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New Delhi soffoca nuovamente: multe per chi non rispetta le regole e scuole chiuse.

By : Aldo |Novembre 09, 2023 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su New Delhi soffoca nuovamente: multe per chi non rispetta le regole e scuole chiuse.

Lo smog è un problema di tutte le grandi metropoli e delle città urbanizzate. Sicuramente è presente a livelli diversi di pericolosità ma resta sempre un fattore dannoso per la salute dell’uomo e della natura.

   

New Delhi

Con circa 15 milioni di abitanti New Delhi è la terza città dell’India in ordine di grandezza. È il centro politico e amministrativo dell’India unificata e meta di una immigrazione continua, che scopre un mondo fatto di contrasti e contraddizioni.  Nonostante ciò, si tratta di un paese in via di sviluppo, dove l’informatica, internet e le nuove tecnologie stanno cambiando la popolazione.  Queste sue caratteristiche determinano processi positivi ma anche negativi che si palesano nella vita quotidiana degli indiani spesse volte. Tra queste il fermo delle attività durante le giornate “grigie”.

   

Così, venerdì (3 novembre) la città si è svegliata con il livello più alto di inquinamento mai registrato. Secondo l’India Central Pollution Control Board i dati sono molto più alti del valore ritenuto sano dall’OMS. Nello specifico, lunedì l’indice ha raggiunto il valore di 450, mentre venerdì in alcune aree, il picco di 800 (secondo l’India Central Pollution Control Board). Tali livelli oltre ad essere anormali sono gravi e pericolosi per tutti (anche per la visibilità che sulle strade si è abbassata a 300 m).

   

Lo smog

Ogni anno, nel periodo autunnale, New Delhi si trova sormontata da una cappa di smog acre. Quest’ultimo però non è dato solo dall’utilizzo di veicoli, abitudini e risorse poco sostenibili. A questi fattori bisogna aggiungere gli incendi delle stoppe da parte degli agricoltori dei vicini Stati agrari, un problema rilevante e poco monitorato.  Nonostante i divieti e la minaccia di multe salate, i contadini delle zone agricole a nord e nord-ovest di Nuova Delhi continuano le loro attività.

Questo è certo grazie alle rilevazioni di satelliti e droni che hanno identificato oltre 2500 incendi. Il loro fumo viene poi trasportato dai venti verso la capitale dove finisce ristagna e si combina con gli altri inquinanti, producendo la densa nebbia. Tutto questo è possibile anche a causa delle basse temperature e la mancanza di vento nella città.

   

Dunque per ridurre ulteriori rischi, le autorità locali hanno previsto incentivi economici per chi acquista macchinari in grado di smaltire gli scarti in altro modo. Bhagwant Mann, funzionario del governo del Punjab, ha affermato che nel suo territorio queste misure hanno ridotto del 30% la quantità di scarti bruciati annualmente.

     

Pericoli sanitari

A seguito di questi fenomeni annuali, la città è regolarmente classificata come una delle più inquinate del pianeta. Inverno, il livello di PM 2,5 è spesso più di 30 volte il livello massimo stabilito dall’OMS. Quest’ultima afferma che, una buona qualità dell’aria corrisponde a un indice compreso tra zero e 100, ma Delhi registra picchi molto più elevati.

 

Mentre una seconda analisi afferma che l’esposizione prolungata a un livello superiore a 300 può portare a malattie respiratorie e problemi di salute a lungo termine. Le persone intervistate in questi giorni, infatti, confermano lo stato di affaticamento, sonnolenza, lacrimazione degli occhi e irritazione della gola che peggiora di ora in ora. Inoltre, l’inquinamento di Delhi è responsabile della morte prematura di 1,67 milioni di persone (2019) e della riduzione dell’aspettativa di vita in media di 12 anni.

 

Ripari e soluzioni

Le autorità hanno annunciato più volte piani per limitare le sostanze tossiche presenti nell’aria, senza grandi risultati quindi puntualmente passano alle misure restrittive. Per prima, la chiusura d’emergenza delle scuole per l’intera settimana, che non ha migliorato la situazione. Pertanto, il governo ha vietato anche la circolazione ai veicoli inquinanti (benzina, diesel) e i lavori di costruzione.

Nonostante il blocco dei cantieri sono stati mantenuti attivi quelli considerati essenziali, come quelli che coinvolgono metropolitane, aeroporti e condutture idriche. Nel frattempo, in molti negozi sono finiti i filtri per i depuratori d’aria, di cui molte persone stanno facendo scorta.

    

Tuttavia, quest’anno gli incentivi sono stati indirizzati in altri progetti per la risoluzione di tale problema. Per affrontare l’annosa questione dell’inquinamento atmosferico, il governo indiano ha varato a ottobre una “Green War Room”. Si tratta di un centro di coordinamento ad alta tecnologia, dove 17 esperti monitorano l’andamento dello smog in tempo reale. Questo è possibile grazie a immagini satellitari della NASA e gli aggiornamenti dell’indice della qualità dell’aria misurato dai sensori. Questa “Sala” è a tutti gli effetti una piattaforma di coordinamento collegata a 28 agenzie governative.

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Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

By : Aldo |Novembre 05, 2023 |Arte sostenibile, Home, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

Non è raro che per una maggiore sostenibilità si torni alla natura. Spesso molte innovazioni si rifanno a processi e dinamiche naturali, consentendo una nuova valorizzazione di Madre Terra e i suoi sistemi. Purtoppo però, senza degli studi, delle legislazioni o dei monitoraggi opportuni, anche quello che è naturale può causare danni irreparabili.

   

La produzione di gomma

La gomma naturale (o caucciù) deriva dal lattice, estratto da piante tropicali, tra cui la più importante, la Hevea brasiliensis (o albero della gomma). Conosciuta e importata in Europa dal Sud America fin dal Settecento, oggi se ne producono circa 20 milioni di tonnellate all’anno. Si riscontra in percentuali diverse in un’ampia varietà di oggetti, tra cui pneumatici, suole di scarpe, cancelleria, elastici, guaine isolanti per i cavi, elettrodomestici. E ancora profilattici, palloni e palline da sport, guarnizioni di motori, protesi, guanti usa e getta.

   

Recentemente, per una combinazione di vari fattori, la produzione non riesce più a far fronte alla domanda globale. Questo ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di materiali simili, incrementando la produzione di una gomma sintetica, che ovviamente ha un impatto ambientale negativo. Per questo e per le sue fondamentali caratteristiche è difficile allontanarsi dalla produzione naturale, che tuttavia arreca danni al pianeta con ritmi sempre più elevati.

