Efficienza energetica

Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

By : Aldo |Maggio 02, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

In precedenti articoli si è trattato il tema del monitoraggio dell’aria e di come siano importanti i progetti ad esso legati.

Altrettanto rilevanti sono i programmi che includono il cittadino rendendolo parte del processo di ricerca e di raccolta dati: di seguito un nuovo esempio.

   

Flatburn

Il dispositivo figlio della collaborazione tra il Senseable City Lab dell’Mit di Boston e l’azienda italiana Fae Technology è attivo.

Si tratta di uno strumento adibito al monitoraggio ambientale, in grado di rilevare e condividere dati sensibili per quanto riguarda l’ambiente.

La caratteristica di tale sistema è quella di essere uno dei nuovi tipi di rilevatori drive-by, dunque ospitato in un veicolo stradale (automobile e autobus). 

      

Tale qualità rende possibile la raccolta di dati di varia natura anche grazie ai molteplici sensori integrati nel sistema e gli effettivi campi da controllare.

Pertanto, Flatburn permette di monitorare la qualità dell’aria, l’umidità, le isole di calore nei centri urbani, quindi l’efficienza energetica e l’impatto acustico.

   

Come funziona

L’impianto è posizionato sul tetto del veicolo per via di un magnete ed è auto-alimentato da energia solare. Questo è possibile grazie al pannello solare integrato che garantisce di accumulare energia in situazioni di scarsa luminosità.

È composto di parti meccaniche prodotte con stampa 3D, facilmente reperibili o da creare per via delle informazioni rilasciate dallo stesso. Infatti, le istruzioni su come costruirlo e usarlo sono pubbliche.

     

Nello specifico, per valutare l’efficienza energetica degli uffici usa le immagini termiche; per l’analisi degli inquinanti nell’aria predilige il laser.

Inoltre, può anche mappare la qualità delle strade tenendo conto delle vibrazioni del veicolo.

      

Il dialogo

Flatburn è incluso nella piattaforma per il monitoraggio ambientale City Scanner, la quale trasforma i veicoli in sentinelle per i rilevamenti.

Il dialogo è rilasciato obbligatoriamente con licenza open source in modo tale da diffondere dati e sviluppare più velocemente le sue tecnologie contribuendo alla sostenibilità.

         

Tali caratteristiche regalano una nuova e accurata visione dell’ambiente urbano, fondamentale non solo per il cittadino che ci vive.

Infatti, anche sindaci, enti e amministrazioni usufruendo di tali dati possono prendere decisioni politiche e ambientali più specifiche e produttive.

Al momento, la Fae Technology (società benefit bergamasca) ha sottoscritto un accordo biennale come “consortium member” con l’ente americano per continuare questo tipo di ricerca.

      

In più il dispositivo è già attivo in 6 città del mondo, come New York, Boston, Stoccolma e Amsterdam.

Di certo arriverà anche negli altri centri urbani, in questo modo sarà più semplice applicare norme e sanzioni, supportando la sostenibilità.

E perchè no anche al salute umana.

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ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

By : Aldo |Aprile 20, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoacqua |Commenti disabilitati su ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

Sappiamo che per i server e i data centre serve tanta energia elettrica ma anche acqua e suolo. Tali risorse sono necessarie per specifiche funzioni e sono quindi fondamentali in questo settore.

É importante ricordare però che più server, servizi e tecnologie ci sono e più risorse serviranno.
      

Il fenomeno attuale

È stata bloccata in Italia (dal Garante della Privacy) Chat Gpt, l’intelligenza artificiale conversazionale con grande un successo negli ultimi mesi.

Il suo nome deriva dall’acronimo Generative Pretrained Transformer, ossia uno strumento che elabora il linguaggio naturale con algoritmi avanzati di apprendimento automatico.

Tale caratteristica serve per poter generare risposte simili a quelle di una persona vera, in un discorso qualsiasi, dal più semplice al più tecnico.

L’AI funziona molto semplicemente: l’utente inserisce un messaggio, Chat GPT lo elabora e genera una risposta. Più è dettagliato l’input e più sarà specifica e pertinente la risposta.

    

Al momento in Italia è stata bloccata per revisionare la sicurezza dei dati sensibili degli utenti. Tuttavia, potrebbe essere sbloccata il 30 aprile, se rispetta i criteri di privacy.

      

La sete di Chat GPT

Il caso Chat GPT è diventato subito un fenomeno, un particolare soggetto di discussioni e ricerca su vari temi, dalla sicurezza dati, alla sostenibilità.

Tra i tanti, l’Università del Colorado Riverside e quella del Texas ad Arlington hanno svolto uno studio sul consumo di acqua da parte della piattaforma.

La ricerca “Making Ai Less Thirsty” (Rendere l’Ai meno assetata) ha l’obiettivo di diffondere informazioni riguardo l’utilizzo di acqua da parte dei suoi data centre.

