Arte sostenibile

Stop al glitter in Europa: dal 15 ottobre sarà vietata la vendita.

By : Aldo |Ottobre 12, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Home, plasticfree |Commenti disabilitati su Stop al glitter in Europa: dal 15 ottobre sarà vietata la vendita.

Le microplastiche sono purtoppo ovunque, in grandi quantità e recano sempre più danni al pianeta, quindi è necessario limitarne la dispersione. Negli ultimi anni sono passate leggi molto specifiche per quanto riguarda la plastica ed ora ne arrivano di nuove.

   

Il glitter

Tutti o gran parte della popolazione mondiale ne ha fatto uso almeno una volta. Con il termine “glitter” si indica un vasto assortimento di piccolissimi frammenti delle dimensioni massime di 1 mm². Sono costituiti principalmente di copolimeri quasi impercettibili di lamine di alluminio, diossido di titanio, ossido di ferro, ossicloruro di bismuto e altri ossidi o metalli.  Questi minuscoli frammenti sono poi dipinti con colori iridescenti che riflettono la luce nello spettro visibile: da qui la magia dei brillantini.

    

Il periodo della sua creazione non è certo e varia tra il 1934 e il secondo dopo guerra. Non ci sono dubi invece sulla sua funzione: far brillare o rendere sfarzoso un oggetto o la propria pelle (per mezzo di cosmetici).  Nonostante ciò abbia contribuito a far “brillare” il pianeta, il glitter, come ogni altro tipo di microplastica è pericoloso per gli ecosistemi e per l’uomo.

    

I danni recati all’ambiente

Le microplastiche (categoria che include il glitter) sono arrivate ovunque. È di qualche mese fa la notizia che sono state ritrovate loro tracce anche nella placenta umana.  Inoltre, uno studio sulla rivista Aquatic Toxicology conferma la presenza di ben 8 milioni di tonnellate di glitter e altre microplastiche simili negli oceani. Una cifra assurda, che va oltre qualsiasi aspettativa e che va ridotta il prima possibile.

  

L’Unione Europea ha deciso dunque di bloccare il commercio di glitter sfuso e/o incluso in altri prodotti, per limitarne sempre più la dispersione in acqua e quindi nel mare.

   

Vietato il glitter dal 15 ottobre

Pertanto, dal 15 ottobre la UE vieta il glitter contro l’inquinamento da microplastiche. Questo significa che da domenica non si potranno più commercializzare prodotti con glitter come biglietti di auguri e creme per il trucco.  La restrizione riguarda tutte le microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti e che contengono sostanze chimiche pericolose per la natura. Elementi che si trovano anche in oggetti di vario tipo e impiego, o usati per l’edilizia, soprattutto di superfici sportive artificiali.

    

Con tale legge, si prova a limitare la dispersione in ambiente delle microplastiche di almeno il 30% entro il 2030. Tale settore determina un giro economico del valore di quasi 1 miliardo di euro all’anno, ma che ha un impatto molto pericoloso per tutto e tutti. Si pensi che solo in Europa si stima che ogni anno vengano rilasciate 42 mila tonnellate di microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti.

 

Il divieto è fondato su un’attenta analisi della consulenza scientifica dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA). Quest’ultima ha consigliato il divieto di polimeri sintetici inferiori a 5 mm che resistono alla degradazione, tra cui appunto il glitter e poi:

  • specifici prodotti per le unghie,
  • una serie di cosmetici “leave-on” come fondotinta, eyeliner, mascara, rossetti e smalti (di cui sarà rivisitata la composizione).
  • microsfere per l’esfoliazione,
  • componenti di detersivi, ammorbidenti,
  • fertilizzanti
  • materiale granulare usato per le superfici sportive.

Tuttavia, restano esclusi alcuni prodotti che contengono microplastiche ma non le rilasciano in natura, come materiali da costruzione e prodotti oggi utilizzati in siti industriali. Ovviamente anche per loro sono arrivate delle raccomandazioni, indicando la necessità che le industrie trovino delle alternative “green”.

 

L’effetto indesiderato

La legge che entrerà in vigore da domenica 15 ottobre ha spaventato chi dei glitter ha fatto una scelta di vita. Soprattutto in Germania si è verificato un processo inverso, ovvero un boom di vendite dei prodotti “brillanti”. Addirittura, si parla di “isteria da glitter”. Nel quotidiano Bild si racconta come alcuni VIP tedeschi stiano correndo per accaparrarsi più glitter possibile prima che non sia più reperibile sul mercato.

  

Comunque sia, questo passaggio è parte di un disegno più ampio che mira a diminuire la continua diffusione di prodotti polimerici in natura. È un programma parallelo allo sviluppo in corso per un Trattato globale sulla plastica.

Di certo non sarà facile vietare prodotti di ampio consumo ordinario, ma è un passo che va fatto per proteggere il pianeta e noi stessi.

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Smartphone e tablet: quale valore hanno una volta arrivati a fine vita?

By : Aldo |Ottobre 10, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Smartphone e tablet: quale valore hanno una volta arrivati a fine vita?

Il riciclo ci permette di ridurre il numero di rifiuti nelle discariche e di emissioni di CO2 nell’atmosfera. Oggi è un processo ancora più rilevante per l’ambiente e la sostenibilità, ma, nonostante ciò, non è ancora ben sviluppato in tutti i settori. Quello dei dispositivi elettronici sembra essere in difficoltà.
   

Smartphone e tablet

I dispositivi elettronici “smart” sono nelle nostre vite da un decennio e hanno rivoluzionato totalmente la quotidianità di tutti. Dove con l’aggettivo “smart” si intende con capacità di calcolo, memoria e connessione per l’impiego di funzioni avanzate tramite app e navigazione Internet.

  

Nell’arco di soli 8 anni, i numeri relativi agli smartphone sono duplicati: oggi se ne contano 6,8 miliardi, mentre nel 2016 erano “solo” 3,6 miliardi. Tuttavia, in generale, i telefoni mobili (“smart” e non) utilizzati oggi nel mondo sono 7,3 miliardi.  A questi numeri sarebbe opportuno aggiungere oltre 500 milioni di cosiddetti “feature phones”. Si tratta di telefoni cellulari di base, privi di sistemi operativi complessi che possono essere utilizzati semplicemente per l’utilizzo delle applicazioni.