    

La materia prima sta finendo

L’albero della gomma, originario del Rio delle Amazzoni, oggi si trova esclusivamente in Thailandia, Indonesia, Malesia, Cina e Myanmar e in Africa occidentale. Dagli anni ’30 infatti, la sua coltivazione in America Latina si arrestò a causa di un parassita che ne ostacolò la crescita. L’infezione potrebbe arrivare anche in Asia e in Africa grazie all’intensificazione del cambiamento climatico che ha già arrecato danni in Tailandia. Infatti, lunghi periodi di siccità e gravi alluvioni hanno favorito la diffusione di patogeni e malattie delle piante, che hanno ridotto la produzione.

 

Tali meccanismi non sono poi aiutati dal mercato, che negli ultimi anni ha mantenuto basso il prezzo della gomma.  Quest’ultimo è fissato dallo Shanghai Futures Exchange (SHFE), dunque le speculazioni sul valore della gomma, sono spesso slegate dalla realtà nelle piantagioni. Così per incrementare i profitti, gli agricoltori sono indotti a sfruttare eccessivamente gli alberi, incidendo il tronco più a fondo e più volte. Così facendo, hanno esposto le piantagioni ad un progressivo indebolimento e una maggiore vulnerabilità rispetto alle malattie che determinano una minore produttività.

   

Per non parlare della tendenza di convertire le coltivazioni di Hevea in quelle più redditizie, colpevoli delle deforestazioni e perdita della biodiversità.

     

La deforestazione

Purtoppo come spesso accade, questo tipo di attività non sono seguite dalle istituzioni, o non sono regolamentate in modo opportuno. Queste falle del sistema incrementano l’abbattimento di intere foreste, causando danni globali e irreversibili. Nature ne parla nel suo nuovo studio, affermando che dal 1993 le piantagioni hanno distrutto 4 milioni di ettari di foresta del Sud-est asiatico. Nello specifico, la ricerca conferma che le coltivazioni di Hevea brasiliensis, hanno spazzato via un’area due, tre volte superiore a quanto stimato in precedenza. Pertanto, è uno dei principali rischi per gli ecosistemi della regione.

     

Nel 90-99% dei casi, la deforestazione è legata alla produzione di materie prime da esportazione, con filiere non regolamentate o controllate dagli enti predisposti. Risulta dunque fondamentale, lo sviluppo di strategie di prevenzione ad hoc che aiutino a preservare uno dei più importanti ecosistemi del Pianeta.

   

L’analisi dimostra che 1 milione di ettari di tali aree, sono importanti hot-spot di biodiversità. In particolare, le piantagioni di gomma hanno provocato la maggior deforestazione in Indonesia, seguita da Tailandia e Vietnam. Lo studio così afferma che le normative e le iniziative messe in campo dalle nazioni del Sud-Est asiatico sono poco efficienti, perché basate su dati imprecisi. O meglio, dati che sottostimano fortemente il problema.

    

In conclusione

La situazione è dunque complicata poiché, le infezioni, il mercato e il cambiamento climatico, ostacolano la produzione di gomma naturale. Quest’ultima da anni è causa di una crescente deforestazione che mette a rischio l’ambiente delle aree prima citate. Usare a gomma quella sintetica è una soluzione presa in considerazione di recente che tuttavia incrementerebbe l’impatto dell’industria sul pianeta.

    

Per questo si richiedono nuove leggi, maggiori studi e monitoraggi delle coltivazioni. Infine, sarebbe importante rendere tali filiere sostenibili, istituire organi e normative efficienti, per ridurre l’impatto ambientale della produzione descritta.

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Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.

By : Aldo |Novembre 03, 2023 |Acqua, Clima, Home |Commenti disabilitati su Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.

Sport e ambiente sono due categorie che ultimamente vengono affiancate con una maggiore frequenza. In particolare, sono sempre più numerose le iniziative in cui gli sportivi svolgono attività di sensibilizzazione sul tema ambientale e della sostenibilità. Tuttavia, in un caso recente, questi due ambiti sono stati temi di discussione e proteste da parte di un’intera popolazione.

    

Teahupo’o

Teahupo’o è un villaggio che si trova nella costa sud-occidentale di Tahiti (Polinesia francese). È un noto paradiso che si divide tra terra e mare, nonostante, quest’ultimo sia artefice delle onde più pericolose al mondo. Non si tratta di onde alte (la più grande misura “solo” 3 metri) ma di tubi veloci e molto potenti, che attirano surfisti da tutto il mondo.

    

È superfluo dire che il turismo di questo posto è molto legato al surf. Le sue acque vennero scoperte nel 1986 e da lì in poco tempo divennero famose e uniche al mondo per la loro caratteristica. Si iniziò a diffondere il messaggio ed oggi ospita l’annuale Billabong Surf Pro Tahiti, tappa del Campionato Mondiale (WCT) della Association of Surfing Professionals. Il livello è talmente alto che durante questi campionati, la Marina francese proibisce a tutti di entrare in acqua, pena l’arresto.

   

L’arrivo delle Olimpiadi

Il surf è stato inserito il surf nel programma olimpico, solamente nella XXXII Olimpiade, quella di Tokyo 2020 (svoltasi nel 2021 causa COVID). Pertanto, nel 2024 rivedremo i surfisti di tutto il mondo competere in territorio francese molto lontano da Parigi. Proprio Teahupo’o è stata scelta come meta per lo svolgimento gli eventi del surf di Parigi 2024. La Francia non poteva scegliere luogo migliore di questo, peccato però, che la preparazione delle strutture olimpiche abbia già sollevato varie proteste.

    

Sicuramente, portare un evento così peculiare come le Olimpiadi, in un posto tanto distaccato dal resto del mondo non è facile. Ma ora è ancora più difficile proseguire con i lavori poiché la popolazione di Teahupo’o sta manifestando contro la realizzazione di una grande torre d’acciaio. Di cosa si tratta?

   

Nelle gare di surf svolte a Tahiti, i giudici sono sempre stati collocati in una piattaforma rialzata di legno in mezzo al mare. Questa posizione serve per poter osservare e giudicare adeguatamente le prestazioni degli sportivi in acqua. Ma la scelta della struttura (la sua composizione, altezza, grandezza) non è casuale ed è il motivo per il quale surfisti e cittadini di Teahupo’o hanno iniziato a protestare.

    

No alla torre di acciaio

La commissione olimpica e gli organizzatori delle Olimpiadi vogliono costruire una torre di 14 metri di acciaio per valutare da vicino le gare. Si tratta di una struttura necessaria come spiegato prima, che prevede una serie di standard da rispettare, per una migliore permanenza dei giudici. Nella torre ci saranno aria condizionata, internet ad alta velocità, toilette e servizi per garantire un minimo di comfort e sicurezza a giudici ed operatori. La richiesta di tali prestazioni richiede una struttura di un certo tipo, lavori di grande rilevanza e quindi un impatto maggiore sull’ambiente. Questa è la ragione alla base di proteste e manifestazioni da parte dei cittadini di Teahupo’o e dei surfisti di tutto il mondo.

