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Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

By : Aldo |Gennaio 02, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, bastaplastica, Home |Commenti disabilitati su Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

Sebbene oggi esistano migliaia di corsi di laurea diversi, c’è un tema di cui si tratta in ogni singola facoltà. La sostenibilità è effettivamente un argomento che riguarda chiunque e pertanto se ne discute anche in settori non scientifici.

    

La sostenibilità di Jelter

La sostenibilità è un tema che riguarda sempre più le nostre vite. Si tratta di un’attenzione, un cambiamento, un nuovo approccio alla vita necessario per il bene di tutti, al punto che nessun settore può escluderlo. Si può definire come un connubio di materie di studio e di pratiche per uno scopo comune.

    

Un esempio diretto di tale unione è il progetto della startup Jelter, formata da 3 giovani studentesse dello IED (Istituto Europeo di Design) di Milano. Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella sono le 3 ventenni che hanno creato una startup dalla loro tesi di laurea in Product Design. Il piano delle giovani studentesse è peculiare perché nasce dall’unione del loro corso di studio e la loro attenzione e passione per l’ambiente. Questo ci fa capire come le nuove generazioni abbiano già sviluppato e fatto loro un pensiero critico sulla sostenibilità e sul rispetto del Pianeta Terra.

     

La boa medusa

La startup Jelter nasce nell’ottobre del 2022, proprio in concomitanza con la laurea delle tre fondatrici. Da quel momento le giovani hanno partecipato a convegni ed altri eventi portando il loro progetto in giro per l’Italia e non solo.  Il programma è focalizzato sulla produzione di una boa a forma di medusa pensata per frenare la proliferazione delle microplastiche nei mari. Si tratta di un sistema di filtraggio autosufficiente grazie all’installazione di pannelli solari, che all’interno ospita una pompa che consente il circolo dell’acqua. Così, passando nella boa, l’acqua viene filtrata e ne esce “pulita”.  Il primo prototipo è stato realizzato in 6 mesi, dopo i quali è stato testato nel mare di Fiumicino.

    

La peculiarità di tale prodotto è l’attenzione rivolta all’ambiente ma anche al design. Difatti, le ragazze si sono impegnate nella ricerca di un elemento adatto alla struttura che non inquinasse l’ambiente anche a livello paesaggistico. Quindi hanno pensato a forme, colori e strutture che avessero il minor impatto visivo, biologico, chimico sul mare. Non a caso hanno anche deciso di ancorare la boa al fondale per evitarne la dispersione.

    

Prototypes for Humanity 2023

Le tre studentesse hanno optato per un programma non solo incentrato sul prodotto ma anche sulla sensibilizzazione. La loro motivazione e l’interessa al cambiamento, hanno spinto Jelter a partecipare a programmi di grande calibro, come quelli legati alla COP28. Così si sono messe alla prova aderendo alla call Prototypes for Humanity 2023 rivolta ai neolaureati di tutte università per progetti innovativi ad impatto sociale. I vantaggi e le possibilità di tale iniziativa hanno spronato le ragazze a prendervi parte, puntando alla mobilitazione delle persone sul tema delle microplastiche nei mari. Sicuramente non è un’occasione di tutti i giorni poter partecipare ad una COP a vent’anni; dunque, a prescindere dal risultato possono ritenersi soddisfatte del loro operato.

    

L’educazione ambientale per il futuro

Certamente Jelter non è la prima startup pensata per proteggere il mare, per combattere la plastica o costituita da giovani menti. Tuttavia, il racconto della sua creazione, sottolinea quanto al giorno d’oggi sia importante l’educazione ambientale soprattutto se impartita già in tenera età.

    

Rebecca Raho, infatti, racconta di come sia riuscita ad unire il suo corso di studi con la passione e il rispetto per l’ambiente trasmesso dai suoi genitori. Afferma che i genitori le hanno tramandato la passione per l’arte e il design ma anche quella per il mare. È cresciuta in un ambiente in cui tali ambiti potevano essere uniti ed è questo quello che ha fatto lei una volta laureata. Poi ancora ricorda di quanto sia importante apportare dei cambiamenti anche minimi nelle proprie vite, eliminando abitudini sbagliate. Sono passi necessari per il bene del Pianeta soprattutto perché siamo tutti consapevoli di essere in pericolo, è una conoscenza all’ordine del giorno. E afferma

Il grande problema deriva dal fatto che, essendoci nati, continuiamo a darlo per scontato senza davvero renderci conto delle condizioni critiche in cui si trova.”

In conclusione

Jelter è il chiaro esempio di impegno a favore dell’ambiente delle nuove generazioni. Dimostra senza complessi ragionamenti, quanto la sostenibilità e la salvaguardia della Terra siano temi principali nella vita dei giovani. E ancora di più sottolinea quanto sia importante il lavoro di genitori ed insegnanti nell’educare i bambini e i ragazzi al rispetto di tutti e tutto.

   

Non è scontato che le tre studentesse si siano unite per proteggere i mari, poiché laureate in design potevano tentare qualsiasi altro tipo di progetto. Invece l’idea di poter fare la propria parte per salvare il mondo è sempre più sentita dai giovani e questo può essere solo un bene. D’altro canto, il futuro è in mano a loro, quindi se i più grandi (purtoppo) non si impegnano in questo senso, dovranno farlo gli adulti del futuro.

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Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

By : Aldo |Gennaio 01, 2024 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

Le feste natalizie sono terminate e come di consueto ci si appresta (chi più chi meno) a togliere gli addobbi in casa. Giardini e terrazzi non saranno più illuminati dalle mille lucine colorate e quel posto nel soggiorno occupato dall’albero di Natale sarà riempito da altro. Ma l’albero dove finisce dopo quel mese di lavoro?

     

Albero artificiale

Oggi abbiamo un’ampia scelta per i nostri addobbi natalizi; alberi veri, artificiali, di vari colori, con le luci incorporate, alti due metri o in miniatura. Sebbene qualsiasi modello doni un’atmosfera calorosa ed accogliente in ogni ambiente esso si trovi, sarebbe opportuno scegliere con attenzione anche in questo caso.  E bene si, anche l’acquisto del tanto amato albero può essere sostenibile a seconda del tipo, quindi se vero o artificiale e del suo smaltimento.

    

L’albero artificiale è sicuramente una scelta sicura, abbordabile, facile da gestire nella fase di allestimento, smontaggio e per tutta la durata delle feste. Ce ne sono di bianchi, blu, rossi, rosa e alcuni hanno i rami con dei piccoli led incorporati per illuminarlo senza ulteriori cavi. Come detto in precedenza le variabili sono molteplici ma tutte sono prodotte allo stesso modo.

    

Si tratta di elementi composti da plastica (pp e pvc, non riciclabile né biodegradabile) ed acciaio, risultando più leggeri di altri. Circa il 70% degli acquirenti li sceglie per la loro gestione: non devono essere annaffiati né mantenuti in condizioni particolari e non sporcano i pavimenti. Nonostante ciò, non possono essere riciclati in alcun modo e impiegano centinaia di anni per decomporsi: dove troviamo l’aspetto sostenibile?

    

Questi prodotti sono pensati per essere riusati nel tempo, almeno per 10 addirittura 20 anni per ridurre al minimo il loro impatto. Tuttavia, secondo i sondaggi, un albero artificiale viene riusato per meno del tempo minimo previsto, quindi per 5, 7 anni. Questo comportamento determina un elevato inquinamento non necessario ed evitabile.

