha spiegato tutti i processi con i quali è riuscita a eliminare le emissioni di carbonio per la produzione dell’Apple Watch Serie 9. L’azienda si è impegnata nel rendere ancora più sostenibili vari aspetti del prodotto, passando dalla moda alla meccanica, fino all’energia usata per la sua produzione.

    

La prima grande differenza sono i cinturini. Si parla di cinturini “FineWoven” composti per l’82% da fibre riciclate, eliminando completamente il cuoio (materiale ad alto impatto di CO2).  Questa scelta è stata allargata anche per le collezioni in collaborazione con Hermès, che produrrà cinturini da materiali riciclati a impatto zero.  Inoltre, anche il 100% dell’alluminio usato per la produzione è riciclato. Con tale piano, Apple è in grado di influenzare tante altre aziende e brand internazionali, non solo in un’ipotetica partnership, ma anche nelle loro attività quotidiane.

   

Un altro punto fondamentale è l’energia.

Già dal 2020 Apple ha raggiunto le emissioni zero per tutte le operazioni aziendali, dagli uffici agli Store e le altre attività che controlla direttamente. Questa volta invece si è soffermata anche nel processo di produzione del nuovo modello. Infatti, quest’anno tutta la produzione legata alla gamma è alimentata da energie rinnovabili. Bisogna specificare che questo vuol dire che il fabbisogno di potenza complessivo è completamente coperto da una fornitura equivalente di energie rinnovabili sulla rete. 

   

Nello stesso settore inseriamo anche la ricarica del dispositivo, poiché se si considerano i milioni di utenti, ha un impatto rilevante.  Pertanto, la società ha deciso di compensare tale problematica con l’immissione in rete di energia rinnovabile prodotta da impianti finanziati da Apple. Il piano è quello di immettere l’equivalente dell’elettricità necessaria per ricaricare un Watch durante tutto il ciclo di vita medio del prodotto. Per di più, nel modello esiste la funzione “Grid Forecast” che indica in quali momenti della giornata l’elettricità domestica arriva da fonti rinnovabili. (Per ora si tratta di una funzione tarata soltanto sulla rete statunitense).

  

Apple saluta gli aerei e torna al lento mondo delle navi.
L’azienda ha deciso di tornare alle navi da carico, per generare il 95% in meno di emissioni in meno rispetto al trasporto aereo. In tal modo rischia di avere dei tempi più lunghi di consegna o di stoccaggio nei magazzini, destabilizzando una grande certezza del brand. Ma sono proprio queste le scelte che fanno intendere quale sia la vera volontà della società. Pur di ridurre il proprio impatto, Apple rischia di impiegare più tempo nei trasporti, non garantendo la velocità che fino ad oggi l’ha contraddistinta. A supporto di tale scelta, è stato ottimizzato anche il packaging del prodotto. Grazie all’innovazione, la scatola sarà più compatta e leggera di un quinto a parità di peso e volume, contenendo così il 20% in più di prodotti.

   

Conclusioni

Apple sicuramente non manca di inventiva, tecnologie e finanziamenti per permettersi tali cambiamenti. Tuttavia non è scontato che un’azienda metta in discussione e cambi così tanti aspetti della propria produzione. Per quello che non può cambiare, l’azienda ha pensato di affidarsi a progetti di compensazione con enti quali:

  • Verra;
  • the Climate, Community & Biodiversity (CCB) Standard;
  • the Forest Stewardship Council (FSC).

Così facendo, Apple dovrebbe raggiungere tutti gli obiettivi del piano sviluppato nel 2015. Quest’ultimo prevede l’azzeramento di tutte le emissioni di CO2 per tutti i prodotti Apple e le attività aziendali.

È riuscita anche a convincere circa 300 fornitori, il 90% di quelli con cui lavora a utilizzare esclusivamente forniture di energia rinnovabile nei loro impianti. Questa è l’ennesima prova che con ricerca, attenzione, investimenti e il lavoro di squadra, si può cmabiare il mondo.

 

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Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.

By : Aldo |Settembre 14, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.

Gli Stati Uniti d’America sono una realtà capace di influenzare il mondo in modo rapido e intenso quasi in ogni settore.

Un ambito in cui però non sono attenti come l’Europa è proprio quello ambientale e della sostenibilità, ma sembra stiano arrivando grandi cambiamenti anche per loro.

   

La scarsa sostenibilità degli USA

L’acronimo EPA sta per “Agenzia per la protezione dell’ambiente”, ovvero un ente statunitense che si occupa della protezione della salute umana e dell’ambiente. Si tratta di un’agenzia nata nel 1970 sotto il governo Nixon, guidata da un direttore che viene nominato dal presidente, poi confermato dal senato. Di certo nell’ultima decade, ha subito una serie di cambiamenti dettati dalla successione di presidenti con idee totalmente diverse. Soprattutto durante il mandato Trump, che ha creato non pochi problemi all’ambiente degli USA con nuove leggi, revoche di divieti e affermazioni poco veritiere.

 

Nei suoi 4 anni, il repubblicano ha intrapreso un grande percorso per ridurre precedenti regolamentazioni soprattutto ambientali. Tra queste ha sostituito il Clean Power Plan, ridefinito i termini critici ai sensi della Endangered Species Act. Inoltre, ha revocato i divieti di estrazione di petrolio e gas naturale, indebolito la Coal Ash Rule, che regola lo smaltimento dei rifiuti di carbone tossici. Per non parlare della revisione degli standard sul mercurio e sulle sostanze tossiche nell’aria. Il problema di tali mosse ricade sul fatto che il blocco o la revisione di certe leggi o regolamenti, ha fermato processi importanti (lunghi anni).

  

Con l’arrivo di Biden, sembrava che l’America potesse proteggere seriamente la natura e la salute dei cittadini; ma è veramente così?

    

Inflation Reduction Act

Il cosiddetto IRA è un pacchetto di norme per stimolare l’economia e accelerare la transizione energetica. Si può descrivere come un disegno di legge che favorirà la riduzione del deficit per combattere l’inflazione, incrementando e diversificando le soluzioni climatiche.

   

Tenendo da parte l’economia, sembra che l’IRA possa portare a una riduzione delle emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Parliamo di un disegno di legge che dimostra l’importanza di avere un’ampia serie di soluzioni climatiche innovative per migliorare le strategie di decarbonizzazione. É fondamentale anche per raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni e per diventare un modello di politica climatica globale.  Senz’altro resta una azione strategica per mantenere e aumentare il consenso politico.

