Emissioni

cop27 insegna

La COP 27 si conclude con una piccola grande vittoria e il malcontento di molti (ma non proprio tutti).

By : Aldo |Novembre 21, 2022 |Clima, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno emissioni |0 Comment
cop27 insegna

Si è conclusa, con 30 ore di “ritardo” la 27esima edizione della COP; tra malcontenti e piccole vittorie, analizziamo la Convenzione del 2022.

 

Sharm el-Sheikh

Nuovo anno, nuovo Stato ospitante; le uniche cose che non sono cambiate con gli anni sono gli obiettivi.

Le ambizioni di quest’anno non erano tanto diverse da quelle di Glasgow, destando la preoccupazione scienziati e attivisti, che prima dell’inizio prevedevano un flop totale.  

 

La plenaria finale, complicata e poco armonica, ha sforato di 30 ore la fine della convenzione, terminando domenica 20 novembre. Le cause di questo ritardo sono dovute a risultati poco chiari, disaccordi tra stati, conclusioni deludenti e obiettivi mancati.

Tra i temi più discussi, l’obiettivo 1,5°C correlato alle emissioni e il fondo “Loss and damage”.

Tenere la temperatura sotto 1,5°C

Sembra sempre più una “mission impossible” visto che gli stessi propositi  si rimandano da ormai 7 anni.

Il disaccordo di più stati è dettato dall’assenza di vincoli legati alle emissioni o all’utilizzo di combustibile fossile; non ci son obblighi per nessuno.

Si richiede principalmente la riduzione dell’uso del carbone per la produzione elettrica, non si parla della sua eliminazione, tantomeno un abbattimento delle conseguenti emissioni

 

Oltretutto, la mancanza di obblighi conduce ad una poca efficienza del patto visto il traguardo da raggiungere entro il 2030. Infatti, l’impegno sarà concretizzato quando le emissioni saranno ridotte del 43% entro il 2030, peccato che con gli attuali trend si tocchi solo lo 0,3%.

cop27

La vittoria chiamata “Loss and damage”

Il tema più discusso è diventato l’unica vittoria della convenzione: l’istituzione del fondo “Loss and damage”, precisamente ‘perdita e danno’.

 

Il fondo compensativo presuppone che gli Stati ricchi risarciscano quelli in via di sviluppo, per i danni causati dalla loro industrializzazione.  Il compito per la COP28 include la nascita di un comitato che deciderà quali paesi potranno attingere alle risorse del fondo e quali dovranno finanziarlo.

 

Anche questa modalità ha creato delle proteste poiché Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, non intendono essere gli unici finanziatori. Perciò chiedono, che il fondo venga finanziato anche da altre potenze economiche, come la Cina. Inoltre sarà difficile rispettare l’impegno per i paesi d’occidente vista la crisi post pandemia e l’attuale guerra in Ucraina.

 

Al fine di ridimensionare l’accordo, Fran Timmermans (capo delegazione dell’UE) ha proposto ristori solo ai Paesi “più vulnerabili”. L’idea è frutto di un ragionamento più realistico che considera l’impossibilità di raccogliere i fondi per tutti i 100 Stati in via di sviluppo.

Punti di vista

Dopo la plenaria finale, sono sorti dubbi e critiche nei confronti del documento redatto. Proprio Timmermans affronta la discussione dichiarandosi deluso dalle decisioni prese:

 

“Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del “Loss and damage”, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e molto tempo, rispetto alla Cop26 di Glasgow.

Anche il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si espone sul verdetto:

 

“Tuttavia, il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che Cop27 non ha affrontato […]La Cop27 si conclude con molti compiti e poco tempo”.

Conclusioni

È ormai chiaro a tutti, che la 27esima edizione della convenzione, non abbia avuto un grande successo.

 

L’istituzione del fondo è una grande vittoria, anche simbolica visto che proprio in Africa ci sono 9 dei 10 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. É una vittoria di tanti, dei più deboli, che per la prima volta sono stati ascoltati veramente ottenendo quello di cui avevano più bisogno.

 

Non si può dire lo stesso riguardo le emissioni, che hanno deluso molti, tranne chi gode di questo accordo non vincolante. Come dichiarato dalla ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock:

 

“L’Europa e i paesi più colpiti si sono battuti per norme molto più vincolanti. Un’alleanza tra paesi ricchi di petrolio e grandi emettitori lo ha impedito e ha posto inutili ostacoli sulla strada di 1,5°C”.

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La COP: obiettivi, limiti e protocolli per un’azione comune.

