Emissioni

L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.

By : Aldo |Febbraio 22, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.

Negli ultimi 30 anni, l’Europa ha dimostrato un impegno significativo nella riduzione delle emissioni di CO2. In questo modo ha posto la lotta al cambiamento climatico al centro delle sue politiche ambientali che spesso risultano essere tra le più virtuose al mondo. Non a caso è recente la nuova direttiva nel settore delle emissioni.

La lotta dell’Europa

L’Europa da anni si impegna per ridurre le emissioni di CO2 e combatte il cambiamento climatico a suon di norme e nuovi progetti. Le politiche ambiziose adottate dai suoi Stati membri, vengono spesso considerate le più virtuose o le più efficienti nel settore della sostenibilità. Infatti, si è parlato più volte di promuovere l’efficienza energetica, l’uso delle energie rinnovabili e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Sebbene si parla di cambiamenti rilevanti e di grande impatto, l’Unione ha introdotto varie misure per raggiungere gli obiettivi prefissati anno per anno. Una tra queste, il sistema europeo di scambio delle emissioni (EU ETS), che limita le emissioni dei settori industriali e delle centrali elettriche. Oppure ancora il pacchetto “Energia-Clima 20-20-20” che mira a raggiungere più traguardi. Ossia ridurre del 20% le emissioni, aumentare del 20% l’efficienza energetica e portare al 20% la quota delle rinnovabili nel mix energetico entro il 2020.

È opportuno citare anche il “Piano d’Azione per l’Economia Circolare”, che mira a ridurre l’uso delle risorse, promuovere il riciclo e l’economia circolare. Senza dimenticare il contrasto al problema dei rifiuti plastici. O anche il “Pacchetto Clima” che ha lo scopo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Da poco è stata approvata una nuova norma, che porta l’Unione sulla cima del mondo, con il primo schema di certificazioni per la rimozione della CO2.

La nuova normativa

Così l’UE dà il via libera al sequestro di carbonio sostenibile attraverso un nuovo schema di certificazioni per la rimozione di CO2. È il primo al mondo nel suo genere e dovrebbe assicurare lo stoccaggio dell’anidride carbonica per periodi di tempo sufficientemente lunghi, contribuendo al contrasto della crisi climatica. Con tale norma e l’applicazione di tante altre già approvate, Bruxelles porta avanti il suo lavoro con l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. 

Lo schema di certificazione

Per far si che questa direttiva funzioni la Commissione ha definito criteri e punti da seguire, o necessari ai fini della certificazione. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di uno schema valido per più certificazioni che si distinguono a seconda del tipo di rimozione individuato.

  • la rimozione permanente del carbonio per mezzo dell’immagazzinamento del carbonio atmosferico o biogenico per diversi secoli;
  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio in prodotti durevoli (circa per 35 anni) come, per esempio, le costruzioni a base di legno, che possono essere monitorati in loco durante l’intero periodo di monitoraggio;

Dopodiché si parla di carbon farming, un settore nel quale si può applicare:

  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio attraverso il ripristino di foreste e di suolo, la gestione delle zone umide e delle praterie di fanerogame marine;
  • la riduzione delle emissioni del suolo, quindi la diminuzione del carbonio e del N2O derivanti dalla gestione del suolo.

Queste attività sono possibili a patto che conseguano un miglioramento in ambiti quali, il bilancio del carbonio nel suolo, nella gestione delle zone umide, nell’assenza di lavorazione del terreno e nelle pratiche di colture di copertura combinate con uso ridotto di fertilizzanti.

Uno schema per una certificazione simile, potrebbe essere un grande punto di svolta, se gestito in modo trasparente, chiaro, efficiente e lineare. Forse l’unico dubbio resta sulla sua validità, per molteplici ragioni.  Ci troviamo nuovamente di fronte ad uno schema volontario, un procedimento che non viene imposto ma scelto autonomamente sulla base di un pagamento per la rimozione di CO2. Sebbene sia una legge europea, il fatto che ci siano movimenti finanziari per raggiungere un obiettivo così importante, mette in dubbio la veridicità e la trasparenza dei passaggi.  Nonostante ciò, se l’Unione ha approvato la direttiva, non ci resta che vedere questo nuovo schema in azione e sperare che sia effettivamente una nuova grande soluzione ad un grande problema.

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L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio

By : Aldo |Febbraio 20, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio

Gli stadi sono grandissimi centri di agregazione sportiva ma anche musicale e di certo sono il teatro di tantissime esperienze ed emozioni meravigliose. Se non fosse che, per la loro grandezza e capienza, consumano elevate quantità di energia, solitamente non rinnovabile. Ma ecco che anche in Italia arriva l’innovazione.

I consumi degli stadi

Gli stadi da calcio sono grandi consumatori di energia e dunque anche fonti significative di emissioni di gas serra. Tali consumi ed emissioni sono correlati all’illuminazione degli impianti, i sistemi di riscaldamento e raffreddamento, i sistemi audio e video. Oltre a ciò, si contano le infrastrutture necessarie per gestire grandi folle che richiedono un notevole quantitativo di energia. Per di più si potrebbe tenere conto anche del trasporto dei tifosi verso e dall’impianto può contribuire ulteriormente alle emissioni di CO2. Pertanto, negli anni sono state intraprese numerose iniziative per ridurre l’impatto ambientale degli stadi, tra cui;

  • l’installazione di sistemi di illuminazione a LED,
  • l’adozione di fonti energetiche rinnovabili e
  • l’implementazione di politiche per promuovere mezzi di trasporto sostenibili.

Tuttavia, in Italia, gli stadi calcistici presentano una situazione variegata poiché alcuni impianti sono più antichi di altri, a volte quasi storici. Tutti quelli che sono stati oggetto di ristrutturazioni, hanno migliorato l’efficienza energetica per ridurre le emissioni. In questo modo hanno integrato sistemi di illuminazione a basso consumo e soluzioni di riscaldamento e raffreddamento più efficienti. Tutte modifiche accessibili ai club più facoltosi o alle strutture più innovative, al contrario di quelli piccoli o meno mderni in ambito strutturale. Questo perchè tutt’ora le sfide significative in termini di sostenibilità ambientale sono anche costose e quindi non tutti gli stadi possono permettersele. Nonostante ciò, in Italia c’è ancora un grande margine di miglioramento per rendere quel luogo pieno di anime in un posto più rispettoso dell’ambiente.