Nello specifico affronta la questione dei sistemi di raffreddamento che utilizzano grandi quantità di oro blu per svolgere le loro funzioni.

Il problema sta nel fatto che per raffreddare i server e addestrare le AI serve un volume d’acqua pari a quello di un reattore nucleare.

Precisamente per l’apprendimento di Gpt-3 ne sono stati usati 700 mila litri.

     

Il problema nascosto

Un ulteriore obiettivo della ricerca è quello di evidenziare la serietà del problema, spesso oscurato dalla questione energetica.

Sicuramente il consumo di energia elettrica e le emissioni sono un grande tema da tenere sorvegliare, ma l’impronta idrica dei server non è da meno.

Sia chiaro, questo appunto non è riferito solo alle intelligenze artificiali, ma a tutto il settore che riguarda servizi di cloud, streaming e altro.

Soffermandosi su Chat GPT, la ricerca ha portato dati inequivocabili. Per una conversazione media, l’intelligenza artificiale preleva un volume pari ad una bottiglia d’acqua.

     

In numeri

Per rendere l’idea della quantità d’acqua usata in questi ambiti, i ricercatori hanno fatto dei paragoni chiari e semplici.

I 700 mila litri usati per addestrare la terza versione dell’AI, sono pari ai litri impiegati per la produzione di 370 auto o 320 Tesla

Inoltre, è da sottolineare il fatto che tali dati, sono riferiti agli edifici Microsoft in negli USA. Infatti, se si prendessero in considerazione i data centre asiatici, avremmo dei dati triplicati poiché meno ottimizzati e meno all’avanguardia.

La situazione descritta nello studio delle Università americane è delicata ma fondamentale per poter migliorare le tecnologie del futuro.

Soprattutto se ci si sofferma sulla rilevanza delle risorse idriche nel mondo ma anche alla loro carenza.

        

La domanda di potenza di calcolo aumenta esponenzialmente, raddoppiando ogni 2,3 mesi solo per le AI. Esclusivamente i server di Google hanno assorbito 12,7 miliardi di litri per il raffreddamento nel 2021 di cui il 90% potabile.

Per l’addestramento della piattaforma, ne sono serviti altri 2,8 milioni legati al consumo di elettricità. Per un totale di 3,5 milioni di litri negli USA e 4,9 milioni di litri in Asia.

      

Sicuramente Chat-GPT non è il colpevole assoluto della carenza d’acqua nel mondo, ma gran parte del settore digitale incrementa tale problema.

Sarebbe opportuno trovare nuovi metodi e meccanismi per svolgere le stesse funzioni, senza però togliere acqua potabile alla popolazione umana.

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“Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

By : Aldo |Aprile 18, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su “Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

Come accennato in un precedente articolo, Roma è stata selezionata tra le Città smart incluse nella “Cities Mission” del programma Horizon Europe.

È la città più verde d’Europa e ogni giorno sembra portare alla luce nuovi spazi naturali, fondamentali per la salute umana e la biodiversità.

Roma diventa green

Vari quartieri romani stanno vivendo una rivoluzione green, dimostrandosi al passo con i cambiamenti del secolo.

Precisamente sono stati avviati dei progetti legati agli importanti corridoi ecologici che possono migliorare la salute mentale e fisica dell’uomo e la biodiversità nel centro.

Roma quindi si veste di verde ma con abiti diversi proprio per portare avanti nuovi ideali e piani per la sostenibilità. Si parla del Bosco urbano, lo Zen garden e la Green Island.

Bosco urbano

Un progetto “di evoluzione e rigenerazione urbana” incluso nel programma eUrban, che unisce natura, business e architettura.

Il bosco si posiziona all’ombra della torre EuroSky e del centro commerciale Euroma2, in una piazza tutta da scoprire quasi come piazza Gae Aulenti.

L’area, chiamata “Bosco Transitorio” o “The Moving Forest” è nata in collaborazione con l’Orto Botanico di Roma, miglior alleato per tale piano.

Il disegno prevede la presenza di 400 alberi e oltre 50 arbusti che dovrebbero assorbire circa 250 tonnellate di CO2. Inoltre, consentirebbero il recupero delle polveri sottili e l’abbassamento di 2,3 gradi della temperatura.

Le decine di specie coinvolte spaziano tra grandi varietà andando oltre la macchia mediterranea. Si va dalle roverelle ai corbezzoli, dagli aceri agli olmi, e sono compresi anche meli, ciliegi e pioppi bianchi

 

Il giardino zen e la galleria d’arte.

Vicino al tesoro della piazza nel quartiere finanziario di Roma si possono ammirare un giardino zen e una galleria d’arte contemporanea “en plein air”.