By : Aldo |Novembre 18, 2022 |Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
COP

Si è svolta, tra il 6 e il 18 novembre, la 27a Conferenza delle Parti a Sharm el-Sheikh.

Curiosità e critiche sono arrivate da tutto il mondo, ma prima di scoprire gli esiti della Convenzione in Egitto, spieghiamo cos’è la COP.

 

COP

La COP (Conference of Parties) è una riunione annuale alla quale partecipano i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, (UNFCCC).

È un trattato ambientale internazionale firmato nel 1992 durante il famoso “Earth Summit” a Rio de Janeiro, che mira al raggiungimento di obbiettivi collettivi.

Tra questi la riduzione delle emissioni di gas serra per evitare un ulteriore riscaldamento globale.

 

Da chi è formata

La convenzione firmata in primis da 154 Stati, oggi ne conta 197.

I vari Paesi sono divisi in tre sezioni a seconda del loro sviluppo e quindi, a seconda delle loro possibilità d’azione.

  • Paesi dell’Allegato I (Paesi industrializzatie paesi ex socialisti ad economia in transizione: 40 Paesi e l’Unione europea).
  • Paesi dell’Allegato II (24 Paesi industrializzati)
  • Paesi in via di sviluppo

Si tratta di un criterio che porta a delle responsabilità “comuni ma differenziate”.

 

Così i Paesi dell’Allegato I, hanno una responsabilità maggiore nella riduzione delle emissioni, perchè primi inquinatori e possessori di mezzi per raggiungere l’obiettivo.

Al contrario dei Paesi in via di sviluppo che non hanno le tali possibilità e di non possono arrivare a quelle mete, nello stesso tempo.

La storia della COP

Dal 1994 iniziarono ad essere organizzate annualmente le COP con l’obiettivo di “prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre”.


COP 1 Berlino 1995

Alla prima COP, si intraprese una fase di analisi e ricerca per poter sviluppare un futuro piano d’azione.

Di seguito vennero istituiti di organismi di supporto e controllo, per essere sicuri che tutti rispettassero le decisioni prese con i mezzi preposti.

 

COP 3 Il protocollo di Kyoto 1997

Fu il primo vero successo della conferenza, con la ratifica di un nuovo protocollo che imponeva degli obblighi principalmente ai Paesi sviluppati.  Si sollecitò la riduzione di gas serra, in misura non inferiore all’8,65% rispetto a quelle del 1990, nel periodo 2008- 2012.

Per entrare in vigore, il protocollo doveva essere ratificato da più di 55 Stati, produttori di almeno il 55% delle emissioni. Questa condizione si raggiunse nel 2004 con l’entrata della Russia, che da sola comportava il 17,6% delle emissioni, mentre gli USA si ritirarono con Bush.

 

COP13 Bali 2007: vennero finalizzati gli accordi sui meccanismi del Protocollo di Kyoto e si posero le basi per un’azione unita per affrontare i cambiamenti climatici.

 

COP14 Poznan 2008: venne ideato il “Fondo di adattamento”, si pensò ad un Kyoto-bis e si introdusse REDD+ (riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degrado forestale).

 

COP15 Copenhagen 2009: la missione di un accordo globale sul clima entro il 2012 fallì; venne rimandato tutto al 2015. Arrivarono le prime proposte per un Fondo Verde per il Clima.

 

COP 18 Doha 2012: si estese il protocollo di Kyoto fino al 2020 solo per Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia. Venne creato il meccanismo sul “Loss and Damage”, per il quale le nazioni ricche sono tenute a finanziare i Paesi poveri e più colpiti dal clima.  

 

COP20 Lima 2014: il Fondo Verde arrivò a 10,2 miliardi di dollari. Venne concordato che ogni governo dovesse presentare i propri impegni nazionali sul tema delle emissioni.

 

COP21 Parigi 2015: venne realizzato il patto globale sul clima, con 196 stati partecipanti, senza però alcun vincolo. L’unico limite definito fu quello di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura.  

 

COP26 Glasgow 2020: dopo il grande fallimento di Madrid 2019, non sono cambiate tanto le cose. Sono stati fatti dei passi indietro per quanto riguarda i combustibili fossili, evitando la loro eliminazione.

Inoltre, il tempo limite per i 100 miliardi di dollari, è stato spostato dal 2020 al 2023.

Oggi, 18 novembre 2022, si conclude la 27 esima COP tra i mille dubbi degli scienziati e i discorsi motivazionali António Guterres (segretario dell’ONU).

