Emissioni

Anche le ferrovie possono produrre energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

By : Aldo |Aprile 03, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Anche le ferrovie possono produrre energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

Un ulteriore impiego del solare è stato ideato in Svizzera.

È probabile che tra qualche anno, anche le nostre ferrovie potranno produrre energia elettrica grazie alla luce solare.

Sun-Ways

Sun-Ways è una startup svizzera con sede a Ecublens, nel Canton Vaud (Svizzera occidentale) che vuole superare i limiti del solare.

La scommessa fatta dalla startup (e condivisa dallo stato) ha trovato una disposizione che promette molteplici benefici ambientali ed economici.

Fondata nel 2021, Sun-Ways ha come obiettivo quello di cambiare l’attuale modo di produrre energia elettrica con il solare, installandolo nelle ferrovie.

Lo studio

L’idea di posizionare pannelli fotovoltaici nello spazio tra le rotaie dei binari ferroviari deriva dall’ osservazione accurata del sistema tranviario.

Il fondatore dell’attività, Joseph Scuderi e il co-fondatore Baptiste Danichert hanno trovato una chiave innovativa per incrementare la sostenibilità energetica nazionale e mondiale.

Non a caso, affermano che questo piano potrebbe essere usato nella maggior parte delle linee ferroviarie del pianeta. I primi a credere nel loro progetto sono proprio i tecnici del l’EPFL, l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna.

Pannelli e treni

Il progetto è stato avviato sulla base dall’analisi dettagliata delle rotaie, dei loro spazi e delle misure, della velocità dei treni e via dicendo.

Questa affermò che lo spazio tra le rotaie dei binari era adeguato all’installazione di pannelli standard che non avrebbero ostacolato il movimento dei treni.

I pannelli larghi 1 m vengono posizionati facilmente nell’area descritta per poi essere fissati con un meccanismo a pistone. Mentre l’installazione vera e propria viene eseguita da un treno adibito alla manutenzione dei binari che dispone il fotovoltaico lungo le rotaie.

La caratteristica che differenzia il progetto di Sun-Ways da quello italiano di Greenrail o l’inglese Bankset Energy, è l’amovibilità del sistema.

Tale qualità garantisce la possibilità di svolgere lavori di manutenzione in totale semplicità, assicurando l’efficienza sia delle attività che del prodotto.

Il sistema potrebbe coprire i 5.317 km della rete ferroviaria svizzera, per un totale di 760 campi da calcio. In tal caso si produrrebbe 1 TWh di energia solare all’anno, dunque, il 2% dell’elettricità consumata nel Paese.

 

Cosa riserva il futuro

La startup ha l’obiettivo di espandersi in Europa toccando l’Italia, la Germania e l’Austria, ma guarda anche oltre oceano, verso l’Asia e gli USA.

Questo perchè ci sono 1 milione di km di ferrovie nel mondo; quindi, aumenta la possibilità di produrre energia rinnovabile con il nuovo sistema. Infatti, molti hanno già dichiarato il loro interesse verso il programma svizzero.

Ovviamente come ogni nuovo progetto sono stati sollevati molteplici critiche e dubbi, chiariti subito dai fondatori per via dei loro studi e della loro professionalità.

Le preoccupazioni riguardavano le possibili microfessure dei pannelli, il maggiore rischio di incendi nelle aree verdi e i probabili riflessi di luce sui macchinisti.

Tuttavia, Sun-Ways ha assicurato che i pannelli sono più resistenti degli altri e godono di un filtro antiriflesso per non distrarre i macchinisti. Inoltre, le spazzole all’estremità del treno sono in grado di rimuovere sporcizia dai pannelli che sono controllati per mezzo di sensori integrati.

Insomma, l’impresa è supportata dall’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, da una decina di partner attuali e chissà quanti futuri. Il sistema verrà lanciato il primo maggio, nell’area della stazione ferroviaria di Buttes, nella Svizzera occidentale, grazie all’investimento di 400.000 franchi svizzeri (circa 400.000 euro).

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Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.

By : Aldo |Marzo 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.
Parco Archeologico di Pompei

Pompei, città teatro di uno degli eventi più ricordati nella storia italiana e non solo, oggi è anche un caso di eco turismo.

Da anni è uno dei siti archeologici più importanti al mondo, ed ora da una lezione di sostenibilità italotedesca.

     

Il sito

Pompei, fondata intorno all’VIII secolo a.C.  venne conquistata dai Romani nel III secolo a.C. che contribuirono allo sviluppo della città.

Nei secoli cresce sempre più con una conseguente urbanizzazione, passando da municipium a colonia nell’89 a.C.. Poi nel 79 a.C. con l’eruzione del Vesuvio, la grande città venne “cancellata” lasciando una zona arida che non venne ritrovata per 1700 anni.