    

L’Udinese per l’ambiente

La squadra dell’Udinese Calcio fondata nel 1896, ed è una delle squadre più antiche e prestigiose del calcio italiano. Il club ha avuto alti e bassi nel corso della sua storia, ma negli ultimi decenni si è affermato come una presenza stabile nella Serie A italiana, con diverse partecipazioni alle competizioni europee. Oltre ad essere un club rinomato, è anche molto attento alla sostenibilità ambientale delle sue attività. Non a caso negli ultimi anni ha proposto delle iniziative per coinvolgere la comunità locale nella sensibilizzazione ambientale, organizzando eventi e programmi educativi su questi temi e su quelli della responsabilità sociale.

    

Tra questi progetti sono inclusi investimenti nella promozione del calcio giovanile e nell’integrazione sociale attraverso progetti rivolti ai giovani della comunità locale. Nello specifico finanzia attività a favore dello sviluppo dei giovani e a promuovere valori come il fair play e la solidarietà. In questo modo l’Udinese Calcio si distingue non solo per la sua eccellenza sul campo, ma anche a essere un’organizzazione responsabile e consapevole del suo ruolo nella società.

    

Lo stadio fotovoltaico

L’ultima iniziativa del club è proprio il progetto per rendere sostenibile l’Intero Stadio Friuli. In particolare, la struttura sarà coperta da pannelli fotovoltaici grazie a un progetto che mira a produrre 1,1 milioni di kilowattora all’anno. Il progetto è stato presentato insieme alla società Blueenergy, e prevede l’installazione di 2409 pannelli solari sulla copertura delle due curve e dei distinti dello stadio. La copertura totale di 4615 metri quadrati, ha l’obiettivo di coprire buona parte dei consumi energetici dello stadio, riducendo così l’impatto ambientale delle sue attività.

     

Il Direttore Generale di Bluenergy, Davide Villa, ha sottolineato che i pannelli fotovoltaici saranno in grado di soddisfare l’intero consumo energetico di una partita in determinati periodi dell’anno. In più, il sistema fotovoltaico sarà collegato alla rete elettrica cittadina e fornirà energia pulita quando i consumi superano la produzione. Così facendo si potranno reimmettere eventuali surplus nei giorni a basso fabbisogno, creando un vantaggio sia al club che alla cittadina, un processo alla base di un’ottica sostenibile.

        

Questo programma si aggiunge alla strategia presentata anni fa, quando nel 2018 la società ha iniziato ad utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili. In tal modo ha ridotto l’emissione di migliaia di tonnellate di CO2.  Grazie a queste innovazioni l’Udinese calcio si è classificato al quarto posto in Europa nel Football Sustainability Index del 2022, aggiungendosi alla alla lista degli impianti sportivi sostenibili in Europa, tra cui lo stadio del Galatasaray a Istanbul di cui abbiamo parlato in precedenza, e la Johan Cruijff Arena dell’Ajax ad Amsterdam.

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In Congo si cambia cucina con i forni solari.

By : Aldo |Febbraio 16, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su In Congo si cambia cucina con i forni solari.
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Quando le risorse materiali ed economiche scarseggiano è necessario affrontare la sfida di trovare soluzioni pratiche ed accessibili. Questo accade soprattutto quando si vive in contesti più svantaggiati rispetto al resto del mondo, come in alcune regioni dell’Africa, dove spesso grazie a collaborazioni internazionali, nascono progetti per una miglior vita dei cittadini.

   

Il Congo e il legname

La Repubblica Democratica del Congo si trova nel cuore dell’Africa, ed è uno Stato ricco di storia culturale, vanta un’ampia diversità etnica e tantissime tradizioni millenarie. Tuttavia, è una Nazione che nella storia ha faticato molto, soprattutto perché dipendente dalle risorse naturali, come petrolio, legname e minerali. Materie prime spesso sfruttate anche durante le colonizzazioni che più di una volta hanno determinato una grande e instabilità politica. Tra queste, quella legata allo Stato belga nel XIX secolo, ha lasciato una grande impronta nella nazione africana, con conseguenze profonde sul suo tessuto sociale ed economico.

    

Tra le risorse è stato citato il legname poiché il Congo gode di una ricchezza naturale di legname tra le più significative al mondo. Tale ricchezza è definita dalla presenta di vaste foreste tropicali che coprono gran parte del territorio e dalle specie in esse presenti. Si parla tra l’altro di mogano, l’acajou e l’ebano, piante volute dall’intero mercato mondiale per la loro qualità e bellezza. Pertanto, di tratta di piante estratte ed esportate a livello globale per mezzo di attività che implementano la deforestazione e gli impatti negativi sull’ambiente.

   

Inoltre, il legname è ampiamente usato anche nella quotidianità dei congolesi che lo impiegano nella costruzione di abitazioni, mobili, imbarcazioni e strumenti agricoli. Ed è usato anche come fonte di combustibile per la cottura e il riscaldamento con impatti negativi anche nella loro salute. Forse proprio per questo motivo, il Belgio ha deciso di collaborare con il Congo per un’innovazione riguardante la cucina. Infatti, da poco è nata l’idea di creare dei “forni solari” da distribuire in una delle regioni più in difficoltà del paese, per migliorare la vita dei cittadini ma anche la salute dell’ambiente.


Lo sfruttamento della risorsa

La collaborazione tra Belgio e RDC è basata sull’idea di migliorare le tecniche di cottura dei congolesi meno abbienti, la loro salute e la salute del pianeta. Nello specifico, la partnership è nata per la zona di Lubumbashi, situata nell’estremo sud dello stato dove circa il 98% dei quasi due milioni di abitanti dipende ancora dal carbone per la cottura domestica.

    

Questa pratica ha un enorme impatto negativo su vari aspetti. Il primo è ovviamente quello ambientale poiché è un meccanismo che necessita di legname e quindi favorisce il processo di deforestazione massiccia. In secondo luogo, l’uso del carbone come fonte di combustibile aumenta la percentuale di emissioni di CO2, che, come sappiamo, determina il surriscaldamento terrestre. Un terzo motivo invece, riguarda la salute umana, poiché le tecniche di cottura delle popolazioni, comprendono spesso un utilizzo particolare del carbone, che rilascia fuliggine negli alimenti, che poi vengono consumati dalle persone. Dunque, non è difficile capire che l’utilizzo quotidiano di tale risorsa da parte di questi popoli determini non pochi problemi.

    

I forni solari in collaborazione

Così, la collaborazione tra lo stato africano e quello Belga ha portato alla nascita del progetto Solar Cookers for All (Sc4all). Aperto nel 2021 come un’idea fai-da-te in un capanno da giardino, oggi Sc4ll, sta sviluppando forni solari con materiali riciclati per ridurre la dipendenza dalla cucina a carbone e i suoi effetti negativi. Grazie anche alla partecipazione dell’UHasselt e l’Università di Lubumbashi (UniLu), l’idea è diventata uno spin-off dell’università con l’obiettivo di creare localmente un’impresa che produca e distribuisca forni solari economici.