“L’Italian zen garden” è costituito di erbe officinali e aromatiche come timo, calendula e issopo ed è affiancato dall’arte del “The Walkaround Gallery”. Un’installazione pubblica che include 182 opere di 12 artisti internazionali che si snoda per 400 metri nell’area pedonale della piazza.

Questi primi 3 progetti sono stati ideati per conto della Silver Fir Capital con GWM Group per riqualificare il quartiere dei grattacieli. L’idea, in collaborazione con l’artista e co-founder dell’agenzia di comunicazione Arkage, Ria Lussi, crea il connubio perfetto tra architettura, sostenibilità e arte. Senz’altro sarà un’area a favore della biodiversità locale.

 

“Green island” o “Bosco verticale”

Oltre alle 3 novità appena descritte, ce n’è un’altra che richiama il bosco verticale di Milano. Sorge infatti sulla via Ostiense il nuovo rettorato di Roma Tre, definito la “green island” dell’Eur, in piazza dei Navigatori.

La struttura è vicina all’ex velodromo olimpico e si estende per ben 13.200 m2 con una specifica caratteristica: la massiccia presenza di vegetazione.

L’architetto, Gennaro Farina ha unito spazi ampi e aperti con la natura, formando così 16 giardini pensili in tutti i piani. I 4 patii interni (dotati di alberi) rinfrescano lo stabile, mentre i giardini assorbono la CO2 emessa dal traffico.

In pratica, la flora svolge più funzioni riducendo costi ed emissioni per il riscaldamento e il raffreddamento degli ambienti, senza tralasciare l’estetica del palazzo.

Senza dubbio l’edifico rappresenta l’edilizia di ultima generazione, attenta ai nuovi standard di sostenibilità e con una forte impronta ecologica.

 

Il verde e la mental health

Il piano dell’architetto non mira solamente all’ecologia ma anche al benessere dell’uomo; infatti, dopo il covid, molte persone hanno sviluppato un forte legame con la natura.

Pertanto, è sempre più frequente l’associazione della salute fisica e mentale con il verde. Di conseguenza lo stabile presenta dei dettagli ideati proprio su questo connubio, praticamente necessario dopo la pandemia.

Quindi nel nuovo rettorato, lo spazio di lavoro sarà sia interno (come un normale ufficio) che esterno, nelle terrazze ricche di vegetazione.

Gli uffici sono capaci di ospitare ben 1300 persone mentre la struttura gode di 200 posti auto. Il tutto è arricchito dalla lucentezza dell’alluminio trattato con vernici color bronzo, che ricopre il palazzo.

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Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

By : Aldo |Aprile 13, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

Per quanto bella e piena di natura, l’Italia registra livelli di inquinamento atmosferico più alti della media.

Per questo c’è chi ha pensato a delle soluzioni concrete per limitare i danni.

La questione nord

Secondo il rapporto di Legambiente “MalAria di città” l’Italia presenta delle forti criticità legate all’inquinamento atmosferico soprattutto tra le regioni settentrionali.

Nello specifico si afferma che il 76% dei centri urbani italiani supera i limiti delle polveri sottili definiti dall’Unione Europea.

Secondo i dati del 2022, 29 città su 95 hanno registrato livelli giornalieri di PM10 superiori alla norma europea, perciò è difficile risolvere il problema.

La direttiva 2008/50/CE e il D. Lgs 155/2010 determinano un valore limite annuale di 40 µg/m³ e uno giornaliero di 50 µg/m³.

Tali valori sono disposti affinché si protegga la salute umana ed in particolare il secondo non può essere superato più di 35 volte in un anno.

Con i dati rilevati, è stata stilata una classifica delle città che superano giornalmente i livelli limite:

1° posto: Torino con 98 giorni di sforamento;

2° posto: Milano con 84;

3° posto: Asti con 79,

A seguire Modena 75, Padova e Venezia con 70 giorni.

Il seguente problema dovrebbe essere arginato in tempi brevi, ma vista l’attuale condizione è necessario più tempo del previsto.

Il primo step

Per limitare i danni dell’inquinamento, monitorare i valori limite e accelerare il cambiamento c’è una soluzione: la tecnologia di Wiseair.

L’azienda composta da 4 ragazzi romani mira al controllo della qualità dell’aria italiana per mezzo di sensori studiati e progettati con le università.

Paolo Barbato, Carlo Alberto Gaetaniello, Andrea Bassi e Fulvio BambusiI, dopo aver studiato ingegneria del Politecnico di Milano si sono interessati alla questione.

Il loro progetto inizia quindi dallo studio trasformato in una possibilità concreta di cambiare le cose: una tecnologia per monitorare la qualità dell’aria.

Un piano fondamentale, basato su dei sensori che servono per raccogliere dati senza i quali è impossibile pensare e trovare una soluzione vincente.

La soluzione

Vista l’entità del problema, Wiseair afferma che non si può continuare affidandosi solo alle centraline governative, pertanto, hanno coinvolto anche i cittadini.