Proprio nel 1748 iniziarono i primi scavi per volere di Carlo III di Borbone e nonostante i lavori poco costanti, negli anni si riscoprì la città.

Così nel 1997 diventa uno dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO insieme ai siti di Ercolano e Oplonti, registrando oltre 3 milioni di visite nel 2016.

     

L’evoluzione

Dal 2021, il sito è in mano all’archeologo Gabriel Zuchtriegel,  italotedesco, che ha trovato la chiave per valorizzare sotto vari aspetti gli scavi.

Precisamente, il direttore del parco ha studiato la comunità e il territorio circostante per poter massimizzare l’esperienza turistica e quotidiana nella città romana.

Allo stesso modo però deve affrontare i problemi legati ai cambiamenti climatici e quindi gestire un piano di tutela dell’intera area.

Così, da secoli Pompei vive alla ricerca di un equilibrio tra la conservazione delle opere e la tutela dell’ambiente circostante ad esse.

     

La novità sostenibile

Per quanto detto, il direttore ha scelto di rendere  la città antica più sostenibile per via della cittadinanza attiva e delle nuove tecnologie.

L’idea è proprio quella di coinvolgere non solo i turisti, ma i cittadini della comunità che vive intorno ai 50 ettari dell’area in esame.

Si tratta di vari progetti che includono temi quali risparmio energetico, riduzione degli sprechi, agricoltura e laboratori per bimbi e adulti.

A differenza di altri direttori, Zuchtriegel si chiese cosa potesse fare lui per il territorio che lo ospitava e da quel punto sviluppò il programma.

     

I progetti

I piani sono molteplici e di vario tipo ma vertono tutti sul rendere “verde” il sito archeologico.

Per quanto riguarda il risparmio energetico, si parla di pannelli solari invisibili installati negli scavi.
Ossia, i prodotti della Ahlux Italia, hanno la forma dei coppi di terracotta, ma producono energia elettrica per illuminare gli affreschi.

Nello specifico, questa tecnologia permette di generare luce “rinnovabile” senza danneggiare l’aspetto paesaggistico dell’area. Per ora questi pannelli sono installati sulla Casa dei Vettii, su un thermopolium e sulla Casa di Cerere.

    

Un altro programma è quello dell’eco pascolo di ovini per la bonifica dei prati. Si tratta di un accordo sperimentale che vede partecipe un gregge di 150 pecore di una cooperativa agricola della zona.

In pratica pascolando, le pecore mangiano l’erba (bonificando l’area) e successivamente fertilizzano lo stesso prato con le loro feci. Tale processo consente un’ottima crescita della vegetazione e allo stesso tempo evita la produzione di rifiuti.

     

Sempre sul piano agricolo, è stato pensato un programma per la coltivazione di 60 ettari di spazi verdi con vitigni coltivati con metodi pompeiani.

La sua caratteristica è legata alla collaborazione con le scuole limitrofi al sito che hanno aderito ad attività didattiche all’interno degli scavi. Infatti, i bambini possono creare e curare orti proprio in mezzo alla città antica e sotto gli occhi sorpresi dei turisti.

Inoltre, la collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’università di Salerno, garantisce un monitoraggio continuo dell’area per mezzo di droni.

     

Il sistema accurato permette di creare un database specifico legato alla manutenzione del parco ma soprattutto di segnalare danni o pericoli ove presenti.

Questo metodo serve proprio per intervenire nel minor tempo possibile e mantenere l’intero sito in sicurezza, anche in vista dei cambiamenti climatici.

     

La storia presente nel nostro Paese non deve frenarci dalla creazione di programmi innovativi e sostenibili. Il caso di Pompei rappresenta esattamente la volontà di una popolazione di migliorare la propria città includendo anche uno scavo di 2000 anni.

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Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

By : Aldo |Marzo 28, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, Rifiuti |Commenti disabilitati su Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

Bucce di arancia per la pelle sostenibile, canapa per i tessuti e ora tocca ai residui di pomodoro per sostituire un composto derivato dal petrolio.

       

La novità

La notizia arriva dalla Spagna, dove si sta testando un nuovo materiale protettivo per gli interni dei packaging in alluminio e metallo.

Lo studio è stato svolto dall’Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea “La Mayora” di Malaga e dall’Instituto de Ciencia de los Materiales de Sevilla.

Il team di scienziati ha trovato una soluzione sostenibile e più sicura a livello sanitario per la resina interna di lattine e altri imballaggi.

Si tratta dei residui di pomodoro che vengono utilizzati per rivestire l’interno di tali imballaggi, sostituendo una plastica meno sicura per l’ambiente e per l’uomo.

     

I residui delle zuppe

Lo studio si basa sugli scarti legati alla produzione di zuppe come il gazpacho, salse e succhi, quindi un mix di semi, bucce e piccioli.

Di solito, questi scarti vengono bruciati o usati come mangime per animali se non smaltiti come rifiuti.