   

La tecnologia si basa esclusivamente sul calore dovuto all’energia solare. Quindi l’energia diretta del sole attraverso pannelli riflettenti per riscaldare il cibo senza rilasciare tossine o abbattere alberi. L’idea è definita sostenibile anche perché questi forni vengono costruiti con materiali riciclati come lattine e filo di ferro, in modo da adattare questa tecnologia alle esigenze locali.

   

Sebbene più di 4 milioni di famiglie nel mondo utilizzano questi forni, le versioni commerciali sono ancora troppo costose. Non a caso nasce Sc4ll, affinchè anche nei paesi più poveri le popolazioni possano usufruire di una tecnologia innovativa, sostenibile e salutare a prezzi bassi.  

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Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.

By : Aldo |Febbraio 13, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.

Sappiamo che il settore tessile è uno dei più inquinanti sul pianeta perché non impiega solo tessuti, ma quantità ingenti di acqua e suolo ed emette tantissima CO2. Greenpeace ha deciso di indagare su questo problema per dimostrare i danni che il fast fashion arreca al mondo.

 

Fast fashion

Da tempo ormai si può fare shopping direttamente da casa, con qualche click, senza uscire o prendere la macchina. Sembra tutto più semplice e poi che prezzi! E se il capo non fosse della taglia giusta si potrebbe fare il reso a pochi euro, a volte anche gratuitamente: cosa c’è meglio di così?
Nulla.

Esattamente nulla perché il fast fashion, un trend in drastico aumento negli ultimi anni sta giovando ai nostri portafogli ma non al nostro pianeta. Questo perché si tratta di merce di bassa qualità, solitamente fatta di fibre plastiche, che durano poco prima di sgualcirsi e costano relativamente poco. Il fast fashion è figlio di una società consumista che non riesce (o almeno ancora non lo ha fatto) a capire che un’economia circolare sarebbe la soluzione perfetta ai grandi problemi del momento. Che siano la crisi economica o climatica.

   

Secondo le stime attuali, a livello globale la produzione e il consumo di prodotti tessili sono raddoppiati dal 2000 al 2015 e potrebbero triplicare entro il 2030. Questo determina un tasso minimo di riciclo, non a caso solo l’1% dei vestiti viene creato da abiti vecchi e il 3% è circolare. Infatti, ogni secondo un camion pieno di capi d’abbigliamento finisce in discarica o inceneritore.

   

L’indagine di Greenpeace

Per chiarire e dimostrare con dati certi l’impatto di questo settore, Greenpeace Italia in collaborazione con Report ha svolto un’indagine non solo sul consumo ma sui resi online dei vestiti. Come detto in precedenza, pochi click bastano per comprare e fare resi gratuiti ma il pianeta paga un alto prezzo per queste attività. Lo afferma una ricerca del 2020 pubblicata su Nature, in cui si parlava del crescente impatto ecologico del fast fashion:

  • quasi il 18% delle emissioni globali di CO2 prodotte dall’industria manifatturiera;
  • milioni di litri di acqua utilizzata per lavorare cotone e tessuti;
  • almeno 100 milioni di rifiuti tessili gettati via ogni anno. 

Ora invece il focus è sui resi e quindi sui viaggi infiniti che gli indumenti fanno, una volta rispediti al mittente. I risultati ottenuti dall’inchiesta sono a dir poco assurdi e sottolineano come questa pratica veloce e diffusa stia compromettendo la salute della Terra.

   

L’indagine durata 2 mesi si è basata su 24 capi acquistati online da grandi marchi quali Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, Ovs, Shein e Asos e poi rispediti. Prima di rimandarli al mittente però, sono stati inseriti dei piccoli air tag (localizzatori GPS) per tracciarne gli spostamenti. In questo modo, i due gruppi sono riusciti a creare delle vere e proprie mappe dei resi, ma soprattutto sono riusciti a calcolare con precisioni le emissioni derivate da tali movimenti.

    

Gli abiti, quindi, hanno transitato più volte lungo tutto l’asse della nostra penisola, poi alcuni sono finiti in Europa e altri sono tornati direttamente in Cina. Questo perché gli stessi 24 capi sono stati venduti e rivenduti quasi 40 volte e resi 29 volte: ancora oggi 14 dei 24 vestiti non sono stati rivenduti. Questo giro intorno al mondo è durato ben 100 mila chilometri tra 13 Paesi europei e Cina. In media ogni pacco ha viaggiato, per consegna e reso, quasi 4500 chilometri: il tragitto più breve è stato di 1.147 chilometri, il più lungo di circa 10.300. Addirittura, sette capi che in totale hanno volato complessivamente per oltre 34 mila chilometri.

     

Le emissioni

I dati raccolti in chilometri sono stati trasformati in emissioni di CO2 grazie alla startup INDACO2, la quale ha determinato l’impatto ambientale di tutti i viaggi. Ovviamente tale valutazione tiene conto anche del packaging non solo del viaggio.  Quindi l’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di CO2e, di cui il 16% di packaging. Tali dati determinano un aumento di circa il 24% delle emissioni per pacco.

     

L’indagine di Greenpeace e Report conferma come la velocità nell’effettuare i resi in questo settore determiino un elevato impatto sul Pianeta. Nello specifico in Europa, il consumo di prodotti tessili sia il:

  • 4° settore per impatti su ambiente e clima,
  • 3° settore per consumo d’acqua e di suolo.

Sarebbero necessarie quindi delle leggi o delle normative per arginare o limitare tali operazioni o per regolamentare il transito dei resi. O ancor di più la distruzione di capi ancora utilizzabili o riciclabili. Perché una pratica che incentiva il reso attraverso i bassi prezzi, favorisce anche l’aumento dei cambiamenti climatici.

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Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

By : Aldo |Gennaio 17, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

Si sente spesso parlare di compensazione della CO2, di riforestazioni e progetti di sviluppo oltre oceano. Sembra che questi siano gli unici modi con cui uno stato possa compensare le sue emissioni, ma un’articolo dell’Accordo di Parigi cambia tutto.

Articolo 6 Accordo di Parigi

L’articolo 6 è un punto fondamentale dell’Accordo di Parigi poiché consente le collaborazioni tra Stati per raggiungere i propri obiettivi climatici. Il punto ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS) divise in 2 sottoclassi:

  • quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi (art. 6.4);
  • quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali (art. 6.2).