  

Per quanto riguarda l’Italia, il 77% delle persone possiede un telefono e le stime sulle loro spese creano un ampio quadro dell’economia tecnologica.  Infatti, secondo il V Rapporto Censis-Auditel, nel 2021 nella Penisola sono stati pagati più di 7,8 miliardi di euro per l’acquisto di telefoni e apparecchiature telefoniche. Una spesa che rispetto al 2017 è aumentata del 92%: si tratta dell’incremento più elevato registrato in assoluto per le varie voci di spesa.

Tali cifre rendono l’idea sull’ importanza di questi dispositivi, che tuttavia, una volta obsoleti diventano oggetti e reperti storici nei nostri cassetti.

   
Il valore di uno smartphone

Attualmente abbiamo consorzi di riciclo per molteplici tipi di rifiuti come plastica, carta, vetro, alluminio. Questi sono molto sviluppati poiché correlati ad una grande quantità di prodotti che utilizziamo quotidianamente, creando un’importante mole di rifiuti. Proprio per questa ragione e viste le cifre riportate precedentemente, sarebbe opportuno promuovere maggiormente le procedure di riciclo e riuso degli smartphone. Poiché una volta esausti, non vengono valorizzati, come anche tablet e altri dispositivi elettronici.

  

Quello che non tutti sanno però è che quegli oggetti hanno elevato valore, soprattutto se introdotti in una realtà di economia circolare. Tale caratteristica deriva dagli elementi di cui sono composti, ossia materie prime critiche (o terre rare) come cobalto nella batteria, indio nello schermo. O ancora tantalio, gallio e metalli preziosi nel circuito stampato; sono tutti materiali che se recuperati possono essere impiegati nuovamente in altri prodotti. In questo modo si riducono i costi e le emissioni di produzione e si evita la continua estrazione mineraria. Per questo è fondamentale incentivare la riparazione e il riutilizzo di piccoli dispositivi elettronici, nonché il riciclo quando arrivano a fine vita.

   

Riciclo e Riuso

Attualmente gli europei potrebbero restituire smartphone usati per 700 milioni di pezzi, che oggi sono chiusi in un cassetto. Non a caso la Commissione Europa ha deciso di adottare una serie di raccomandazioni politiche per migliorare e incentivare la restituzione dei dispositivi. Tra loro sono inclusi telefoni cellulari, tablet, laptop usati e i relativi caricabatterie.

  

Il vademecum mira a supportare le autorità nazionali nel massimizzare riutilizzo, riparazione e recupero di questi piccoli dispositivi elettronici. Anche perché oggi il tasso di raccolta dei telefoni cellulari è oggi inferiore al 5% in Europa. Tra le raccomandazioni, Bruxelles chiede ai paesi membri di mettere proporre incentivi finanziari come sconti, buoni, sistemi di restituzione o premi monetari. In questo modo i cittadini europei sarebbero spinti a restituire i loro dispositivi usati alimentando un ciclo “green”. Senz’altro è necessario aumentare l’uso dei servizi postali per la restituzione e promuovere partnership. Per esempio, potrebbero collaborare i consorzi che si occupano della raccolta dei rifiuti e le realtà che preparano i dispositivi elettronici per il riuso.

   

Tutti questi consigli si concretizzano con la nascita di realtà in questo settore o con una maggiore sensibilizzazione sul tema. Dunque, ecco cosa possiamo fare con un dispositivo elettronico esausto:

  • venderlo su siti specializzati o negozi reali per prodotti elettronici di seconda mano;
  • convertirlo in una sveglia, un telecomando, una telecamera di sorveglianza, una cornice digitale e un localizzatore;
  • portarlo nei negozi di elettronica, che sono obbligati a ritirare i vecchi apparecchi;
  • rottamarlo per ricevere in cambio denaro, buoni regalo o altro;
  • donarlo durante le iniziative di beneficenza che vedono protagonisti i cellulari

Coem vediamo un telefono può avere mille funzionalità diverse, l’importante è che non venga buttato nel cestino.  Se propri vogliamo disfarci di tali prodotti è meglio portarli in un’isola ecologica che tratta i materiali RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). Altrimenti, se non conferiti negli appositi impianti di trattamento, diventano un pericolo per l’ambiente a causa dei veleni tossici che liberano.

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Dal sughero alla pelle vegana: il progetto della startup Lebiu.

By : Aldo |Ottobre 03, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Dal sughero alla pelle vegana: il progetto della startup Lebiu.

Il settore tessile ha bisogno di una grande innovazione legata alla sostenibilità. Negli ultimi anni sono state sviluppate le idee più disparate per poter rendere più “verde” il settore tessile, uno dei più inquinanti al mondo.  Ecco una novità.

 

Lebiu

La startup Lebiu nasce come una realtà sarda fondata da Fabio Molinas e Alessandro Sestini. I due soci derivano da settori diversi: il primo ha studiato industrial design e poi ha fatto esperienza in accademia in Spagna dove ha vissuto 11 anni. Il secondo invece è più specializzato nell’ambito finanziario e commerciale.

  

Insieme, oltre a fondare una startup, hanno creato un nuovo tessuto composto di scarti, ma non si tratta né di plastica, né di frutta. I due hanno pensato di usare gli sfridi di sughero per rivoluzionare il campo della moda. Borse, abbigliamento e accessori, sono composti da un nuovo materiale, derivato da scarti naturali e abbinato a elementi plant-based. Questa è la descrizione dei prodotti Lebiu.

 

Il sughero nel tessile

L’idea iniziale deriva dai ricordi d’infanzia di Molinas, originario di Caragianus in Gallura, il maggiore centro di produzione di tappi di sughero dell’isola.  In quelle terre la maggior parte delle famiglie ha lavorato nell’industria del sughero, quindi il materiale, ha determinato gran parte dell’infanzia del founder, il quale racconta:

ci sono cresciuto e fin da bambino ho sempre giocato con gli sfridi, la polvere generata da questa attività”

Nelle industrie, tonnellate di materiale di scarto viene incenerito poiché solo una piccola parte viene usata per la colmatazione dei tappi più pregiati. Pertanto, dopo 11 anni in Spagna, l’expat è tornano in Italia con un’importante formazione alle spalle, un’idea innovativa e la voglia di cambiare il mondo.