A breve verranno esplicitati i traguardi raggiunti e le nuove proposte, ma tra le notizie sembra che non si sia realizzato molto.

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8 miliardi

Siamo ufficialmente 8 miliardi di persone: cosa ci riserva il futuro?

By : Aldo |Novembre 16, 2022 |bastaplastica, Emissioni, energia, Home |0 Comment
8 miliardi

Martedì 15 novembre 2022: la Terra è ufficialmente popolata da 8 miliardi di persone.

Quali sfide affronteremo e quali situazioni dobbiamo cambiare il prima possibile?

 

Verso gli 8 miliardi

Secondo le stime, nell’anno 1000, la Terra ospitava 400 milioni di persone, che aumentarono fino all’arrivo della peste nera.

Nel 1346 infatti si verificò l’ultimo sostanziale decremento dell’umanità, che venne seguito da una forte ripresa supportata dalla scoperta dell’America e delle sue risorse.

Le nuove rivelazioni e la rivoluzione industriale cambiarono tutto: le nuove tecnologie miglioravano quotidianamente la qualità della vita e la sua durata.

 

Quel processo ancora in atto, ha permesso una crescita esponenziale, soprattutto tra il 1900 e il 2000, periodo in cui siamo passati da 1 a 6 miliardi in mille anni.

 

Oggi

Ad oggi tocchiamo gli 8 miliardi.

Una cifra grande, forse troppo per un pianeta che chiede aiuto, da tempo, a una specie che lo ascolta con poca attenzione.

Anche se ci troviamo nello stesso pianeta, nella nostra popolazione c’è un grande divario sociale, economico e sanitario, che deve essere ridotto. 

 

Da una parte ci sono le grandi nazioni, super sviluppate e ricche, hanno un’aspettativa di vita più lunga di 30 anni rispetto agli altri.

Dall’altra, Paesi poveri in cui fame, malattie, guerre e cambiamenti climatici rendono la vita sempre più difficile.

 

Per eliminare o almeno ridurre tale differenza, dovremmo affrontare insieme le grandi “sfide” per il bene di tutti.

 

L’alimentazione

L’alimentazione è uno dei protagonisti del divario.

 

Da alcune analisi è emerso che ogni anno produciamo cibo per 12 miliardi di persone, che non viene consumato equamente.

Infatti 1,3 miliardi di tonnellate, vengono sprecate ogni anno dai grandi Stati che contano il 13% degli adulti in sovrappeso.
Mentre, 800 milioni di individui soffrono la fame ogni anno.

 

Secondo la Coldiretti, dopo la pandemia e l’inizio di una nuova guerra, possiamo intraprendere una sola strada.

L’autonomia alimentare, per tutti, per assicurare cibo senza speculazioni o distorsioni commerciali ed evitare situazioni come quella che stiamo vivendo oggi. 

 

Cambiamenti climatici

È anche vero che le azioni di pochi possono cambiare la vita di molti.
Al momento i Paesi d’Occidente sono i principali responsabili del riscaldamento globale per mezzo delle loro abitudini.

I Paesi poveri (spesso dell’emisfero australe) chiedono aiuto perchè gli effetti delle nostre azioni li colpiscono ogni giorno.

 

Anche in questo caso, un’azione congiunta da parte dei più agiati, potrebbe risanare le condizioni di vita estremamente difficili di milioni di persone.

Proprio per questo, alla COP27, verranno fissati nuovi obiettivi da raggiungere per rendere sostenibile la nostra massiccia presenza su questo pianeta.

In conclusione

Le risorse necessarie per la nostra sopravvivenza ci sono, sono disponibili nel nostro Pianeta, ma devono essere distribuite con altri criteri.

Una migliore ripartizione, basata anche su nuovi accordi internazionali, potrebbe risolvere tante battaglie che sono in atto al giorno d’oggi.

Purtoppo fame e cambiamenti climatici colpiscono maggiormente chi è in possesso di poco o niente e perciò bisogna modificare la direzione dei nostri obiettivi.

 

Al mondo serve una nuova visione d’insieme per permettere una vita degna di questo nome a più gente possibile, se non all’intera popolazione. E per tale sfida, necessitiamo di una collaborazione tra tutti, in ogni settore, guardando oltre i nostri orizzonti.

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pixie

Pixie e Trash Collec’Thor: l’innovazione contro l’inquinamento del mare.

By : Aldo |Novembre 13, 2022 |Acqua, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Pixie gira il Mediterraneo raccogliendo rifiuti dagli specchi d’acqua dei porti.
Trash Collec’Thor, è un dispositivo mangia plastica installato in porti o pontili galleggianti.