Con tali premesse c’è la possibilità di creare una rete di cooperazione internazionale sul mercato del carbonio per ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, anche questi meccanismi devono seguire delle regole specifiche, affinché i progetti di compensazione non siano vani. Più precisamente, esiste una procedura obbligatoria che entrambi gli stati devono seguire per evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni. Quindi

  • un paese trasferisce unità di emissioni a un altro paese
  • il venditore sottrae tali unità di emissioni dal proprio obiettivo di emissioni
  • l’acquirente deve aggiungerle al proprio obiettivo.

Grazie a questo articolo, esiste un gran numero di operazioni possibili per la riduzione del carbonio, con lo scopo di agire contro i cambiamenti climatici.

    

Svizzera e Thailandia

La notizia che circola da qualche giorno riguarda proprio l’applicazione di tale articolo. In Thailandia sono arrivati gli e-bus o bus elettrici dalla Svizzera per compensare le emissioni di CO2. Un’operazione nuova, prima del suo genere che apre le porte a nuovi piani internazionali, sviluppati semrpe sulla base delle direttive dell’Accordo di Parigi.

    

Il programma di Energy Absolute Public Company Limited è sostenuto dalla Foundation for Climate Protection and Carbon Offset Klik (Klik Foundation). Ma anche da South Pole, società svizzera specializzata in queste specifiche operazioni. L’accordo bilaterale serve per ridurre le emissioni e l’inquinamento atmosferico di Bangkok attraverso l’introduzione di veicoli elettrici nel trasporto pubblico gestito da operatori privati. A tal proposito, il quotidiano “La Repubblica” ha intervistato Aurora D’Aprile, consulente di Carbonsink, parte di South Pole dal 2022. Nella conversazione si spiegano i motivi per cui questo, è considerato un piano unico nel suo genere.

    

Il primo progetto

La partnership tra Svizzera e Thailandia è considerata una novità poiché prevede lo scambio di crediti di carbonio tra Stati e non solo tra privati. La sorpresa deriva dal fatto che tale pratica è consentita dall’Articolo 6 ma nessuno ancora aveva applicato tale norma. Un fatto, questo, incomprensibile, poiché l’articolo mirava proprio alle collaborazioni tra governi. Inoltre, era chiaro che con la cooperazione si sarebbero ridotte maggiormente le emissioni, rispetto ad una pratica solitaria e privata.

   

Un secondo motivo per cui il progetto è ritenuto primo nel suo genere è il fatto che sia il primo in cui l’iter, legato al mercato del carbonio, sia stato completato. Più precisamente, il credito va sviluppato secondo dei criteri condivisi, dopodiché il Paese in cui il credito viene maturato deve autorizzarne l’esportazione, e questo è avvenuto.  Di certo la collaborazione tra stati rende il piano più influente e sicuro, visto che gli Stati possono dare maggiori garanzie sull’effettiva consistenza dei crediti. Soprattutto per quanto riguarda il doppio conteggio. Infatti, con l’applicazione dell’Articolo 6, rende teoricamente impossibile che la stessa riforestazione (o piano) venga usato per la compensazione di clienti diversi.

    

Un terzo motivo per definire il programma tra Svizzera e Thailandia è il suo oggetto: il rifornimento di bus elettrici nella metropoli di Bangkok. Effettivamente quando si parla di compensazione si punta sempre alle riforestazioni o ad impianti per energie rinnovabili. Quindi il piano in esame dimostra un nuovo settore in cui si può operare ossia il settore della mobilità elettrica.

    

Conclusioni

Tuttavia, non sono mancate critiche anche in questa situazione, soprattutto contro la partnership stessa. Le lamentele si basano sull’idea che he prima o poi Bangkok avrebbe dovuto comunque cambiare la sua flotta di bus obsoleti. Pertanto, non si assiste ad un’”addizionalità”, non è un’operazione che si fa in più per il clima.

   

Ma è pur vero che dietro tali progetti ci sono talmente tante dinamiche e questioni da seguire che criticarne lo scopo, non risulta produttivo. Soprattutto perchè si tratta di stati diversi sotto ogni punto di vista; quindi, aver trovato un accordo è già una vittoria.

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Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

By : Aldo |Gennaio 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

Il Decreto del MASE n. 434 del 21 dicembre 2023 è stato approvato. L’Italia pubblica il suo PNACC tra perplessità e preoccupazioni per le emergenze future.

    

Il nuovo Decreto del MASE

Finalmente è arrivato. Dopo l’ultimo documento, risalente a 7 anni fa, è stato approvato il nuovo PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici). L’obiettivo del testo è quello di fornire un quadro nazionale per:

  • contrastare i rischi;
  • migliorare le capacità di adattamento;
  • trarre vantaggio dalle opportunità legate alle nuove condizioni climatiche.
    Si tratta di un piano di attuazione della strategia creata nel 2015, per


contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.

Il PNACC è fondamentale soprattutto per uno stato come quello italiano, per via delle sue caratteristiche geomorfologiche, climatiche e ambientali. L’Italia è un’area estremamente vulnerabile ed un rilevante hot-spot di biodiversità; pertanto, tale traguardo è fondamentale per affrontare le difficoltà del futuro.

   

La struttura del testo

Il documento necessario per adattarsi ai cambiamenti climatici individua 361 misure di carattere nazionale o regionale, azioni di informazione, sviluppo di processi organizzativi e partecipativi. Tali misure sono divise in 3 fasce:

  • soft: non richiedono interventi strutturali e materiali diretti;
  • green: quando necessitano di soluzioni naturali;
  • grey: se hanno bisogno di azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture.

Ma proprio tale suddivisione ha già sollevato polemiche e dubbi, poiché ben oltre 250 azioni su 361, sono classificate come soft. Pensando a tutti gli eventi estremi di quest’anno, alle grandi lacune del nostro paese, sicuramente non era quello che ci si aspettava. Gli interventi strutturali sono dunque solo 87, di cui solo 46 sono green. Per esempio, un fenomeno che oggi tiene in mano oltre il 93% dei comuni italiani, rientra nell’ambito del dissesto idrogeologico. Proprio questo problema riserva solo 29 interventi tutti catalogati come classe “soft”.
     