 

Il progetto e il materiale.

Il progetto nasce dalle conoscenze legate ai ricordi d’infanzia di Molinas e quelle riguardanti il settore tessile.  Infatti, afferma che gli sfridi sono in realtà una vera e propria farina che spesso veniva legata con la colla. Da qui si lavorava fino a renderla una sorta di plastilina da modellare dopo un passaggio in forno. Quindi l’idea c’era, il materiale pure e in abbondanza, mancava solo la realizzazione del nuovo prodotto che necessitava di fondi. A questo ci pensò la Commissione Europea che riconobbe un programma di incentivi dedicato alle industrie creative capaci di ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile.

 

Corskin

Il prodotto su cui converge tutto: una specie di simil pelle (al tocco) costituita da un alto contenuto di particelle di sughero. Queste ultime sono accompagnate da resine plant-based provenienti da coltivazioni OGM-Free e da campi non sottratti all’agricoltura per l’alimentazione. Si tratta di un tessuto resistente alla corrosione, impermeabile e personalizzabile con varie texture e finissaggi. In aggiunta, impedisce la formazione di muffe, per mezzo delle cere e dei tannini presenti nella biomassa, è durevole, non scolorisce ed è elastico. Infine, l’aumento dello spessore non incide sul suo peso, come invece avviene con altri materiali tecnici o naturali. L’unica pecca riguarda la lavorazione che attualmente elimina ogni profumo e odore ma la squadra è già alla ricerca di una soluzione.

Tale materiale nasce dalla combinazione di collanti alimentari che si impiegano per quelli conglomerati. Successivamente, grazie alla collaborazione con imprese specializzate in spalmati sintetici e tessili del nord Italia, la startup ha raggiunto il suo obiettivo, una struttura multistrato. Senza dubbio, Corskin è una valida alternativa che riduce l’impatto ambientale.

   

Nanocork

Attualmente è una linea secondaria dell’impresa. È un finissaggio naturale applicabile sui capi di aziende terze grazie a un processo di micronizzazione delle particelle di sughero e acqua. Questo materiale consente di risparmiare fino al 90% di acqua, prodotti chimici, ed energia e di distinguere il tessuto dagli altri. Per esempio, aumenta le prestazioni del capo in termini di isolamento termico e antistaticità ed ha un effetto naturalmente invecchiato. Quest’ultima caratteristica deriva dall’uso un pigmento naturale abbinato a sfridi, acqua e altri componenti, nebulizzato in ambiente controllato su tessuti.

Tali processi sono molto più sostenibili poiché generalmente la tintura di una maglietta comporta l’utilizzo di grandi quantità d’acqua: dai 60 ai 100 litri. Mentre con Nanocork per ogni chilo di vestiti ne basta solo un litro e mezzo.

   

Lebiu ha quindi creato dei prodotti che hanno un impatto ambientale è molto ridotto. Anche perchè si basa su una filiera di produzione controllata con certificazioni GRS (Global Recycled Standard) e USDA per il contenuto Bio-based. Valore che può variare a seconda dei prodotti, da un 45% a un 80%, con l’obiettivo di raggiungere il 95%. Con tali procedimenti e secondo le stime della società, per ogni metro di Corskin si evita l’immissione di 4,5 kg di CO2 in atmosfera.

  

Il prezzo è in linea con i tessuti di fascia medio-alta ma anche per la fascia premium degli alberghi e per l’arredamento.
Dunque, Lebiu è una realtà che ha fatto di una polvere di scarto, un tessuto di alto valore ma di basso impatto ambientale. Le vie per migliorare la nostra impronta sul pianeta sono migliaia, basta solo percorrerle nel modo e con i tempi più adeguati.

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“Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

By : Aldo |Settembre 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare |Commenti disabilitati su “Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

Il nostro pianeta gode di un’immensa biodiversità di specie animali e vegetali, con caratteristiche pazzesce spesso straordinarie.

E proprio grazie a tali qualità e alla ricerca, queste specie possono venire in nostro soccorso in molteplici ambiti e in varie modalità.ù

    

La depurazione delle acque reflue

Il processo di depurazione delle acque reflue è un’operazione complessa ma necessaria, per la salute di ogni popolazione e del territorio. É un’attività che si sviluppa per mezzo di una combinazione di trattamenti meccanici, chimici e biologici con l’obiettivo di rimuovere gli inquinanti dall’ acqua di scarico. In tal modo è possibile renderla abbastanza pulita da poter essere rilasciata nel suolo o nei corpi idrici senza danneggiare l’ambiente.

   

In Italia, La depurazione delle acque reflue come la intendiamo oggi si è diffusa dagli anni ’70. In quel periodo venne affrontato con particolare attenzione il tema e venne istituita la legge Merli (legge 319 del 1976). Quest’ultima, fu una mossa fondamentale, poiché vennero stabilite le concentrazioni limite dei parametri delle acque di scarico.

   

Solitamente distinguiamo due fondamentali tipologie di acque di scarico: gli scarichi civili e gli scarichi industriali. I primi, detti anche acque reflue urbane comprendono le acque di rifiuto domestico e le acque di ruscellamento, ossia l’acqua che finisce nei tombini stradali. Mentre i reflui industriali includono acque di scarto e la tipologia di inquinanti presenti varia a seconda del processo industriale utilizzato. Non a caso alcune attività (lavanderie industriali, cantine vinicole, industrie chimiche) sono obbligate trattare preventivamente le loro acque reflue.

    

La novità

È chiaro che il depuratore sia un importante mezzo per la salubrità di ogni cittadina. Tuttavia, per la sua funzione occupa ancora tanto spazio e in alcuni casi, se poco efficiente, potrebbe non filtrare alla perfezione. Pertanto, come qualsiasi tecnologia, sono ancora in corso degli studi per migliorare e rendere sempre più efficienti questi sistemi fondamentali.