Ecco le nuove tecnologie per preservare le nostre acque.

 

“Un mare di idee per le nostre acque”

Questo è il nome della campagna nata nel 2019 grazie alla collaborazione tra Coop e LifeGate, uniti per mezzo dello stesso obiettivo: la sensibilizzazione.

Anche se già molto attivi nel campo della sostenibilità, entrambi volevano incrementare la loro influenza su cittadini e istituzioni sul tema della plastica nelle acque.

Che si tratti di acqua del mare, di laghi o fiumi, i due grandi nomi hanno creato una campagna piena di progetti utili per il nostro futuro.

Tra questi i famosi “Seabin” che 3 anni fa vennero pubblicizzati grazie al programma PlasticLess di LifeGate; ora in Italia ce ne sono 100 funzionanti.

pixie

Pixie

Il drone che pulisce gli specchi d’acqua porta il nome di una creatura fiabesca e forse non è un caso.

Con una velocità di 3 km/h, Pixie è libero di “esplorare” piccole aree di porti o laghi raccogliendo di tutto.
Vetro, plastica, metallo, organico, residui di olio e carburante galleggiante; può accumulare fino a 60 kg di rifiuti e 160 l di volume.
Il drone è facilitato da una videocamera con portata di 300 metri ed è telecomandato da una distanza di 500 m, con 6 ore di autonomia.
Inoltre, è possibile seguire i progressi della sua attività tramite una web app: questo “spazzino” può essere definito con certezza, unico nel suo genere.

É stato presentato a giugno (in Italia) in contemporanea mondiale con altri cinque Paesi (Francia, Grecia, Italia, Canada e Usa).

Un progetto simile si chiama “Waste shark”, perchè ricorda lo squalo balena, con le fauci aperte pronte ad acchiappare tutto.

 

trash collector

Trash Collec’Thor

Con rimandi al mondo del fantastico, anche questo Thor versione “pulizia dell’acqua” ci farà sognare.

Il dispositivo in questo caso si occupa di galleggianti quali bottiglie, sacchetti mozziconi e anche microplastiche fino a 3 mm di diametro.

Si installa nelle aree portuali, soprattutto nei tipici pontili galleggianti ed è sempre attivo, 7 giorni su 7.

La sua capienza tocca i 100 kg, superando di gran lunga i Seabin (capienza di 20kg); mentre lo smaltimento dei rifiuti è facilitato da una carrucola.

 

Il futuro insieme

I vari progetti della campagna registrano cifre che fanno sperare in un futuro migliore poiché i risultati analizzati fin ora sono più che positivi.

Dall’inizio del progetto fino a fine agosto 2022 sono state raccolte più di 39 tonnellate di rifiuti, il 70% dei quali è composto da plastiche.

Solo il 20% è massa organica umida contaminata, quindi legnetti, rami, alghe, foglie; il restante 10% è incontaminato.

 

Purtoppo bottiglie, imballaggi alimentari, polistirolo, bicchieri, tappi, cannucce, cucchiaini e mascherine, sono gli oggetti più frequenti e sono quasi tutti legati all’alimentazione.
Difatti la Coop, che è già in prima fila per imballaggi e spesa sostenibile, porta avanti il programma anche per rendere più consapevoli i propri clienti.

Dopo Genova e Venezia, Pixie, approda in Toscana, precisamente al Club Velico di Castiglione della Pescaia dove potrà essere osservato in azione.

Quale sarà la prossima tappa?

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whale

Mai più scontri tra balene e navi: l’AI che salverà i grandi cetacei.

By : Aldo |Novembre 09, 2022 |Acqua, bastaplastica, cetacei, Emissioni, Home, mare, plasticfree |0 Comment
whale

Ogni anno più di 80 balene, muoiono a causa degli scontri con le navi nella West Coast.

Per mettere fine a questa “normalità”, il Benioff Ocean Initiative dell’Università della California, ha sviluppato un metodo di monitoraggio interattivo.

La situazione nei porti della California.

Come riportato 2 anni fa, i porti della California meridionale hanno in mano la maggior parte dei carichi oceanici di tutti gli USA.
La situazione però non è diversa nei canali del nord, dove insieme alle migliaia di navi container ci sono anche tante balene in via d’estinzione.

La pericolosità di questo fenomeno aumenta quotidianamente, tanto che lo scorso mese, nella Baia di San Francisco è morta una megattera peculiare.

Fran, la megattera famosa, grazie ai suoi 277 avvistamenti dal 2005, è morta a causa di un impatto con una nave.