 

Abeti veri

Se invece si sceglie l’abete vero, si favorisce la sostenibilità, soprattutto se acquistato da attività locali. L’unica decisione importante da prendere prima di pagare è la scelta tra un albero reciso oppure vivo, poiché potrebbe avere differenti seconde vite. Infatti, una volta terminate le feste, si passa alla fase dello smaltimento, per la quale si deve riporre molta attenzione per non rischiare di inquinare maggiormente. Questo è rilevante poiché nonostante si tratti di un albero naturale non significa che si possa gettare ovunque o a caso.

  

Per esempio, un albero reciso può essere impiegato per la produzione di compost o di ghirlande, accessori per la casa o sottobicchieri. Mentre l’albero non reciso può essere ripiantato. Spesso in America vengono usati per creare barriere contro l’erosione del suolo stabilizzando così coste di fiumi e laghi. Oppure ancora come rifugi e mangiatoie per i pesci sul fondo degli stagni. 

   

Considerare queste alternative è un buon metodo per rendere sostenibile lo smaltimento dei nostri addobbi. Tali accorgimenti sono importanti soprattutto perché l’albero se lasciato in discarica potrebbe inquinare più di quanto pensiamo. Jessica Davis, direttrice dell’Ufficio per la sostenibilità dell’Indiana University-Purdue spiega il motivo:

 

I materiali organici hanno bisogno di ossigeno per decomporsi, un gas scarsamente presente nei luoghi deputati allo smaltimento. Ciò implica che, quando la pianta finalmente si decomporrà, rilascerà metano, uno dei più potenti gas serra, che produce un effetto circa 25-30 volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica. Di certo è meglio evitare l’utilizzo del legno di abeti e i pini per accendere il fuoco, poiché contengono creosoto. Si tratta di un catrame altamente infiammabile, che produce fuliggine e può provocare incendi nei camini.”

 

L’impegno di Ikea

In questo ambito c’è chi è riuscito a fare la differenza e la fa da anni. Ikea, infatti, dal 2016 collabora con AzzeroCO2, società di Legambiente e Kyoto Club nell’ambito della Campagna Nazionale Mosaico Verde per riqualificare il territorio italiano. In particolare, ha intrapreso un percorso di circolarità e sostenibilità basato sulla rigenerazione di boschi e foreste.

    

Inizialmente, per ogni albero acquistato e restituito nei negozi Ikea, venivano destinati €2 alla campagna “Compostiamoci Bene”. L’iniziativa era centrata sulla riforestazione e sul recupero di aree in stato di abbandono o esposte al rischio idrogeologico. Nel 2018 con l’iniziativa Mosaico Verde, il gigante delle svedese ha piantato 3000 alberi in aree fragili o colpite da calamità. Ma il progetto non è finito qui.

     

Quest’anno Ikea, per ogni abete restituito, donerà €4 per realizzare un progetto di produzione e condivisione di energia pulita. Si tratta di un programma incluso nella campagna di Responsabilità sociale Energy Pop. Mira alla condivisione di energia prodotta da rinnovabili sui tetti di case popolari e cooperative sociali, grazie all’installazione di impianti fotovoltaici in quartieri fragili di Firenze.

 

Insomma, gli alberi di Natale sono simbolo delle festività, addobbarli a regola d’arte e postare loro foto ovunque è diventato un must. Nonostante ciò possiamo fare la differenza anche in questo caso, quindi nei prossimi giorni non portate tutto in discarica, siate creativi o lungimiranti. Lo fate per le vostre tasche e per il Pianeta.

 

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Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

By : Aldo |Dicembre 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

Il 2023 ha portato con se avvenimenti e cambiamenti positivi e negativi, come del resto ogni anno. Tuttavia, in ambito climatico dobbiamo lavorare molto vista l’accezione negativa affidata al 2023.

 

Cosa è successo in Italia

Come nel resto del mondo anche in Italia non sono mancati eventi anomali e fenomeni estremi legati al cambiamento climatico sempre più accentuato. L’Osservatori città-clima di Legambiente in collaborazione con Unipol hanno analizzato gli avvenimenti dell’anno realizzando un quadro completo della situazione in cui versa il Belpaese. I risultati non sono dei migliori.

   

Infatti, secondo lo studio, la Penisola ha affrontato più di un evento meteorologico estremo al giorno, notando un’accelerazione della crisi climatica. Nello specifico siamo a quota 378, dunque si è registrato un aumento del 22% rispetto al 2022.

   

Tutto ciò ovviamente comporta disagi di ogni tipo e in ogni ambito possibile e quindi danni economici ingenti. Basti pensare che nel 2023 quasi 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali.  Sebbene, il nord abbia registrato 210 eventi meteorologici estremi, il centro 98, il sud 70, Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato sono le città più colpite.
   

I fenomeni estremi

Per quanto riportato dallo studio appena citato, come da tante altre analisi degli ultimi anni, i fenomeni metereologici estremi sono in forte aumento. Questi eventi hanno un’origine naturale, non si tratta di fantascienza, ma hanno delle caratteristiche che li rendono estremi o comunque anomali. Tra queste la durata, la frequenza, il periodo e il luogo in cui avvengono e la loro potenza. Con il cambiamento climatico però queste caratteristiche cambiano.

   

Secondo l’analisi, Lombardia ed Emilia-Romagna sono le regioni che più hanno sofferto questi fenomeni con rispettivamente, 62 e 59 eventi. A loro seguono la Toscana con 44, il Lazio (30), il Piemonte con 27, il Veneto (24) e la Sicilia (21). Mentre se ci spostiamo nelle province, al primo posto troviamo Roma con 25 eventi estremi, Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10.

   

Alluvioni, piogge ed esondazioni

Le alluvioni (insieme all’esondazione dei fiumi) sono aumentate del 170% rispetto al 2022. In effetti si sono verificate in tutto il Paese senza fare sconti ad alcuna regione. Le più importanti per danni arrecati, potenza e dispersione sono quelle che hanno messo in ginocchio l’Emilia-Romagna.

   

La prima tra il 2 e 3 maggio e poi la seconda che ha dato il colpo di grazia tra il 15 e il 17 maggio. Gli effetti di tale evento hanno coinvolto 44 comuni (tra Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna), apportando danni per oltre 8,8 miliardi di euro. Durante questo fenomeno sono caduti più di 300 mm d’acqua in 2 giorni, sono straripati ben 23 corsi d’acqua, e si sono verificate 280 frane. In maniera simile sono state colpite le province di Pesaro- Urbino e Ancona nelle Marche, reduci dai fenomeni del precedente anno.

    

Dei casi ancora più particolari riguardano le violente grandinate estive, che hanno colpito il nord est. Addirittura, il 19 luglio si sono registrate 52 grandinate, che hanno causato gravi danni all’agricoltura e 110 feriti. Per quanto riguarda l’esondazione dei fiumi, legata ad alluvioni e nubifragi si ricordano:

  • l’esondazione del Seveso il 31 ottobre a Milano
  • esondazioni ed allagamenti nelle città di Firenze, Prato e Pistoia con danni per 1,9 miliardi di euro e 5 vittime (11, 12 novembre).

I tipi di fenomeni sono vari e spesso concatenati, ma ogni anno toccano picchi più alti. In modo generico si contano:

  • 118 casi di allagamenti da piogge intense (+12,4%);
  • 39 casi di danni da grandinate, aumentati del 34,5%;
  • 35 da esondazioni fluviali;
  • 26 da mareggiate, aumentate del 44%;
  • 18 casi di frane causate da piogge intense (+64%).