Forse si sperava in un piano molto più rigido, concreto che analizzasse ogni singola tematica e trovasse la soluzione adatta a ciascuna. L’insieme di queste misure dovrebbe esse in grado di incidere sui seguenti settori:

  • acquacoltura, pesca, zone costiere
  • agricoltura e foreste
  • ecosistemi acquatici e terrestri;
  • desertificazione, dissesto idrogeologico, risorse idriche;
  • energia;
  • insediamenti urbani, patrimonio culturale, turismo, trasporti, industrie.
  • salute;

In particolare, sono state evidenziate delle linee più forti per quanto riguarda le risorse idriche, forse uno dei temi più dibattuti e preoccupanti degli ultimi anni. In questo senso si punta ad incrementare la connettività delle infrastrutture idriche e la loro manutenzione, l’irrigazione e la bonifica. Dunque, una maggior cura della rete fluviale liberandola da barriere e la capacità di accumulo.  Mentre per l’agricoltura si consigliano maggiori investimenti cosicché i nostri terreni possano resistere ed adattarsi ai nuovi climi.
    
Di seguito si parla quindi di protezioni per il gelo e le grandinate (sempre più frequenti e potenti), l’efficientamento delle risorse per coltivare. E in più si citano idee per aumentare il benessere animale. Per fare un esempio, solo nel 2023, la mancanza di un piano simile ha provocato nel Paese oltre 6 miliardi di euro di danni all’agricoltura italiana.

    

La situazione in Italia

Il testo riporta tuttavia le criticità riscontrate negli ultimi anni con previsioni, studi e ipotesi per l’avvenire. Tra gli argomenti più complessi, sono stati affrontati:

  • La siccità: anomalie legate fino a -40% di piogge;
  • Innalzamento dei mari: si prevede un aumento di 19 cm entro il 2065;
  • Temperature dei mari: le analisi ipotizzano un aumento del 1,9° C nel Tirreno tra il 2036-2065, addirittura 2,3° C nell’Adriatico;
  • I ghiacciai: hanno perso il 30-40% del loro volume;
  • Copertura nevosa (fondovalle e versanti meridionali): si limiterà a 5 settimane fino ai 2000 m, a 2,3 settimane fino ai 2500 m.

Tali questioni sono concatenate l’una con l’altra e determinano maggiori e più frequenti fenomeni estremi. Questi sono a loro volta legati all’aumento delle emissioni di CO2, che non sembrano diminuire. In questo senso si presentano 3 scenari, di esito diverso, dal peggiore al migliore. Nel caso peggiore, le concentrazioni a fine secolo saranno quasi quadruplicate rispetto i livelli preindustriali; si pensa ad un range tra gli 840-1120 ppm. Precisamente questo potrebbe essere il quadro peggiore con un conseguente aumento della temperatura globale (nel 2100) di 4-5° C. il caso migliore è quello di una ipotetica e forte mitigazione delle emissioni che verrebbero dimezzate entro il 2050. Infine, l’esempio intermedio prevede la riduzione delle concentrazioni sotto il livello attuale (400 ppm) entro il 2070.

    

In conclusione

Ancora una volta, un piano necessario, fondamentale per il nostro Paese è arrivato deludendo le aspettative di molti. O forse tutti sapevano come sarebbe andata. Per di più, il testo presenta un secondo e particolare problema, ossia i finanziamenti. Infatti, oltre alle misure che danno poca affidabili, c’è una seconda questione ovvero i costi. In pratica, secondo gli autori ci sarebbero molte risorse per attuare le azioni prima citate, tuttavia solo una parte è direttamente disponibile in Italia. Ossia, i fondi europei sanno erogati solo a seguito di evidenti sforzi e la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti.

Non ci resta dunque che pensare che il futuro in questo senso sia prevedibile e già scritto, oppure sperare in una svolta vera e propria.  Sicuramente lo scopriremo solo col passare del tempo.

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Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

By : Aldo |Gennaio 01, 2024 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

Le feste natalizie sono terminate e come di consueto ci si appresta (chi più chi meno) a togliere gli addobbi in casa. Giardini e terrazzi non saranno più illuminati dalle mille lucine colorate e quel posto nel soggiorno occupato dall’albero di Natale sarà riempito da altro. Ma l’albero dove finisce dopo quel mese di lavoro?

     

Albero artificiale

Oggi abbiamo un’ampia scelta per i nostri addobbi natalizi; alberi veri, artificiali, di vari colori, con le luci incorporate, alti due metri o in miniatura. Sebbene qualsiasi modello doni un’atmosfera calorosa ed accogliente in ogni ambiente esso si trovi, sarebbe opportuno scegliere con attenzione anche in questo caso.  E bene si, anche l’acquisto del tanto amato albero può essere sostenibile a seconda del tipo, quindi se vero o artificiale e del suo smaltimento.

    

L’albero artificiale è sicuramente una scelta sicura, abbordabile, facile da gestire nella fase di allestimento, smontaggio e per tutta la durata delle feste. Ce ne sono di bianchi, blu, rossi, rosa e alcuni hanno i rami con dei piccoli led incorporati per illuminarlo senza ulteriori cavi. Come detto in precedenza le variabili sono molteplici ma tutte sono prodotte allo stesso modo.

    

Si tratta di elementi composti da plastica (pp e pvc, non riciclabile né biodegradabile) ed acciaio, risultando più leggeri di altri. Circa il 70% degli acquirenti li sceglie per la loro gestione: non devono essere annaffiati né mantenuti in condizioni particolari e non sporcano i pavimenti. Nonostante ciò, non possono essere riciclati in alcun modo e impiegano centinaia di anni per decomporsi: dove troviamo l’aspetto sostenibile?

    

Questi prodotti sono pensati per essere riusati nel tempo, almeno per 10 addirittura 20 anni per ridurre al minimo il loro impatto. Tuttavia, secondo i sondaggi, un albero artificiale viene riusato per meno del tempo minimo previsto, quindi per 5, 7 anni. Questo comportamento determina un elevato inquinamento non necessario ed evitabile.

 

Abeti veri

Se invece si sceglie l’abete vero, si favorisce la sostenibilità, soprattutto se acquistato da attività locali. L’unica decisione importante da prendere prima di pagare è la scelta tra un albero reciso oppure vivo, poiché potrebbe avere differenti seconde vite. Infatti, una volta terminate le feste, si passa alla fase dello smaltimento, per la quale si deve riporre molta attenzione per non rischiare di inquinare maggiormente. Questo è rilevante poiché nonostante si tratti di un albero naturale non significa che si possa gettare ovunque o a caso.

  

Per esempio, un albero reciso può essere impiegato per la produzione di compost o di ghirlande, accessori per la casa o sottobicchieri. Mentre l’albero non reciso può essere ripiantato. Spesso in America vengono usati per creare barriere contro l’erosione del suolo stabilizzando così coste di fiumi e laghi. Oppure ancora come rifugi e mangiatoie per i pesci sul fondo degli stagni. 