 

Le cause

Per l’aumento della temperatura, le balene sono costrette a cercare cibo in zone per loro pericolose come i porti.

Purtoppo, loro non sanno che quella in cui si dirigono è una zona stracolma di navi da container che non rispettano i limiti di velocità.
Sì, in teoria le navi dovrebbero rallentare entrando nei porti, in pratica molti capitani non rispettano la regola e le conseguenze sono chiare a tutti.

 

Succede nei pressi di San Francisco e di Santa Barbara: ogni anno muoiono più di 80 balene per gli scontri con le navi.

Solo tra il 5% e il 17% delle carcasse viene recuperato, il resto affonda senza lasciare traccia, tra la noncuranza di marinai, capitani e lavoratori.

 

Whale Safe

Douglas McCauley, direttore del Benioff Ocean Initiative della University of California e la sua squadra hanno trovato una soluzione per proteggere le balene.
Whale Safe è un nuovo sistema di monitoraggio in funzione dal 2020 nella baia di San Francisco e dal 2021 nel canale Santa Barbara.
Il programma è basato sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nelle cosiddette boe intelligenti ideate da Mark Baumgartner.

Grazie al suo lavoro presso il Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts, oggi è possibile monitorare gli individui e salvarli.


Il meccanismo

Le boe intelligenti sono collocate a 40 km dalla costa e sono connesse a microfoni che si trovano a 80m di profondità.

In questo modo, i microfoni captano il canto delle balene che solitamente si muovono tra i 400 e gli 800 metri di profondità.

 

Successivamente, le boe trasmettono i versi ad una centrale tramite satellite e grazie ad un database si stima l’area interessata dai “giganti marini”.

Questo sistema è affiancato dall’app Whale Alert, con la quale chiunque può segnalare un avvistamento in tempo reale.

Così, la centrale crea un indice di presenza sempre più preciso, con il quale informa le navi della possibile presenza di individui.

L’indice varia da un livello basso ad uno molto alto e sfortunatamente, ad oggi, sia a San Francisco che a Santa Barbara registrano un livello altissimo.

 

Oltre alle boe e all’app, Whale Safe ha pensato bene di creare delle pagelle per le navi, rendendo pubblici i dati sulla condotta di ognuna.  

Le pubblicazioni mettono chiunque al corrente dei comportamenti delle navi, quindi del loro atteggiamento rispetto la salvaguardia delle balene.

 

Per ora, il sistema sembra funzionare e con le pagelle le varie società commerciali non possono più nascondersi.

La salvaguardia delle balene in via d’estinzione è fondamentale per la biodiversità ed è importante che al giorno d’oggi si sfruttino le migliori tecnologie per questi progetti.

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megalopoli asiatiche

Le megalopoli asiatiche sprofondano: la subsidenza delle zone costiere aumenta pericolosamente.

By : Aldo |Novembre 07, 2022 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menoacqua |0 Comment
megalopoli asiatiche

Molte delle megalopoli asiatiche costiere, stanno sprofondando sotto il loro stesso peso con velocità mai viste prima.

Le città e i suoi abitanti rischiano cambiamenti disastrosi e per questo servono soluzioni pratiche nel minor tempo possibile.

Le cause.

La ricerca svolta dalla Nanyang Technological University (NTU) di Singapore spiega come l’uomo sia il vero colpevole di questo sprofondamento.

Le analisi dimostrano che le megalopoli sulla costa hanno un peso notevole, che ha innescato un processo di subsidenza molto veloce, della litosfera.

Tutto ciò è accentuato dai bisogni dei milioni di cittadini che vivono l’area, come quello di procurare l’acqua potabile.

Attingere alle falde acquifere era fondamentale vista la rapida urbanizzazione; peccato che con un’opera necessaria come questa il terreno si sia indebolito e abbia ceduto.

Esempi

Lo studio, sviluppato su 48 megalopoli asiatiche costiere, ha riportato il livello di pericolo a cui è sottoposta, ciascuna delle città.

Quasi tutte affondano ad una velocità di 16,2 mm l’anno e alcune toccano anche i 20 mm.

Sono città sovrappopolate come Ho Chi Minh City (detta Saigon- Vietnam), che ospita 8,993 milioni di abitanti, Chittagong (Bangladesh) con 8,44 milioni di cittadini.

E poi ancora Ahmedabad (India), Giacarta (Indonesia) e Yangon (Myanmar) che contano rispettivamente 3, 11 e 5 milioni di abitanti.

 

L’innalzamento del livello del mare.