Mentre con la lavorazione di tale materiale si ricava una sostanza idrorepellente, aderente al contenitore in grado di non essere corroso da liquidi acidi o sali.

        

Lavorazione

Il materiale viene lasciato asciugare e per mezzo di idrolisi si rimuove l’acqua per mantenere i lipidi (in questo caso vegetali).

Il grasso vegetale ricavato sarà unito ad una quantità minima di etanolo, rispettivamente l’80% e il 20%. Poi questa soluzione viene spruzzata sulla superficie metallica, di modo che aderisca alla forma e resista ai tagli successivi del contenitore.

      

Contaminazione

L’innovazione sostenibile diventa anche più sicura a livello sanitario poiché mira a sostituire l’attuale resina epossidica con una naturale.

Il rivestimento è una plastica ricavata dal petrolio contenente BPA (bisfenolo A), un composto chimico potenzialmente pericoloso per la salute.

Inizialmente venne scelto per proteggere gli alimenti dalle possibili contaminazioni dei metalli che costituivano il packaging, poi negli anni si verificò un fenomeno contrario.

Ossia, gli studi hanno confermarono la presenza di particelle dannose di BPA negli alimenti. Quindi il rivestimento proteggeva dai metalli, ma rilasciava a sua volta sostanze nocive per l’uomo, associate alla comparsa di diabete o cancro.

Non a caso la Spagna ne ha vietato l’uso.

         

Impatto ambientale

La nuova resina è altrettanto sicura per l’ambiente poiché formata da materiale di scarto e soprattutto prodotta con un processo a basso impatto ambientale.

Infatti, la sua produzione emette meno anidride carbonica rispetto a quella del bisfenolo A.

         

Insomma, ancora una volta la soluzione sostenibile si conferma sicura per l’ambiente e per la salute umana.
La transizione ecologica stanno evidenziando queste novità che probabilmente potrebbero essere lo slogan per accelerare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

Forse sottolineando i benefici per la nostra salute sarà più semplice diffondere l’importanza della sostenibilità.

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Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

By : Aldo |Marzo 27, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, menorifiuti |Commenti disabilitati su Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

Il solare rappresenta una delle fonti rinnovabili di energia più comuni e diffuse al giorno d’oggi.

Tuttavia, i due metodi distinti che lo caratterizzano, hanno una base comune che garantisce dei benefici per l’uomo senza creare danni all’ambiente.

    

Termico e fotovoltaico

Prima di tutto è fondamentale ribadire che il termico e il fotovoltaico sono due tecnologie che sfruttano l’energia solare in due modi diversi.

I pannelli solari termici sono in grado di usare l’energia del sole per scaldare l’acqua ad uso domestico o per l’impianto di riscaldamento. Mentre i pannelli solari fotovoltaici sono capaci di convertire l’energia solare in energia elettrica.

In entrambi i casi, la fonte energetica è il sole, quindi i pannelli sono costruiti con delle variazioni a seconda della loro funzione. Tuttavia, negli anni, sono stati studiate varie strutture nelle quali concentrare tali unità per rendere efficace ed efficiente la produzione di energia rinnovabile.

Così sono state costruite delle torri solari, con l’obiettivo di produrre più energia usando il minor spazio possibile.

   

Torre solare

È un sistema di produzione energetica fondato sul concetto della serra e si compone di un parco di unità trasparenti, che circondano la torre stessa.

Alla base è posizionato il collettore: un piano di pannelli di vetro o plastica (aperto all’estremità) dove l’aria viene riscaldata dai raggi solari. In questo modo si crea l’effetto serra necessario.

Il collettore è collegato alla torre, alla quale convoglia l’aria calda e fredda, fino alla sommità insieme affinché si crei una corrente d’aria nel complesso.

Infine, le turbine tra le due strutture vengono attivate dalla corrente d’aria creando energia elettrica.

Il vantaggio deriva dal fatto che il calore può essere trasmesso dal suolo o dall’acqua sottostante i vetri, nelle ore successive (massimo 24 ore).

      

Torre solare a concentrazione

Tra i vari modelli realizzati, spiccano delle varianti che presentano una struttura simile, con qualche differenza nelle componenti o nel funzionamento.

Un esempio è il progetto tedesco HelioGLOW che è riuscito ad ottimizzare il solare a concentrazione. Si tratta di un impianto con un campo di specchi (eliostati) che circondano la base della torre, sulla cui sommità si trova un ricevitore.

Quest’ultimo contiene un fluido termovettore che viene riscaldato grazie ai raggi solari riflessi dagli specchi. Successivamente viene accumulato e inviato verso il generatore di vapore a cui cede il calore.

Il materiale in questione può scaldarsi anche oltre i 1000°C ed è sostenibile, poichè non corrosivo e prodotto per mezzo del riciclo.