  

L’IRA, ormai è legge, sarà comunque seguita dal CATF (Clean Air Task Force) che collaborerà con responsabili politici, l’amministrazione presidenziale e le altre parti interessate. Questa integrazione consentirà un maggior controllo sull’implementazione, la localizzazione e la costruzione di infrastrutture per l’energia pulita e sulle nuove norme per la decarbonizzazione.

   

Questa legge prevede vari criteri e step quali:

  • Passi avanti trasformativi per ridurre le emissioni di metano;
  • Nuovi crediti d’imposta tecnologicamente neutri per i progetti che generano elettricità a zero emissioni di gas serra;
  • Potenziamento del credito d’imposta 45Q per incentivare la cattura, la rimozione, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio;
  • Credito d’imposta per la produzione di idrogeno per sostenere la leadership degli Stati Uniti nei carburanti a zero emissioni di carbonio;
  • Investimenti senza precedenti per la decarbonizzazione dei trasporti;
  • I crediti d’imposta specifici per l’energia nucleare e quelli neutri dal punto di vista tecnologico rafforzano il valore dell’energia nucleare;
  • Sostegno alle tecnologie geotermiche di nuova generazione, come energia superhot rock;
  • Investire in infrastrutture per l’energia pulita.

   

Gli studi dell’EPA

L’EPA (United States Environmental Protection Agency) ha quindi studiato in modo approfondito la questione, analizzando numeri e obiettivi. Secondo l’ente, l’IRA è un buon incentivo per un cambiamento sostanziale, ma non è abbastanza per er centrare gli obiettivi sul clima del decennio. Nonostante ciò, ci si avvicina molto.

   

È stato calcolato che con tale programma si potrebbe abbattere tra il 49% e l’83% di emissioni legate alla generazione elettrica entro il 2030. Nello specifico i tagli più significativi sono correlati al settore dell’edilizia residenziale e commerciale, dell’industria e dei trasporti. Questo sarà possibile grazie agli investimenti (pari a 391 miliardi di dollari) pensati per incentivare l’utilizzo di energia pulita e delle rinnovabili.

   

Con tale manovra l’EPA calcola che le emissioni nazionali annue di CO2 degli Stati Uniti dovrebbero scendere, nel 2035, a 3,3 miliardi di tonnellate (Gt). Questa è una cifra sorprendente poiché segna l’equivalente di spegnere 214 centrali a carbone. Senza l’approvazione della nuova legge, non si sarebbe raggiunto lo stesso numero anzi, le emissioni avrebbero raggiunto i 4,1 Gt. Parliamo dunque di un dato che si avvicina molto agli obiettivi sul clima annunciati nel 2021, con almeno -50%, sempre rispetto ai livelli di gas serra del 2005.

   

Tuttavia, c’è chi contesta anche questa legge, a causa di un’attenzione rivolta prevalentemente alla fascia economica e meno a quella legata alla sostenibilità.

    

Le contestazioni

Nonostante gli sforzi, i nuovi regolamenti e gli investimenti, c’è chi contesta le scelte del Presidente americano. Per quanto l’IRA possa essere un incentivo ai grandi cambiamenti, è legge criticata da molti e per molteplici aspetti.

Tra questi:

  • I lunghi tempi burocratici per ottenere i permessi per la costruzione degli impianti. Si parla di 5 anni per un parco solare e 7 per un parco eolico.
  • Ritardi nelle autorizzazioni con un conseguente l’abbandono dei progetti e quindi un aumento dei costi;
  • La necessità di più finanziamenti vista la rilevanza economica degli USA a livello globale;
  • La scelta delle aree per la costruzione dei parchi eolici e solari.
  • La probabile perdita di elettricità per il trasporto (per le aree sono lontane dal centro)

Inoltre, in molti ritengono che non ci sia un vero e proprio piano per difendere l’ambiente visti gli ultimi progetti approvati. Come il programma di Conocophilips, il più grande progetto di trivellazione petrolifera a Willow (Alaska) un’ampia area naturale indisturbata.

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Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.

By : Aldo |Settembre 12, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.

Le sfide per il futuro sono tante, diverse, ma tutte collegate, l’una con l’altra. Pertanto, è importante tenere in considerazione più ambiti nella ricerca e nello studio di nuovi prodotti o nuovi progetti.

    

La sfida dell’acqua dolce

La sfida dell’acqua dolce non è un concetto da correlare ad un futuro lontano, poiché c’è già chi combatte quotidianamente per averne una tanica.  Ad oggi sono 768 milioni (11%) le persone che nel mondo non ne hanno nemmeno il minimo necessario per la mera sopravvivenza. Inoltre, con il passare degli anni si prevede un continuo incremento della popolazione, quasi 10 miliardi entro il 2050, quindi aumenterà anche la domanda. Pertanto, i centri di ricerca lavorano costantemente per trovare le soluzioni più disparate per rimediare a tale problema.  

   

Il fatto è che l’acqua dolce non ci serve solo per bere, lavarci e lavare, ma è necessaria per l’agricoltura e migliaia processi di produzione. Tuttavia, al momento i maggiori serbatoi sono i ghiacciai, gli oceani e il sottosuolo, dai quali ne abbiamo una disponibilità diretta del 2,5%. Questo significa che, se la situazione non cambiasse ben 2,4 miliardi di persone potrebbero avere carenze idriche entro il 2050.

   

Per tale motivo sono stati inventati dei sistemi che facilitano la produzione di acqua dolce affiancati da ulteriori programmi legati alla sostenibilità.

    

Il progetto galleggiante

Per ridurre l’uso dell’acqua dolce legata all’agricoltura e rendere sostenibile ed efficiente una produzione agricola, sono stati inventati dei sistemi galleggianti. In questo caso, si può citare lo studio “An interfacial solar evaporation enabled autonomous double-layered vertical floating solar sea farm”. Si tratta di un lavoro svolto dalla University of South Australia e dalla Hubei University of Technology in China pubblicato su “Chemical Engineering Journal”.

    

Il progetto descritto in questo paper riguarda la cosiddetta “fattoria verticale galleggiante”. Si tratta di una struttura galleggiante nel quale si coltivano piante grazie all’acqua dolce ricavata dell’acqua di mare. Gli studiosi pensano sia un piano di enorme impatto e che possa portare soluzioni a questioni importanti quali:

  • La riduzione di emissioni di CO2 ;
  • Un minor utilizzo del suolo e quindi un minor inquinamento;
  • L’utilizzo di energie rinnovabili;
  • Una maggiore produzione di acqua dolce.