   

Non sfidate Teahupo’o e la sua onda leggendaria. Il messaggio è chiaro ed è ovvio che non si riferisca solamente alle onde marine, ma anche ai movimenti coesi dell’intero popolo. Effettivamente la costruzione servirebbe per soli 3 giorni di competizione, ma i suoi impatti saranno molto più duraturi nel tempo. Al contrario della torre in legno usata in tutte le precedenti gare, a Teahupo’o che, veniva montata e poi successivamente smontata.

   

La struttura ideata dalla commissione olimpica ha bisogno di basi più solide e lavori che, impatteranno pesantemente sul reef e la barriera corallina dell’area. Potrebbe influenzare in modo particolare anche il delicato equilibrio di faglie, correnti e conformazioni sottomarine e quindi la formazione delle onde stesse. O almeno questo è quello che pensano i surfisti, le comunità di Tahiti e tutti coloro che si battono per lo stesso scopo. Una costruzione simile potrebbe modificare negativamente gli equilibri biologici di quel paradiso e disturbare sistemi ecologici rari e preziosi. La critica è rivolta anche verso le misure spropositate della nuova struttura, rispetto alla sua funzione.

    

Vivendo di surf (per turismo e abitudini), la comunità è conscia del fatto che una torre per i giudici servirà ma avanza una proposta. Anziché pensare a una nuova torre (di € 4 milioni) basterà utilizzare quella in legno ed eco-progettata vent’anni fa, che ha sempre funzionato. E soprattutto non arreca danni alla natura.

     

La controparte

Nonostante ciò, gli organizzatori spingono per la realizzazione dell’opera negando i rischi indicati finora da surfisti e dalle associazioni. Spiegano infatti che la nuova torre, la quale ospiterà giudici, medici e produzioni televisive, sarà pensata per avere un “basso” impatto sugli ecosistemi. In più, affermano che risulterà un valore aggiunto anche per le competizioni future e che possa avere altre funzioni nei prossimi anni. L’esempio usato è quello di alcune piattaforme offshore, le cui basi, nel tempo, sono diventate casa per coralli ed ecosistemi.

    

Purtoppo le 400 persone mobilitate non tranquillizzano i polinesiani sul futuro del loro immenso tesoro e la loro preoccupazione resta altissima. Anche se fosse a “basso impatto” come promette la commissione olimpica, il reef subirà un’influenza maggiore rispetto all’erezione della struttura in legno. È anche vero, che la torre in acciaio, comprende una serie di criteri e standard in ambito di sicurezza e salubrità dettate da un regolamento interno.

   

Nei prossimi mesi, vedremo se questa opposizione (pacifica) riesca a portare ad una soluzione concreta e opportuna per entrambe le parti. In ogni caso, si spera sempre che decisioni di questo tipo prendano sempre più in considerazione un punto così importante come la salvaguardia dell’ambiente.

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Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

By : Aldo |Ottobre 26, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

Nonostante le nuove misure riguardanti i rifiuti, lo smaltimento e il riciclo, c’è ancora tanto da fare. Pertanto, l’Europa si è mossa nuovamente per proporre una nuova direttiva, che purtoppo non piace all’Italia.

   

Il quadro europeo

Ogni anno nell’UE si producono ben 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui più di un quarto (il 27%) è rappresentato da rifiuti urbani. Viste le cifre è abbastanza semplice affermare che i paesi più ricchi tendono a generare più rifiuti per abitante. Questo è confermato dagli studi che hanno descritto una specifica condotta dei vari paesi membri. Per esempio, tra il 2018 e il 2021 i rifiuti urbani per abitante sono diminuiti a Malta, Cipro, Spagna e Romania. Mentre sono aumentati, toccando i picchi più alti in Austria, Lussemburgo, Danimarca e Belgio. I numeri più bassi sono stati registrati in Spagna, Lettonia, Croazia e Svezia.

    

Se invece si restringe il campo ai soli rifiuti da imballaggio, la situazione non sembra migliorare. Secondo le statistiche, nell’ultima decade la situazione è peggiorata passando da 66 milioni di tonnellate di rifiuti da imballaggi nel 2009, a 84 milioni nel 2021. Un aumento di grande rilevanza che ha culminato appunto, con la produzione di 188,7 kg di rifiuti di imballaggio all’anno per ogni europeo. Per quanto analizzato dai ricercatori, questa tendenza non diminuirà, anzi continuerà a crescere a dismisura fino a toccare i 209 kg per abitante nel 2030.

     

Le nuove misure

Per questo la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha appena adottato, una nuova proposta di regolamento. Questa punta a una maggiore facilità d’uso del packaging, con lo scopo di ridurre tutti gli imballaggi inutili e i rifiuti prodotti del continente. La proposta è passata con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni; l’Italia però non l’approva.  La proposta (Packaging and Packaging Waste Regulation) passerà alla votazione dell’Assemblea plenaria per poi iniziare i negoziati finali con il Consiglio Ue tra un mese.

    

La normativa nasce per porre uno stop drastico a questa avanzata; dunque, l’UE propone di puntare tutto sul riuso, il recupero e il riciclo. Le idee riportate sono varie e coprono diversi aspetti:

  • vietare la vendita di determinati sacchetti di plastica leggeri (inferiori a 15 micron);
  • ridurre in generale i rifiuti in plastica degli imballaggi;

Precisamente l’obiettivo è quello di apportare una riduzione graduale: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Arrivando anche a determinare delle percentuali minime del contenuto riciclato delle parti in plastica entro la fine del 2025. Si pensa anche alla possibilità di fissare obiettivi e criteri di sostenibilità anche per le bioplastiche. Ed infine si suggerisce di garantire un numero minimo di riutilizzo dei vari imballaggi per semplificare sempre più il processo di riuso.

    

Altri punti importanti della norma, riguardano ristoranti e caffè e i distributori finali di cibi e bevande d’asporto. Proprio loro dovranno garantire ai consumatori la possibilità di portarsi il proprio contenitore. Mentre si parla anche del divieto dell’uso di PFAs e delle sostanze chimiche eterne (forever chemicals), che possano essere a contatto con gli alimenti. C’è un punto anche per la raccolta differenziata: si chiede Paesi membri di differenziare al 90% dei vari materiali da imballaggio entro il 2029.

  

L’Italia contraria

Germania e Francia hanno accolto la proposta con grande entusiasmo poiché certi processi sono già in atto nelle loro città. Per esempio, nella prima, l’abitudine del riuso è comune e molto diffusa per prodotti quali latte, acqua e birra. Tuttavia, insieme, questi due stati hanno richiesto delle flessibilità in modo da adattarsi nel tempo e deroghe in base alle abitudini dei cittadini. Anche l’Austria esulta ma ricorda l’importanza di osservare le regole sulla sicurezza alimentare.