Tra i vari casi, oggi si parla di una depurazione delle acque reflue, più specifica grazie all’introduzione di “pulci d’acqua”. Si parla dell’esperimento dell’Università di Birmingham, svolto da una squadra che ha dimostrato impressionanti capacità di depurazione delle acque reflue.

L’esito positivo dell’esperimento fa pensare che possano essere impiegate in tanti ambiti o semplicemente, possano essere introdotte in più depuratori. Si tratta di una soluzione più che ecologica, visto che per la loro attività non verrà consumata energia in più e non ci saranno ulteriori emissioni.

    

Le “pulci d’acqua”

Non si tratta pulci, ma di un gruppo di oltre 450 specie di minuscoli crostacei che vivono dentro laghi, stagni, ruscelli e fiumi. Gli individui del genere Daphnia sono organismi che filtrano il cibo, ingerendo eventuali piccole particelle di detriti, alghe o batteri nel processo. Vista la loro propensione a filtrare di tutto, sono stati selezionati per l’esame. Gli studiosi hanno pensato che probabilmente avrebbero potuto ingerire anche qualcosa di peggio, come sostanze chimiche tossiche.

  

L’introduzione di questa specie nel processo di trattamento deriva dalla problematica per la quale gli impianti di trattamento non siano così efficienti. Tali sistemi oggi non rimuovono tutti i contaminanti, anzi molti sfuggono ai filtri dei depuratori, e tornano nell’ambiente, danneggiando noi e la natura.

   

Così sono stati selezionati embrioni dormienti recuperati sul fondo dei fiumi: nello specifico ceppi dal 1900, 1960, 1980 e 2015.  Arrivati in laboratorio, hanno cresciuto le popolazioni di pulci clonando e testato il loro patrimonio genetico e le loro capacità di sopravvivenza. Successivamente hanno testato le capacità di aspirazione, prima in acquario, poi in 100 litri d’acqua, poi in un impianto da oltre 2.000 litri. I risultati strabilianti hanno portato alla scoperta di caratteristiche specifiche della specie.

   

I risultati

Gli inquinanti presenti nelle acque, che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari sono

  • Diclofenac, farmaco;
  • Atrazina, pesticida;
  • Arsenico, metallo pesante;
  • PFOS, prodotto chimico industriale, impermeabilizzare i vestiti.

Ricordiamo che alcuni embrioni scelti, si erano depositati in periodi in cui le sostanze inquinanti erano più diffuse. Mentre altri erano più “ingenui”, poiché originarie di periodi in cui i contaminanti erano assenti (come nel 1900).

Quindi erano possibili vari esiti, ma hanno prevalso quelli positivi, al punto che Karl Dearn co-autore dello studio afferma:

 

Abbiamo sviluppato il nostro bioequivalente di un aspirapolvere Dyson per le acque reflue, che è molto, molto emozionante”

Infatti le pulci d’acqua sono state in grado di assorbire il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del PFOS. L’ultima percentuale, per quanto fosse la minore rispetto alle altre, determina una scoperta rilevante e una specifica caratteristica della specie. Luisa Orsini co-autrice dello studio dichiara che tale rimozione è eccellente rispetto a ciò che esiste ora. Questo perchè perché nulla rimuove o metabolizza i PFOS in questo modo, e altri sistemi sono estremamente costosi, e producono molti sottoprodotti tossici.

 

La nuova tecnica è efficiente anche perchè le pulci sono autosufficienti (si riproducono per clonazione) e si autoregolano. Ossia aumentano o riducono la popolazione a seconda dei nutrienti disponibili. Inoltre, data la loro adattabilità, le pulci potrebbero essere impiegate in tanti altri tipi di sistema. Senza contare il fatto che si tratta di un agente economico e privo di emissioni di carbonio, potrebbe trattarsi di una soluzione sofisticata.  O comunque potrebbe essere usata per impianti di trattamento delle acque e nei paesi in via di sviluppo con meno infrastrutture

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Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.

By : Aldo |Settembre 26, 2023 |Arte sostenibile, Clima, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.

Temi come la cura dell’ambiente, la sostenibilità e la sensibilizzazione dei cittadini sono sempre più citati e intrapresi in vari ambiti.
Sicuramente se ne parla a scuola, in politica, sul web ed ora anche in una rassegna cinematografica.

   

Cinema In Verde

A fine settembre si svolgerà il primo festival di cinema ambientale a Roma. Un’occasione unica per raccontare la difesa dell’ambiente e della natura attraverso film e tante altre attività ad essi correlate. Il principio è proprio quello di far aprire gli occhi con storie di inchiesta, di presa di coscienza, di ecosistemi che resistono.

   

L’iniziativa avrà luogo, in posto magico quale l’Orto Botanico di Roma, (Polo Museale della Sapienza) culla di biodiversità, istruzione e sensibilizzazione. La prima Università di Roma e Silverback (agenzia di comunicazione green) si affiancheranno in questa nuova avventura all’insegna del cinema “verde”.

   

L’evento che avrà inizio venerdì 28 settembre e terminerà domenica 1° ottobre, sarà promosso dall’Assessorato all’agricoltura, all’ambiente e al ciclo dei rifiuti. Mentre sarà patrocinato dall’Assessorato alla Cultura e dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Il Cinema In Verde è organizzato in collaborazione con FilmAffair, Zen2030 e Green Influencer Club, food partner Punto Mobile.

    

La sensibilizzazione

L’evento è stato definito “carbon neutral” grazie al lavoro svolto dalla società benefit Zen2030. Infatti, durante il festival, i consumi di molteplici ambiti saranno monitorati, registrati e tradotti in emissioni di CO₂eq. Si parla di consumi legati alle categorie energia, mobilità, trasporti, ristorazione, materiali, alloggi e rifiuti.