L’estremo caldo

Sebbene film di Paolo Virzì, “Siccità” rappresentasse una visione estrema, quasi distopica dell’aumento delle temperature, ogni mese si conferma un nuovo record. È importante ricordare però, che queste temperature non sono correlate solo all’estate. Per esempio, il 1° ottobre a Firenze si sono registrati 33°C (10 in più rispetto al precedente record del 2011). Mentre a Prato si sono verificati 32°C, eguagliando il primato del 1985: complessivamente si sono verificati 20 casi di temperature estreme in città.

   

Tale incremento si è concentrato soprattutto nelle aree urbane: +150% rispetto ai casi del 2022. Inoltre, di recente, il servizio europeo sul cambiamento climatico di Copernicus ha rivelato che lo scorso novembre è stato il sesto mese consecutivo a registrare temperature record.  Questi fenomeni poi danneggiano altri processi importanti come quelli legati alla neve e ai ghiacciai: lo zero termico ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi, con i ghiacciai in ritirata.

   

Ovviamente si tratta di un problema globale che presenta una temperatura media di 14,22 gradi centigradi, superiore di 0,32°C rispetto al primato di novembre 2020.

     

Un problema legislativo

La preoccupazione da parte degli esperti cresce ma non è legata solo alla maggiore frequenza degli eventi, ma anche alla mancanza di piani nazionali. Quello che ha sottolineato l’Osservatorio è proprio questo, l’Italia infatti non ha un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, fondamentale per affrontare i prossimi anni. 

    

I cittadini e le imprese possono cambiare abitudini, ma il governo e i tecnici preposti devono muoversi in altri modi. Poiché in assenza di una valida strategia non potremmo risolvere efficientemente le emergenze che si verificheranno prossimamente e saremo costretti ad agire senza certezze.

    

L’idea avanzata per far fronte a tale lacuna è quella della creazione di una guida fondata su 3 pilastri:

  • Un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare prima possibile con adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuarlo;
  • una legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni;
  • ridurre le emergenze, focalizzandosi sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni.

Se si applicasse una normativa simile, le emergenze si affronterebbero in maniera analitica, certa e sicura. Ogni evento meteorologico estremo potrebbe recare gravi danni a cose, persone e alla nostra economia, senza un piano ben delineato, dei fondi e l’aiuto delle istituzioni. Impariamo a prevenire anche in questo senso, adattandoci al cambiamento e le anomalie non saranno più catastrofiche, come lo sono oggi.

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Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

By : Aldo |Dicembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

Stare attenti all’alimentazione non significa non mangiare nulla, allo stesso modo, mangiare in modo sostenibile non vuol dire cibarsi solo di tofu. Nello specifico ogni pasto può essere più ecofriendly così come quelli di Natale, senza però rinunciare ai gusti e alle sfiziosità della nostra cucina.

     

Cambiare abitudini

Ad oggi esistono dei preconcetti che vanno analizzati e cambiati, nel modo più efficiente possibile, per esempio quelli legati all’alimentazione sostenibile. Purtroppo, ancora tante persone credono che cambiare abitudini alimentari per essere più ecofriendly significhi mangiare solo soia e verdure. Ovviamente tale pensiero non è invitante ancor di più se comparati ai deliziosi piatti della nostra tradizione.

   

Ma questo è appunto, un preconcetto. Per poter modificare delle abitudini così radicate bisogna trasformare passo dopo passo la nostra quotidianità per quanto riguarda il cibo. Tuttavia, per arrivare al piatto in tavola bisogna superare tanti steps, per poi diventare più sostenibili, senza aver trasformato totalmente la nostra dieta.

    

In questo ovviamente rientrano anche i pasti più importanti, non del giorno, ma dell’anno, come quelli delle feste natalizie. Questo è un periodo letteralmente dettato dal cibo: pranzi, cene e merende sono l’occasione per incontrare amici e parenti. Ma se fossimo più attenti a cosa compriamo, dove e in quale periodo sarebbero delle feste ancora più sostenibili.

     

La spesa e gli alimenti

La spesa è il primo gradino per cambiare le nostre abitudini, poiché è proprio in quel momento che si fanno le scelte più importanti. Si decide cosa comprare, le quantità, la provenienza dei prodotti e i loro costi; quindi, è un passo fondamentale del cambiamento.

    

Infatti, per prima cosa è opportuno optare per attività locali o i mercati rionali, dove possiamo trovare alimenti sfusi o con meno packaging. Questo è già un passo rilevante per ridurre i rifiuti derivati dal settore, che in queste settimane aumenta notevolmente. Di solito in questi contesti possiamo trovare prodotti locali, magari a “Km 0” e perché no anche biologici. Soprattutto perché è molto probabile un alimento ha tutte le caratteristiche appena riportate, sia anche un prodotto stagionale.

     

Ecco la stagionalità degli alimenti è una qualità importantissima per noi e per il pianeta. Consumare solo frutta e verdura locale e di stagione determina un consumo consapevole del cibo, ed una minor produzione di emissioni. Questi due processi sono collegati da meccanismi che fanno parte ormai delle nostre abitudini:

  • la richiesta di cibo aumenta
  • i tempi di produzione diminuiscono
  • la stagionalità non viene rispettata
  • quindi si cercano gli alimenti in altri Paesi per sopperire al fabbisogno.

Ovviamente per portarli da uno stato all’altro servono dei mezzi di trasporto che contribuiscono all’emissione di CO2 e alla produzione di rifiuti. Questo succede poiché i prodotti trasportati devono essere impacchettati e imballati, in modo più consistente rispetto ad un prodotto locale venduto al mercato.

     

Inoltre, la coltivazione di frutta e verdura non stagionale, necessita una grande quantità d’acqua e un uso intensivo del suolo. Non c’è da dire che tutte queste pratiche sono tutt’altro che sostenibili. Se fosse possibile quindi, scegliamo alimenti che provengono da una filiera corta e verificata.  

In questo link potrete trovare una lista di ortaggi di stagione
https://www.wwf.ch/it/guida-frutta-e-verdura

    

Gli avanzi e il riciclo

Quando andiamo a fare la spesa è fondamentale avere in mente le quantità che ci servono effettivamente. Quindi in questi periodi sarebbe opportuno comprare a seconda di un menù già pronto (esempio per il cenone del 24). Se pensiamo ad un menù o quantomeno abbiamo un’idea di quello che prepareremo e calcoliamo le giuste porzioni, possiamo fare una spesa più consapevole.

    

Certo è, che se si comprano abbondanti quantità di cibo che non vengono consumate il giorno stesso, possiamo sempre “riciclare”. Sarebbe meglio evitare sprechi e troppi avanzi, ma anche in questo caso ci sono varie soluzioni. La prima è quella di dividersi gli avanzi tra amici e parenti, la seconda è quella di inventare piatti con quello che è rimasto a tavola.  

   

Difatti siamo alle porte del 2024, non ci sono scuse che tengono. Si possono consultare internet e i social per sbizzarrirsi con il pandoro avanzato, la verdura del 25 oppure i resti del pesce del 24. Tutto questo fa bene sia alle nostre tasche ma anche all’ambiente.