Il progetto creato dal Fraunhofer ISE (Institute for Solar Energy Systems) è in grado di aumentare la resa e abbassare i costi di tale strumento.  Inoltre, è considerato come una delle soluzioni più potenti nell’ambito del concentrating solar system (CPS).

    

Torre fotovoltaica

Un secondo esempio arriva dalla Three Sixty Solar, azienda canadese che ha creato la torre che resiste agli uragani di categoria 1.

Difatti, oltre ad essere un’ottima struttura per produrre energia usando il 90% di suolo in meno, è pensata per la massima resa.

I pannelli posti in verticale non hanno bisogno di una pulizia costante (come quelli in orizzontale) nè dai rifiuti, nè dalla neve. Tale caratteristica fa sì che i moduli non subiscano variazione di tensione o corrente.

In più la torre è stata pensata per essere collocata nei paesi in cui il sole non è sempre disponibile, senza apportare cambiamenti dannosi all’ambiente.

La sua principale qualità è la resistenza a condizioni meteo particolari: nello specifico resiste a venti fino a 135 km/h, forti piogge, neve e grandine.  

       

Le torri solari sono l’ennesimo esempio di come la produzione energetica rinnovabile possa comportare benefici all’uomo evitando un impatto negativo sull’ambiente.

Sicuramente ci sono tanti aspetti delle nuove tecniche che devono essere migliorati, ma la soluzione è davanti i nostri occhi.

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Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

By : Aldo |Marzo 23, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

Ieri, mercoledì 22 marzo, si è celebrata la Giornata Mondiale dell’acqua, ma i dati pubblicati riguardo la questione siccità, non promettono nulla di buono.
Tuttavia, ci sono molteplici soluzioni che possono rimediare a tale problema.

   

Spreco in Italia

I dati riguardanti l’Italia descrivono purtoppo una situazione negativa, legata soprattutto ad una gestione della rete idrica poco attenta.

L’analisi, infatti, dimostra come tale questione sia una criticità anche rispetto alla carenza di acqua nel mondo.  L’Istat conferma che lo spreco d’acqua in Italia è pari alla quantità utile per 43 milioni di persone.

Si tratta di cifre altissime che devono essere categoricamente ridotte in poco tempo, per limitare anche i danni legati ai cambiamenti climatici.

   

La questione in numeri

Dallo studio emerge un costante peggioramento nell’arco degli ultimi 20 anni, che sembra non cambiare rotta.

Difatti nel 1999 in Italia venivano erogati 250 l/giorno pro-capite di cui si sprecava il 32,6%. Il report del 2012 invece, riportava un peggioramento poiché si calcolava una perdita del 37,4% di acqua su un totale di 238 litri/giorno.

Ovviamente con la regressione dell’efficienza della rete idrica, si sono ridotti i litri erogati e tale fenomeno è stato accertato dalle analisi successive.

Nel 2015 si erogavano 222 litri al giorno, mentre nel 2018 solo 217, con una perdita crescente, rispettivamente del 41,1% e del 42%. Al giorno d’oggi sprechiamo il 42,2% dell’acqua immessa in acquedotto.

   

Risolvere la “sete”

Di certo gli studiosi non hanno esitato a spiegare il problema per mezzo di paragoni concreti da intuire per una comunicazione di maggiore impatto.

Nel nostro Paese si perdono 157 litri/giorno per ogni abitante. Questo significa che in una realtà efficiente, si potrebbe soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone, ovvero più di 7 cittadini su 10.

Ancora si può citare la differenza tra volumi immessi e quelli erogati. Al giorno potrebbero essere distribuiti 8,1 miliardi di m3, equivalenti a 373 litri, ma se ne perdono 3.4 miliardi di m3.

Tale cifra è eguagliabile alla quantità di acqua necessaria per riempire il Colosseo più di 2300 volte.

    

Differenze tra regioni

Oltretutto, anche in questo settore è palese una grande disparità nella la gestione della rete idrica tra il nord e il sud dell’Italia.

La differenza è rilevante e come di norma, il nord gode di una qualità maggiore (fatta eccezione per il Veneto) rispetto al meridione.

Le regioni in cui si ha uno spreco superiore alle altre sono Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). 

   

Soluzioni

Fortunatamente tale problema è risolvibile tramite svariate azioni che ognuno può intraprendere per limitare il danno descritto.

Per questo motivo l’ENEA ha pensato di pubblicare un vademecum con il quale istruire i cittadini ad un uso più consapevole dell’“oro blu”.

Si tratta di tante piccole abitudini da modificare o di accorgimenti utili per salvaguardare un bene prezioso e vitale (in tutti i sensi).

     

Ad ogni modo, i possibili rimedi previsti da tale questione si dividono in due categorie. Ci sono quelli attuabili dai cittadini per mezzo di abitudini più accorte e sostenibili e quelli legati allo Stato (di solito i più rilevanti).