   

Oltre al monitoraggio e alla rendicontazione saranno attuate altre forme di compensazione e attenzione nei confronti dell’ambiente:

  • l’energia usata deriverà dalla rete elettrica dell’Orto Botanico che proviene da fonti rinnovabili;
  • verrà incentivato l’uso di mezzi sostenibili per l’arrivo al festival (mezzi pubblici, bicicletta, mobilità elettrica e condivisa). E per i partecipanti internazionali è stato consigliato il treno piuttosto che l’aereo;
  • é stata adottata una politica plastic free preferendo materiali a consumo a minor impatto ambientale. Molti materiali sono stati noleggiati e sono stati scelti fornitori locali, provenienti da Roma e dal Lazio;
  • l’offerta di ristoro è prevalentemente vegetariana, con coperti lavabili o totalmente compostabili;
  • a chiusura dell’evento le emissioni residue, ovvero quelle che non sarà stato possibile evitare, saranno compensate attraverso progetti certificati legati alla transizione energetica verso fonti rinnovabili.

Il festival

Per quanto riguarda la rassegna cinematografica, si prevede la proiezione di sei pellicole d’autore, all’interno di un’arena interna e una esterna. Tali film sono destinati a un pubblico vasto ed hanno come trama principale una storia godibile e interessante con un significato ambientale. Tuttavia, l’evento non consisterà nella sola visione di film, ma anche allo sviluppo di varie attività connesse ai due temi in esame.

   

Pertanto, è prevista una rassegna di film già usciti in sala che hanno risvegliato la nostra attenzione sui temi ambientali. Successivamente si affronteranno dibattiti a cui parteciperanno personaggi dello spettacolo come Paolo Virzì, Claudia Gerini, Andrea Pennacchi e della ricerca.

     

I sei film in concorso sono:

  • GREEN TIDE, di Pierre Jolivet;
  • THE DAM, di Ali Cherri;
  • THE HORIZON, di Emilie Carpentier;
  • AND THE BIRDS RAINED DOWN, di Louise Archambault;
  • PLUTO, di Renzo Carbonera;
  • BEATING SUN, di Philippe Petit.

La giuria sarà composta da

  • Laura Delli Colli, giornalista e scrittrice;
  • Thony, attrice e cantautrice;
  • Andrea Grieco, divulgatore e attivista;
  • Rossella Muroni, Nuove Ri-Generazioni;
  • Claudia Campanelli, giornalista e autrice;

Inoltre, sono stati organizzati workshop ogni mattina per capire come si pensa e si realizza un documentario ambientale. E come alla fine di ogni festival o concorso che si rispetti, il vincitore riceverà il primo premio Ginkgo d’oro. L’iniziativa consente così di veicolare dei messaggi fondamentali, di dare varie e nuovi spunti di riflessione sul tema e incrementare la sensibilizzazione. Non a caso, la citazione del regista Ingmar Bergman, scelta per questa iniziativa racchiude tutta l’anima del festival:

  

Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”

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I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

By : Aldo |Settembre 11, 2023 |Arte sostenibile, Home, mare |Commenti disabilitati su I nuovi reef e le ostriche: come possiamo rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

Abbiamo già parlato di come la natura spesse volte si possa curare, rigenerare e recuperare attraverso le sue stesse risorse. Stavolta si tratta del mare e dei suoi abitanti, ma soprattutto di come possiamo sanificarlo con processi naturali e poco invasivi.

Le barriere coralline

Tutti abbiamo in mente un’immagine di una barriera corallina: solitamente si pensa ai coralli colorati, a pesci di varie specie, spugne ed altro. Effettivamente le barriere sarebbero così se non avessimo inquinato il mondo intero e quindi anche il mare, con un’azione diretta e negativa sulla loro salute. Le barriere coralline non sono solamente un elemento marino che crea un bel paesaggio. Si tratta di strutture che ospitano una biodiversità unica al mondo quindi proteggerle significa tutelare il patrimonio naturale ma anche altro. Un esempio sono le comunità che da esse dipendono sia economicamente che socialmente legate per l’appunto alla biodiversità che le abita. Precisamente ci sono centinaia di milioni di persone che grazie al coralligeno hanno un indotto economico e anche del cibo.

   

Le minacce e il pericolo

Nonostante abbia dei ruoli importanti come quello di nursery, di sink di carbonio e di centro di biodiversità, la barriera corallina è in grave pericolo. Il problema? Sempre lui, il cambiamento climatico (o potremmo dire l’uomo), che ha portato ad un “elevato rischio di estinzione” i coralli.  Questa situazione è scaturita da una serie di eventi correlati all’uomo, quali la pesca, la distruzione di habitat e l’inquinamento e l’innalzamento delle temperature.  

   

Per la velocità e l’intensità dei cambiamenti climatici è già prevista una perdita del 50% nei prossimi 30 anni.  Nello specifico, gli studi affermano che, con un aumento della temperatura di 1,5°C, potremmo perdere il 90% delle barriere coralline, con 2°C scomparirebbero totalmente.  Per comprendere bene quello che sta accadendo si può riportare un esempio pratico. Dal 2009 al 2019 le barriere hanno subito ripetuti ed estesi eventi di mortalità di massa, causando una riduzione delle aree del reef del 14%.

    

Si potrebbe pensare sia una cifra minima, ma in realtà rappresenta una perdita di superficie pari all’area totale coperta dalle barriere coralline australiane. Pertanto, ricercatori, biologi marini e ambientologi da anni studiano delle tecnologie per ripristinare questi habitat, la loro biodiversità, dunque le attività umane ad essi correlate.
  

I nuovi reef

I progetti per cambiare rotta sono molteplici e tra i tanti possiamo descrivere uno particolare. Si tratta di un progetto di rigenerazione del mare parte dallo sviluppo di una specie di barriera corallina derivata dalle ostriche. Il piano prevede un arricchimento della biodiversità che determina importanti benefici socio-economici per il territorio in cui verrà sviluppato.  Il programma ideato dall’ENEA mira alla creazione di prototipi di reef, realizzati con scarti di allevamento dei molluschi quali gusci di militi e fibre naturali.

   

Ci sono invece altri programmi a livello internazionale che mirano alla rigenerazione del coralligeno per mezzo di una coltivazione di coralli. Si parla di aree sul substrato marino che accolgono delle strutture nelle quali sono disposti frammenti di coralli, che cresceranno con il tempo.