Per questo l’azienda ha distribuito sensori e dati direttamente alla popolazione, per poter diffondere dati e dialogare più facilmente anche con le amministrazioni.

Il principio che li guida ricorda che più sensori sono attivi e più dati ci saranno e il monitoraggio dell’inquinamento sarà migliore.

Dunque, un secondo step è stata la creazione di una community di cittadini attivi e appassionati, divisi in 50 comuni che lavorano con l’impresa. Tra loro Milano, Torino, Roma e Bari.

 

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Il kit

L’azienda vende alle amministrazioni un kit specifico per il monitoraggio della qualità dell’aria. Il prodotto si adatta ad ogni ambiente ed è installabile in qualsiasi posizione.

Sono dotati di un pannello solare che garantisce l’autonomia energetica in modo da garantire anche la trasmissione di dati costante (anche grazie alle tecnologie wireless).

Aziende e progetti di questo genere sono fondamentali al giorno d’oggi per due motivi.

Spesso agiscono in modo più diretto e veloce rispetto alle amministrazioni e soprattutto possono godere di una maggiore fiducia dei cittadini.

In questo caso poi, si tratta di un problema da risolvere anche per la salute della popolazione che risente del forte inquinamento atmosferico.

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4 tonnellate di legno riciclate per una installazione e la regola delle tre R.

By : Aldo |Aprile 11, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su 4 tonnellate di legno riciclate per una installazione e la regola delle tre R.

Ridurre, riusare, riciclare: la regola delle “tre R” è la base della sostenibilità. In pratica permette di creare meno rifiuti, consumando meno materie prime, salvaguardando l’ambiente.

       

Al Salone del Mobile si ricicla.

Tra il 18 e il 23 aprile si terrà a Milano la Design Week che include l’apertura del Salone del Mobile.

A questo evento parteciperanno i più importanti nomi dell’arredamento tra i quali anche grandi gruppi impegnati nel settore della sostenibilità.

Il padiglione “Wood you believe?” accoglie gli ospiti in un’area dedicata al Gruppo Saviola con un’entrata del tutto innovativa.

L’opera d’arte (nel Padiglione 10, C04) è un insieme di 4 tonnellate di legno post-consumo ideata da Carlo Ratti Associati e Italo Rota.

L’intenzione era quella di dimostrare le potenzialità del legno riciclato e della stampa digitalizzata grazie all’installazione creata appositamente per l’evento.

Inoltre, con la Fiera si celebreranno i 60 anni di attività del Gruppo Saviola, leader nazionale se non precursore nella produzione di pannelli ecologici.

    

L’installazione

L’opera si compone di una facciata esterna, formata da materiali in legno “di scarto”: cassette della frutta, sedie, pallet, scrivanie e altri oggetti in legno.

In tal modo gli architetti dimostrano quanto sia utilizzato il legno nel nostro paese ma anche la grande quantità di rifiuti prodotti dall’industria del mobile.

Quindi l’installazione rispetta tutti i valori dell’economia circolare, con l’intento di salvaguardare il pianeta e le sue preziose risorse.

Non a caso, Alessandro Saviola, Presidente di Gruppo Saviola afferma che il gruppo salva diecimila alberi ogni giorno grazie all’utilizzo di legno post consumo.

All’interno del padiglione, invece, i visitatori potranno osservare uno spazio composto da oltre cento pannelli del marchio (in legno riciclato al 100%).

Tali unità sono caratterizzate da finiture particolari definite grazie al trattamento digitale del legno stesso, per riportare più design.

          

Produzione del legno

Il legno è quotidianamente lavorato per la produzione di migliaia di oggetti, accessori e mobili di arredamento.  Fondamentalmente anche per i trasporti (pallet), il riscaldamento (pellet) e l’edilizia.

Rappresenta una risorsa importantissima che può essere riusata quasi all’infinito e per questo ha un valore rilevante (anche dal punto di vista economico).

L’Italia si impegna quotidianamente sul fronte del riciclo tanto da riportare cifre eccezionali che definiscono anche un’ottima filiera del riuso.

         

Il legno in cifre

Le analisi descrivono una realtà ben precisa: nel 2021 sono stati immessi al consumo 3.394.066 tonnellate di imballaggi di legno. Di queste, 1.951.251 tonnellate sono state recuperate e riciclate, contando il 64,75% di imballaggi riusati.

Anche nei trasporti invece cresce anche l’attività di rigenerazione: infatti sono state rigenerate 908.066 tonnellate di pallet, pari a circa 70 milioni di pezzi.

In Italia poi, esistono 70.000 aziende che danno lavoro a 294 mila persone. Le loro attività hanno determinato un fatturato di 49,3 miliardi di euro nel 2021 (un aumento del 14% rispetto il 2019).