    

In conclusione

La sostenibilità a volte è considerata qualcosa di troppo lontano dalle nostre possibilità, qualcosa di impossibile, un’entità utopica. Invece spesso e volentieri si può ridurre il proprio impatto sul pianeta attraverso piccole azioni che non richiedono uno sforzo immane.

    

Le nostre feste e i conseguenti pasti in compagnia possono essere sostenibili anche con pochi accorgimenti. Non c’è bisogno di stravolgere dicembre e le sue ricette, serve semplicemente un’attenzione maggiore alla spesa e agli sprechi.

Tutti possiamo fare la differenza e se ci riusciamo in questi giorni, doniamo un grande regalo alla nostra Terra.

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Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.

By : Aldo |Dicembre 19, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.

Siamo in quel periodo dell’anno in cui le persone che si affrettano tra i negozi, tra le luci e i pacchetti. I regali sono il focus della maggior parte della gente: che siano per parenti, amici e compagni sono l’impegno da portare a termine entro il 24 dicembre. Ma come procede questa maratona durante la crisi che stiamo vivendo?

    

La crisi e la sostenibilità

Spesso, nella quotidianità delle persone viene esclusa la scelta sostenibile per i prezzi elevati che comporta. Per esempio, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo potrebbe essere difficile comprare un cappotto di 300 euro solo perché è sostenibile. Si, sicuramente durerà di più rispetto ad uno che ne costa 50 ed è fatto di materiali di qualità, ma nella mente resta impressa solo la grande cifra.

     

Non è raro che questo motivo emerga durante le discussioni sull’importanza di una transizione ecologica oe verso una vita più sostenibile. Tuttavia, sorprendentemente quest’anno si sta sviluppando un trend che continua a crescere, ossia la scelta dei regali di seconda mano o “second hand”. Secondo la nuova ricerca del gruppo di annunci online Adevinta, il 64% degli europei comprerà o ha già comprato prodotti di seconda mano per Natale.E proprio per tale ragione i mercati dell’usato dovrebbero aumentare a breve.

     

Le motivazioni e i meccanismi che portano a tale crescita sono proprio quelli dettati in precedenza. Il potere d’acquisto è diminuito notevolmente a causa del caro vita e quindi dall’inflazione, dunque, le persone sono portate a risparmiare sempre più. L’azienda che ha condotto l’indagine ha intervistato 5.000 consumatori europei in Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna.

    

Tra l’idea e l’azione

Nell’analisi, le domande più specifiche poste agli intervistati  danno un prospetto di quello che potrebbe essere una prossima tendenza. Quindi partendo dalle ragioni per cui una persona opta per il regalo di seconda mano abbiamo un 47% che ricorda la necessità di risparmiare. Dopodiché, il 37% delle persone dichiarano che tale decisione è motivata dal desiderio di fare acquisti più sostenibili, una buona ragione che guarda al futuro. In particolare, si tratta di una cifra in aumento visto che solo nel 2022, il 32% degli europei ha intrapreso questa strada.

      

Per continuare sempre su questa falsa riga, si afferma che ¼ dei consumatori scelgono l’usato per regalare prodotti vintage o alternativi. Gli stessi numeri valgono per chi decide di acquistare articoli da negozi o attività locali, altro punto a favore per la sostenibilità dello shopping. Nonostante gli incrementi descritti, c’è ancora un 35% delle persone che preferisce comprare prodotti nuovi. L’idea che “nuovo è meglio” perpetua nelle nostre società consumistiche, pertanto c’è ancora molto da fare.

     

Il riciclo dei regali

Di certo, la moda delle spese folli nel periodo dal black Friday alla Vigilia di Natale, non può essere eradicata in poco tempo, ma ci sono i giusti accorgimenti per provarci. Come? Con il riciclo dei regali indesiderati. Nello specifico 2/3 dei consumatori dichiarano di aver ricevuto articoli nuovi, che nel corso del tempo non hanno mai usato perché non di loro gusto. Di questi solo il 6% però ammette di averli buttati via, una percentuale che fa ben sperare o almeno incoraggia ad un pensiero positivo e di cambiamento.

       

Il 28% invece, li ha conservati con la certezza che non li avrebbe mai usati, mentre il 33% ha aspettato che diventassero utili.  Tuttavia, il 23% delle persone intervistate li ha rivenduti online, ed un buon 30% li ha regalati a sua volta. Sicuramente è una pratica che potrebbe non convincere tutti, ma senza dubbio è una scelta fondamentale per il pianeta. In questo modo, infatti, se trovassimo un nuovo proprietario per determinati prodotti, potremmo ridurre la futile produzione di rifiuti.

         

Il mercato

Per questo motivo nascono sempre più brand e mercati di re-commerce che consentono di dare una seconda vita agli oggetti. Si può dunque parlare di un circolo che può determinare anche il recupero di denaro nel periodo successivo alle vacanze, al quale nessuno si sottrae… anzi.

     

Se prima si fossero riciclati i regali, ci si sarebbero passati i vestiti tra cugini, ora fa gola a tutti l’idea di rivenderli e di trarne un profitto. Amche questa è innovazione sostenibile. Soprattutto se ci concentriamo sui movimenti che ci sono da qualche anno, è chiaro che si tratti di una pratica legata principalmente ai giovani per molteplici motivi quali:

  • il forte apprezzamento del regalo vintage;
  • il costo inferiore (anche fino al 70% rispetto al prezzo iniziale);
  • i pezzi unici;
  • il risparmio anche di risorse, energia e materiali.

     

Conclusioni

Se a non fossimo pervasi dalla voglia irrefrenabile di comprare articoli di ogni tipo, solo perché dobbiamo fare tanti regalini, sarebbe un mondo migliore. Il flusso di acquisti senza una logica non è una carta vincente per nessuno. Sicuramente, qualcuno riesce a fare bella figura con piccoli oggetti di basso costo, ma se ci pensiamo veramente non è una pratica utile. Come invece lo è la scelta sostenibile di un prodotto: perché a Natale il pensiero, se fatto col cuore ma anche con un punto di vista oggettivo, può essere un bel ricordo, un ottimo strumento di vita quotidiana e solo alla fine, dopo varie vite, diventare un rifiuto.

Anche così possiamo virare verso un’economia sostenibile.

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L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.

By : Aldo |Dicembre 17, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.

Se nella COP si è parlato poco della salvaguardia della biodiversità, in Italia arriva l’innovazione per quanto riguarda la protezione degli ambienti marini. 

    

Le AMP

Quando parliamo di Aree Marine Protette ci riferiamo all’insieme di ambienti marini acque, fondali e tratti di costa prospicenti con delle particolari caratteristiche. Quest’ultime possono essere di vario tipo quindi naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche e sono solitamente correlate alla flora e alla fauna marine e costiere. Si tratta dunque di aree di interesse scientifico, ecologico, culturale, educativo ed anche economico.

     

Solitamente sono suddivise in zone sottoposte a diverso regime di tutela ambientale a seconda delle loro caratteristiche ambientali e della situazione socio-economica. La loro gestione è affidata a enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste riconosciute, dal Ministero dell’Ambiente. Nonostante ciò, le attività di sorveglianza nelle aree marine protette per assicurare il rispetto dei vincoli previsti spettano alle Capitanerie di porto o alla Polizia locale.

   

Attualmente in Italia si contano ben 53 AMP, di cui già istituite e 19 in via di definizione, e sono localizzate maggiormente nel mar Tirreno.