   

Considerare queste alternative è un buon metodo per rendere sostenibile lo smaltimento dei nostri addobbi. Tali accorgimenti sono importanti soprattutto perché l’albero se lasciato in discarica potrebbe inquinare più di quanto pensiamo. Jessica Davis, direttrice dell’Ufficio per la sostenibilità dell’Indiana University-Purdue spiega il motivo:

 

I materiali organici hanno bisogno di ossigeno per decomporsi, un gas scarsamente presente nei luoghi deputati allo smaltimento. Ciò implica che, quando la pianta finalmente si decomporrà, rilascerà metano, uno dei più potenti gas serra, che produce un effetto circa 25-30 volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica. Di certo è meglio evitare l’utilizzo del legno di abeti e i pini per accendere il fuoco, poiché contengono creosoto. Si tratta di un catrame altamente infiammabile, che produce fuliggine e può provocare incendi nei camini.”

 

L’impegno di Ikea

In questo ambito c’è chi è riuscito a fare la differenza e la fa da anni. Ikea, infatti, dal 2016 collabora con AzzeroCO2, società di Legambiente e Kyoto Club nell’ambito della Campagna Nazionale Mosaico Verde per riqualificare il territorio italiano. In particolare, ha intrapreso un percorso di circolarità e sostenibilità basato sulla rigenerazione di boschi e foreste.

    

Inizialmente, per ogni albero acquistato e restituito nei negozi Ikea, venivano destinati €2 alla campagna “Compostiamoci Bene”. L’iniziativa era centrata sulla riforestazione e sul recupero di aree in stato di abbandono o esposte al rischio idrogeologico. Nel 2018 con l’iniziativa Mosaico Verde, il gigante delle svedese ha piantato 3000 alberi in aree fragili o colpite da calamità. Ma il progetto non è finito qui.

     

Quest’anno Ikea, per ogni abete restituito, donerà €4 per realizzare un progetto di produzione e condivisione di energia pulita. Si tratta di un programma incluso nella campagna di Responsabilità sociale Energy Pop. Mira alla condivisione di energia prodotta da rinnovabili sui tetti di case popolari e cooperative sociali, grazie all’installazione di impianti fotovoltaici in quartieri fragili di Firenze.

 

Insomma, gli alberi di Natale sono simbolo delle festività, addobbarli a regola d’arte e postare loro foto ovunque è diventato un must. Nonostante ciò possiamo fare la differenza anche in questo caso, quindi nei prossimi giorni non portate tutto in discarica, siate creativi o lungimiranti. Lo fate per le vostre tasche e per il Pianeta.

 

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Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

By : Aldo |Dicembre 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

Il 2023 ha portato con se avvenimenti e cambiamenti positivi e negativi, come del resto ogni anno. Tuttavia, in ambito climatico dobbiamo lavorare molto vista l’accezione negativa affidata al 2023.

 

Cosa è successo in Italia

Come nel resto del mondo anche in Italia non sono mancati eventi anomali e fenomeni estremi legati al cambiamento climatico sempre più accentuato. L’Osservatori città-clima di Legambiente in collaborazione con Unipol hanno analizzato gli avvenimenti dell’anno realizzando un quadro completo della situazione in cui versa il Belpaese. I risultati non sono dei migliori.

   

Infatti, secondo lo studio, la Penisola ha affrontato più di un evento meteorologico estremo al giorno, notando un’accelerazione della crisi climatica. Nello specifico siamo a quota 378, dunque si è registrato un aumento del 22% rispetto al 2022.

   

Tutto ciò ovviamente comporta disagi di ogni tipo e in ogni ambito possibile e quindi danni economici ingenti. Basti pensare che nel 2023 quasi 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali.  Sebbene, il nord abbia registrato 210 eventi meteorologici estremi, il centro 98, il sud 70, Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato sono le città più colpite.
   

I fenomeni estremi

Per quanto riportato dallo studio appena citato, come da tante altre analisi degli ultimi anni, i fenomeni metereologici estremi sono in forte aumento. Questi eventi hanno un’origine naturale, non si tratta di fantascienza, ma hanno delle caratteristiche che li rendono estremi o comunque anomali. Tra queste la durata, la frequenza, il periodo e il luogo in cui avvengono e la loro potenza. Con il cambiamento climatico però queste caratteristiche cambiano.

   

Secondo l’analisi, Lombardia ed Emilia-Romagna sono le regioni che più hanno sofferto questi fenomeni con rispettivamente, 62 e 59 eventi. A loro seguono la Toscana con 44, il Lazio (30), il Piemonte con 27, il Veneto (24) e la Sicilia (21). Mentre se ci spostiamo nelle province, al primo posto troviamo Roma con 25 eventi estremi, Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10.

   

Alluvioni, piogge ed esondazioni

Le alluvioni (insieme all’esondazione dei fiumi) sono aumentate del 170% rispetto al 2022. In effetti si sono verificate in tutto il Paese senza fare sconti ad alcuna regione. Le più importanti per danni arrecati, potenza e dispersione sono quelle che hanno messo in ginocchio l’Emilia-Romagna.

   

La prima tra il 2 e 3 maggio e poi la seconda che ha dato il colpo di grazia tra il 15 e il 17 maggio. Gli effetti di tale evento hanno coinvolto 44 comuni (tra Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna), apportando danni per oltre 8,8 miliardi di euro. Durante questo fenomeno sono caduti più di 300 mm d’acqua in 2 giorni, sono straripati ben 23 corsi d’acqua, e si sono verificate 280 frane. In maniera simile sono state colpite le province di Pesaro- Urbino e Ancona nelle Marche, reduci dai fenomeni del precedente anno.

    

Dei casi ancora più particolari riguardano le violente grandinate estive, che hanno colpito il nord est. Addirittura, il 19 luglio si sono registrate 52 grandinate, che hanno causato gravi danni all’agricoltura e 110 feriti. Per quanto riguarda l’esondazione dei fiumi, legata ad alluvioni e nubifragi si ricordano:

  • l’esondazione del Seveso il 31 ottobre a Milano
  • esondazioni ed allagamenti nelle città di Firenze, Prato e Pistoia con danni per 1,9 miliardi di euro e 5 vittime (11, 12 novembre).

I tipi di fenomeni sono vari e spesso concatenati, ma ogni anno toccano picchi più alti. In modo generico si contano:

  • 118 casi di allagamenti da piogge intense (+12,4%);
  • 39 casi di danni da grandinate, aumentati del 34,5%;
  • 35 da esondazioni fluviali;
  • 26 da mareggiate, aumentate del 44%;
  • 18 casi di frane causate da piogge intense (+64%).