Il dato è diviso in 2 sezioni: 18 miliardi derivano dalle esportazioni (tra cui Francia, Germania e USA sul podio) e 31 dalle vendite nazionali.

Questo significa che l’industria del legno comprende il 4,7% del fatturato manifatturiero nazionale, il 15% delle imprese e il 7,7% degli occupati.

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Anche le ferrovie possono produrre energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

By : Aldo |Aprile 03, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Anche le ferrovie possono produrre energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

Un ulteriore impiego del solare è stato ideato in Svizzera.

È probabile che tra qualche anno, anche le nostre ferrovie potranno produrre energia elettrica grazie alla luce solare.

Sun-Ways

Sun-Ways è una startup svizzera con sede a Ecublens, nel Canton Vaud (Svizzera occidentale) che vuole superare i limiti del solare.

La scommessa fatta dalla startup (e condivisa dallo stato) ha trovato una disposizione che promette molteplici benefici ambientali ed economici.

Fondata nel 2021, Sun-Ways ha come obiettivo quello di cambiare l’attuale modo di produrre energia elettrica con il solare, installandolo nelle ferrovie.

Lo studio

L’idea di posizionare pannelli fotovoltaici nello spazio tra le rotaie dei binari ferroviari deriva dall’ osservazione accurata del sistema tranviario.

Il fondatore dell’attività, Joseph Scuderi e il co-fondatore Baptiste Danichert hanno trovato una chiave innovativa per incrementare la sostenibilità energetica nazionale e mondiale.

Non a caso, affermano che questo piano potrebbe essere usato nella maggior parte delle linee ferroviarie del pianeta. I primi a credere nel loro progetto sono proprio i tecnici del l’EPFL, l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna.

Pannelli e treni

Il progetto è stato avviato sulla base dall’analisi dettagliata delle rotaie, dei loro spazi e delle misure, della velocità dei treni e via dicendo.

Questa affermò che lo spazio tra le rotaie dei binari era adeguato all’installazione di pannelli standard che non avrebbero ostacolato il movimento dei treni.

I pannelli larghi 1 m vengono posizionati facilmente nell’area descritta per poi essere fissati con un meccanismo a pistone. Mentre l’installazione vera e propria viene eseguita da un treno adibito alla manutenzione dei binari che dispone il fotovoltaico lungo le rotaie.

La caratteristica che differenzia il progetto di Sun-Ways da quello italiano di Greenrail o l’inglese Bankset Energy, è l’amovibilità del sistema.

Tale qualità garantisce la possibilità di svolgere lavori di manutenzione in totale semplicità, assicurando l’efficienza sia delle attività che del prodotto.

Il sistema potrebbe coprire i 5.317 km della rete ferroviaria svizzera, per un totale di 760 campi da calcio. In tal caso si produrrebbe 1 TWh di energia solare all’anno, dunque, il 2% dell’elettricità consumata nel Paese.

 

Cosa riserva il futuro

La startup ha l’obiettivo di espandersi in Europa toccando l’Italia, la Germania e l’Austria, ma guarda anche oltre oceano, verso l’Asia e gli USA.

Questo perchè ci sono 1 milione di km di ferrovie nel mondo; quindi, aumenta la possibilità di produrre energia rinnovabile con il nuovo sistema. Infatti, molti hanno già dichiarato il loro interesse verso il programma svizzero.

Ovviamente come ogni nuovo progetto sono stati sollevati molteplici critiche e dubbi, chiariti subito dai fondatori per via dei loro studi e della loro professionalità.

Le preoccupazioni riguardavano le possibili microfessure dei pannelli, il maggiore rischio di incendi nelle aree verdi e i probabili riflessi di luce sui macchinisti.

Tuttavia, Sun-Ways ha assicurato che i pannelli sono più resistenti degli altri e godono di un filtro antiriflesso per non distrarre i macchinisti. Inoltre, le spazzole all’estremità del treno sono in grado di rimuovere sporcizia dai pannelli che sono controllati per mezzo di sensori integrati.

Insomma, l’impresa è supportata dall’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, da una decina di partner attuali e chissà quanti futuri. Il sistema verrà lanciato il primo maggio, nell’area della stazione ferroviaria di Buttes, nella Svizzera occidentale, grazie all’investimento di 400.000 franchi svizzeri (circa 400.000 euro).

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Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

By : Aldo |Marzo 28, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, Rifiuti |Commenti disabilitati su Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per noi e per l’ambiente.

Bucce di arancia per la pelle sostenibile, canapa per i tessuti e ora tocca ai residui di pomodoro per sostituire un composto derivato dal petrolio.

       

La novità

La notizia arriva dalla Spagna, dove si sta testando un nuovo materiale protettivo per gli interni dei packaging in alluminio e metallo.

Lo studio è stato svolto dall’Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea “La Mayora” di Malaga e dall’Instituto de Ciencia de los Materiales de Sevilla.