    

Attività illecite

Tali aree sono fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente marino, soprattutto in vista dei cambiamenti che il pianeta sta affrontando. Purtroppo, però ci sono delle regole che non vengono rispettate sempre e queste riguardano la pesca. Infatti nelle AMP (esclusa la zona A in cui è interdetta qualsiasi attività) si può pescare secondo alcuni termini e condizioni. Questi sono definiti dalla legge e sono più restrittive nella zona B e meno rigide nella zona C (rispetto alla zona A). Dunque, è possibile che nelle aree meno regolamentate, qualche regola non venga rispettata, creando degli scenari dannosi per l’ambiente marino e le sue caratteristiche. Quindi per proteggere in modo più efficiente e duraturo i nostri ambienti marini, i tecnici studiano da anni delle nuove tecnologie. Non a caso oggi possiamo parlare di un nuovo progetto mirato al monitoraggio dei flussi di pesca nelle AMP, che può aiutarci concretamente.

   

Tra mare e AI

Arriva proprio dalla nostra Penisola il nuovo programma per controllare i flussi di pesca nelle AMP, analizzati con i satelliti. Si tratta del progetto di Axitea un Provider di Global Security che integra servizi di vigilanza con tecnologie innovative. In tal modo la società, che ha a una rilevante conoscenza nell’ambito dell’informatica, telecomunicazioni, controlli, automazione ha deciso lavorare per il bene di tutti.  Il sistema che ha sviluppato consente appunto di monitorare per mezzo di satelliti, algoritmi e AI generativa, i flussi di pesca nelle Aree Marine Protette. Grazie a tale meccanismo, si ottengono informazioni che possono aiutare con la gestione e la protezione dell’area in esame.

   

Pertanto, sarà possibile di conoscere le risorse marine e ottimizzare i flussi di pesca. Così facendo si consente la crescita dell’economia locale con il minor impatto ambientale (possibile). La caratteristica ancora più innovativa è che si tratta di una soluzione che non necessita di ulteriori sforzi, o di competenze specifiche da parte dei fruitori. Dunque, il sistema è a tutti gli effetti un vantaggio per i pescatori e l’ente gestore dell’area.

     

In aggiunta, questo modello è facilmente replicabile e per questo può essere usato in più AMP in tutta Italia a vantaggio della salvaguardia dell’oro blu. Tuttavia, la prima che godrà dei suoi benefici è l’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi in Sicilia, dove si testerà per la prima volta il sistema.

 

L’esperimento

La prima prova del progetto è stata basata sul controllo di un flusso di pesca di 12 barche e piccoli pescherecci dell’area. Così ha monitorato i loro percorsi e i punti di sosta per la pesca, dove la velocità di navigazione è compresa tra 0 e 15 Km/h. Il monitoraggio è possibile grazie ai sensori GPS di Axitea in collaborazione con l’AI generativa che ha tracciato gli spostamenti. Inoltre, li ha combinati con le barche che operano nell’area in tempo reale (ma in anonimo).

   

Alla fine del percorso, le barche sono rientrate in porto e i dati raccolti sono stati incrociati con quelli relativi alla quantità e alla qualità del pesce pescato. Tale procedura permette di avere un quadro reale dello stato delle risorse ittiche della zona.

 

Come in altre occasioni, il progetto non si è potuto sviluppare prima per mancanza di disponibilità delle tecnologie adeguate e degli alti prezzi di gestione. Sorprendentemente però, il Ministero dell’Agricoltura ha indetto un evento per presentare nuovi progetti nell’ambito della pesca sostenibile. Più precisamente ha chiamato le AMP in un colloquio legato alla programmazione europea FEAMP.

  

Si tratta di un programma eccezionale per tutte le sue peculiarità, dalle funzioni alla sua replicabilità. Avere una fotografia precisa ma soprattutto sempre aggiornata dello stato attuale dell’Area è un vantaggio per molti. In primis, per l’ambiente protetto e i suoi servizi ecosistemici. È un progetto che non ha eguali in Italia.

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COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.

By : Aldo |Dicembre 12, 2023 |Efficienza energetica, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.

A poche ore dal termine della COP 28, è stata pubblicata l’ultima bozza della presidenza che incontra il consenso di pochi. Tra Stati petroliferi e nazioni più virtuose, il dibattito si fa sempre più acceso attorno al tema più caldo: il “phase out” dei combustibili fossili.

    

“Phase out” o “phase down”

L’accordo di questa conferenza sembra essere lontano, per quanto invece sia vicino il termine temporale. Alla base delle continue discussioni, ritroviamo sempre lo stesso tema: l’uscita dai combustibili fossili. Purtoppo di fronte a tale necessità, paesi come l’Iraq e l’Arabia stessa si oppongono, portando avanti l’idea che serva una riduzione graduale.

    

Nello specifico i membri dell’Opec hanno ribadito il proprio “no” a citare l’uscita dai combustibili fossili nel testo finale della COP28. Insieme dichiarano che non sia il momento di abbandonare le fonti fossili perché una mossa simile sarebbe un danno per l’economia mondiale. Piuttosto punterebbero sulla tecnologia e il presidente Sultan Al Jaber, ha chiesto più volte di tenere in considerazione le sue “prospettive” e “preoccupazioni”. Mentre l’Iraq ha affermato che “la riduzione” e “l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e dei sussidi, “distruggerebbero l’economia mondiale e aumenterebbero le disuguaglianze”.

    

Ovviamente il contrasto ad una richiesta globale ha generato e continua a scaturire lamentele dalla maggioranza. Tanto che una coalizione di attivisti per il clima si è riunita per chiedere ai leader mondiali tre cose fondamentali:

  • mantenere la linea per una transizione energetica giusta
  • concordare l’eliminazione rapida ed equa dei combustibili fossili
  • triplicare le energie rinnovabili entro il 2030

Il Global Stocktake

Ieri pomeriggio, il presidente emiratino Sultan Al-Jaber, ha presentato il cosiddetto Global Stocktake, che dovrà diventare la dichiarazione conclusiva del vertice. Si tratta di una bozza di 21 pagine (prima 27) che non fa gioire nessuno, o quasi.

Quest’ultima è caratterizzata da toni più sfumati, non comporta divieti ma “inviti”. Inoltre, fa sparire dal punto 39, il termine “eliminazione” riferito ai combustibili fossili; tuttavia, si parla per la prima volta di tagli. Le ore di negoziato non sono state facili ed hanno portato ad un risultato prevedibile ma non condiviso. La Proposta della presidenza viene presentata alla plenaria dei ministri e dei negoziatori dei quasi 200 Paesi presenti a Dubai. L’obiettivo condiviso da tutti è quindi arrivare al net zero entro il 2050, peccato però che i modi o i mezzi non siano accettati da tutti. Nonostante si parli di tagli sia alla produzione che dei consumi dei combustibili fossili, il «phase out» tanto atteso non compare da nessuna parte.

     

Quello che viene ribadito è invece il “phase down” (eliminazione graduale) del carbone non abbattuto (definizione ancora non accettata globalmente). In tale scenario il presidente continua a richiedere al mondo flessibilità per raggiungere il compromesso, come si augura anche il presidente dell’ONU Guterres. Un appello rivolto sia ai produttori di petrolio e gas (Arabia Saudita, Iraq e Russia) e sia a chi vorrebbe un testo molto più ambizioso.