In sintesi, sarà una struttura autosufficiente, in grado di far evaporare l’acqua del mare per convertirla in acqua dolce. Così, sarà possibile organizzare delle coltivazioni “autonome”, ovvero che non hanno bisogno dell’intervento umano.

   

Come funziona?

In inglese “farm” in italiano “fattoria” ma non sono stati inclusi animali nel progetto di Haolan Xu e Gary Owens del Future Industries Institute.  Il loro prototipo è strutturato in 2 camere disposte in verticale, dove la superiore è una serra e in quella inferiore si raccoglie l’acqua. I due ricercatori hanno fatto degli esperimenti per provare l’efficienza della “fattoria”, coltivando 3 ortaggi sulla superficie dell’acqua di mare. La coltivazione non prevede l’aggiunta di acqua dolce e alcun tipo di manutenzione, mentre è supportata da un’alimentazione a energia solare.

 

Come accennato prima, i vantaggi di questa tecnologia sono molteplici e possono aiutare l’uomo come anche il pianeta. Un vantaggio rilevante è quello legato alla produzione di acqua potabile.  Infatti, la camera inferiore, consente la raccolta e l’evaporazione dell’acqua di mare, producendo acqua dolce con un processo automatizzato e a basso costo. Secondo le analisi, l’acqua riciclata prodotta dal dispositivo ha un tasso di salinità inferiore a quello prescritto per l’acqua potabile dalle linee guida sanitarie mondiali. Quindi, oltre a produrre cibo (con l’agricoltura) si potrà avere una quantità d’acqua potabile usufruibile per vari impieghi.

   

Simili

Senza dubbio questo non è il primo progetto che lega la coltivazione all’ambiente marino, oppure l’allevamento sul mare. Un esempio italiano è il Nemo’s Garden, delle biosfere galleggianti a 5-10 metri di profondità nella Baia di Noli, in Liguria. Ciascuna contiene 2.000 litri d’aria e sfrutta la combinazione di acqua fresca e luce calda solare, per una adeguata coltura idroponica.

   

Oppure a Rotterdam è stata costruita una fattoria galleggiante su una chiatta con quaranta vacche e settemila galline ovaiole. Il progetto è sostenibile per vari punti di vista come:

  • Abbeveramento: si usa l’acqua piovana, raccolta sul tetto e poi filtrata;
  • Nutrimento: vengono usati cereali provenienti da diversi birrifici, crusca dai mulini, erba dai campi sportivi e bucce di patate da un trasformatore. Tutti questi alimenti sono a “Km 0” o comunque si tratta di enti locali.
  • L’energia: è for è fornita da pannelli solari galleggianti.

Sicuramente non è facile creare delle strutture simili, per via della ricerca e lo studio che li precedono, la necessità di finanziamenti e di permessi burocratici.

Ma, nonostante ciò, questi sono esperimenti che dimostrano che le soluzioni ai nostri problemi esistono, sono funzionali e non danneggiano l’ambiente.

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I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

By : Aldo |Settembre 11, 2023 |Arte sostenibile, Home, mare |Commenti disabilitati su I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

Abbiamo già parlato di come la natura spesse volte si possa curare, rigenerare e recuperare attraverso le sue stesse risorse. Stavolta si tratta del mare e dei suoi abitanti, ma soprattutto di come possiamo sanificarlo con processi naturali e poco invasivi.

Le barriere coralline

Tutti abbiamo in mente un’immagine di una barriera corallina: solitamente si pensa ai coralli colorati, a pesci di varie specie, spugne ed altro. Effettivamente le barriere sarebbero così se non avessimo inquinato il mondo intero e quindi anche il mare, con un’azione diretta e negativa sulla loro salute. Le barriere coralline non sono solamente un elemento marino che crea un bel paesaggio. Si tratta di strutture che ospitano una biodiversità unica al mondo quindi proteggerle significa tutelare il patrimonio naturale ma anche altro. Un esempio sono le comunità che da esse dipendono sia economicamente che socialmente legate per l’appunto alla biodiversità che le abita. Precisamente ci sono centinaia di milioni di persone che grazie al coralligeno hanno un indotto economico e anche del cibo.

   

Le minacce e il pericolo

Nonostante abbia dei ruoli importanti come quello di nursery, di sink di carbonio e di centro di biodiversità, la barriera corallina è in grave pericolo. Il problema? Sempre lui, il cambiamento climatico (o potremmo dire l’uomo), che ha portato ad un “elevato rischio di estinzione” i coralli.  Questa situazione è scaturita da una serie di eventi correlati all’uomo, quali la pesca, la distruzione di habitat e l’inquinamento e l’innalzamento delle temperature.  

   

Per la velocità e l’intensità dei cambiamenti climatici è già prevista una perdita del 50% nei prossimi 30 anni.  Nello specifico, gli studi affermano che, con un aumento della temperatura di 1,5°C, potremmo perdere il 90% delle barriere coralline, con 2°C scomparirebbero totalmente.  Per comprendere bene quello che sta accadendo si può riportare un esempio pratico. Dal 2009 al 2019 le barriere hanno subito ripetuti ed estesi eventi di mortalità di massa, causando una riduzione delle aree del reef del 14%.

    

Si potrebbe pensare sia una cifra minima, ma in realtà rappresenta una perdita di superficie pari all’area totale coperta dalle barriere coralline australiane. Pertanto, ricercatori, biologi marini e ambientologi da anni studiano delle tecnologie per ripristinare questi habitat, la loro biodiversità, dunque le attività umane ad essi correlate.
  

I nuovi reef

I progetti per cambiare rotta sono molteplici e tra i tanti possiamo descrivere uno particolare. Si tratta di un progetto di rigenerazione del mare parte dallo sviluppo di una specie di barriera corallina derivata dalle ostriche. Il piano prevede un arricchimento della biodiversità che determina importanti benefici socio-economici per il territorio in cui verrà sviluppato.  Il programma ideato dall’ENEA mira alla creazione di prototipi di reef, realizzati con scarti di allevamento dei molluschi quali gusci di militi e fibre naturali.

   

Ci sono invece altri programmi a livello internazionale che mirano alla rigenerazione del coralligeno per mezzo di una coltivazione di coralli. Si parla di aree sul substrato marino che accolgono delle strutture nelle quali sono disposti frammenti di coralli, che cresceranno con il tempo.