Il team di scienziati ha trovato una soluzione sostenibile e più sicura a livello sanitario per la resina interna di lattine e altri imballaggi.

Si tratta dei residui di pomodoro che vengono utilizzati per rivestire l’interno di tali imballaggi, sostituendo una plastica meno sicura per l’ambiente e per l’uomo.

     

I residui delle zuppe

Lo studio si basa sugli scarti legati alla produzione di zuppe come il gazpacho, salse e succhi, quindi un mix di semi, bucce e piccioli.

Di solito, questi scarti vengono bruciati o usati come mangime per animali se non smaltiti come rifiuti.

Mentre con la lavorazione di tale materiale si ricava una sostanza idrorepellente, aderente al contenitore in grado di non essere corroso da liquidi acidi o sali.

        

Lavorazione

Il materiale viene lasciato asciugare e per mezzo di idrolisi si rimuove l’acqua per mantenere i lipidi (in questo caso vegetali).

Il grasso vegetale ricavato sarà unito ad una quantità minima di etanolo, rispettivamente l’80% e il 20%. Poi questa soluzione viene spruzzata sulla superficie metallica, di modo che aderisca alla forma e resista ai tagli successivi del contenitore.

      

Contaminazione

L’innovazione sostenibile diventa anche più sicura a livello sanitario poiché mira a sostituire l’attuale resina epossidica con una naturale.

Il rivestimento è una plastica ricavata dal petrolio contenente BPA (bisfenolo A), un composto chimico potenzialmente pericoloso per la salute.

Inizialmente venne scelto per proteggere gli alimenti dalle possibili contaminazioni dei metalli che costituivano il packaging, poi negli anni si verificò un fenomeno contrario.

Ossia, gli studi hanno confermarono la presenza di particelle dannose di BPA negli alimenti. Quindi il rivestimento proteggeva dai metalli, ma rilasciava a sua volta sostanze nocive per l’uomo, associate alla comparsa di diabete o cancro.

Non a caso la Spagna ne ha vietato l’uso.

         

Impatto ambientale

La nuova resina è altrettanto sicura per l’ambiente poiché formata da materiale di scarto e soprattutto prodotta con un processo a basso impatto ambientale.

Infatti, la sua produzione emette meno anidride carbonica rispetto a quella del bisfenolo A.

         

Insomma, ancora una volta la soluzione sostenibile si conferma sicura per l’ambiente e per la salute umana.
La transizione ecologica stanno evidenziando queste novità che probabilmente potrebbero essere lo slogan per accelerare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

Forse sottolineando i benefici per la nostra salute sarà più semplice diffondere l’importanza della sostenibilità.

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Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

By : Aldo |Marzo 27, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, menorifiuti |Commenti disabilitati su Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con la stessa struttura.

Il solare rappresenta una delle fonti rinnovabili di energia più comuni e diffuse al giorno d’oggi.

Tuttavia, i due metodi distinti che lo caratterizzano, hanno una base comune che garantisce dei benefici per l’uomo senza creare danni all’ambiente.

    

Termico e fotovoltaico

Prima di tutto è fondamentale ribadire che il termico e il fotovoltaico sono due tecnologie che sfruttano l’energia solare in due modi diversi.

I pannelli solari termici sono in grado di usare l’energia del sole per scaldare l’acqua ad uso domestico o per l’impianto di riscaldamento. Mentre i pannelli solari fotovoltaici sono capaci di convertire l’energia solare in energia elettrica.

In entrambi i casi, la fonte energetica è il sole, quindi i pannelli sono costruiti con delle variazioni a seconda della loro funzione. Tuttavia, negli anni, sono stati studiate varie strutture nelle quali concentrare tali unità per rendere efficace ed efficiente la produzione di energia rinnovabile.

Così sono state costruite delle torri solari, con l’obiettivo di produrre più energia usando il minor spazio possibile.

   

Torre solare

È un sistema di produzione energetica fondato sul concetto della serra e si compone di un parco di unità trasparenti, che circondano la torre stessa.

Alla base è posizionato il collettore: un piano di pannelli di vetro o plastica (aperto all’estremità) dove l’aria viene riscaldata dai raggi solari. In questo modo si crea l’effetto serra necessario.

Il collettore è collegato alla torre, alla quale convoglia l’aria calda e fredda, fino alla sommità insieme affinché si crei una corrente d’aria nel complesso.

Infine, le turbine tra le due strutture vengono attivate dalla corrente d’aria creando energia elettrica.

Il vantaggio deriva dal fatto che il calore può essere trasmesso dal suolo o dall’acqua sottostante i vetri, nelle ore successive (massimo 24 ore).

      

Torre solare a concentrazione

Tra i vari modelli realizzati, spiccano delle varianti che presentano una struttura simile, con qualche differenza nelle componenti o nel funzionamento.