    

Il documento proposto dalla presidenza esorta le parti ad “accelerare” nelle tecnologie a zero e basse emissioni, tra le quali è indicato anche il nucleare. Si citano anche le tecnologie di abbattimento e rimozione, comprese la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio. E infine la produzione di idrogeno a basso contenuto di carbonio, per potenziare la sostituzione delle tecnologie fossili ‘unabated’ nei sistemi energetici. Sicuramente passerà anche la proposta della triplicazione della capacità delle rinnovabili a livello globale entro il 2030. E il raddoppiamento del tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica.

     

Ultime considerazioni

Negli ultimi giorni non sono bastati gli interventi dei vari delegati o leader politici per cambiare le sorti di questa conferenza. Per esempio, il Governo olandese ha promosso una coalizione internazionale (di cui l’Italia non è parte) per porre fine ai sussidi al fossile. Poi il capo negoziatore cinese per il clima, Xie Zhenhua si è espresso a favore della sostituzione con le rinnovabili. Tuttavia, non si è impegnato a sostenere una completa eliminazione (phase out) dei combustibili fossili affermando altresì che la Cina si impegnerà per trovare un compromesso.

    

Anche John Silk, ministro delle risorse naturali delle Isole Marshall si è espresso duramente

Non siamo venuti qui a firmare la nostra condanna a morte. Non accetteremo un risultato che porterà alla devastazione per il nostro Paese e per milioni se non miliardi di persone e comunità più vulnerabili».

Come detto in precedenza, l’unico passo positivo è l’obiettivo di triplicare la capacità globale dell’energia rinnovabile. Anche se, scompare un target numerico e non si indica rispetto a quale anno serve al triplicazione, quindi ci sono delle grandi lacune anche in questo. Inoltre, molte delle tecnologie citate e supportate, sono molto costose e non efficienti, quindi poco utili ad una transizione globale.

   

Il resto, che va dalla riduzione graduale dei fossili al rilancio del nucleare diventa un masso pesantissimo, un passo indietro più che uno stallo. La COP che doveva fare la differenza ha solamente creato un buco nell’acqua, favorendo gli stati dell’Opec e i loro affari.

  

Senza contare il fatto che è stata confermata Baku come città ospite della COP 29. Attualmente l’Azerbaigian, ricava 2/3 delle sue entrate da petrolio e gas dunque, le previsioni per il prossimo anno non sono delle più floride. Forse ci resta solo sperare in nuove politiche proattive decise singolarmente dagli stati di tutto il mondo.

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Polemiche, risultati e finanziamenti; un primo bilancio della COP 28.

By : Aldo |Dicembre 08, 2023 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Polemiche, risultati e finanziamenti; un primo bilancio della COP 28.

È passata una settimana dall’inizio della 28a COP e già tanti punti sono stati sviluppati, rivisti, approvati e criticati. Chiunque sia interessato direttamente o indirettamente a questo argomento è pronto ad affrontare i prossimi giorni, nella speranza dell’approvazione di documenti che possano fare la differenza.

I punti principali

La COP 28 come anche le altre, è iniziata con la determinazione di una serie di punti da chiarire e di questioni per le quali servono soluzioni concrete. Dunque, sono state stabilite quattro grandi aree di azione che includono ulteriori sottoschemi quali:

  • La campagna Fossil to Clean, avanzata da 131 aziende, coordinate da “We Mean Business Coalition” e dai suoi partner.
  • Un’alleanza per la decarbonizzazione, con l’obiettivo di trovare un accordo tra Stati per un piano di transizione energetica che punti a delineare come catturare e stoccare la CO2 che oggi è in eccesso.
  • L’impegno degli Stati per il clima.
  • Il sostegno finanziario ai Paesi emergenti.
  • L’impegno disatteso di 100 miliardi all’anno per sostenere la transizione ecologica dei Paesi emergenti.
  • L’impatto sociale, focalizzandosi sull’aspetto sociale della transizione energetica favorendo l’inclusione.
  • Adattarsi al cambiamento climatico attraverso l’Adaptation Agenda di Sharm-el-Sheikh che ha l’obiettivo di migliorare la resilienza di quattro miliardi di persone nelle regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici
  • Piani di adattamento nazionali

     

Iniziare col piede sbagliato

Da tempo l’apertura delle COP è preceduta da una serie di polemiche più o meno condivisibili. Queste sono dettate dal fatto che dopo 28 anni, ancora non siano stati realizzati degli impegni fondamentali e quasi sembra non esserci un risvolto positivo. Così anche quest’anno, la pioggia di critiche è arrivata ed era indirizzata su vari argomenti e scelte discutibili per la conferenza più importante del 2023.

    

Per prima cosa si è discusso della scelta della Presidenza ed alla presenza elevata di rappresentanti dell’industria petrolifera. Si contano ben 2.500 su 80mila partecipanti, secondo la ong Global Witness, una percentuale troppo alta per alcuni, e ambigua rispetto al contesto di sostenibilità. Tra questi si può citare per l’appunto, il presidente della conferenza Sultan Al-Jaber, amministratore delegato del colosso petrolifero Adnoc.

     

Come se questo non bastasse, la plenaria è iniziata in un tunnel buio, visti gli studi dell’Unfcc relativa al Global Stocktake. L’iniziativa che prevede il check della situazione attuale e delle iniziative da implementare presentava una realtà molto tetra che ha scaturito molte lamentele. I dati scientifici confermano che ci avviamo verso 2,6 gradi di riscaldamento globale e che quindi dobbiamo tagliare le emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% nel 2035. Proprio legato a questo, si è discusso molto del “phase out” dei combustibili fossili, per il quale sono favorevoli i governi occidentali.  Al contrario, i grandi produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita e la Russia si sono opposti.

   

Numeri e accordi raggiunti

Passando oltre le polemiche iniziali, gli interventi clamorosi del presidente, i ripensamenti e le ambiguità, si trova molto da raccontare. Una parte positiva di questa 28° conferenza è sicuramente la velocità con la quale certi fondi sono stati creati o attivati.

 

Primo tra tutti il fondo Loss and Damage. Esattamente il primo giorno di Cop28 è arrivato l’accordo sul fondo annunciato alla COP27, diventando così operativo sotto sotto la gestione della Banca Mondiale. Si tratta forse del risultato più importante per velocità di realizzazione e fondi: conta ben oltre 726 milioni di dollari. Soprattutto poiché a sopresa di tutti, l’Italia ha promesso 100 milioni di euro, diventando uno dei maggiori contributori insieme a Francia, Germania ed Emirati.

   

Successivamente si parla delle rinnovabili, con un testo firmato da 123 Paesi i quali si impegnano a triplicare le rinnovabili e aumentare l’efficienza energetica. L’obiettivo è quello di arrivare a 11.000 GW e per raggiungerlo, l’UE ha annunciato un impegno da 2,3 miliardi di euro per la transizione. Per ora sono stati impegnati ben 6,8 miliardi per l’energia. A tale argomento si può affiancare il nucleare, per il quale 22 Paesi hanno firmato un documento. In questo caso l’obiettivo è quello di triplicare la capacità di produzione nucleare nel mondo; tuttavia, resta un tema che mette in disaccordo molti. Resta a lunghissimo raggio la scommessa sulla fusione (abbracciata dall’Italia), per la quale l’orizzonte viene indicato tradizionalmente al 2040-2050.

   

Per il Green Climate Fund (2010), sono stati raccolti 3,5 miliardi di dollari (di cui 3 dagli USA), su un tetto di 13 miliardi. Il patto è stato sottoscritto da soli 25 Paesi. E poi ancora si parla di salute. Con tale documento, i 121 Stati firmatari si impegnano nella riduzione delle emissioni nel settore e sulla considerazione dell’impatto sulla salute delle persone della crisi climatica. 