   
Le ostriche e L’ENEA

Il primo progetto citato ha come obiettivo quello di ripopolare con l’ostrica piatta europea il mare del Golfo di La Spezia. Si sviluppa in collaborazione con la Cooperativa Mitilicoltori Associati di La Spezia, rientrando anche nel progetto PNRR RAISE. Quest’ultimo (Robotics and AI for Socio-economic Empowerment) è un programma usato per consolidare l’innovazione ad alta vocazione tecnologica tra le filiere portanti dell’economia ligure.Prevede un budget di 120 milioni di euro a valere sulle risorse previste per il PNRR. In aggiunta il piano segue i principi della rete Native Oyster Network, un organo consultivo già attivo in altre nazioni come l’Irlanda e il Regno Unito.

  

E come se non bastasse, l’ENEA e la Cooperativa, sono parte di Smart Bay S. Teresa, un centro di ricerca specializzato negli ecosistemi calcificanti. È un laboratorio dedicato anche a tutto quello che concerne la rigenerazione dell’ambiente e delle aree portuali e la valorizzazione degli scarti dell’acquacoltura.

   

Perchè proprio l’ostrica piatta

La scelta di questa specie ovviamente non è casuale, anzi deriva dalla sua capacità di rigenerare gli ambienti marini e fornire altri servizi ecosistemici.

Tra le varie azioni svolte dall’ostrica piatta si possono citare la regolazione del clima e il mantenimento della biodiversità. In più, essendo un filtratore aiuta a mantenere pulita l’acqua, senza dimenticare una delle sue funzioni più legata all’uomo, ossia l’essere fonte di cibo.

  

È un mollusco originario dell’Europa, che cresce lentamente e che può formare strutture molto simili ad una barriera corallina. Pertanto, è capace di creare un habitat adatto a pesci giovani (se non nursery), granchi, lumache di mare e spugne. Le capacità dell’ostrica erano già verso il 1900, purtroppo però Le attività costiere, l’impatto antropico e il cambiamento climatico ne hanno ridotto drasticamente la presenza.

 

Questo come tanti altri, sono progetti con un’ampio range di azione, proprio perchè legati all’ecologia e alla sostenibilità quindi, godono di una visione a 360°. Non a caso, si passa dall’azione di ripristino dell’habitat marino, ai vantaggi per l’intero mare, fino alle proprietà che favoriscono l’economia blu.

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Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

By : Aldo |Settembre 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

La raccolta differenziata e il corretto smaltimento dei materiali che usiamo quotidianamente, sono delle pratiche rilevanti per instaurare un’economia circolare.

Eppure, sembra che non siano stati studiati metodi con cui riutilizzare delle materie prime pregiate: una di queste è il sughero.

Cos’è il sughero e come si estrae

Il sughero è un tessuto secondario che riveste il fusto e le radici delle piante fanerogame come la quercia da sughero o “sughera” (Quercus suber). Si tratta di alberi alti oltre 20 m che hanno un diametro di 1,5 m e sono diffusi in maniera limitata nel Mediterraneo occidentale.  Si trovano anche in Africa settentrionale, Portogallo, Spagna e in Italia, principalmente in Sardegna dove viene coltivata e poi in Toscana, Lazio e Sicilia.

  

Il processo di estrazione del sughero è diviso in 2 azioni simili, svolte a distanza di 10 anni l’una dall’altra. Infatti, la raccolta inizia quando il tronco ha una circonferenza di 30-40 cm, quindi più o meno dopo i 20 anni di età. In questa prima fase, detta “demaschiatura” (per via del nome dato al sughero vergine, “maschio” o sugherone) si praticano delle incisioni.  Queste servono per staccare con cura le strisce di scorza, senza rovinare il fellogeno, dal quale si ricava il nuovo sughero.

  

Dopodiché, si genererà annualmente un anello e 10 anni dopo la demaschiatura lo spessore sarà di 3cm e l’albero sarà pronto per l’estrazione del sughero. La sua asportazione procede dalla base del tronco verso l’alto, poi viene tolto ogni 9-12 anni, così l’albero resta produttivo e vive fino a 150-180 anni.

Tale processo si svolge tra i primi di maggio e la fine di agosto, quando il materiale in esame si stacca più facilmente, lasciando sana la pianta.

   

Gli impieghi del sughero

Per le molteplici caratteristiche chimico-fisiche, il sughero può essere impiegato in vari ambiti. Tra le sue proprietà possiamo citare la resistenza al fuoco e all’usura, l’elasticità e l’isolamento (elettrico, termico e acustico). In aggiunta è inattaccabile da insetti e roditori ed è anche inodore, insapore, imputrescibile e non tossico.

    

Può essere usato in vari settori e in vari modi, per esempio;

  • È impiegato per la fabbricazione dei turaccioli: per la sua elasticità e di impermeabilità, grazie alle quali garantisce una chiusura ermetica delle bottiglie;
  • É utilizzato nell’industria farmaceutica e in quella cosmetica;
  • Lo troviamo ancora nella fabbricazione di solette e soprasuole per scarpe, rivestimenti isolanti, galleggianti per le reti da pesca, salvagenti, imballaggi per materiali fragili ecc;
  • Per la fabbricazione del linoleum e di agglomerati espansi, utili per l’isolamento termico e acustico degli ambienti.  

I tappi e il riciclo

I tappi di sughero sono dei prodotti di grande valore che potrebbero alimentare un grande settore dell’economia, incrementando un circolo di riciclo e riutilizzo rilevante. Solo in Italia ne vengono prodotti 1,2 miliardi all’anno e nel mondo sono almeno dieci volte tanti. Nonostante si tratti di un materiale recuperabile al 100% e non infinito, la loro vita finisce nel momento in cui viene stappata una bottiglia.

In più la crescita del settore vinicolo, determina un aumento delle pressioni sui querceti, dunque, diventa necessario trovare rapidamente un sostituto a tale materia. Per questa ragione il riciclo dei tappi sarebbe necessario, se non urgente, ma come impostarlo?