Un esempio è il progetto tedesco HelioGLOW che è riuscito ad ottimizzare il solare a concentrazione. Si tratta di un impianto con un campo di specchi (eliostati) che circondano la base della torre, sulla cui sommità si trova un ricevitore.

Quest’ultimo contiene un fluido termovettore che viene riscaldato grazie ai raggi solari riflessi dagli specchi. Successivamente viene accumulato e inviato verso il generatore di vapore a cui cede il calore.

Il materiale in questione può scaldarsi anche oltre i 1000°C ed è sostenibile, poichè non corrosivo e prodotto per mezzo del riciclo.

Il progetto creato dal Fraunhofer ISE (Institute for Solar Energy Systems) è in grado di aumentare la resa e abbassare i costi di tale strumento.  Inoltre, è considerato come una delle soluzioni più potenti nell’ambito del concentrating solar system (CPS).

    

Torre fotovoltaica

Un secondo esempio arriva dalla Three Sixty Solar, azienda canadese che ha creato la torre che resiste agli uragani di categoria 1.

Difatti, oltre ad essere un’ottima struttura per produrre energia usando il 90% di suolo in meno, è pensata per la massima resa.

I pannelli posti in verticale non hanno bisogno di una pulizia costante (come quelli in orizzontale) nè dai rifiuti, nè dalla neve. Tale caratteristica fa sì che i moduli non subiscano variazione di tensione o corrente.

In più la torre è stata pensata per essere collocata nei paesi in cui il sole non è sempre disponibile, senza apportare cambiamenti dannosi all’ambiente.

La sua principale qualità è la resistenza a condizioni meteo particolari: nello specifico resiste a venti fino a 135 km/h, forti piogge, neve e grandine.  

       

Le torri solari sono l’ennesimo esempio di come la produzione energetica rinnovabile possa comportare benefici all’uomo evitando un impatto negativo sull’ambiente.

Sicuramente ci sono tanti aspetti delle nuove tecniche che devono essere migliorati, ma la soluzione è davanti i nostri occhi.

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Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

By : Aldo |Marzo 23, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

Ieri, mercoledì 22 marzo, si è celebrata la Giornata Mondiale dell’acqua, ma i dati pubblicati riguardo la questione siccità, non promettono nulla di buono.
Tuttavia, ci sono molteplici soluzioni che possono rimediare a tale problema.

   

Spreco in Italia

I dati riguardanti l’Italia descrivono purtoppo una situazione negativa, legata soprattutto ad una gestione della rete idrica poco attenta.

L’analisi, infatti, dimostra come tale questione sia una criticità anche rispetto alla carenza di acqua nel mondo.  L’Istat conferma che lo spreco d’acqua in Italia è pari alla quantità utile per 43 milioni di persone.

Si tratta di cifre altissime che devono essere categoricamente ridotte in poco tempo, per limitare anche i danni legati ai cambiamenti climatici.

   

La questione in numeri

Dallo studio emerge un costante peggioramento nell’arco degli ultimi 20 anni, che sembra non cambiare rotta.

Difatti nel 1999 in Italia venivano erogati 250 l/giorno pro-capite di cui si sprecava il 32,6%. Il report del 2012 invece, riportava un peggioramento poiché si calcolava una perdita del 37,4% di acqua su un totale di 238 litri/giorno.

Ovviamente con la regressione dell’efficienza della rete idrica, si sono ridotti i litri erogati e tale fenomeno è stato accertato dalle analisi successive.

Nel 2015 si erogavano 222 litri al giorno, mentre nel 2018 solo 217, con una perdita crescente, rispettivamente del 41,1% e del 42%. Al giorno d’oggi sprechiamo il 42,2% dell’acqua immessa in acquedotto.

   

Risolvere la “sete”

Di certo gli studiosi non hanno esitato a spiegare il problema per mezzo di paragoni concreti da intuire per una comunicazione di maggiore impatto.

Nel nostro Paese si perdono 157 litri/giorno per ogni abitante. Questo significa che in una realtà efficiente, si potrebbe soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone, ovvero più di 7 cittadini su 10.

Ancora si può citare la differenza tra volumi immessi e quelli erogati. Al giorno potrebbero essere distribuiti 8,1 miliardi di m3, equivalenti a 373 litri, ma se ne perdono 3.4 miliardi di m3.

Tale cifra è eguagliabile alla quantità di acqua necessaria per riempire il Colosseo più di 2300 volte.

    

Differenze tra regioni

Oltretutto, anche in questo settore è palese una grande disparità nella la gestione della rete idrica tra il nord e il sud dell’Italia.

La differenza è rilevante e come di norma, il nord gode di una qualità maggiore (fatta eccezione per il Veneto) rispetto al meridione.

Le regioni in cui si ha uno spreco superiore alle altre sono Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). 