   
Le ostriche e L’ENEA

Il primo progetto citato ha come obiettivo quello di ripopolare con l’ostrica piatta europea il mare del Golfo di La Spezia. Si sviluppa in collaborazione con la Cooperativa Mitilicoltori Associati di La Spezia, rientrando anche nel progetto PNRR RAISE. Quest’ultimo (Robotics and AI for Socio-economic Empowerment) è un programma usato per consolidare l’innovazione ad alta vocazione tecnologica tra le filiere portanti dell’economia ligure.Prevede un budget di 120 milioni di euro a valere sulle risorse previste per il PNRR. In aggiunta il piano segue i principi della rete Native Oyster Network, un organo consultivo già attivo in altre nazioni come l’Irlanda e il Regno Unito.

  

E come se non bastasse, l’ENEA e la Cooperativa, sono parte di Smart Bay S. Teresa, un centro di ricerca specializzato negli ecosistemi calcificanti. È un laboratorio dedicato anche a tutto quello che concerne la rigenerazione dell’ambiente e delle aree portuali e la valorizzazione degli scarti dell’acquacoltura.

   

Perchè proprio l’ostrica piatta

La scelta di questa specie ovviamente non è casuale, anzi deriva dalla sua capacità di rigenerare gli ambienti marini e fornire altri servizi ecosistemici.

Tra le varie azioni svolte dall’ostrica piatta si possono citare la regolazione del clima e il mantenimento della biodiversità. In più, essendo un filtratore aiuta a mantenere pulita l’acqua, senza dimenticare una delle sue funzioni più legata all’uomo, ossia l’essere fonte di cibo.

  

È un mollusco originario dell’Europa, che cresce lentamente e che può formare strutture molto simili ad una barriera corallina. Pertanto, è capace di creare un habitat adatto a pesci giovani (se non nursery), granchi, lumache di mare e spugne. Le capacità dell’ostrica erano già verso il 1900, purtroppo però Le attività costiere, l’impatto antropico e il cambiamento climatico ne hanno ridotto drasticamente la presenza.

 

Questo come tanti altri, sono progetti con un’ampio range di azione, proprio perchè legati all’ecologia e alla sostenibilità quindi, godono di una visione a 360°. Non a caso, si passa dall’azione di ripristino dell’habitat marino, ai vantaggi per l’intero mare, fino alle proprietà che favoriscono l’economia blu.

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Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

By : Aldo |Settembre 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

La raccolta differenziata e il corretto smaltimento dei materiali che usiamo quotidianamente, sono delle pratiche rilevanti per instaurare un’economia circolare.

Eppure, sembra che non siano stati studiati metodi con cui riutilizzare delle materie prime pregiate: una di queste è il sughero.

Cos’è il sughero e come si estrae

Il sughero è un tessuto secondario che riveste il fusto e le radici delle piante fanerogame come la quercia da sughero o “sughera” (Quercus suber). Si tratta di alberi alti oltre 20 m che hanno un diametro di 1,5 m e sono diffusi in maniera limitata nel Mediterraneo occidentale.  Si trovano anche in Africa settentrionale, Portogallo, Spagna e in Italia, principalmente in Sardegna dove viene coltivata e poi in Toscana, Lazio e Sicilia.

  

Il processo di estrazione del sughero è diviso in 2 azioni simili, svolte a distanza di 10 anni l’una dall’altra. Infatti, la raccolta inizia quando il tronco ha una circonferenza di 30-40 cm, quindi più o meno dopo i 20 anni di età. In questa prima fase, detta “demaschiatura” (per via del nome dato al sughero vergine, “maschio” o sugherone) si praticano delle incisioni.  Queste servono per staccare con cura le strisce di scorza, senza rovinare il fellogeno, dal quale si ricava il nuovo sughero.

  

Dopodiché, si genererà annualmente un anello e 10 anni dopo la demaschiatura lo spessore sarà di 3cm e l’albero sarà pronto per l’estrazione del sughero. La sua asportazione procede dalla base del tronco verso l’alto, poi viene tolto ogni 9-12 anni, così l’albero resta produttivo e vive fino a 150-180 anni.

Tale processo si svolge tra i primi di maggio e la fine di agosto, quando il materiale in esame si stacca più facilmente, lasciando sana la pianta.

   

Gli impieghi del sughero

Per le molteplici caratteristiche chimico-fisiche, il sughero può essere impiegato in vari ambiti. Tra le sue proprietà possiamo citare la resistenza al fuoco e all’usura, l’elasticità e l’isolamento (elettrico, termico e acustico). In aggiunta è inattaccabile da insetti e roditori ed è anche inodore, insapore, imputrescibile e non tossico.

    

Può essere usato in vari settori e in vari modi, per esempio;

  • È impiegato per la fabbricazione dei turaccioli: per la sua elasticità e di impermeabilità, grazie alle quali garantisce una chiusura ermetica delle bottiglie;
  • É utilizzato nell’industria farmaceutica e in quella cosmetica;
  • Lo troviamo ancora nella fabbricazione di solette e soprasuole per scarpe, rivestimenti isolanti, galleggianti per le reti da pesca, salvagenti, imballaggi per materiali fragili ecc;
  • Per la fabbricazione del linoleum e di agglomerati espansi, utili per l’isolamento termico e acustico degli ambienti.  

I tappi e il riciclo

I tappi di sughero sono dei prodotti di grande valore che potrebbero alimentare un grande settore dell’economia, incrementando un circolo di riciclo e riutilizzo rilevante. Solo in Italia ne vengono prodotti 1,2 miliardi all’anno e nel mondo sono almeno dieci volte tanti. Nonostante si tratti di un materiale recuperabile al 100% e non infinito, la loro vita finisce nel momento in cui viene stappata una bottiglia.

In più la crescita del settore vinicolo, determina un aumento delle pressioni sui querceti, dunque, diventa necessario trovare rapidamente un sostituto a tale materia. Per questa ragione il riciclo dei tappi sarebbe necessario, se non urgente, ma come impostarlo?

   

Sicuramente la raccolta specifica di tappi, per il singolo cittadino e le attività ristorative sarebbe un buon inizio per cambiare il trend negativo. Già con un’attività simile, potremmo incentivare il risparmio di risorse naturali ed energia, dando nuova vita al sughero.  Per esempio, si potrebbero creare nuovi tappi, realizzare strati isolanti e fonoassorbenti che migliorano le prestazioni energetiche degli edifici o suole e tacchi per le scarpe. Un esempio è il progetto Recooper a Bologna o del Comune di Tradate (Lombardia) che dal dicembre 2022 hanno attivato un punto di raccolta pubblico.