   

Se questi due tipi di soluzioni venissero affiancati, il fenomeno potrebbe essere attenuato se non risolto in minor tempo e con meno sforzi.

Come sempre, un pensiero sostenibile è necessario per migliorare il settore economico, sociale e ambientale.

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IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

By : Aldo |Marzo 21, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

L’atteso rapporto IPCC è arrivato ed ha colpito il mondo intero. Sicuramente i dati non sono positivi, ma la fiducia è riposta nell’uomo e nelle sue soluzioni.

  

Report

Il nuovo rapporto sul riscaldamento globale era atteso da ormai nove anni ed è finalmente arrivato come un pugno nello stomaco.

Il report firmato da migliaia di scienziati è definito come la nuova ed ultima guida (per i governi) per cambiare rotta.

Conclude il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) unito al rapporto di Sintesi (Syntesis Report – SYR), che includono risultati di altri lavori. Tra questi, “Le basi fisico-scientifiche” (2021), “Impatti, adattamento e vulnerabilità” (2022), “Mitigazione dei cambiamenti climatici” (2022).

E di tre rapporti speciali “Riscaldamento Globale di 1.5”, (2018), “Climate Change and Land” (2019), “Oceano e Criosfera in un clima che cambia” (2019).

Questo ciclo di studi si è protratto per otto anni, terminando proprio domenica 19 marzo in Svizzera con l’approvazione del Rapporto di Sintesi.

    

Previsioni

Il report si indentifica come una guida per i governi dei 195 Paesi membri delle Nazioni Unite e manda un chiaro segnale al mondo.

Infatti, conferma che le emissioni di gas serra (originate dalle attività umane) siano le responsabili della crisi climatica che stiamo vivendo. Ma allo stesso tempo dichiara la possibilità di invertire la rotta, per poter mitigare il drastico cambiamento in corso.

Se non si cambia direzione le previsioni sono negative per l’intero pianeta. Ma sono chiari da tempo i possibili effetti del cambiamento climatico e quali siano le condizioni di base per poterli innescare.

    

Misure

Il documento quindi riporta le misure chiave per poter invertire la rotta e limitare i danni di tale fenomeno.

Difatti è affermato con sicurezza che esistono opzioni “multiple, fattibili ed efficaci” disponibili ora, quindi nessuno può tirarsi indietro.

Si tratta di un un’ampia varietà di soluzioni anche a livello intersettoriale: la prima in assoluto riguarda il taglio delle emissioni di CO2.  Tra le varie transizioni serve principalmente quella energetica, dal fossile alle rinnovabili, seguita da altri accorgimenti.

La gestione sostenibile (e protezione) delle foreste e dell’agricoltura, per assorbire CO2 e migliorare i servizi ecosistemici quindi le condizioni di vita di molte popolazioni.

Fondamentale anche lo sviluppo resiliente al clima, poiché le strade sostenibili possono effettivamente garantirci un futuro migliore.

Le tecnologie pulite legate all’energia, minori emissioni di carbonio e quindi un efficientamento dei più importanti servizi ai cittadini, migliorerebbero la vita di tutti. Dunque si punta ad un benessere complessivo, quindi ambientale e sanitario.

Insomma, bisogna considerare tutte le strade possibili, al massimo delle loro capacità, per frenare questo grande problema.

      

Politica

Il lavoro dell’IPCC non è solo un documento scientifico, ma ha infatti ha anche un contenuto politico perché è stato revisionato ed approvato dai delegati di tutti i 195 Stati membri.

É certo che il cambiamento di ognuno di noi possa fare la differenza, ma non c’è dubbio che il grande lavoro debba essere svolto dalla politica.

Non a caso un grande conflitto che non permette una progressione positiva, è proprio quello tra i paesi più ricchi e quelli in via di sviluppo.

I primi, hanno letteralmente scaturito la crisi climatica, mentre i secondi che hanno bisogno di uno sviluppo industriale ne stanno pagando le conseguenze.

Inoltre, è fondamentale la questione degli investimenti portati avanti dai governi rispetto a tali transizioni. Purtoppo ancora non raggiungono i livelli adeguati a trasformare le politiche ambientali, quindi rimane un’altra questione aperta, da risolvere velocemente.

    

Agire ora

Per tale motivo, il report ribadisce l’importanza di “agire ora”. Non si può aspettare un minuto, visto che  questo sembra essere il decennio definitivo, dopo il quale sarà sempre più difficile cambiare rotta.

Quindi è d’obbligo lo stop immediato ai combustibili fossili e il via a dei finanziamenti per le aree più vulnerabili. Se non altro serve dimezzare le emissioni nell’arco dei prossimi 7 anni, per mantenere il target di Parigi di +1,5 gradi.