È ormai chiaro che l’innalzamento del livello del mare è uno dei tanti effetti dei cambiamenti climatici.

Ed è anche risaputo, che sia tutto in mano all’uomo: l’aumento delle alterazioni ma anche la ricerca di soluzioni a tali problemi.

In questo caso, milioni di cittadini dovranno sommare al primo grande problema, l’aumento del livello del mare che potrebbe invadere completamente le loro case.

Questo si verificherà perchè in tantissime zone costiere del mondo, l’uomo ha costruito palazzi e grattaceli, se non megalopoli a ridosso del mare.

Il processo erosivo del moto ondoso determina la fragilità dell’ambiente costiero; non è novità, è un processo naturale che avviene con o senza popolazioni umane.

Futuro.

Secondo il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, più di 1 miliardo di persone sarà a rischio nell’arco di 30 anni.
Gli scienziati hanno quindi allarmato in particolare queste megalopoli, proprio perchè la loro urbanizzazione veloce e massiccia, potrebbe creare grandi danni anche prima del previsto.

Come affermato dagli scienziati, non è il mare la causa principale dello sprofondamento, ma l’uomo e le sue attività.

Bisogna ricordare che il mare non è contro l’umanità ma segue solo il suo percorso, quindi qualsiasi danno alle popolazioni, dipende solo dalle azioni dell’uomo.

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Ottenere metalli rari dai rifiuti elettronici: da oggi sarà più semplice e più sostenibile.

By : Aldo |Novembre 06, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |0 Comment

Il problema dei rifiuti elettronici

Quella dei rifiuti elettronici è una questione sempre più importante e un problema sempre più incombente a causa dell’aumento della produzione di prodotti elettronici.

Gli oggetti che usiamo quotidianamente, come grandi e piccoli elettrodomestici e i dispositivi informatici hanno prodotto 57,4 milioni di tonnellate di rifiuti nel 2021.

Un peso equiparabile a quello della Grande Muraglia cinese, l’opera artificiale più pesante sulla terra.

Però, attraverso il riciclo, gli e-waste possono restituire parte dei metalli rari che li compongono e che hanno un grande valore economico.

Per quanto riguarda il riciclo, l’Europa ha un tasso del 42.5% (è il continente più virtuoso), gli USA del 15% mentre l’Africa non arriva all’1%.

 

Il forno “portatile”

Sulla base di queste stime, il professore Terence Musho della West Virginia University, ha creato un forno per estrarre i metalli rari dai rifiuti elettronici.

Il Dipartimento della difesa americano (DOD) ha finanziato il progetto con 250 mila dollari perchè pensa possa garantire un servizio fondamentale per tutto il pianeta.
Il forno o capsula, è di piccole dimensioni e facile da trasportare in moduli ed ha la capacità di raggiungere alte temperature in poco tempo.

Tali qualità rendono possibile l’estrazione di metalli come il palladio, l’indio, il tantalio e altri minerali spesso anche più importanti dell’oro.

 

Le applicazioni

Secondo il DOD, il dispositivo potrebbe essere applicato in vari ambiti per poter ridurre i rifiuti e supportare maggiormente l’economia circolare.

Grazie alle sue caratteristiche il forno potrà offrire un servizio itinerante per permetter il riciclo in luoghi in cui mancano gli impianti adeguati.

Potrebbe essere installato nelle città così da creare un punto di riciclo e permettere un maggiore e migliore smaltimento dei dispositivi.

Un’applicazione ancora più formidabile sarebbe quella relativa allo spazio, dove sono presenti 9300 tonnellate di rifiuti derivati dalle attività antropiche (es. parti di satelliti)

Sarà possibile, infatti, raccogliere i satelliti obsoleti, riciclarli e utilizzare nuovamente i suoi metalli per creare nuovi prodotti, riducendone anche i costi.

 

Indipendenza dalla Cina.

Un altro aspetto fondamentale per l’America e non solo, sarebbe il raggiungimento dell’indipendenza dalla Cina che detiene il monopolio sull’estrazione e produzione di metalli rari.

Il gigante cinese attualmente tiene in pugno tutto il mondo, perchè i metalli rari sono impiegati in tutti i dispositivi tecnologici, oggi largamente richiesti.
Tuttavia, se gli altri stati riuscissero ad ottenere la risorsa, per mezzo del riciclo, non sarebbero completamente dipendenti dalla Cina, sotto questo punto di vista.