   

Una seconda opzione è quella di finanziare progetti di consorzi specializzati nel recupero e nel corretto smaltimento del sughero. O ancora ci si può indirizzare verso il fai da te, come nel caso colosso del sughero Amorim Cork. L’azienda ha preso accordi con 45 onlus sul territorio nazionale per raccogliere tappi e trasformarli in oggetti di interior design.

   

Nel mondo

Nel mondo invece sono state sviluppate altre iniziative per il riciclo del sughero in generale. Un caso è quello di Seondong a Seoul, che ha stipulato un accordo con un’impresa di costruzione di impianti sportivi specializzata nel di riciclo del sughero. L’accordo prevede la partecipazione di ben 45 commercianti di vino che raccoglieranno i tappi inviandoli all’impresa, per la creazione di passaggi pedonali vicino all’ufficio distrettuale.

   

Oppure in Portogallo nel 2005 ha posizionato i primi contenitori per la raccolta differenziata dei tappi di sughero, anche presso gli esercizi commerciali. Non a caso il portogallo è il più grande produttore di sughero, seguito da Spagna, Algeria e Italia.

   

Il riciclo e il riutilizzo sono azioni basilari per una vita e un futuro sostenibile. Senza una buona pratica di tali processi, potrebbe essere difficile mantenere la qualità di certe materie prime o garantire le stesse quantità nei prossimi anni. Proprio per questo dovremmo basarci sempre più su un’economia circolare, perchè serve a noi tanto quanto al pianeta.

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Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.

By : Aldo |Agosto 31, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.

Lo sviluppo di nuovi strumenti, la ricerca di nuove tecnologie e la loro applicazione è spesso frutto di una collaborazione tra enti.

Che si tratti di università, centri di sperimentazione, grandi brand o istituzioni, quando c’è cooperazione si arriva sicuramente ad un risultato migliore.

    

Google e le nuove API

Il gigante del web fa un altro passo in avanti per la società e per il mondo. L’azienda informatica statunitense nata nel 1998, continua i suoi studi e soprattutto resta aperta alle nuove sfide della sostenibilità.

Google si muove per trovare il modo più opportuno di migliorare la vita delle persone e quella di Madre Terra con i mezzi che ha a disposizione. In questo caso, il colosso ha deciso di usare le tecnologie più avanzate del momento per poter creare delle mappe, molto importanti per l’uomo.

   

Si tratta delle nuove API di Google Maps Platform, che consentiranno agli sviluppatori di mappare facilmente le informazioni su energia solare, qualità dell’aria e pollini. Dove API sta per Application Programming Interface, ossia un insieme di procedure atte a risolvere uno specifico problema di comunicazione tra diversi computer o software. Dunque, Maps sarà in grado di comunicare con altri software per facilitare la localizzazione di determinate aree, utili ad ulteriori studi o a nuovi investimenti.

   

API Solar

L’attenzione alla mappatura solare inizia nel 2015 con il lancio di Project Sunroof, ideato per aiutare i cittadini a capire il “potenziale fotovoltaico” locale. Questo ovviamente è stato possibile alle immagini di Google Earth che danno una visione ampia e precisa di ogni zona del mondo richiesta.

   

Il nuovo progetto si chiama API Solar e si basa proprio su questo primo programma, di cui sono state ampliate le funzionalità grazie all’intelligenza artificiale. L’IA è servita principalmente per fornire informazioni e approfondimenti più precisi rispetto a quelli pubblici o ai modelli 3D del satellite.

Il progetto funzionerà per via di un modello IA addestrato per estrapolare informazioni 3D sulla geometria di tetti e coperture. Tali informazioni saranno ricavate dalle immagini aeree di oltre 320 milioni di edifici in 40 Paesi, tra cui è presente anche l’Italia.

   

La sicurezza dei dati, pubblicati successivamente, è data anche dal fatto che lo strumento tiene conto anche di dati meteo storici o di costi energetici.

Il progetto, quindi, offre una serie di servizi e vantaggi divisibili in due fasce:

  • la prima consente di ottenere informazioni rapide sulla fattibilità solare (Building Insights): quantità di luce ricevuta, sistema di pannelli più efficiente;
  • la seconda invece fornisce maggiori dettagli per la progettazione dei sistemi solari (Data Layer): l’ombreggiatura presente nell’area o modelli digitali della superficie dei tetti.

Air Quality API

Oltre al progetto dedicato al fotovoltaico, Google promuoverà anche API Air Quality, un programma basato sul monitoraggio dell’aria.

Si tratta di un sistema pensato specialmente per le aziende che possono comprendere in maniera più chiara i cambiamenti climatici e ambientali.  Con questo strumento, si possono effettuare analisi sulla qualità dell’aria con un indice su scala da 1 a 100. Il lancio in general availability comprende informazioni per oltre 100 Paesi.  

   

Pollen API

Allo stesso modo, Pollen API rilascia previsioni giornaliere dei pollini con allegata una mappa di calore per le successive 96 ore. In questo caso le informazioni sui pollini sono molto specifiche: i dati riguardano pollini di vari tipi di vegetazione.

Mostra informazioni riguardo ai pollini di alberi, e tiene conto di 15 diverse specie di piante, tra cui le graminacee, l’ontano, il frassino. Poi ancora la betulla, la cotonosa, l’olmo, il nocciolo, il cedro e cipresso giapponese, il ginepro, l’acero, la quercia, l’ulivo, il pino e l’ambrosia.

Sarà lanciato in general availability nei prossimi mesi in 65 Paesi.

   

Google e le mappature

Grazie a tali tecnologie, Google venderà data set API sulle mappature solari, dell’aria e dei pollini alle aziende per valutare varie questioni.
Tra queste il loro potenziale fotovoltaico, l’inquinamento dell’aria, la sua temperatura e i movimenti dei pollini, fondamentali per la vita di tutti.