L’estremo caldo

Sebbene film di Paolo Virzì, “Siccità” rappresentasse una visione estrema, quasi distopica dell’aumento delle temperature, ogni mese si conferma un nuovo record. È importante ricordare però, che queste temperature non sono correlate solo all’estate. Per esempio, il 1° ottobre a Firenze si sono registrati 33°C (10 in più rispetto al precedente record del 2011). Mentre a Prato si sono verificati 32°C, eguagliando il primato del 1985: complessivamente si sono verificati 20 casi di temperature estreme in città.

   

Tale incremento si è concentrato soprattutto nelle aree urbane: +150% rispetto ai casi del 2022. Inoltre, di recente, il servizio europeo sul cambiamento climatico di Copernicus ha rivelato che lo scorso novembre è stato il sesto mese consecutivo a registrare temperature record.  Questi fenomeni poi danneggiano altri processi importanti come quelli legati alla neve e ai ghiacciai: lo zero termico ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi, con i ghiacciai in ritirata.

   

Ovviamente si tratta di un problema globale che presenta una temperatura media di 14,22 gradi centigradi, superiore di 0,32°C rispetto al primato di novembre 2020.

     

Un problema legislativo

La preoccupazione da parte degli esperti cresce ma non è legata solo alla maggiore frequenza degli eventi, ma anche alla mancanza di piani nazionali. Quello che ha sottolineato l’Osservatorio è proprio questo, l’Italia infatti non ha un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, fondamentale per affrontare i prossimi anni. 

    

I cittadini e le imprese possono cambiare abitudini, ma il governo e i tecnici preposti devono muoversi in altri modi. Poiché in assenza di una valida strategia non potremmo risolvere efficientemente le emergenze che si verificheranno prossimamente e saremo costretti ad agire senza certezze.

    

L’idea avanzata per far fronte a tale lacuna è quella della creazione di una guida fondata su 3 pilastri:

  • Un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare prima possibile con adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuarlo;
  • una legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni;
  • ridurre le emergenze, focalizzandosi sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni.

Se si applicasse una normativa simile, le emergenze si affronterebbero in maniera analitica, certa e sicura. Ogni evento meteorologico estremo potrebbe recare gravi danni a cose, persone e alla nostra economia, senza un piano ben delineato, dei fondi e l’aiuto delle istituzioni. Impariamo a prevenire anche in questo senso, adattandoci al cambiamento e le anomalie non saranno più catastrofiche, come lo sono oggi.

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Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

By : Aldo |Dicembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

Stare attenti all’alimentazione non significa non mangiare nulla, allo stesso modo, mangiare in modo sostenibile non vuol dire cibarsi solo di tofu. Nello specifico ogni pasto può essere più ecofriendly così come quelli di Natale, senza però rinunciare ai gusti e alle sfiziosità della nostra cucina.

     

Cambiare abitudini

Ad oggi esistono dei preconcetti che vanno analizzati e cambiati, nel modo più efficiente possibile, per esempio quelli legati all’alimentazione sostenibile. Purtroppo, ancora tante persone credono che cambiare abitudini alimentari per essere più ecofriendly significhi mangiare solo soia e verdure. Ovviamente tale pensiero non è invitante ancor di più se comparati ai deliziosi piatti della nostra tradizione.

   

Ma questo è appunto, un preconcetto. Per poter modificare delle abitudini così radicate bisogna trasformare passo dopo passo la nostra quotidianità per quanto riguarda il cibo. Tuttavia, per arrivare al piatto in tavola bisogna superare tanti steps, per poi diventare più sostenibili, senza aver trasformato totalmente la nostra dieta.

    

In questo ovviamente rientrano anche i pasti più importanti, non del giorno, ma dell’anno, come quelli delle feste natalizie. Questo è un periodo letteralmente dettato dal cibo: pranzi, cene e merende sono l’occasione per incontrare amici e parenti. Ma se fossimo più attenti a cosa compriamo, dove e in quale periodo sarebbero delle feste ancora più sostenibili.

     

La spesa e gli alimenti

La spesa è il primo gradino per cambiare le nostre abitudini, poiché è proprio in quel momento che si fanno le scelte più importanti. Si decide cosa comprare, le quantità, la provenienza dei prodotti e i loro costi; quindi, è un passo fondamentale del cambiamento.

    

Infatti, per prima cosa è opportuno optare per attività locali o i mercati rionali, dove possiamo trovare alimenti sfusi o con meno packaging. Questo è già un passo rilevante per ridurre i rifiuti derivati dal settore, che in queste settimane aumenta notevolmente. Di solito in questi contesti possiamo trovare prodotti locali, magari a “Km 0” e perché no anche biologici. Soprattutto perché è molto probabile un alimento ha tutte le caratteristiche appena riportate, sia anche un prodotto stagionale.

     

Ecco la stagionalità degli alimenti è una qualità importantissima per noi e per il pianeta. Consumare solo frutta e verdura locale e di stagione determina un consumo consapevole del cibo, ed una minor produzione di emissioni. Questi due processi sono collegati da meccanismi che fanno parte ormai delle nostre abitudini:

  • la richiesta di cibo aumenta
  • i tempi di produzione diminuiscono
  • la stagionalità non viene rispettata
  • quindi si cercano gli alimenti in altri Paesi per sopperire al fabbisogno.

Ovviamente per portarli da uno stato all’altro servono dei mezzi di trasporto che contribuiscono all’emissione di CO2 e alla produzione di rifiuti. Questo succede poiché i prodotti trasportati devono essere impacchettati e imballati, in modo più consistente rispetto ad un prodotto locale venduto al mercato.

     

Inoltre, la coltivazione di frutta e verdura non stagionale, necessita una grande quantità d’acqua e un uso intensivo del suolo. Non c’è da dire che tutte queste pratiche sono tutt’altro che sostenibili. Se fosse possibile quindi, scegliamo alimenti che provengono da una filiera corta e verificata.  

In questo link potrete trovare una lista di ortaggi di stagione
https://www.wwf.ch/it/guida-frutta-e-verdura

    

Gli avanzi e il riciclo

Quando andiamo a fare la spesa è fondamentale avere in mente le quantità che ci servono effettivamente. Quindi in questi periodi sarebbe opportuno comprare a seconda di un menù già pronto (esempio per il cenone del 24). Se pensiamo ad un menù o quantomeno abbiamo un’idea di quello che prepareremo e calcoliamo le giuste porzioni, possiamo fare una spesa più consapevole.

    

Certo è, che se si comprano abbondanti quantità di cibo che non vengono consumate il giorno stesso, possiamo sempre “riciclare”. Sarebbe meglio evitare sprechi e troppi avanzi, ma anche in questo caso ci sono varie soluzioni. La prima è quella di dividersi gli avanzi tra amici e parenti, la seconda è quella di inventare piatti con quello che è rimasto a tavola.  