   

Sicuramente la raccolta specifica di tappi, per il singolo cittadino e le attività ristorative sarebbe un buon inizio per cambiare il trend negativo. Già con un’attività simile, potremmo incentivare il risparmio di risorse naturali ed energia, dando nuova vita al sughero.  Per esempio, si potrebbero creare nuovi tappi, realizzare strati isolanti e fonoassorbenti che migliorano le prestazioni energetiche degli edifici o suole e tacchi per le scarpe. Un esempio è il progetto Recooper a Bologna o del Comune di Tradate (Lombardia) che dal dicembre 2022 hanno attivato un punto di raccolta pubblico.

   

Una seconda opzione è quella di finanziare progetti di consorzi specializzati nel recupero e nel corretto smaltimento del sughero. O ancora ci si può indirizzare verso il fai da te, come nel caso colosso del sughero Amorim Cork. L’azienda ha preso accordi con 45 onlus sul territorio nazionale per raccogliere tappi e trasformarli in oggetti di interior design.

   

Nel mondo

Nel mondo invece sono state sviluppate altre iniziative per il riciclo del sughero in generale. Un caso è quello di Seondong a Seoul, che ha stipulato un accordo con un’impresa di costruzione di impianti sportivi specializzata nel di riciclo del sughero. L’accordo prevede la partecipazione di ben 45 commercianti di vino che raccoglieranno i tappi inviandoli all’impresa, per la creazione di passaggi pedonali vicino all’ufficio distrettuale.

   

Oppure in Portogallo nel 2005 ha posizionato i primi contenitori per la raccolta differenziata dei tappi di sughero, anche presso gli esercizi commerciali. Non a caso il portogallo è il più grande produttore di sughero, seguito da Spagna, Algeria e Italia.

   

Il riciclo e il riutilizzo sono azioni basilari per una vita e un futuro sostenibile. Senza una buona pratica di tali processi, potrebbe essere difficile mantenere la qualità di certe materie prime o garantire le stesse quantità nei prossimi anni. Proprio per questo dovremmo basarci sempre più su un’economia circolare, perchè serve a noi tanto quanto al pianeta.

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Aumentano gli ordini di turbine eoliche nel 2023: raggiunti i 69 GW.

By : Aldo |Settembre 05, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Aumentano gli ordini di turbine eoliche nel 2023: raggiunti i 69 GW.

Anche se siamo abituati a progetti mai portati a termine, programmi difficili da realizzare o pochi investimenti, sembra che nel mondo stia cambiando qualcosa.

Un’impennata nell’eolico fa aprire gli occhi sulle sue potenzialità e sul suo potere tra le energie rinnovabili.

    

Il boost di ordini e di energie

Wood Mackenzie, è un gruppo globale di ricerca e consulenza che fornisce dati, analisi scritte e consulenze ai settori energetico, delle energie rinnovabili ed altro. Secondo la loro ultima analisi, gli ordini globali di aerogeneratori sono aumentati di molto nel primo semestre 2023, con una crescita del 12% su base annua. In soli sei mesi, gli ordini riguardanti i componenti delle pale eoliche sono aumentati a dismisura. Si tratta di un incremento della domanda del 12% rispetto al 2022.

  

Tale crescita ha consentito il raggiungimento di 69,5 gigawatt di attività, per un un valore di mercato di ben 40,5 miliardi di dollari. Questa tendenza è stata potenziata soprattutto dalla domanda della Cina e successivamente dall’attività di mercato del Nord America.

   

La Repubblica popolare cinese

Si può affermare con certezza che la Repubblica popolare della Cina sia la responsabile di più della metà degli ordini effettuati in sei mesi. Infatti da gennaio a giugno, la domanda di nuovi aerogeneratori è aumentata del 47%, toccando i 25 GW di attività. Così facendo, ha determinato più della metà degli ordini a livello globale.

  

Secondo i dati del Global Wind Energy Council di Bruxelles, resta il maggior produttore mondiale di energia eolica. Il gigante asiatico, infatti, rappresenta una quota del 60% sul mercato globale (2022), grazie al dominio delle sue aziende. Queste hanno consentito una crescita dal 37% che aveva nel 2018 all’attuale 57%. Non a caso, delle 15 maggiori compagnie al mondo impegnate nell’eolico, dieci sono cinesi, tra queste

  • Gold Wind: quota sul mercato globale pari al 13%
  • Envision (9%) quinta classificata con 9,7 GW;
  • Windey che ha toccato i 8,2 GW.
  • Mingyang Smart Energy (7%) a sesta

Il Nord America

Mentre il Nord America ha aumentato i suoi acquisti, raggiungendo un’attività di 7,7 GW, il quadruplo rispetto al primo semestre del 2022 (1,9 GW).

In tal caso, questo incremento è dovuto all’Inflation Reduction Act, ossia un provvedimento statunitense che promuove il settore della transizione energetica. Tale iniziativa serve per favorire sia la produzione di auto che all’approvvigionamento dell’energia da parte di cittadini e aziende. Si tratta di un disegno di legge di spesa di grandi dimensioni che contemporaneamente attua due grandi iniziative. Una serve per combattere l’inflazione, l’altra consente di sviluppare soluzioni climatiche.

  

Una volta attuato, questo provvedimento dovrebbe ridurre le emissioni del 42% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Mentre per quanto riguarda l’inflazione, si potrà godere di una riduzione netta del deficit di 102 miliardi di dollari nel periodo 2022-2031. 

Questa legge prevede vari criteri e step quali:

  • Passi avanti trasformativi per ridurre le emissioni di metano;
  • Nuovi crediti d’imposta tecnologicamente neutri per i progetti che generano elettricità a zero emissioni di gas serra;
  • Potenziamento del credito d’imposta 45Q per incentivare la cattura, la rimozione, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio;
  • Credito d’imposta per la produzione di idrogeno per sostenere la leadership degli Stati Uniti nei carburanti a zero emissioni di carbonio;
  • Investimenti senza precedenti per la decarbonizzazione dei trasporti;
  • I crediti d’imposta specifici per l’energia nucleare e quelli neutri dal punto di vista tecnologico rafforzano il valore dell’energia nucleare;
  • Sostegno alle tecnologie geotermiche di nuova generazione, come energia superhot rock;
  • Investire in infrastrutture per l’energia pulita.

L’eolico offshore

Oltre a questo, è aumentato anche il sotto-segmento dell’eolico offshore, dunque dell’eolico in mare. Anche per questo ambito sono aumentati gli ordini del 26% su base annua, sempre nel primo semestre dell’anno, decretando il record di 12 GW di attività.