    

L’Italia invece non ci sta. Si oppone al voto, ricordando le risorse usate e gli sforzi fatti per puntare sul riciclo, di cui è leader europeo. Con le nuove norme invece, si ritroverebbe davanti a politiche di riuso che potrebbero penalizzare diversi settori, dalla ristorazione alla distribuzione. Il pensiero è condiviso dai vari ministeri a Confindustria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Confcommercio.

Confcommercio ribadisce che la nuova proposta potrebbe danneggiare la filiera alimentare perché gli imballaggi sono fondamentali per

  • protezione e conservazione degli alimenti,
  • l’informazione al consumatore e la tracciabilità,
  • l’igiene dei prodotti.

Tutti questi punti sono fondamentali perché ne consentono anche la commercializzazione e l’export. Anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ricorda che il modello vincente italiano deve essere valorizzato. Pertanto, afferma, che continuerà la lotta per difendere la filiera innovativa e virtuosa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo.

     

Dunque, in attesa dell’Assemblea plenaria prevista dal 20 al 23 novembre, l’Italia continuerà a difendere la qualità del suo made in Italy. Così continuerà ad opporsi per valorizzare anche gli sforzi e gli impegni (anche economici) fatti in questi anni.

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Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.

By : Aldo |Ottobre 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.
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La COP28 di Dubai si avvicina, ci sono dubbi e perplessità per quanto riguarda gli esiti di tale riunione, ma una cosa è certa. I giovani non stanno con le mani in mano e hanno la mente piena di idee per contrastare il cambiamento climatico.

Youth4Climate

Youth4Climate è un’iniziativa globale, guidata dall’Italia e dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). È un progetto co-modellato con giovani e altri partner quali:

  • Connect4Climate – World Bank Group,
  • la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
  • Secretariat (UN Climate Change),
  • l’Ufficio dell’Inviato del Segretario Generale per la Gioventù
  • il Gruppo Consultivo dei Giovani del Segretario Generale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
  • YOUNGO (collegio ufficiale dei bambini e dei giovani dell’UNFCCC).

Questo programma riunisce risorse, strumenti, capacità, partnership, reti e movimenti online e offline esistenti e nuovi da e per i giovani. Rivolge una grande attenzione nel sostenere l’implementazione di soluzioni per il clima guidate dai giovani con finanziamenti e altri tipi di supporto. Tutto questo con lo scopo di determinare un impatto climatico più sostenuto sul territorio.

    

Dal 2021, è diventato un evento annuale, forse il più atteso del settore, che riunisce attivisti, innovatori, rappresentanti governativi, agenzie ONU, organizzazioni private e non profit. La prima volta si svolse a Milano nell’ambito del Summit pre-COP. Qui i delegati dei giovani di tutto il mondo hanno condiviso la loro visione e le loro richieste in quattro aree tematiche:

  • i giovani guidano l’ambizione
  • la ripresa sostenibile
  • l’impegno degli attori non statali
  • la società attenta al clima

Nel 2022 si tenne a New York il Youth4Climate: Powering Action. Questo evento ha lanciato la collaborazione tra il governo italiano e l’UNDP per renderlo un’iniziativa a lungo termine a sostegno dei giovani leader del clima.

     

Roma 2023

Quest’anno lo Youth4Climate si è svolto a Roma nei giorni 17, 18 e 19 ottobre. Qui sono arrivati 130 under 30 provenienti da 63 Paesi per confrontarsi sulle azioni possibili per il clima. In questo caso, il Mase ha gestito l’iniziativa globale in collaborazione con il Centro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Lo “Youth4Climate: Sparking Solutions 2023” è un evento che segue una prima fase avviata a New York, dove a settembre sono stati raccolti ben 1143 progetti. Di questi solo i migliori 40 sono arrivai a Roma. L’iniziativa articolata in 3 giorni, si divide tra Palazzo Rospigliosi e Casina di Macchia Madama.

   

L’apertura è stata affidata all’inviato speciale italiano per il Clima Francesco Corvaro e il Coordinatore del Centro UNDP di Roma Agostino Inguscio. Dopo una prima presentazione sono seguiti quattro panel di confronto tra i giovani sui temi della sostenibilità urbana, energia, alimentazione e agricoltura, educazione. Il secondo giorno, ha aperto i lavori il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Successivamente i giovani si sono messi all’opera su altri temi come: giustizia climatica, approccio unitario tra privato e pubblico nella sfida ambientale. E ancora il supporto finanziario e tecnico all’inclusione dei giovani nel processo di cambiamento, terminando con l’accensione serale del Colosseo con il logo di Youth4Climate. L’evento si è concluso con la premiazione dei progetti, presidiata dal Ministro Pichetto Fratin e dal Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani. Per concludere in bellezza, il maestro Giovanni Allevi ha sorpreso tutti dedicando un video ai giovani della Youth4Climate, spronandoli a fare sempre di più.

 

I vincitori

Tra questi 40 progetti, alcuni hanno spiccato in specifici settori. Per la categoria “Energia” si riportano:

  • “Emisa Enterprise” di Isaac Chiumia dal Malawi. Ha ideato una stufa che fa risparmiare circa 4-5 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno rispetto alla cucina tradizionale. In questo modo si riducono i tempi di cottura e i costi del combustibile fino al 60%.
  • “Enable the disable action” di Sylvain Obedi Katindi della Repubblica democratica del Congo. Il progetto prevede l’inclusione di giovani e persone con disabilità nelle azioni climatiche, rafforzando la loro educazione ambientale e occupazione nell’imprenditoria ecologica.

Nel settore “Alimentazione e agricoltura:

  • “Seed of Life” di Errachid Montassir dal Marocco. L’idea è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla conservazione dell’ambiente promuovendo i benefici dell’arboricoltura attraverso la piantumazione di alberi da frutto biologici.
  • “Nabd Development and Evolution Organization (NDEO)” di Muna Alhammadi dallo Yemen. Propone la diffusione di pratiche climaticamente intelligenti. Un esempio sono le serre domestiche con sistemi di irrigazione a goccia per aiutare le famiglie ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Oltre a questi c’è un podcast per insegnare agli ucraini come ricostruire il Paese in modo green dopo la guerra. Si parla di batterie riciclate che portano l’elettricità nelle zone rurali della Colombia e del cemento per costruire aree di aggregazione ricavato dalle discariche di Delhi.

     

Tale iniziativa dimostra ancora una volta, quanto i giovani siano pronti a contrastare il cambiamento climatico. Non si tratta solo di attivismo, ma di ragazzi con un bakground di grandi studi e ricerche che si uniscono per un fine comune. Quello di rendere il mondo un posto migliore.

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Il lusso nel turismo sostenibile. Lefay Resorts&Residences è l’esempio italiano.

By : Aldo |Ottobre 22, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il lusso nel turismo sostenibile. Lefay Resorts&Residences è l’esempio italiano.