   

Proprio Guterres avanza: 

“Chiedo agli amministratori delegati di tutte le compagnie petrolifere e del gas di essere parte della soluzione, presentando piani di transizione credibili, completi e dettagliati in linea con le raccomandazioni del nostro gruppo di esperti ad alto livello sugli impegni net zero”.

 

Dunque, anche se la realtà è abbastanza minacciosa, nessuno ha parlato di una vera e propria fine, anzi.

C’è speranza nella collaborazione internazionale, soprattutto nelle soluzioni già presenti per lo sviluppo resiliente, e socialmente accettabili. Serve un vero e proprio salto di qualità nell’azione per il clima, facendo particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

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Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

By : Aldo |Marzo 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

Dal 2018 esiste il World Clean Up Day che si svolge nel mese di settembre per ripulire la natura dai nostri rifiuti.

Ma qualcuno ha pensato bene di occuparsi anche dei rifiuti “invisibili” e di sensibilizzare il mondo intero.

    

L’evento

Il 18 Marzo si è svolto il Digital Clean up Day, ovvero una giornata rivolta alla sensibilizzazione per quanto riguarda i rifiuti digitali.

Questo evento è stato pensato a seguito di attenti studi correlati alla quantità di dati conservati nei server e l’inquinamento che ne deriva.

Un problema sottovalutato che è stato riportato a galla da World Clean up Day France che lanciò l’iniziativa nel 2020 come di Cyber World CleanUp Day.

Difatti l’invito avanzato è quello di dare una seconda vita ai dispositivi digitali, ripulire le loro memorie e di non inviare mail e messaggi superflui.

Tale iniziativa è stata condivisa (per ora) da 91 paesi in tutto il mondo.

    
Inquinamento digitale in cifre

I dati che girano nella rete sono infiniti, ma essendo numeri e codici chiusi in un mondo invisibile, non vengono presi in considerazione come rifiuti.

In realtà, messaggi, mail, video, foto e lo streaming hanno un costo molto elevato che solitamente viene ripagato a spese dell’ambiente.

In Italia l’evento è stato condiviso dal presidente della no-profit “Let’s do it Itay”, Vincenzo Capasso, che ha condiviso un elenco dettagliato di dati importanti.

Gli esempi riportati riguardano il mondo dello streaming, le e-mail e la messagistica e le emissioni di CO2 legate a tali attività.

     

Infatti, se 70 milioni di abbonati in streaming, riducessero la qualità dei video, si taglierebbero mensilmente 3,5 milioni di tonnellate di CO2 .

Tale cifra è pari al 6% del consumo mensile di carbone negli USA, si tratta quindi di un inquinamento abbastanza rilevante.

Ancora, le e-mail sono un altro fattore importante al centro di questa situazione.

Secondo le analisi il 60% delle e-mail non viene aperto, e di norma ne vengono inviate 62 trilioni in spam. Per questo si consiglia di disiscriversi dalle mailing list per evitare di creare nuovi dati superflui che verranno tenuti nel server per mesi. 

    

Si citano anche le videochiamate: mezzo di comunicazione che favorisce gli incontri a distanza, sempre più in voga soprattutto dopo la pandemia.

È stato stimato che se un impiegato segue 15 ore di riunioni online, con la videocamera accesa, emette 9,4 kg di CO2 al mese. Mentre solo spegnendo la videocamera, si ridurrebbe la stessa quantità di emissioni create dalla carica notturna di un telefono per tre anni.

  

Anche i bitcoin hanno il loro ruolo, poiché il mining, richiede tanta energia quanta quella consumata in Nuova Zelanda in un anno.

     

Consumo energetico

Ovviamente non si parla solo di emissioni di gas serra ma anche del consumo di energia legato a questo settore.

Non a caso tutti questi “rifiuti digitali” si trovano nei backup dei server, che con i servizi di cloud usano costantemente energia elettrica.

Per esempio, Google, usa 15.616 MWh di energia al giorno, che sono più di quelli prodotti dalla diga di Hoover. In pratica Google potrebbe alimentare un paese di un milione di abitanti per un giorno.

Forse il problema più grande sta nel fatto che internet è alimentato principalmente da combustibili fossili. Quindi foto, video, click, email ecc superflui, oltre allo streaming passivo, determinano l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2 .

    

In conclusione, il mondo del web è immenso e allo stesso tempo invisibile si nostri occhi, ma grazie a tali studi lo conosciamo in maniera più approfondita.

Sarebbe auspicabile quindi che ognuno cambi ulteriori abitudini ma ancor di più che si sensibilizzi il mondo intero su questo argomento così importante.

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Dalle isole di plastica in mare, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

By : Aldo |Marzo 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Dalle isole di plastica in mare, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

Nel mare ci sono sempre più tonnellata di plastica che poi si tramuta in microplastiche nel nostro cibo.