Il prototipo di “forno” creato potrebbe essere una soluzione rispetto ai metodi di estrazione con un forte impatto ambientale.
Modalità già presenti ma poco diffuse come l’idromettallurgia, la pirometallurgia o la bioidrometallurgia, comportano enormi quantità di acque reflue inquinanti oppure sono poco efficienti.

Sarà questa la nuova tecnologia renderà più sostenibile il settore elettronico moderno?

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Takachar: dagli scarti al combustibile pulito.

By : Aldo |Novembre 03, 2022 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

L’azienda Takachar ha trovato una soluzione per ridurre l’inquinamento dovuto alla combustione di biomassa, vincitore di numerosi premi nel 2018

Takachar

L’impresa fondata nel 2015 da Kevin Kung e Vidyut Mohan ha un’unica missione: combattere il cambiamento climatico lavorando con la biomassa, la loro specialità.

 

Nello specifico hanno brevettato un macchinario alla portata di tutti gli agricoltori, per poter trasformare la biomassa in combustibile o fertilizzante, direttamente nei loro campi.

 

Questa innovazione consentirà agli agricoltori di ridurre l’inquinamento, perdere meno tempo e azzerare i costi per la produzione di fertilizzante.

Kevin Kung

Vidyut Mohan

Combustione di scarti agricoli.

Nei campi agricoli c’è ancora molto lavoro da fare per quanto riguarda le norme sulla sostenibilità e l’attenzione verso il capitale naturale.

Fusti di mais, lolla di riso, fieno, paglia vengono puntualmente bruciati per preparare il campo alla semina successiva, incrementando l’inquinamento atmosferico.

A causa di queste tecniche desuete (purtoppo quotidiane), ogni anno si perdono 120 miliardi di dollari in scarti agricoli e alberi.

Il macchinario

Il macchinario brevettato e certificato dal MIT è una vera e propria scoperta che funziona per mezzo di 3 componenti: biomassa, aria e calore.

 

Per prima cosa si brucia parte della biomassa per produrre il calore che scalderà il resto del contenuto rilasciando gas.

 

Successivamente si introduce dell’aria per alimentare la combustione dei gas e generare altro calore che faciliterà lo svolgimento e il continuo della reazione termochimica.

Rappresentazione del macchinario 

La svolta sostenibile.

La sostenibilità di questo dispositivo si riscontra su aspetti riconducibili a molteplici obiettivi dell’agenda 2030.

Obiettivo 12, Produzione e consumo responsabili: il macchinario elimina le risorse fossili per produrre combustibili e fertilizzanti. Inoltre, elimina più del 95% di fumo rispetto alla combustione tradizionale o quella indotta da incendi.

Obiettivo 13, Azione climatica: ridurrà le emissioni di CO2 pari a 700 milioni ton/anno entro il 2030.

Per di più, aumenta del 40% il guadagno netto delle comunità rurali, creando un mercato per gli scarti agricoli.

Nello specifico, il 90% di biomassa, viene trasformato in combustibile solido che varrà più del classico prodotto.

Si ridurranno i costi di due terzi, visto che gli agricoltori avranno il prodotto finito già nel loro campo evitando i trasporti di biomassa.
In questo modo sarà favorita una possibilità di guadagno per gli agricoltori che potranno rivendere il prodotto ottenuto o tenerlo per le proprie attività.

Tutto ciò è importante visto che nelle zone di campagna, soprattutto nei paesi poveri, la risorsa più utilizzata per la produzione di energia è ancora il combustibile fossile.

Con Takachar si intravede un cambiamento che potrebbe modificare le abitudini di molti per un futuro migliore.

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Palline di caffè sostituiscono le tradizionali capsule; l’innovazione svizzera.

By : Aldo |Ottobre 28, 2022 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Sembra assurdo ma c’è una soluzione più sostenibile rispetto alle capsule di caffè in alluminio o compostabili.

La pallina di caffè.

CoffeeB. presenta la pallina di caffè come una sfera compatta pronta all’uso.

È ricoperta da un velo a base di alghe, inodore e insapore per evitare l’ossidazione del caffè e conservarne l’aroma.

E per sapere la tipologia del contenuto, ognuna riporta un’incisione sulla superficie. 

La stessa azienda ha anche creato le macchine adeguate alla nuova tecnologia, costituite interamente da materiali riciclati.

L’idea di Migros e la collaborazione con CoffeeB.

Migros, una delle maggiori aziende svizzere nella grande distribuzione, ha collaborato con CoffeeB per un caffè sostenibile al 100%.

L’impresa di caffè svizzera spiega nel suo sito, come la capsula del caffè nata in Svizzera nel 1976, fu una fantastica innovazione.