Il database si costituirà su una base di oltre 320 milioni di edifici in oltre 40 paesi, per via dell’utilizzo dell’IA e del machine learning con dati ambientali.

   

Giorno dopo giorno diventa sempre più rilevante la cooperazione tra enti, la collaborazione tra centri di ricerca e imprenditori. Perchè se si uniscono le forze, si incontrano soluzioni che possono aiutare tante persone o almeno altri enti di studio per favorire lo sviluppo del mondo.

La sostenibilità è un melting pot di macroaree ed è proprio per questo che abbiamo bisogno di un melting pot anche nella fase di studio. Per migliorare il nostro impatto sulla Terra.  

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PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Agosto 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici.

In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.

   

Il PNACC

PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi.

Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.

Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.

    

Il PNRR

Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU).

Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:

  • rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
  • favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.

Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;

Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.

    

Cosa sta succedendo?

Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro.

Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?

    

Critiche

Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai.

Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:

  • 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
  • 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
  • 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli).

 

Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.  

Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé.

  

Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica). Quando in realtà servivano per altro come:

  • lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
  • Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
  • Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
  • Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
  • Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
  • Impianti di rinnovabili (675 milioni);
  • Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
  • Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).


Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato.

   

È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.

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Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.

By : Aldo |Luglio 22, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.
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La raccolta differenziata resta uno dei temi principali se si parla di sostenibilità ed economia circolare.

In Italia continua ad essere un problema in alcune città e una virtù per altre, ma sicuramente negli anni, la situazione sta migliorando.

    

Il Rapporto Comieco

Il Comieco ha presentato recentemente il 28° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone, annunciando notizie positive per il settore.

Infatti, sembra che la raccolta differenziata della carta in Italia, stia migliorando sempre più anche se a piccoli passi.  Stando ai dati dell’analisi, la differenziazione dei rifiuti cartacei ammonta a 3 milioni 600 mila tonnellate, con una media nazionale pro-capite di oltre 61 kg.

   

Tale risultato descrive senza dubbio un miglioramento delle abitudini dei cittadini e anche ad una maggiore attenzione dei produttori agli imballaggi. Atteggiamenti virtuosi che possono effettivamente portare ad un cambiamento, pratico ma anche ideologico e d’immagine del Belpaese.

Non a caso proprio grazie alla sensibilizzazione dei cittadini e ai loro comportamenti, gli imballaggi in carta e cartone che hanno superato l’81% di riciclo. Questa una cifra importante poiché conferma il superamento degli obiettivi europei al 2025 e il progressivo avvicinamento ai target fissati per il 2030.

    

La crescita nelle regioni

Il Comieco detiene 972 convenzioni con 6.840 Comuni o loro gestori all’interno dell’Accordo Quadro Anci-Conai, pertanto, presenta studi complessivi della situazione italiana da 25 anni. Così è stato redatto un rapporto con cifre specifiche per ogni regione, descrivendo una situazione più o meno omogenea del Paese. Ovviamente non mancano eccezioni positive e negative, ma di certo si registra una tendenza crescente.

  

I dati riportano un +0,4% al Nord, ossia 8 mila tonnellate in più rispetto al 2021, con Valle d’Aosta, Lombardia ed Emilia-Romagna in crescita. Il loro ottimo lavoro compensa però il calo di Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige, mentre Friuli-Venezia Giulia e Liguria restano stabili.

Meglio il centro, che con +0,5% determina un aumento di 4 mila tonnellate per merito di Toscana e Umbria che portano a +12 mila tonnellate. Anche qui, Marche e Lazio non sono riuscite a migliorare anche a causa dei gravi problemi presenti a Roma.

Il sud invece sovrasta tutti con il suo +0,8% registra un aumento di quasi 8 mila tonnellate: la Campania resta stabile. Calano invece Sardegna e Abruzzo al contrario delle altre regioni che crescono ad un ottimo ritmo. Tuttavia, il caso meridionale, rappresenta una grande possibilità di sviluppo e di grande crescita del settore. Questo perchè proprio nel sud è disponibile oltre il 50% delle 800 mila tonnellate di carta e cartone che si stima finiscano ancora nell’indifferenziato.

           

C’è da dire anche, che spesso sono le grandi città ad ampliare le dinamiche nazionali, visti i numeri di abitanti che le contraddistinguono. Si pensi che solo i grandi agglomerati urbani rappresentano il 13% di tutti gli italiani e producono 4 milioni circa di tonnellate di rifiuti annui. Di questi vengono raccolti 1 milione e 800 mila tonnellate, di cui 500 mila sono di carta e cartone (esattamente il 14%).

     

Il contesto storico

La crescita positiva del campo è determinata anche da vari fattori dipesi da eventi che ultimamente hanno cambiato l’assetto del pianeta.

Dapprima la pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina e l’intensificazione del cambiamento climatico. Sono questi gli eventi che hanno modificato in modo diverso il nostro mondo e che continueranno a farlo. Perciò i loro effetti sono stati tenuti in considerazione anche nella redazione del 28° Rapporto Comieco, proprio per spiegare meglio le differenze con gli anni precedenti.

   

In primo luogo, stiamo vivendo una crisi economica per cui sono calati gli acquisti e di conseguenza anche la produzione di rifiuti. Nonostante ciò, tale fenomeno non ha inciso sui volumi di raccolta differenziata della carta e del cartone.  È più probabile che la cosiddetta “policrisi”, abbia ridotto la produzione di rifiuti di un milione di tonnellate. Precisamente sembra che calo degli acquisti alimentari abbia inciso sulle vendite di imballaggi in carta e cartone.

   

Il Comieco, parte integrante dell’ente Conai, ha descritto con il suo studio annuale, una nuova realtà. L’Italia in questo settore, riesce a raggiungere gli obiettivi europei grazie ai comportamenti sostenibili dei cittadini e una migliore amministrazione.  

  

Sicuramente con controlli precisi e una continua formazione degli abitanti di ogni città, le cose potranno solo migliorare. Tuttavia, è fondamentale che a capo della gestione dei rifiuti ci sia un’organizzazione adeguata ed efficiente. In questo modo da non vanificare tutti gli sforzi e le azioni positive della popolazione.

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