 

Infine, si è trattato un settore fondamentale, quello dell’agricoltura e del cibo. Si tratta del testo firmato da più Nazioni, 134 per la precisione. L’idea è quella di integrare il settore nei propri piani climatici nazionali, avendo questo un ruolo nella cattura del carbonio e non solo. È responsabile di una grossa quota di emissioni

    

Non è tutto

Dall’inizio della COP, sono stati raggiunti 83 mld di euro di investimenti tra tutti gli impegni previsti. Oltre a quelli già riportati, sono stati raggiunti:

  • 61,8 miliardi per la finanza
  • 8,5 miliardi per le comunità
  • 1,7 miliardi per l’inclusione
  • 134 milioni per l’Adaptation fund
  • 123 milioni per i Paesi meno sviluppati
  • 31 miloni per lo Special climate change fund.

Inoltre 11 promesse e dichiarazioni sono state lanciate e hanno ricevuto un enorme sostegno. Come, per esempio, il rapporto scientifico intitolato “Global Tipping Point” redatto da più di 200 scienziati, che avverte sui “punti di non ritorno” climatici. Oppure la “Dichiarazione congiunta sull’urbanizzazione e il cambiamento climatico” sostenuta da 40 ministri. Propone un piano in 10 punti per integrare l’azione climatica a tutti i livelli di governo e incrementare i finanziamenti urbani per il clima.

    

Mentre continua ad essere oggetto di discussione il “phase out” dei combustibili fossili, per il quale è stato proposto un “phase down”. Tutto ciò nonostante la conferma che il 2023 sarà l’anno più caldo della storia e che a novembre sono state raggiunte temperature record. L’aggiunta del paragrafo 36, che riconosce la necessità di una giusta transizione energetica, rappresenta un passo senza precedenti verso la trasformazione equa di cui necessitiamo.

  

Per non parlare del Global Carbon Budget, che non prevede nulla di positivo. Anzi conferma che nel 2023 le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) raggiungeranno un nuovo record a quota 36,8 miliardi di tonnellate. Questo rappresenta un aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente e dell’1,4% in più rispetto al 2019, ultimo prima della pandemia.

 

Conclusioni

Dopo un anno in cui nessuno nel mondo, è sfuggito agli eventi estremi e ai pericolosi effetti dei cambiamenti climatici, questa COP deve essere decisiva. È chiaro a tutti ormai che servono mosse e azioni veloci ma concrete, decise e mirate per rimettere in piedi l’Accordo di Parigi. Dunque, per poterci salvare serve ancora molto, ma ancora è in dubbio il potere di questa Conferenza.
Ora bisogna solo aspettare i risultati finali.

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COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.

By : Aldo |Dicembre 06, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.

Giovedì 30 novembre si è aperta la COP 28 a Dubai, tra vecchie speranze e dubbi per i risultati della conferenza. L’UE scende in campo decisa a raggiungere i suoi obiettivi comportandosi come un capofila e da modello per le altre nazioni. Ma a distanza di soli 6 giorni dall’inizio, avvenimenti, affermazioni ed interventi hanno già sorpreso tutti, sia in modo positivo che negativo.

L’era delle caverne

Lunedì il mondo scientifico si è bloccato per qualche secondo dopo la dichiarazione del presidente della COP28, Sultan al-Jaber. Quest’ultimo parlando dell’eliminazione dei combustibili fossili, durante un incontro online, afferma:

Non esiste alcuna scienza che indichi sia necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Anzi, la loro eliminazione – anche graduale – non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”.

Parole, le sue, che fanno rabbrividire tutti, in primis i massimi esperti mondiali, compresi gli scienziati del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Lo scalpore deriva anche dal discorso precedente, che annunciava l’impegno delle 50 principali compagnie petrolifere globali a raggiungere emissioni di metano prossime allo zero. Tra queste l’Aramco dell’Arabia Saudita, la Petrobras del Brasile e la Abu Dhabi National Oil Company di cui proprio al-Jaber è a capo. Le prime perplessità sull’efficacia e la possibilità di un’azione concreta iniziano proprio qui. Inoltre, la “Carta globale della decarbonizzazione” non è in linea con l’obiettivo di restare sotto 1,5° Celsius. E non pone alcun vincolo allo sviluppo di nuovo petrolio e gas e prevede obiettivi di emissione volontari e non prescrittivi.

   

Dopodiché subentrano i giornalisti indipendenti presso il Center for Climate Reporting (in collaborazione con la BBC) che chiedono spiegazioni al presidente. L’inchiesta dimostrava che la presidenza della Cop 28 aveva programmato una serie di incontri per favorire nuovi accordi commerciali internazionali legati ai combustibili fossili. A tali accuse al-Jaber ha assicurato di non aver mai visto questi punti, né di aver partecipato a tali incontri.  Nonostante ciò, parliamo della stessa persona che in apertura della COP ha esortato a “garantire di includere il ruolo dei combustibili fossili nel documento finale”.

Gli scienziati sbigottiti hanno definito l’uscita del presidente come “Parole al limite del negazionismo”. D’accordo anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres e Bill Hare, ceo di Climate Analytics, preoccupati per il risultato delle prossime azioni.  

 

A sorpresa, dopo l’assurda affermazione, il sultano ha convocato una conferenza stampa per chiarire quanto detto. Innanzitutto, non si è scusato ma ha detto di essere stato “travisato” dai media, accusandoli di non riportare il suo vero messaggio. Poi ha continuato ricordando quanto la scienza sia parte della sua vita e della fiducia che ripone nelle scelte fatte in questi giorni.  

    

Dalla sua parte

Al contrario di quello che è appena stato descritto c’è chi ha interpretato in altro modo, le parole di Sultan Al Jaber in modo diverso. Il discorso si dirama attorno al seguente concetto: la sostenibilità della transizione. Quindi perché la transizione energetica sia sostenibile per tutti, vuol dire che nessuno può, ne deve essere lasciato indietro.

    

Pertanto, sulla base del fatto che l’eliminazione dei fossili sia la via sa seguire, al-Jaber dice che è necessaria un’eliminazione graduale. Questo perché eliminare una fonte così diffusa (per esempio in Europa) causerebbe una grande crisi, simile a quella vissuta con l’inizio della guerra in Ucraina. In breve, non si possono lasciare tutti a piedi perché non hanno la possibilità comprarsi l’auto elettrica: non sarebbe un cambiamento sostenibile.

    

Anzi, secondo l’articolo di Angelo Bruscino (HuffPost), da un simile passo, ne godrebbe solo la Cina ed il motivo è semplice. Avendo il controllo delle terre rare che servono alle batterie elettriche, incrementerebbe di gran lunga la sua economia. Oppure ne gioverebbe l’America che con l’Inflation Reduction Act ha fatto sì che i costi di transizione li pagasse la collettività e non il singolo che non può permetterselo.

 

Conclusioni

Tuttavia, lo sceicco Yamani (Ministro del petrolio dell’Arabia Saudita dal ’62 allo’ 86) disse:

L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. Non bisogna aspettare che finisca il petrolio per far finire l’età del petrolio”

Questo sta a significare che per quanto abbiamo bisogno ancora oggi dei combustibili fossili, la loro permanenza non assume automaticamente un’accezione positiva. Ossia, per affrettare la transizione è necessario un cambio deciso, che possa smuovere anche la burocrazia dietro certi meccanismi. Solo in questo modo potremmo effettivamente eliminare i fossili e ridurre il nostro impatto sul pianeta. 