Ad oggi qualsiasi attività deve approcciare ad una transizione verso la sostenibilità. Questo comprende anche il settore del turismo, che in Italia vale milioni di euro ogni anno.
Alcuni cambiamenti in questo senso prevedono importanti finanziamenti che non tutti possono permettersi. Tuttavia il settore del lusso, anche nell’ambito turistico può fare la differenza: ecco come.

   

Turismo sostenibile

Il turismo sostenibile è considerato come un approccio in contrapposizione rispetto all’overtourism. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo si tratta di un:

turismo consapevole del suo impatto sociale, economico e ambientale presente e futuro, in grado di soddisfare le esigenze dei visitatori, delle comunità locali, dell’ambiente e delle aziende”.

Il Global Sustainable Tourism Council (GSTC) stabilisce e gestisce gli standard globali per viaggi e un turismo sostenibili e repsonsabili, noti come i Criteri GSTC. Questi sono rivolti a due insiemi, quelli dei policy maker e ai manager delle destinazioni turistiche e quelli rivolti agli hotel e ai tour operator. I criteri sono divisi in quattro pilastri:

  • Gestione sostenibile
  • Impatti socioeconomici
  • Impatti culturali
  • Impatti ambientali

Poiché le destinazioni turistiche sono diverse per cultura, usanze e leggi, i criteri sono adatti ad ogni condizione e integrati con ulteriori specificità.  Questi sono la base con cui l’ente di Accreditamento per gli Organismi di Certificazione valuta le società e le imprese in esame.

   

L’esempio italiano

L’Italia, hotspot di biodiversità e casa di un grande patrimonio storico e artistico è sicuramente lo stato che dovrebbe sviluppare maggiormente questo tipo di turismo. Negli ultimi anni, molte città hanno migliorato questo aspetto tanto da essere riconosciute dal Global Sustainable Tourism Council, tra queste: Siena, Cagliari, La Valsugana.

   

L’Italia sta facendo dei grandi passi in avanti e per questo si può riportare l’esempio di una grande catena di lusso che fa da capofila. Lefay Resorts&Residences è una delle strutture alberghiere più citate nel settore lusso per il suo approccio sostenibile presente fin dalle origini dell’impresa. Alcide Leali, amministratore del gruppo, afferma che la famiglia non ha mai puntato a costruire un hotel o diventare albergatori. Pensavano invece di creare un concetto di ospitalità legato al benessere degli ospiti e quindi anche in armonia con l’ambiente circostante.

    

Lefay Resorts&Residences creò ben 2 strutture a cinque stelle: una a Gragnano (sul Lago di Garda nel 2008), una a Pinzolo (tra le Dolomiti nel 2019). L’approccio del gruppo consiste nell’utilizzo di risorse locali e rinnovabili per quanto possibile e nel limitare le emissioni e l’impatto delle loro attività. In entrambi i casi, l’azienda ha scelto accuratamente i materiali necessari e le tecnologie opportune per il raggiungimento della massima sostenibilità.

    

Le misure sostenibili.

L’azienda Lefay Resorts è la prima del settore ad aver siglato un accordo il ministero dell’Ambiente per progetti mirati alla neutralizzazione delle emissioni di CO2. La famiglia ha iniziato un percorso di compensazione per mezzo dell’acquisto di crediti CERs ancora prima che l’attuale norma fosse autorizzata.

   

Inoltre il gruppo redige da anni il Bilancio della Sostenibilità, per condividere in trasparenza i risultati raggiunti e gli obiettivi di miglioramento attesi nel futuro. Tra le misure riportate ci sono anche soluzioni per ridurre i consumi energetici, come l’uso di software per la gestione intelligente di luce e acqua. Il report indica che le strutture godono di pannelli solari e centrali a biomassa alimentate a cippato. Con queste scelte, e i 3 nuovi impianti fotovoltaici realizzati nel 2023, per il risparmio energetico, l’impresa ha evitato l’immissione di 75mila kg di CO2.

   

Materiali biodegradabili o compostabili a base di mais sostituiscono la plastica monouso e per quanto possibile si scelgono materiali locali. A Gragnano il gruppo ha scelto il marmo rosso di Verona e per il parquet, il legno di ulivo invece che l’iperbolico teak birmano. Qui è presente anche un impianto di cogenerazione (energia e riscaldamento) alimentato a gas metano. A Pinzolo troviamo legno che deriva dai boschi del territorio, quindi da alberi come la rovere e il larice. Mentre per quanto riguarda l’energia, si sfrutta il gas naturale liquefatto (il carburante fossile più pulito fra i disponibili), perché non sono presenti altre alternative.

    

Le certificazioni 

Tutti questi sforzi sono stati riconosciuti grazie alle certificazioni dall’ente certificatore TÜV SÜD (nel rispetto di quanto previsto dallo standard ISO 14064). Tale realtà ha convalidato l’implementazione del sistema di Gestione per la Qualità e l’Ambiente conforme agli standard ISO 14001 e ISO 9001. Questo riconoscimento specifico riguardava:

  • L’ideazione e sviluppo di soluzioni architettoniche per strutture ricettive innovative ed ecocompatibili;
  • Processi di management e sviluppo dei settori accoglienza e benessere.

   

Un’altra certificazione distintiva è la Green Globe, fondata su un protocollo appositamente ideato per le strutture turistiche. Si basa sulla verifica di ben 400 indicatori relativi alle aree: economica, sociale e ambientale. Infine, nel 2022 per raggiungere la carbon neutrality, Lefay ha acquistato i crediti Gold Standard e CER a sostegno dei progetti:

  • Clean Water Somali (Etiopia),
  • Dora-II Geothermal Power (Turchia),
  • Carotino e Melewar Palm Oil Mill (Malesia),
  • Pho Thong Solar (Thailandia).

L’impresa è impegnata anche nell’etica, soprattutto per migliorare quotidianamente le condizioni di lavoro degli impiegati e la relazione con clienti e stakeholder.

Sicuramente nel momento in cui gli incassi sono elevati, è più facile poter apportare modifiche e usare misure più dispendiose. Queste possono ridurre l’impatto ambientale delle strutture, migliorando contemporaneamente la permanenza degli ospiti. 

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Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

By : Aldo |Ottobre 19, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

Per il sedicesimo anno consecutivo, si è svolta la Start Cup Puglia, che ha fatto spiccare molteplici giovani realtà del territorio.

     

L’evento 2023

Le Start Cup regionali continuano e il 18 ottobre si è conclusa la selezione in Puglia, con un evento ospitato dalle Officine Cantelmo di Lecce. Quest’anno la ricerca, le idee e l’innovazione sono andate oltre qualsiasi aspettativa con un podio interessante e variegato.