Fortunatamente c’è chi si ingegna e pensa a come trasformare questi rifiuti in risorse.

    

Plastica marina

Da qualche anno si parla di “Garbage patch” ovvero di grandi isole di plastica formatesi nei più grandi mari del mondo.

Ogni anno si contano ben 8 milioni di tonnellate di plastica nelle acque marine, che si accumulano sia in superficie che in profondità.

Questi insieme restano intrappolati in vortici acquatici, per mesi se non anni, creando danni irreversibili sia alla natura che alla catena alimentare.

Tale processo si verifica perchè la plastica degradandosi, di frammenta in pezzi di varie grandezze e forme principalmente microscopiche e leggerissime che si confondono con il plancton.

Inoltre, le particelle che cadono nei fondali sono ancora più difficili da degradare rispetto a quelle in superficie.

    

Legacy plastic

Proprio per limitare tale problema, la Ocean Legacy Foundation ha pensato di recuperare specifici materiali da queste isole per dargli una nuova vita.

Così hanno lanciato Legacy Plastic™, il primo pellet composto interamente di plastica oceanica riciclata.

Si tratta di un programma di recupero e trasformazione dei rifiuti per incrementare il valore dell’economia circolare plastica.

Chloé Dubois co-fondatrice della non profit canadese, riconosce di essere sorpresa dell’interesse che l’iniziativa ha ricevuto da parte delle aziende.

L’attenzione è correlata soprattutto agli obiettivi o gli oneri che le aziende hanno nei confronti della sostenibilità.

Non a caso, molte si sono rivolte alla fondazione, per incorporare nei loro prodotti, dei materiali riciclati, in modo da ridurre l’inquinamento (soprattutto marino).

     

Materiale d’origine

Il materiale preso dalla Ocean Legacy risale principalmente dalle attrezzature marine.

Si tratta quindi di pellet formato da corde e reti da pesca, galleggianti, boe, ma anche rifiuti raccolti durante le attività di pulizia.

Ad ogni modo, riciclando questi rifiuti, la fondazione riesce a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, poiché la loro produzione emette anche meno emissioni.

Infatti, i loro prodotti sono creati per mezzo di resine riciclate di alta qualità post-consumo, le quali garantiscono una quantità inferiore di CO2.

     

In generale, i rifiuti in mare sono talmente tanti che fondazioni come la Ocean Legacy hanno l’imbarazzo della scelta.

Tra le isole di plastica più grandi abbiamo la Great Pacific Garbage Patch, situata nel Pacifico, tra la California e le Hawaii. Ha più o meno 60 anni e copre un massimo di 10 milioni di km2, contando tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi.

Altri vortici simili, di dimensioni ridotte rispetto alla prima si incontrano nel sud del Pacifico, nel nord e nel sud dell’Atlantico e nell’Oceano Indiano.

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Batteri e microalghe potranno produrre cemento a zero emissioni.

By : Aldo |Marzo 13, 2023 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Batteri e microalghe potranno produrre cemento a zero emissioni.

Da anni i migliori centri di ricerca si sono mossi con il fine di trovare delle soluzioni per ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra.
Spesso e volentieri da tali studi, il miglior rimedio è proprio la natura, come in questo caso.

   

Il cemento

Il cemento al giorno d’oggi è una colonna portante delle nostre vite; è impiegato in molteplici ambiti e in ciascuno garantisce una rilevante sicurezza.

Purtroppo, però è uno dei materiali che inquinano di più, non solo in fase di produzione ma anche in quella di smaltimento.

Generalmente ogni anno, la sua produzione emette 3 milioni di tonnellate di CO2. Per questo motivo gli scienziati hanno pensato di ricorrere alla natura, per ridurre emissioni e inquinamento, quindi l’impatto del cemento nell’ambiente.

   

Batteri e microalghe

Negli ultimi mesi sono stati presentati 2 tipi di cemento ecologico formato per mezzo delle attività di batteri e microalghe.

In entrambi i casi sono stati scelti degli organismi che per via delle nuove tecnologie, possono acquisire funzioni specifiche.

Difatti, ambedue gli organismi hanno la capacità di creare cemento e allo stesso tempo di riassorbire la CO2 emessa dalla sua stessa produzione.

Proprio grazie a tale innovazione, si possono limitare i danni all’ambiente causati da tutto il cemento che viene prodotto quotidianamente.

Per esempio, per creare una tonnellata di cemento vengono emessi 670 kg di CO2, il problema è che all’anno ne produciamo 4.300 tonnellate.

Precisamente, è responsabile (da solo) del 70% delle emissioni dirette in atmosfera, a causa dalle reazioni chimiche necessarie per produrlo.

    

Cemento carbon neutral

Un team di ricercatori della Technical University of Denmark, guidati da Ivan Mijakovic hanno basato la loro ricerca sulle barriere coralline.