   

Rispetto al tema affrontato, si possono riportare altre notizie peculiari riguardanti i primi 6 giorni della conferenza. Per esempio:

  • l’assenza inaspettata del presidente degli USA Joe Biden;
  • la presenza quadruplicata (rispetto al 2022) di lobbisti legati ai produttori di combustibili fossili;
  • la premier Meloni che parla di una la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio deve essere equilibrata e realizzabile. Inoltre, riporta l’accento sulla fusione come nuova frontiera energetica.

Di certo non è iniziata nei modi migliori la 28a Conferenza delle Nazioni unite sui Cambiamenti Climatici. C’è ancora tempo per rimediare, ma è necessario rispettare gli obiettivi prefissati e pensare ad azioni concrete e sostenibili.

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L’agroecologia può aiutarci a ridurre le emissioni di CO2.

By : Aldo |Dicembre 04, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’agroecologia può aiutarci a ridurre le emissioni di CO2.

È sorprendente vedere come quotidianamente vengano pubblicati studi riguardanti nuove soluzioni per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Ancor più importante è scoprire costantemente quanto potere abbiamo nella lotta al cambiamento climatico.

Agroecologia

L’agroecologia non è una nuova scoperta ma un concetto presente già dal Novecento e si riferisce all’utilizzo di principi ecologici nella coltivazione. Dagli anni ’70 si è rafforzato includendo un insieme di tecniche per la coltivazione e di strumenti per la sua salvaguardia. I vantaggi di tale metodologia sono molteplici e vanno dalla conservazione e l’aumento di biodiversità, alla rigenerazione del suolo e la stagionalità delle colture.

La tecnica ha tuttavia un’accezione anche politica e sociale poiché presenta vantaggi e cambiamenti anche sotto questi aspetti. Per esempio, favorisce il cambiamento dei rapporti di potere nella società, valorizzando la dignità del lavoro. Inoltre, privilegia i mercati locali e il territorio rispetto al commercio mondiale.

Si torna a parlare dell’agroecologia poiché l’agricoltura industriale ha arrecato enormi e a volte irreversibili danni alla natura delle coltivazioni. Da anni si discute sul crollo della biodiversità, desertificazione dei suoli, inquinamento delle acque e aumento delle emissioni di gas serra. Pertanto, il concetto in questione promuove un pensiero basato su forme di agricoltura più solide a livello ecologico, biodiverse, resilienti, sostenibili e socialmente giuste.

L’intervista

In questo settore, Paolo Barberi è uno dei massimi esperti italiani. Non a caso coordina il Gruppo di Ricerca in Agroecologia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e coordina il Dottorato Internazionale in Agrobiodiversità. È co-fondatore e membro del Consiglio Direttivo di AIDA, Associazione Italiana di Agroecologia e detiene di molteplici titoli in ambito scientifico. La sua ricerca si contraddistingue dalle altre perché partecipativa, quindi si basa anche sulla relazione con gli agricoltori per comprendere domande e difficoltà del settore.  La “Repubblica” lo ha intervistato per parlare di come l’agroecologia risulti un ottimo alleato per la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso esempi, risultati e vantaggi.

Attualità e monocolture

Il punto che chiarisce subito Barberi è la situazione attuale del settore agricolo. Le tecniche di coltivazione industriale e intensiva hanno riportato negli anni delle importanti criticità che favoriscono meccanismi controproducenti sia per l’uomo che per l’ambiente.  Dunque, sarebbe opportuno puntare sull’agricoltura rigenerativa, evitando le monocolture responsabili dell’impoverimento del suolo e dell’uso smodato di pesticidi, come il glifosato. In particolare, l’uso di fertilizzanti, combustibili fossili, liquami e deiezioni dei ruminanti determina il 20% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea.

È necessario quindi un cambiamento radicale che consenta all’agricoltura, di ridare valore ai suoi prodotti, proteggendo gli ecosistemi, favorendo anche la decarbonizzazione del dell’atmosfera. Tutto ciò è possibile proprio grazie all’agroecologia e in primis all’eliminazione delle monocolture. Quest’ultime hanno monopolizzato la gran parte dei terreni dal periodo del primo colonialismo diventando anche uno strumento politico di dipendenza. Quando poi il colonialismo scemò, gli agricoltori continuarono con le monocolture soprattutto su terreni nudi, privi di altra vegetazione e questo non ha giovato alla natura.

Decarbonizzazione, stoccaggio e biodiversità

Infatti, quello che gli esperti consigliano ora è la coltivazione su suoli ricoperti di vegetazione (naturale o impiantata), per favorire due grandi processi. Il primo è il processo di decarbonizzazione e il secondo di stoccaggio di anidride carbonica. Questo è possibile perché un terreno vegetato durante tutto l’anno, consentirà un maggiore assorbimento di CO2 rispetto ad uno che resta nudo per mesi. In più, può assorbire in modo migliore l’acqua piovana, evitando allagamenti (per quanto possibile), risultando un terreno più funzionale e sano.

A riguardo, Barberi, riporta un esempio chiari dell’efficienza dell’agroecologia per quanto riguarda il secondo processo.  Il professore racconta di come abbia affiancato a Pisa un coltivatore di frumento duro e girasole ed afferma:

Nella fase intermedia tra le due colture abbiamo seminato la veccia vellutata (leguminosa) la cui biomassa favorisce lo stoccaggio di carbonio in un periodo in cui il terreno sarebbe rimasto inutilizzato, con relativo spreco della radiazione solare, fornendo in più azoto a beneficio della coltivazione che le succederà, quella del girasole. E non serve neanche più arare il terreno”.

O ancora

In due vigneti nel Chianti abbiamo misurato l’eventuale competizione per l’acqua tra vegetazione spontanea o impiantata e la vigna verificando che lo stress, che si registra solo in brevi periodi estivi, non incide sulla resa in uva e risulta addirittura vantaggioso per la qualità del vino. Questa evidenza smentisce la credenza comune che d’estate si debba lasciare il terreno nudo per evitare la competizione tra vite ed erbe spontanee.”

Senz’altro da questi esempi si evince come la diversificazione delle colture favorisca la decarbonizzazione quindi porti dei vantaggi in più ambiti. Infatti, analogamente sono importanti gli orti urbani che consentono di riqualificare aree industriali e periferiche delle nostre città, per gli stessi identici motivi.

Conclusioni

Di certo è fondamentale investire sulla consapevolezza del ruolo dei cittadini nell’indirizzare le strategie della grande distribuzione e dei produttori. Questo perché saranno loro a determinare i prezzi al dettaglio, consentendo o meno lo sviluppo sostenibile di cui abbiamo bisogno. In questo argomento è opportuno ricordare l’importanza della stagionalità dei prodotti, che sembra essere svanita nel nulla.

Alimenti fuori stagione che troviamo costantemente negli scaffali dei supermercati, aumentano i costi ambientali e le emissioni. Incrementando la concorrenza di prodotti a prezzi stracciati che tuttavia arrivano dall’altra parte del mondo.  L’agroecologia comprende tutte queste dinamiche con l’obiettivo di regolarizzare e rendere più sostenibili tutte le pratiche legate al mondo dell’agricoltura.

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