   

Foreverland conquista il primo posto con l’invenzione del Frecao, seguito da MyBon con la sua piattaforma nazionale per gli scontrini. Infine, troviamo Ember Laptops con il suo laptop innovativo e Preinvel che presenta la prima tecnologia di filtraggio fluidodinamico brevettato ad aria. Oltre alla selezione principale sono stati consegnati altri due premi:

  • “Premio regionale per l’innovazione” per il vincitore assoluto della Start Cup 2023
  • “Premio speciale per il miglior progetto di impresa ad impatto sul climate change” Green&Blue offerto dal Gruppo Gedi, media partner del PNI.

A seguito di tale evento i progetti finalisti accedono alla finale del Premio Nazionale Innovazione, che si svolgerà a Milano nei giorni 30 novembre e 1 dicembre 2023.

    

Foreverland: primo vincitore

La startup vincitrice è costituita da quattro giovani, Massimo Sabatini, Giuseppe D’Alessandro, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta. Questi ragazzi hanno unito forze e conoscenze (di esperienze rilevanti in multinazionali) per determinare un impatto positivo nel mondo. Il loro obiettivo è quello di affrontare le criticità ambientali ed etiche legate alla produzione di cibo. Così si sono concentrati su un alimento che piace a tutto il mondo, è sempre più richiesto ed è parte della nostra quotidianità: il cioccolato. La loro ricerca è partita dalle origini del prodotto più amato al mondo, di cui pochi conoscono il vero iter di produzione.

    

Foreverland ha studiato le fasi di raccolta, produzione e trasporto del cioccolato e i dati estratti, sottolineano l’impatto negativo sul mondo della sua industria:

  • è responsabile del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana;
  • più di 1,5 milioni di bambini vengono sfruttati per la sua raccolta;
  • richiede circa 24.000 litri d’acqua per ogni chilogrammo prodotto;
  • è il secondo prodotto al mondo per emissioni di CO2 dovute alla logistica e allo sfruttamento delle terre.  

    

Per queste ragioni, i ragazzi che alle spalle hanno delle grandi esperienze nell’ambito delle multinazionali, si sono uniti per creare un cioccolato alternativo. Così nasce Freecao, un ingrediente rivoluzionario per il settore dolciario, privo di cacao, ma creato a partire dalla carruba.  Quest’ultima è un legume poco conosciuto e valorizzato che in Italia invece cresce in abbondanza rendendola il secondo produttore mondiale. Si parla quindi di una svolta ecologica, ambientale ma anche più etica: si può definire Freecao come un’innovazione sostenibile a tutti gli effetti poiché prevede:

  • una riduzione dell’80% delle emissioni di CO2;
  • una riduzione del 90% del consumo di acqua;
  • è privo dei principali allergeni (latte e frutta a guscio);
  • non contiene glutine o caffeina;
  • ha il 50% in meno di zuccheri (rispetto ad un cioccolato al latte tradizionale);
  • non contiene ingredienti artificiali.

    

Dunque, siamo di fronte ad un nuovo alimento che risulta più sano per il consumatore, più sano per il pianeta e anche più etico. Questo perché sono state scelte coltivazioni locali di carrube, in cui è escluso lo sfruttamento minorile. Precisamente tra 29 giorni, sarà possibile assaggiare questo cioccolato mediterraneo, cacao free al 100%, vegano e sostenibile: chissà quale sarà la risposta dei consumatori?

     

Flying DEMon: premio speciale Green&Blue

Il premio speciale “Green and Blue” invece è stato consegnato a Flying DEMon, una startup legata al monitoraggio ambientale. L’impresa nasce proprio nel 2023, grazie ad un gruppo di ricercatori INFN che in breve tempo ha vinto anche il premio dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Il team registrato alla Camera di Commercio, accreditato come spinoff dell’Università di Bari ha prevalso con un programma sul monitoraggio ambientale.

    

La missione di Flying DEMon è quella di fornire servizi nel settore della rilevazione e nel monitoraggio ambientale di elementi radioattivi. Questo è possibile grazie all’esperienza e alle competenze del team legate ad anni di Ricerca e Sviluppo nell’ambito di esperimenti di fisica astroparticellare.

La startup barese propone un sistema per semplificare e velocizzare il monitoraggio ambientale per la ricerca di sorgenti radioattive presenti sul territorio. Come? Con un detector FHERGA – Flying High Efficiency fast-Response Gamma affiancato da sensori per immagini ottiche e iperspettrali, installati in un drone di 10 kg. In aggiunta, la squadra ha pensato alla progettazione di un’elettronica dedicata alla acquisizione e analisi di dati in tempo reale.

     

L’evento è stato organizzato da ARTI – Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione, in collaborazione con Regione Puglia, PNI e Comitato Promotore. Tale cooperazione ha permesso l’istituzione di grandi premi come quello del primo posto, del valore di €10 mila il diritto di accesso al PNI.

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Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.

By : Aldo |Ottobre 17, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.

La transizione ecologica prevede una serie di cambiamenti all’interno della maggior parte dei settori che riguardano i servizi basilari di ogni città. E come ogni grande rivoluzione si deve partire da un punto più o meno complesso: nel nord Italia si parte dai trasporti su rotaie.

     

La presentazione

Arriva dopo tanta attesa l’innovazione che cercavamo. Il primo treno a idrogeno d’Italia è pronto per portare un grande cambiamento nella Valcamonica (BS) e nel territorio circostante. Il prototipo è stato presentato durante l’EXPO Ferroviaria 2023 alla quale hanno partecipato le società produttrici, le aziende di trasporti e tanti altri. Tra questi FNM e Alstom, che sono i nomi principali di questa novità italiana e che vantano anni di successi nel settore ferroviario e non solo.

    

L’idea riportata nell’accordo siglato a novembre 2020 è quella di far passare il treno lungo la linea Brescia-Iseo-Edolo in Valcamonica, nell’ambito di H2iseO. La linea attiva dal 2025 sarà la base per la realizzazione per la prima Hydrogen Valley italiana.

   

Coradia Stream

Coradia stream, è il primo treno ad idrogeno d’Italia ed è la soluzione all’obiettivo europeo di azzerare completamente le emissioni di C02 entro il 2050. La sua entrata in scena segna l’inizio di una nuova era nel trasporto ferroviario passeggeri nella Penisola. Si tratta del primo treno a zero emissioni dirette di CO2 per l’Italia, ha 260 posti a sedere e un’autonomia superiore a 600 km.

    

Nello specifico il mezzo presenta una carrozza intermedia chiamata “Power Car”, nella quale risiede il cuore della tecnologia ad idrogeno. L’energia è fornita dalla combinazione dell’idrogeno (immagazzinato nei serbatoi) con l’ossigeno dell’aria esterna, senza emissione di CO2 nell’atmosfera.  Mentre le batterie agli ioni di litio ad alte prestazioni immagazzinano l’energia. Quest’ultima viene successivamente sfruttata nelle fasi di accelerazione per supportare l’azione delle celle a idrogeno e garantire il risparmio di carburante.