Il mercato americano ha aumentato i suoi ordini che variano tra i 2,6 GW e 1,2 GW, favorendo in modo significante il mercato delle rinnovabili.  Tali investimenti sono fondamentali anche perchè nell’ultimo periodo molti accordi sono stati cancellati per mancanza di investimenti. In questo ambito, Siemens Gamesa ha ottenuto il primo posto nella capacità di nuovi ordini di turbine eoliche (5,9 GW) nel secondo trimestre.

In generale giro d’affari globale è stato di 25,3 miliardi dollari, nel secondo quadrimestre e di 40,5 miliardi di dollari (37 miliardi di euro) nei primi sei mesi.

 

Il boost di domanda del Nord America e della Cina risolleva il mercato e favorisce la promozione dell’utilizzo di fonti rinnovabili. Tale situazione è fondamentale per cambiare l’andamento del mercato energetico in futuro; dunque, è un ottimo passo avanti per il settore “Green”

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Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.

By : Aldo |Agosto 31, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.

Lo sviluppo di nuovi strumenti, la ricerca di nuove tecnologie e la loro applicazione è spesso frutto di una collaborazione tra enti.

Che si tratti di università, centri di sperimentazione, grandi brand o istituzioni, quando c’è cooperazione si arriva sicuramente ad un risultato migliore.

    

Google e le nuove API

Il gigante del web fa un altro passo in avanti per la società e per il mondo. L’azienda informatica statunitense nata nel 1998, continua i suoi studi e soprattutto resta aperta alle nuove sfide della sostenibilità.

Google si muove per trovare il modo più opportuno di migliorare la vita delle persone e quella di Madre Terra con i mezzi che ha a disposizione. In questo caso, il colosso ha deciso di usare le tecnologie più avanzate del momento per poter creare delle mappe, molto importanti per l’uomo.

   

Si tratta delle nuove API di Google Maps Platform, che consentiranno agli sviluppatori di mappare facilmente le informazioni su energia solare, qualità dell’aria e pollini. Dove API sta per Application Programming Interface, ossia un insieme di procedure atte a risolvere uno specifico problema di comunicazione tra diversi computer o software. Dunque, Maps sarà in grado di comunicare con altri software per facilitare la localizzazione di determinate aree, utili ad ulteriori studi o a nuovi investimenti.

   

API Solar

L’attenzione alla mappatura solare inizia nel 2015 con il lancio di Project Sunroof, ideato per aiutare i cittadini a capire il “potenziale fotovoltaico” locale. Questo ovviamente è stato possibile alle immagini di Google Earth che danno una visione ampia e precisa di ogni zona del mondo richiesta.

   

Il nuovo progetto si chiama API Solar e si basa proprio su questo primo programma, di cui sono state ampliate le funzionalità grazie all’intelligenza artificiale. L’IA è servita principalmente per fornire informazioni e approfondimenti più precisi rispetto a quelli pubblici o ai modelli 3D del satellite.

Il progetto funzionerà per via di un modello IA addestrato per estrapolare informazioni 3D sulla geometria di tetti e coperture. Tali informazioni saranno ricavate dalle immagini aeree di oltre 320 milioni di edifici in 40 Paesi, tra cui è presente anche l’Italia.

   

La sicurezza dei dati, pubblicati successivamente, è data anche dal fatto che lo strumento tiene conto anche di dati meteo storici o di costi energetici.

Il progetto, quindi, offre una serie di servizi e vantaggi divisibili in due fasce:

  • la prima consente di ottenere informazioni rapide sulla fattibilità solare (Building Insights): quantità di luce ricevuta, sistema di pannelli più efficiente;
  • la seconda invece fornisce maggiori dettagli per la progettazione dei sistemi solari (Data Layer): l’ombreggiatura presente nell’area o modelli digitali della superficie dei tetti.

Air Quality API

Oltre al progetto dedicato al fotovoltaico, Google promuoverà anche API Air Quality, un programma basato sul monitoraggio dell’aria.

Si tratta di un sistema pensato specialmente per le aziende che possono comprendere in maniera più chiara i cambiamenti climatici e ambientali.  Con questo strumento, si possono effettuare analisi sulla qualità dell’aria con un indice su scala da 1 a 100. Il lancio in general availability comprende informazioni per oltre 100 Paesi.  

   

Pollen API

Allo stesso modo, Pollen API rilascia previsioni giornaliere dei pollini con allegata una mappa di calore per le successive 96 ore. In questo caso le informazioni sui pollini sono molto specifiche: i dati riguardano pollini di vari tipi di vegetazione.

Mostra informazioni riguardo ai pollini di alberi, e tiene conto di 15 diverse specie di piante, tra cui le graminacee, l’ontano, il frassino. Poi ancora la betulla, la cotonosa, l’olmo, il nocciolo, il cedro e cipresso giapponese, il ginepro, l’acero, la quercia, l’ulivo, il pino e l’ambrosia.

Sarà lanciato in general availability nei prossimi mesi in 65 Paesi.

   

Google e le mappature

Grazie a tali tecnologie, Google venderà data set API sulle mappature solari, dell’aria e dei pollini alle aziende per valutare varie questioni.
Tra queste il loro potenziale fotovoltaico, l’inquinamento dell’aria, la sua temperatura e i movimenti dei pollini, fondamentali per la vita di tutti.

Il database si costituirà su una base di oltre 320 milioni di edifici in oltre 40 paesi, per via dell’utilizzo dell’IA e del machine learning con dati ambientali.

   

Giorno dopo giorno diventa sempre più rilevante la cooperazione tra enti, la collaborazione tra centri di ricerca e imprenditori. Perchè se si uniscono le forze, si incontrano soluzioni che possono aiutare tante persone o almeno altri enti di studio per favorire lo sviluppo del mondo.

La sostenibilità è un melting pot di macroaree ed è proprio per questo che abbiamo bisogno di un melting pot anche nella fase di studio. Per migliorare il nostro impatto sulla Terra.  

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Il risparmio energetico non è mai stato così colorato: ecco le nuove vernici isolanti.

By : Aldo |Agosto 29, 2023 |Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Il risparmio energetico non è mai stato così colorato: ecco le nuove vernici isolanti.

Chi ha detto che per risparmiare energia nel nostro condominio, bisogna rinunciare ai colori?

Ma soprattutto, perchè possiamo usare solo il grigio per isolare termicamente degli ambienti? L’Università di Stanford ha trovato la risposta a tali quesiti e una soluzione per una sostenibilità a colori.