Peccato per l’impatto negativo sull’ambiente; 120 mila tonnellate di rifiuti sono prodotte ogni anno per il commercio delle varie capsule, comprese quelle sostenibili.

Di conseguenza, le due aziende svizzere si sono impegnate nella ricerca di una soluzione per limitare la produzione di ulteriori rifiuti in questo ambito.

 

Il concetto di sostenibilità.

Come riportato nella pubblicità, CoffeeB propone “la capsula migliore non è una capsula”.

Grazie a questa idea, l’azienda riesce ad azzerare i rifiuti legati al commercio di caffè che aumentano sempre di più col passare degli anni.

Infatti, le sfere sono raccolte in un cartone riciclabile senza ulteriori involucri eliminando alluminio, bustine e capsule di plastica (anche se biodegradabile).


L’impegno internazionale.

Migros ha curato anche l’aspetto della produzione del caffè, con un’attenta analisi sui vari step della catena per vendere un prodotto interamente sostenibile.

Le miscele derivano da coltivazioni sostenibili certificate Rainforest Alliance e Organic and Fairtrade.

Il sistema gode del 100% di compensazione di CO2.


Macchina e capsule sono in commercio in Svizzera e Francia, dalla prossima primavera approderanno in Germania, ma tante catene di altri Paesi sono interessate al prodotto.

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La Spagna contro gli sprechi alimentari: dal 2023 doggy bag obbligatorie e altre iniziative

By : Aldo |Ottobre 26, 2022 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

La Spagna pone fine agli sprechi alimentari con la nuova legge che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023.

I dati alla base della legge.

La legge proposta dal ministro spagnolo dell’agricoltura, della pesca e dell’alimentazione Luis Planas, si basa su accurate analisi in materia di sprechi alimentari del paese iberico.

Nel 2020 gli spagnoli hanno sprecato 1430 tonnellate di cibo (31 kg a persona), ma non sono gli unici colpevoli. 

Infatti, il 20% delle perdite derivano dalle catene di produzione e il 40% degli sprechi si verificano tra la vendita e l’uso domestico.

Differenza tra perdita e spreco alimentare.

É importante ricordare la differenza tra questi due termini perchè indicano due situazioni diverse.

La perdita alimentare si verifica nei processi che precedono l’entrata nel circuito di commercializzazione.

Lo spreco alimentare invece, avviene nei negozi, nei ristoranti e nelle case, quindi tutto quello che viene perso dopo l’entrata in commercio.

Inestetismi del cibo

Supermercati e negozi alimentari dovranno creare linee di vendita per prodotti “Brutti, imperfetti o poco attraenti” per ridurre le perdite causate da inestetismi del cibo.

Così si sensibilizza il pubblico al consumo di prodotti meno “belli” che solitamente sono più naturali di altri, perchè privi di pesticidi o composti chimici.

Il governo quindi punta tutto sul concetto di prodotti stagionali, locali e biologici per diminuire perdite e sprechi.

Donazioni, doggy bag e marmellate

Per le industrie dovranno istituire collaborazioni con organizzazioni di quartiere e banchi alimentari così da aiutare le persone in difficoltà evitando ulteriori sprechi.

Invece, i ristoranti dovranno avere tutto l’occorrente per le “Doggy-bag” e permettere ai clienti di portare a casa quello che non hanno mangiato.

Tuttavia, sarebbe opportuno che la richiesta del contenitore partisse dal ristoratore e il personale.

Le medie e le grandi imprese dovranno trasformare la frutta invendibile in succhi e marmellate per esempio (esclusi i negozi più piccoli di 1300 m2).

Sanzioni

Nel caso in cui manchi un piano di prevenzione, si ricorre ad una multa che va dai 2 mila ai 60 mila euro.

La sanzione può arrivare anche ai 500 mila euro in caso di recidiva.

Funzionerà?

Molti si chiedono se le istituzioni porteranno a termine questo intricato compito visto che non possono controllare tutti gli step della produzione.
Non si può controllare ogni singola attività né ogni ristorante, ci sono dubbi anche sul controllo della trasformazione degli alimenti in altri prodotti.

Un fatto altrettanto fondamentale da tenere a mente è l’impossibilità di azzerare lo spreco alimentare.
Senza dubbio possiamo compostare alcuni scarti o riutilizzarli in cucina, ma non mangiamo ossa e spine degli animali o i semi della frutta, quindi li buttiamo.

Per ora bisognerà aspettare il 2023 e dal momento in cui la legge funzionasse, l’Italia potrebbe prendere spunto per proporre una legge simile.

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