    

Nonostante i cambiamenti, le società produttrici assicurano il mantenimento degli elevati standard di comfort già apprezzati dai passeggeri nella sua versione elettrica. Inoltre, garantiscono anche le stesse prestazioni operative dei treni diesel, compresa l’autonomia. Infine, il Coradia potrà operare sulle linee non elettrificate in sostituzione dei treni che utilizzano combustibili fossili.
     

Accordi, obiettivi e progetti

L’accordo siglato a novembre 2020 prevedeva la fornitura a Trenord di 6 treni a celle a combustibile a idrogeno con opzione per ulteriori otto. Il progetto è stato promosso da FNM, FERROVIENORD e Trenord, H2iseO, società che hanno lo stesso punto di vista sulla sostenibilità e lo stesso obiettivo. Quello di sviluppare in Valcamonica una filiera economica e industriale dell’idrogeno. Partendo dal settore della mobilità, si passerebbe alla conversione energetica del territorio per poi contribuire alla decarbonizzazione di una gran parte del trasporto pubblico locale.  

    

Tale progetto altamente innovativo include la realizzazione di 3 impianti di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno rinnovabile senza emissioni di CO2. Oltre a questo, è prevista la messa in servizio di 40 autobus ad idrogeno in sostituzione dell’intera flotta oggi utilizzata da FNM Autoservizi.

 

Le società e l’attivazione

Come anticipato il treno entrerà in servizio in Valcamonica verso l’inizio del 2025, lungo la linea non elettrificata Brescia-Iseo-Edolo di FERROVIENORD (servizio viene gestito da Trenord). Nonostante ciò, il progetto è stato presentato alla fiera e creato da FNM e Alstom.

   

FNM è attualmente il principale Gruppo integrato nella mobilità sostenibile in Lombardia ed è uno dei principali investitori non statali italiani del settore. Alstom invece, è leader globale nella mobilità intelligente e sostenibile. Si occupa di treni ad alta velocità, metropolitane, monorotaie, tram, sistemi chiavi in mano. Ma anche di servizi, infrastrutture, segnalamento e alla mobilità digitale ed è fornitore e manutentore del Gruppo FNM da oltre 15 anni. Insieme hanno collaborato per l’ideazione del progetto, concretizzato in molteplici siti sparsi per il nord Italia.

    

Studi, tecnologie e ricerche hanno uno scopo comune, ovvero quello di sviluppare progettualità a tutto tondo che facciano crescere la cultura aziendale. In tal modo si caratterizzano i processi industriali e le soluzioni compatibili con la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico, tutto anche a servizio dei cittadini.

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L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

By : Aldo |Ottobre 16, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Home |Commenti disabilitati su L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

La sostenibilità è un punto cruciale delle nostre vite da anni e lo sarà sempre di più. Sicuramente realtà come le grandi aziende hanno un potere immenso per poter limitare il loro impatto sulla Terra. Non a caso c’è chi ancora ha difficoltà ad affrontare un cambiamento del genere e chi invece ne ha fatto la caratteristica principale del brand.

    

L’Oréal

“La bellezza è il nostro DNA” e L’Oréal da più di 110 se ne prende cura in mille modi diversi. Il gruppo è leader mondiale nel settore della bellezza, a partire dalla prima tinta per capelli prodotta nel 1909. La sua missione? Offrire a tutte le donne e gli uomini del pianeta il meglio della bellezza in termini di qualità, efficacia, sicurezza e responsabilità.

    

Oggi L’Oréal è diffuso in ben 150 paesi, comprende 88.000 dipendenti, di cui 4000 scienziati e 5500 esperti in tecnologia e digitale. Gode di 6 premi per l’innovazione, è tra le 5 aziende più attraenti per gli studenti e comprende 36 brand affidati a 4 divisioni. I suoi prodotti si trovano ovunque, dai saloni di parrucchieri alle profumerie, dalle farmacie alla grande distribuzione, coprendo tutti i campi della cosmetica.

     

Impegni e certificazioni

Il gruppo L’Oréal vanta una serie di impegni, cambiamenti e certificazioni sostenibili che la rende una delle migliori aziende anche nella tutela dell’ambiente. Tra i molteplici riconoscimenti si possono citare:

  • Ecovadis: medaglia di platino, tra le top 1% delle migliori compagnie al mondo (per la prestazione ambientale, sociale, l’etica, i diritti e la sostenibilità);
  • Tripla A CDP (7 anni di seguito) come leader nella lotta al cambiamento climatico (per la sicurezza delle acque e la protezione delle foreste);
  • Premio Ethisphere 2022 come una delle aziende più etiche del mondo (per il tredicesimo anno);
  • Riconosciuta dal Bloomber Gender-Equality index 2023 come pioniera della parità e la diversità (per il sesto anno consecutivo).

Oltre a questi attestati, da quanto viene riportato nel sito web, il 65 % dei loro sedi produttive è “Carbon neutral”. Se l’azienda francese si è impegnata tanto per arrivare a questo livello, non c’è da stupirsi dell’innovazione e l’avanguardia del centro di Settimo Torinese.

     

Lo stabilimento pioniere

L’Oréal Italia ha sede a Milano e un centro produttivo a Settimo Torinese attivo dal 1960. Realizza prodotti che vengono distribuiti in 29 paesi, infatti è tra i primi 4 stabilimenti in Europa e i primi 10 nel mondo. Copre una superficie di 55 mila m2  e conta ben 340 lavoratori.  Nacque durante il boom economico e da subito intraprende un percorso per aumentare la sostenibilità della propria produzione. I primi articoli sulle emissioni di C02 e il consumo di acqua sono arrivati nel 2010 e nel 2013 sono iniziati vari progetti. L’Oréal Italia è considerata uno dei precursori della sostenibilità e non a caso il suo stabilimento è stato il primo a diventare “water loop factory”.

    

Il centro è improntato su una filosofia “automazione e green economy” e dal 2005 ad oggi ha raggiunto due grandi obiettivi: zero emissioni e zero rifiuti. Questo è stato possibile grazie ai passi fatti negli ultimi 20 anni, in maniera graduale, consapevole ed efficiente.

     

2015: l’azienda si dichiara “carbon neutral” dopo l’installazione di 14 mila pannelli solari e il passaggio a fonti alternative.

    

2018: l’acqua viene riutilizzata grazie a un impianto di ultrafiltrazione; nasce la waterloop factory. Con un impianto super innovativo lo stabilimento ricicla 40 milioni di litri d’acqua l’anno (una quantità pari a ottanta piscine lunghe venticinque metri). Il processo che trasforma il liquido torbido del lavaggio in acqua limpida inizia e finisce a pochi metri dalle linee di produzione. Essere waterloop factory, significa che il sito usa acqua solo nella composizione dei prodotti, mentre, per gli altri processi viene filtrata e riutilizzata. Inoltre, si usa un “superconcentratore” che aiuta a ricavare più acqua possibile dai fanghi usati, soprattutto per il mascara.  Anch’essi saranno probabilmente riusati in futuro; l’idea è quella di usarli per la composizione di una vernice ignifuga.