   

Difatti siamo alle porte del 2024, non ci sono scuse che tengono. Si possono consultare internet e i social per sbizzarrirsi con il pandoro avanzato, la verdura del 25 oppure i resti del pesce del 24. Tutto questo fa bene sia alle nostre tasche ma anche all’ambiente.

    

In conclusione

La sostenibilità a volte è considerata qualcosa di troppo lontano dalle nostre possibilità, qualcosa di impossibile, un’entità utopica. Invece spesso e volentieri si può ridurre il proprio impatto sul pianeta attraverso piccole azioni che non richiedono uno sforzo immane.

    

Le nostre feste e i conseguenti pasti in compagnia possono essere sostenibili anche con pochi accorgimenti. Non c’è bisogno di stravolgere dicembre e le sue ricette, serve semplicemente un’attenzione maggiore alla spesa e agli sprechi.

Tutti possiamo fare la differenza e se ci riusciamo in questi giorni, doniamo un grande regalo alla nostra Terra.

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Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.

By : Aldo |Dicembre 19, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.

Siamo in quel periodo dell’anno in cui le persone che si affrettano tra i negozi, tra le luci e i pacchetti. I regali sono il focus della maggior parte della gente: che siano per parenti, amici e compagni sono l’impegno da portare a termine entro il 24 dicembre. Ma come procede questa maratona durante la crisi che stiamo vivendo?

    

La crisi e la sostenibilità

Spesso, nella quotidianità delle persone viene esclusa la scelta sostenibile per i prezzi elevati che comporta. Per esempio, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo potrebbe essere difficile comprare un cappotto di 300 euro solo perché è sostenibile. Si, sicuramente durerà di più rispetto ad uno che ne costa 50 ed è fatto di materiali di qualità, ma nella mente resta impressa solo la grande cifra.

     

Non è raro che questo motivo emerga durante le discussioni sull’importanza di una transizione ecologica oe verso una vita più sostenibile. Tuttavia, sorprendentemente quest’anno si sta sviluppando un trend che continua a crescere, ossia la scelta dei regali di seconda mano o “second hand”. Secondo la nuova ricerca del gruppo di annunci online Adevinta, il 64% degli europei comprerà o ha già comprato prodotti di seconda mano per Natale.E proprio per tale ragione i mercati dell’usato dovrebbero aumentare a breve.

     

Le motivazioni e i meccanismi che portano a tale crescita sono proprio quelli dettati in precedenza. Il potere d’acquisto è diminuito notevolmente a causa del caro vita e quindi dall’inflazione, dunque, le persone sono portate a risparmiare sempre più. L’azienda che ha condotto l’indagine ha intervistato 5.000 consumatori europei in Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna.

    

Tra l’idea e l’azione

Nell’analisi, le domande più specifiche poste agli intervistati  danno un prospetto di quello che potrebbe essere una prossima tendenza. Quindi partendo dalle ragioni per cui una persona opta per il regalo di seconda mano abbiamo un 47% che ricorda la necessità di risparmiare. Dopodiché, il 37% delle persone dichiarano che tale decisione è motivata dal desiderio di fare acquisti più sostenibili, una buona ragione che guarda al futuro. In particolare, si tratta di una cifra in aumento visto che solo nel 2022, il 32% degli europei ha intrapreso questa strada.

      

Per continuare sempre su questa falsa riga, si afferma che ¼ dei consumatori scelgono l’usato per regalare prodotti vintage o alternativi. Gli stessi numeri valgono per chi decide di acquistare articoli da negozi o attività locali, altro punto a favore per la sostenibilità dello shopping. Nonostante gli incrementi descritti, c’è ancora un 35% delle persone che preferisce comprare prodotti nuovi. L’idea che “nuovo è meglio” perpetua nelle nostre società consumistiche, pertanto c’è ancora molto da fare.

     

Il riciclo dei regali

Di certo, la moda delle spese folli nel periodo dal black Friday alla Vigilia di Natale, non può essere eradicata in poco tempo, ma ci sono i giusti accorgimenti per provarci. Come? Con il riciclo dei regali indesiderati. Nello specifico 2/3 dei consumatori dichiarano di aver ricevuto articoli nuovi, che nel corso del tempo non hanno mai usato perché non di loro gusto. Di questi solo il 6% però ammette di averli buttati via, una percentuale che fa ben sperare o almeno incoraggia ad un pensiero positivo e di cambiamento.

       

Il 28% invece, li ha conservati con la certezza che non li avrebbe mai usati, mentre il 33% ha aspettato che diventassero utili.  Tuttavia, il 23% delle persone intervistate li ha rivenduti online, ed un buon 30% li ha regalati a sua volta. Sicuramente è una pratica che potrebbe non convincere tutti, ma senza dubbio è una scelta fondamentale per il pianeta. In questo modo, infatti, se trovassimo un nuovo proprietario per determinati prodotti, potremmo ridurre la futile produzione di rifiuti.

         

Il mercato

Per questo motivo nascono sempre più brand e mercati di re-commerce che consentono di dare una seconda vita agli oggetti. Si può dunque parlare di un circolo che può determinare anche il recupero di denaro nel periodo successivo alle vacanze, al quale nessuno si sottrae… anzi.

     

Se prima si fossero riciclati i regali, ci si sarebbero passati i vestiti tra cugini, ora fa gola a tutti l’idea di rivenderli e di trarne un profitto. Amche questa è innovazione sostenibile. Soprattutto se ci concentriamo sui movimenti che ci sono da qualche anno, è chiaro che si tratti di una pratica legata principalmente ai giovani per molteplici motivi quali:

  • il forte apprezzamento del regalo vintage;
  • il costo inferiore (anche fino al 70% rispetto al prezzo iniziale);
  • i pezzi unici;
  • il risparmio anche di risorse, energia e materiali.

     

Conclusioni

Se a non fossimo pervasi dalla voglia irrefrenabile di comprare articoli di ogni tipo, solo perché dobbiamo fare tanti regalini, sarebbe un mondo migliore. Il flusso di acquisti senza una logica non è una carta vincente per nessuno. Sicuramente, qualcuno riesce a fare bella figura con piccoli oggetti di basso costo, ma se ci pensiamo veramente non è una pratica utile. Come invece lo è la scelta sostenibile di un prodotto: perché a Natale il pensiero, se fatto col cuore ma anche con un punto di vista oggettivo, può essere un bel ricordo, un ottimo strumento di vita quotidiana e solo alla fine, dopo varie vite, diventare un rifiuto.

Anche così possiamo virare verso un’economia sostenibile.

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