Nello specifico, hanno ricreato con un enzima, la loro proprietà di catturare CO2, per poi trasformarla in carbonato di calcio per la formazione di cemento.

La chiave di questa ricerca è la scoperta di rendere il processo più veloce ed efficiente: si dice bastino pochi minuti. Il meccanismo originario prevede che i coralli catturino la CO2, che poi useranno per accrescersi, nell’arco di secoli.

Inoltre, si pensa di lasciare ai cementifici un biorettore che possa svolgere tale procedura.  Questo catturerà la CO2 emessa con il riscaldamento, che verrà legata al carbonato di calcio. Successivamente si riscalderà questo composto per formare cemento e si riprenderà il gas serra.

     

Biocemento

Le microalghe invece, si combinano con acqua, sole e CO2, per poter creare il biocemento che abbatte il 90% delle emissioni.

Secondo gli studi può essere impiegato per creare barriere, prefabbricati, tegole e pannelli acustici.

Il processo di base, si rifà alla biocementazione fotosintetica, che dà alla luce un materiale proprietà simili se non superiori al cemento Portland.

L’interesse per questi blocchi (forniti da Prometheus Materials) è salito fino a ricevere finanziamenti pari a 8 milioni di dollari da grandi gruppi tecnologici.

     

Tali prototipi di cemento potrebbero risanare un problema veramente importante, legato comunque alla continua crescita demografica mondiale.

Le innovazioni come questa testimoniano come la natura sia effettivamente la soluzione a molti dei nostri problemi, o dei nostri danni.

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Ue: trovato l’accordo per la Direttiva Efficienza Energetica.

By : Aldo |Marzo 12, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Ue: trovato l’accordo per la Direttiva Efficienza Energetica.

Dopo mesi di proposte, l’Unione europea ha finalmente trovato la quadra per quanto riguarda l’efficienza energetica.

    

La modifica

Il 10 marzo, il Parlamento e il Consiglio europeo sono arrivati ad un accordo rispetto ai nuovi obiettivi sulla direttiva efficienza energetica.

Dopo una lunga trattativa con l’Esecutivo, è stato posto un nuovo target che gli stati membri dovranno seguire e raggiungere entro il 2030.

Perciò le nazioni dovranno garantire una riduzione collettiva del consumo energetico finale dell’11,7% in più, rispetto al livello prefissato precedentemente.

      

In concreto

Questa come tante altre norme, è parte del pacchetto “Fit for 55”, che
“si riferisce all’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Il pacchetto proposto mira ad allineare la normativa dell’UE all’obiettivo per il 2030.” (www.consilium.europa.eu/it/)

Pertanto, si mira ad aumentare il risparmio energetico, limitandone l’uso e lo spreco.

La normativa, aveva fissato il target di risparmio al 32,5% sull’energia impiegata, ma la modifica da poco accordata, alza il livello della stessa.

Questo sarà possibile grazie a linee e contributi nazionali stabiliti dai Paesi nei nuovi PNIEC (Piani nazionali integrati energia e clima).

Gli stati terranno conto della formula di calcolo fornita nella direttiva, puntando sulle caratteristiche di ciascun paese. Per di più, si considerano il Pil pro capite, l’intensità energetica, lo sviluppo delle rinnovabili e il potenziale di risparmio.

       

Cambio delle cifre

Tale modifica nella Direttiva efficienza energetica, determina un nuovo limite massimo al consumo finale di 763 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio).

Mentre per il consumo primario (incluso quello per produzione e fornitura) si parla di 993 milioni di tep: tuttavia solo il primo è vincolante.

E comunque, la normativa prevede la possibilità di discostarsi dal target del 2,5%.

Quindi l’Esecutivo avrà il compito di analizzare tutti i contributi nazionali dei paesi. Questi ultimi dovranno assicurare tagli dei consumi finali dell’1,3% entro il 2025 e poi passare al 1,9% nel 2030.

In più si dovrà applicare delle soluzioni in caso di gap con il risultato previsto, per via del “meccanismo di riempimento del divario”.

      

A chi è riferita?

La normativa verrà applicata negli stati membri dell’Unione europea a tutti i livelli amministrativi, da quello locale al nazionale.

I settori compresi sono quelli delle imprese, edifici, data center e quello della pubblica amministrazione. Nello specifico, proprio l’ambito pubblico dovrà tagliare il consumo finale dell’1,9% ogni anno.

Diversamente, gli immobili pubblici dovranno garantire che almeno il 3% di essi, venga riconvertito in edifici a zero consumo e emissioni.

      

Dunque, a breve verrà approvata la nuova stretta europea sul consumo energetico. Seppur sia rigida, potrà favorire lo sviluppo sostenibile se verranno raggiunti complessivamente i target decisi.

Bisogna solo impegnarsi agendo per via delle nuove soluzioni e vedere il risultato.

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