      

2020: milioni di flaconi di shampoo e balsamo nascono al 100% da Pet riciclato, assicurando un risparmio di oltre 3 mila tonnellate di plastica vergine. E poi ancora, la plastica che non diventa flacone di shampoo si trasforma in una sedia, oppure in un tavolo della mensa. Per ridurre l’inquinamento legato al trasporto dei nuovi flaconi, si è scelta una fornitura a km zero, in tutti i sensi. Questo perché arriva da un imprenditore che lavora direttamente nello stabilimento, come se si eliminassero 1000 camion all’anno.

      

Nonostante ciò, l’azienda ha stampanti 3D per ricreare pezzi in caso di rottura e ricicla perfino i mozziconi di sigaretta. In questo modo L’Oréal Italia abbatte ogni anno 9 mila tonnellate di CO2, una quantità paragonabile ad aver tolto dalla strada 3 mila auto a benzina.

      

L’automazione e i robot

Un’altra peculiarità dello stabilimento è la presenza di 18 robot che aiutano, velocizzano e automatizzano i processi produttivi.  Sono 18 carrelli automatici guidati da laser, governati da un software che cooperano con operai e tecnici nella fabbrica.  In tal modo sono stati tagliati i tempi di produzione al punto che si confezionano 200 flaconi di shampoo al minuto. 

      

Sicuramente la questione degli automatismi nelle fabbriche è ancora un tema caldo correlato alla perdita di lavoro per tante persone. In questo caso è dichiarato che per ogni “catena di montaggio” c’è una persona davanti al computer che controlla, coordina, gestisce.
Comunque sia, tutto questo rende efficiente la catena produttiva e determina il successo che contraddistingue L’Orél da più di 110 anni.

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Stop al glitter in Europa: dal 15 ottobre sarà vietata la vendita.

By : Aldo |Ottobre 12, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Home, plasticfree |Commenti disabilitati su Stop al glitter in Europa: dal 15 ottobre sarà vietata la vendita.

Le microplastiche sono purtoppo ovunque, in grandi quantità e recano sempre più danni al pianeta, quindi è necessario limitarne la dispersione. Negli ultimi anni sono passate leggi molto specifiche per quanto riguarda la plastica ed ora ne arrivano di nuove.

   

Il glitter

Tutti o gran parte della popolazione mondiale ne ha fatto uso almeno una volta. Con il termine “glitter” si indica un vasto assortimento di piccolissimi frammenti delle dimensioni massime di 1 mm². Sono costituiti principalmente di copolimeri quasi impercettibili di lamine di alluminio, diossido di titanio, ossido di ferro, ossicloruro di bismuto e altri ossidi o metalli.  Questi minuscoli frammenti sono poi dipinti con colori iridescenti che riflettono la luce nello spettro visibile: da qui la magia dei brillantini.

    

Il periodo della sua creazione non è certo e varia tra il 1934 e il secondo dopo guerra. Non ci sono dubi invece sulla sua funzione: far brillare o rendere sfarzoso un oggetto o la propria pelle (per mezzo di cosmetici).  Nonostante ciò abbia contribuito a far “brillare” il pianeta, il glitter, come ogni altro tipo di microplastica è pericoloso per gli ecosistemi e per l’uomo.

    

I danni recati all’ambiente

Le microplastiche (categoria che include il glitter) sono arrivate ovunque. È di qualche mese fa la notizia che sono state ritrovate loro tracce anche nella placenta umana.  Inoltre, uno studio sulla rivista Aquatic Toxicology conferma la presenza di ben 8 milioni di tonnellate di glitter e altre microplastiche simili negli oceani. Una cifra assurda, che va oltre qualsiasi aspettativa e che va ridotta il prima possibile.

  

L’Unione Europea ha deciso dunque di bloccare il commercio di glitter sfuso e/o incluso in altri prodotti, per limitarne sempre più la dispersione in acqua e quindi nel mare.

   

Vietato il glitter dal 15 ottobre

Pertanto, dal 15 ottobre la UE vieta il glitter contro l’inquinamento da microplastiche. Questo significa che da domenica non si potranno più commercializzare prodotti con glitter come biglietti di auguri e creme per il trucco.  La restrizione riguarda tutte le microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti e che contengono sostanze chimiche pericolose per la natura. Elementi che si trovano anche in oggetti di vario tipo e impiego, o usati per l’edilizia, soprattutto di superfici sportive artificiali.

    

Con tale legge, si prova a limitare la dispersione in ambiente delle microplastiche di almeno il 30% entro il 2030. Tale settore determina un giro economico del valore di quasi 1 miliardo di euro all’anno, ma che ha un impatto molto pericoloso per tutto e tutti. Si pensi che solo in Europa si stima che ogni anno vengano rilasciate 42 mila tonnellate di microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti.

 

Il divieto è fondato su un’attenta analisi della consulenza scientifica dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA). Quest’ultima ha consigliato il divieto di polimeri sintetici inferiori a 5 mm che resistono alla degradazione, tra cui appunto il glitter e poi:

  • specifici prodotti per le unghie,
  • una serie di cosmetici “leave-on” come fondotinta, eyeliner, mascara, rossetti e smalti (di cui sarà rivisitata la composizione).
  • microsfere per l’esfoliazione,
  • componenti di detersivi, ammorbidenti,
  • fertilizzanti
  • materiale granulare usato per le superfici sportive.

Tuttavia, restano esclusi alcuni prodotti che contengono microplastiche ma non le rilasciano in natura, come materiali da costruzione e prodotti oggi utilizzati in siti industriali. Ovviamente anche per loro sono arrivate delle raccomandazioni, indicando la necessità che le industrie trovino delle alternative “green”.

 

L’effetto indesiderato

La legge che entrerà in vigore da domenica 15 ottobre ha spaventato chi dei glitter ha fatto una scelta di vita. Soprattutto in Germania si è verificato un processo inverso, ovvero un boom di vendite dei prodotti “brillanti”. Addirittura, si parla di “isteria da glitter”. Nel quotidiano Bild si racconta come alcuni VIP tedeschi stiano correndo per accaparrarsi più glitter possibile prima che non sia più reperibile sul mercato.

  

Comunque sia, questo passaggio è parte di un disegno più ampio che mira a diminuire la continua diffusione di prodotti polimerici in natura. È un programma parallelo allo sviluppo in corso per un Trattato globale sulla plastica.

Di certo non sarà facile vietare prodotti di ampio consumo ordinario, ma è un passo che va fatto per proteggere il pianeta e noi stessi.

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