 

La ricerca di Stanford

Un gruppo di ingegneri della Stanford University dopo molteplici prove e ricerche è arrivato alla scoperta di una tecnologia che può migliorare i nostri edifici.

Parliamo ancora una volta di risparmio energetico nell’ambito dell’edilizia, nello specifico, di prodotti di isolamento termico come le vernici.

In particolare, la ricerca svolta nell’università americana, ha riscosso un grande successo, non solo per la tecnologia scoperta, ma anche per la qualità del prodotto.

Infatti, si tratta di nuove vernici isolanti, che differiscono da quelle esistenti per caratteristiche fisiche e visive. In concreto sono state introdotte delle pigmentazioni, in modo da isolare la superficie su cui vengono applicate le vernici, senza rinunciare ai colori.

Rivestimenti “Low-E”

Seppur le vernici isolanti siano un prodotto facile da usare e sono diffuse sul mercato dell’edilizia, vengono create per via di processi minuziosi e innovativi.

Solitamente il materiale si compone di 2 strati che si applicano separatamente. Il primo, quello inferiore, riflettente gli IR (raggi infrarossi) grazie alle scaglie di alluminio che contiene. Mentre il secondo, il superiore, è uno strato più sottile e trasparente all’infrarosso che utilizza nanoparticelle inorganiche (che comprendono il colore). Una volta applicato il prodotto, i raggi infrarossi raggiungono lo strato inferiore e tornano indietro senza però arrivare ai materiali edilizi.

  

Per questo se si vuole isolare una stanza dal calore, la vernice isolante va applicata su facciate e tetti degli edifici. In tal modo si riduce di quasi il 21% l’energia necessaria per raffreddare gli interni in condizioni di caldo artificiale.

Con le nuove vernici si può inoltre mantenere il calore all’interno, con la capacità di ridurre del 36% l’energia utilizzata per il riscaldamento degli ambienti. Tutto questo è possibile semplicemente applicando la vernice sulle pareti.

  

L’innovazione dei pigmenti aggiunti, consente di isolare termicamente un intero appartamento, senza dover rinunciare alla bellezza di una casa colorata. Si tiene a sottolineare questo punto perchè fino ad oggi, l’unico colore disponibile era il grigio scuro, oggi invece sono disponibili altre tonalità quali:

  • Bianco,
  • blu,
  • rosso,
  • giallo,
  • verde,
  • arancione,
  • viola
  • grigio scuro.    

Isolamento termico

Le caratteristiche di queste tinte sono molteplici, ma la più importante è la loro bassa emissività o elevata riflettanza. Tale proprietà consente l’assorbimento delle radiazioni termiche infrarosse, diventando un prodotto “Low-E”. Così, il materiale è capace di riflettere l’80% della luce del medio infrarosso insieme ad una piccola porzione del vicino infrarosso.

 

Inoltre, le nuove vernici possono essere applicate anche su altre superfici non correlate all’edilizia. Infatti, secondo Mark Golden (uno degli studiosi), il prodotto potrebbe rivestire camion e vagoni ferroviari utilizzati per il trasporto refrigerato. Così facendo si ridurrebbero i costi di energia per i frigoriferi, i consumi e le emissioni di CO2.  O ancora potrebbero rivestire le pareti di ambienti umidi, vista la proprietà idrorepellente di entrambi gli strati.

 

L’Università ha già svolto delle simulazioni in condomini di media altezza e in diverse zone climatiche degli USA, rivestendo tetti, pareti interne ed esterne. Il risultato? I palazzi hanno consumato il 7,4% in meno di energia per riscaldamento, ventilazione e aria condizionata, durante l’anno.

 

Una tale innovazione dimostra come, il mondo della ricerca sia sempre a lavoro per poter migliorare la vita dell’uomo e il suo impatto sulla Terra. Il cambiamento in esame sembra maggiormente una miglioria estetica, che tuttavia non è da sottovalutare. Perchè un palazzo colorato ha sicuramente più valore del solito condominio grigio o beige, soprattutto se quei colori sono la ragione di un ottimo di isolamento termico.

 

Infine, rendere semplice, un procedimento importante come questo, consente a molte più persone di optare per una soluzione green per la propria abitazione.

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E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?

By : Aldo |Agosto 28, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?
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La mobilità elettrica sta crescendo negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie ma anche per via di bonus e investimenti da parte dello Stato.

Comunque nella “mobilità elettrica” sono inclusi oltre alle macchine, biciclette e monopattini elettrici che prendono sempre più consensi tra i cittadini.

Mukuta

Mukuta è il nome di un progetto all’avanguardia che unisce due ambiti rilevanti della sostenibilità, ossia l’energia e la mobilità.  Si tratta di un prototipo della società di e-moblity Splach, che ha da tempo altri prodotti sul mercato, tra cui e-scooter ed e-bike.

Un monopattino elettrico unico nel suo genere grazie ad una considerevole innovazione e pensato per massimizzare la sua efficienza.

Il nuovo prodotto infatti è un mezzo di locomozione elettrico che può trasformarsi in una fonte di energia portatile per la ricarica di altri dispositivi. Il piano è quello di realizzare un sistema con batteria estraibile e “riutilizzabile”, come un power bank che possa alimentare eventualmente anche il veicolo stesso.
   

Il monopattino in dettaglio

La società SPLACH, fondata tra Los Angeles e Taiwan, è impegnata nella ricerca di materiali, tecnologie e design che soddisfino le esigenze dei clienti.

Pertanto, il mezzo ha una serie di caratteristiche che descrivono l’alta qualità del prodotto:

  • telaio in lega di alluminio 6082-T6;
  • sopporta fino a 120 kg di peso;
  • robusti pneumatici airless;
  • doppia sospensione regolabile;
  • sistema di luci a LED (sia sul manubrio, sia ai lati della pedana per illuminare in sicurezza la strada e aumentare la visibilità);
  • freni a doppio disco;
  • E-ABS.

Presenta un doppio motore, che si combina per una potenza pari a 2.208 watt, che consente di raggiungere i 45 km/h in 5,9 secondi. Può essere guidato su strada o fuori strada ed affrontare pendenze del 40%.

Tuttavia, la parte più innovativa, il punto di forza di questo prodotto è la batteria (il sistema d’accumulo) da 748,8 Wh. Questa può fornire a Mukuta un’autonomia di 62km ad ogni ricarica, ma durante l’inattività del veicolo può essere utile per altro.