   

Soluzioni

Fortunatamente tale problema è risolvibile tramite svariate azioni che ognuno può intraprendere per limitare il danno descritto.

Per questo motivo l’ENEA ha pensato di pubblicare un vademecum con il quale istruire i cittadini ad un uso più consapevole dell’“oro blu”.

Si tratta di tante piccole abitudini da modificare o di accorgimenti utili per salvaguardare un bene prezioso e vitale (in tutti i sensi).

     

Ad ogni modo, i possibili rimedi previsti da tale questione si dividono in due categorie. Ci sono quelli attuabili dai cittadini per mezzo di abitudini più accorte e sostenibili e quelli legati allo Stato (di solito i più rilevanti).

   

Se questi due tipi di soluzioni venissero affiancati, il fenomeno potrebbe essere attenuato se non risolto in minor tempo e con meno sforzi.

Come sempre, un pensiero sostenibile è necessario per migliorare il settore economico, sociale e ambientale.

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Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

By : Aldo |Marzo 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

Dal 2018 esiste il World Clean Up Day che si svolge nel mese di settembre per ripulire la natura dai nostri rifiuti.

Ma qualcuno ha pensato bene di occuparsi anche dei rifiuti “invisibili” e di sensibilizzare il mondo intero.

    

L’evento

Il 18 Marzo si è svolto il Digital Clean up Day, ovvero una giornata rivolta alla sensibilizzazione per quanto riguarda i rifiuti digitali.

Questo evento è stato pensato a seguito di attenti studi correlati alla quantità di dati conservati nei server e l’inquinamento che ne deriva.

Un problema sottovalutato che è stato riportato a galla da World Clean up Day France che lanciò l’iniziativa nel 2020 come di Cyber World CleanUp Day.

Difatti l’invito avanzato è quello di dare una seconda vita ai dispositivi digitali, ripulire le loro memorie e di non inviare mail e messaggi superflui.

Tale iniziativa è stata condivisa (per ora) da 91 paesi in tutto il mondo.

    
Inquinamento digitale in cifre

I dati che girano nella rete sono infiniti, ma essendo numeri e codici chiusi in un mondo invisibile, non vengono presi in considerazione come rifiuti.

In realtà, messaggi, mail, video, foto e lo streaming hanno un costo molto elevato che solitamente viene ripagato a spese dell’ambiente.

In Italia l’evento è stato condiviso dal presidente della no-profit “Let’s do it Itay”, Vincenzo Capasso, che ha condiviso un elenco dettagliato di dati importanti.

Gli esempi riportati riguardano il mondo dello streaming, le e-mail e la messagistica e le emissioni di CO2 legate a tali attività.

     

Infatti, se 70 milioni di abbonati in streaming, riducessero la qualità dei video, si taglierebbero mensilmente 3,5 milioni di tonnellate di CO2 .

Tale cifra è pari al 6% del consumo mensile di carbone negli USA, si tratta quindi di un inquinamento abbastanza rilevante.

Ancora, le e-mail sono un altro fattore importante al centro di questa situazione.

Secondo le analisi il 60% delle e-mail non viene aperto, e di norma ne vengono inviate 62 trilioni in spam. Per questo si consiglia di disiscriversi dalle mailing list per evitare di creare nuovi dati superflui che verranno tenuti nel server per mesi. 

    

Si citano anche le videochiamate: mezzo di comunicazione che favorisce gli incontri a distanza, sempre più in voga soprattutto dopo la pandemia.

È stato stimato che se un impiegato segue 15 ore di riunioni online, con la videocamera accesa, emette 9,4 kg di CO2 al mese. Mentre solo spegnendo la videocamera, si ridurrebbe la stessa quantità di emissioni create dalla carica notturna di un telefono per tre anni.

  

Anche i bitcoin hanno il loro ruolo, poiché il mining, richiede tanta energia quanta quella consumata in Nuova Zelanda in un anno.

     

Consumo energetico

Ovviamente non si parla solo di emissioni di gas serra ma anche del consumo di energia legato a questo settore.

Non a caso tutti questi “rifiuti digitali” si trovano nei backup dei server, che con i servizi di cloud usano costantemente energia elettrica.

Per esempio, Google, usa 15.616 MWh di energia al giorno, che sono più di quelli prodotti dalla diga di Hoover. In pratica Google potrebbe alimentare un paese di un milione di abitanti per un giorno.

Forse il problema più grande sta nel fatto che internet è alimentato principalmente da combustibili fossili. Quindi foto, video, click, email ecc superflui, oltre allo streaming passivo, determinano l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2 .

    

In conclusione, il mondo del web è immenso e allo stesso tempo invisibile si nostri occhi, ma grazie a tali studi lo conosciamo in maniera più approfondita.

Sarebbe auspicabile quindi che ognuno cambi ulteriori abitudini ma ancor di più che si sensibilizzi il mondo intero su questo argomento così importante.

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