Infatti, c’è la possibilità di rimuoverla ed usarla per ricaricare dispositivi e piccoli elettrodomestici, grazie al convertitore con 2 porte USB e una tipo C.

Gli inventori hanno portato degli esempi concreti della potenza di tale batteria e delle due capacità. Per esempio, se fosse piena al 100%, potrebbe alimentare 11 volte un laptop, 56 uno smartphone e 14 un frullatore.

 

Investimenti

Un’altra particolarità alle spalle di Mukuta è la modalità con la quale hanno messo alla luce tale progetto. Si tratta della campagna Indiegogo, che la società ha attivato per finanziare la produzione del mezzo, che ora parte da un prezzo di 921 euro. Trattandosi di una società e non di un grande brand, il crowdfunding serve per poter raggiungere il miglior risultato possibile. Non a caso, nella descrizione vengono ringraziati i donatori e i clienti per la fiducia ma anche per l’attesa.

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Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?

By : Aldo |Agosto 21, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?

La sostenibilità dei packaging sembra migliorare giorno dopo giorno soprattutto grazie ai materiali scelti per la loro produzione.

In questo caso, il concetto di sostenibilità non riguarda solo la materia di cui è composto l’imballaggio, ma anche il suo possibile riciclo.

  

Riciclo e sostenibilità

Riciclare è un’azione fondamentale nell’ambito della sostenibilità e quindi dell’economia circolare; pertanto, un occhio di riguardo al tema è sempre ben accetto.

Dunque, parlando di packaging, si intende sostenibile un imballaggio monomateriale, poiché composto da una sola materia e quindi più facile da riciclare. Nonostante ciò, con i nuovi impianti e l’innovazione degli ultimi anni, anche dei prodotti multimateriali possono essere sostenibili.

Questo è possibile grazie allo studio di un prodotto (LCA), alle varie possibilità di riutilizzo e riciclo, ancor prima della sua produzione. Tale procedimento concerno lo studio dei materiali coinvolti, le loro combinazioni e i sistemi presenti per il loro riciclo.

   

Imballaggi monomateriale

Si definisce un imballaggio monomateriale, quando è composto da una sola materia. Questo tipo di prodotti si scompongono facilmente, pertanto sono si riciclano in modo semplice.

Solitamente gli imballaggi sono fatti di 3 materiali quali carta o cartone, vetro e plastica (di vario tipo). Tali materie sono usate in molteplici modi , ma una volta arrivati nel centro di riciclo, subiscono delle modifiche e dei processi diversi.

   

La carta: è composta da pasta di legno (cellulosa), per cui si tratta di un materiale facilmente riciclabile. Tuttavia, questa affermazione sarà vera solo nel caso in cui non venga trattata con certi prodotti quali rivestimenti, laminati, vernici o inchiostri particolari. In questo caso la carta non sarà riciclabile anche se monomateriale, poiché per riportarla allo stato naturale sono necessari processi chimici specifici o troppo dispendiosi.

    

Il vetro: è costituito totalmente da silice, ricavata dalla sabbia. Per questo è facile da riciclare e non a caso ha uno dei più alti tassi di riciclo tra gli imballaggi. Attraverso processi semplici, si consente la creazione di nuovi prodotti, senza perdere qualità o purezza del materiale. In questo modo il vetro risulta un tipo di imballaggio altamente sostenibile.

La plastica: essendo un polimero, può essere di vari tipi, con caratteristiche chimico-fisiche diverse che determinano un utilizzo differente. Tra i monomateriali correlati alla plastica abbiamo:

  • polipropilene (PP) un polimero termoplastico, dotato di grande durabilità, resistenza al calore e all’umidità oltre ad essere un materiale duttile. È diffuso come packaging per yogurt, tappi per bottiglie per bevande, flaconi per medicinali e pellicole.
  • polietilene (PE) è una resina termoplastica, non polare, parzialmente cristallina usata per prodotti leggeri ma resistenti. Per esempio, con il PE si creano sacchetti per la spesa e per il congelatore, pellicole termoretraibili, pluriball e bottiglie di plastica.
  • polietilene tereftalato (PET) è un materiale riciclabile al 100%, adatto al contatto alimentare. È il terzo esempio di monomateriale che può essere riciclato e trasformato in nuovi prodotti come abbigliamento, moquette o anche nuove bottiglie. Purtoppo però, scarseggiano le infrastrutture adeguate al suo riciclo che presenta un basso tasso.

Imballaggi multimateriale

Gli imballaggi multimateriale invece, sono tutti quei prodotti che sono composti da più di un materiale. In genere la scelta di un multimateriale ricade sulle caratteristiche del packaging, ossia una maggiore sicurezza alimentare, delle migliori caratteristiche fisiche ecc.

Infatti, un imballaggio di questo tipo spesso offre una maggiore resistenza, durata o funzionalità come quella dei poliaccoppiati. Un secondo tipo di multimateriale potrebbe essere una bottiglia di vetro con tappo in plastica ed etichetta di carta. In questo caso il riciclo avviene in maniera corretta se tutti i componenti vengono divisi in modo adeguato.

Nonostante ciò, a volte i multimateriali sono difficili da riciclare, poiché risulta complesso il processo di separazione dei loro componenti. Spesso risultano anche poco sostenibili visto che necessitano di processi chimici per tali procedure e per il riciclo

    

Un packaging sostenibile

Come precisato nei paragrafi precedenti però, anche i prodotti multimateriali possono essere sostenibili, se creati con opportuni materiali e con tecniche all’avanguardia.

Per esempio, ci sono tipi di cartone realizzati in combinazione con carta, plastica e alluminio che possono essere riciclate con processi specifici. Il processo prevede la separazione e il recupero di ogni materiale presente nel prodotto.

O ancora si possono usare dei materiali biodegradabili o compostabili che abbiano tutte le caratteristiche necessarie all’imballaggio, sostituendo così le classiche plastiche.

Infine, esistono nuove tecnologie che supportano il riciclo meccanico (il più sostenibile perchè privo di processi chimici), in un processo definito riciclaggio avanzato. Quest’ultimo se usato in modo complementare permette di dare una seconda vita agli imballaggi multimateriale, scomponendoli in materie prime.

In tal caso questa tecnologia consente il riuso di materie ancora in ottimo stato, quasi come materie vergini. Di conseguenza si riducono i rifiuti, le emissioni e si incrementa il mercato del riciclo, quindi l’economia circolare.

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