Arte sostenibile

Granchio blu: dalle cucine ai laboratori di ricerca per l’estrazione di chitina.

By : Aldo |Novembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Granchio blu: dalle cucine ai laboratori di ricerca per l’estrazione di chitina.

Quando si verifica un’invasione di un territorio di una specie aliena (animale o vegetale che sia), ci si trova sempre in una situazione delicata. È importante valutare l’impatto di ogni passaggio, metodo di monitoraggio e riqualifica degli ambienti colonizzati ecc. Ma ci sono dei casi in cui tutto questo sembra molto più semplice di quanto sembri.

     

L’invasione del granchio blu

Sono ormai anni che si parla dell’invasione del granchio blu e della sua pericolosità per biodiversità del Mediterraneo. Avendo già esaminato questa situazione nel tempo, ci si può accorgere di come la narrazione di tale problema sia cambiata radicalmente nell’arco di un anno.

   

Se prima il granchio blu faceva preoccupava tutti, non si trovavano modi per limitare la sua riproduzione o i suoi movimenti, ora è oggetto di discussioni culinarie. Infatti, come abbiamo riportato qualche mese fa, il granchio blu è arrivato nelle pescherie italiane, proprio per ridurne la quantità in mare. Poco dopo il suo exploit, chef e cuochi amatori hanno proposto svariate ricette a base del crostaceo, rivoluzionando l’idea della specie aliena invasiva e pericolosa.

   

Tale passaggio è stato accolto così positivamente e rapidamente, che il granchio blu sembra far parte della nostra dieta da sempre. Ma nonostante si tratti di un buon metodo per limitare la colonizzazione delle nostre acque, c’è chi è andato oltre. Nello specifico l’Università Ca’ Foscari ha intrapreso un corso di ricerca per riscontrare nuovi e possibili utilizzi della specie aliena, che possano incrementare l’economia sostenibile.

    

Il team e la ricerca

L’Università Ca’ Foscari di Venezia sta sviluppando un metodo per estrarre la chitina dal carapace dei granchi blu per farne nanomateriali per futuri impieghi. Il team costituito da:

  • La professoressa di Chimica generale e inorganica, Claudia Crestini,
  • il professore di Fondamenti chimici delle tecnologie, Matteo Gigli,
  • dottorando Daniele Massari del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi,
  • la professoressa Livia Visai e la dottoressa Nora Bloise dell’Università di Pavia,

è riuscito a brevettare una tecnica per trasformare la chitina in nanomateriali intelligenti, grazie alle nuove tecnologie e alla versatilità del materiale stesso.  Tra i vari ambiti di ricerca, la squadra conta la biomedicina, i packaging sostenibili e la protezione per i materiali scrittori.

   

L’obiettivo di questi studi è quello di isolare la chitina dai gusci in una modalità efficiente e funzionale all’industria. Per ora il team è in grado di isolare e modificare chimicamente una frazione nanocristallina della chitina, creando delle nanostrutture. Quest’ultime sono state impiegate per lo sviluppo di materiali straordinariamente innovativi, attraverso processi scalabili a livello industriale.

   

Industria alimentare

La chitina determina un mercato globale di 1,8 miliardi di dollari, derivato principalmente all’industria alimentare, agrochimica e sanitaria. Non a caso il gruppo di ricerca si è specializzato in questi ambiti, primo fra tutti l’alimentare, con nuovi film e packaging sostenibili.

    

Infatti, i ricercatori stanno sviluppando film nanostrutturati che possono sostituire le plastiche tradizionali per realizzare pellicole flessibili completamente biobased. Con la seguente aggiunta di composti naturali si potrebbero ottenere anche capacità antiossidanti ed antimicrobiche. Le proprietà funzionali di tali prodotti consentono di prolungare la durata della conservazione dei cibi proteggendoli da processi che ne accelerano il deterioramento. È importante anche ricordare che si tratta di film e pellicole biodegradabili, quindi, si potrebbero creare packaging che aderiscono pienamente ai principi di circolarità.

    

In ambito sanitario

Oltre al settore alimentare, la squadra si è interessata anche a quello sanitario. Un esempio è legato ai film flessibili, che abbinati a sostanze di origine naturale possono trasformarsi in validi patch medicali, cerotti speciali. Tale operazione è possibile grazie alla loro biocompatibilità ed emocompatibilità. Inoltre, possono avere una composizione chimica diversa per ottenere film adesivi o antiadesivi con proprietà simili all’eparina. Così facendo si possono offrire soluzioni nuove e personalizzate per le esigenze mediche.

     

La chitina per la scrittura

Passando da un ambito all’altro, si può notare l’importanza e la grande versatilità della chitina, poiché può aiutare anche nella conservazione di materiale scrittorio antico.  Gli studiosi hanno sviluppato un progetto rivolto ai rivestimenti (coating) per il restauro e la conservazione di tale materiale. In più, la proteina ha la capacità di rallentare e prevenire diversi fenomeni di degradazione della carta inchiostrata: come?  Essenzialmente la chitina riesce a contrastare l’aumento di acidità della carta e contrastare la proliferazione di microrganismi. Inoltre, è capace di impedire il deterioramento delle proprietà meccaniche della carta, rinforzando le sue fibre.

     

Si può affermare che l’università abbia iniziato un processo di upcycling, col quale trasforma biomasse di scarto in prodotti sostenibili e ad alto valore aggiunto. Tutto questo rientra in un ciclo di economia circolare poiché, la chitina viene estratta dagli scarti dell’industria ittica (specialmente di granchi e gamberetti). Quindi l’emergenza per l’industria ittica del nordest, riguardante il granchio blu, rappresenta un’ottima occasione per sperimentare nuove tecniche e prodotti.

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E se la CO2 diventasse una risorsa? Ecco i casi più virtuosi nel mondo.

By : Aldo |Novembre 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su E se la CO2 diventasse una risorsa? Ecco i casi più virtuosi nel mondo.

Il concetto di economia circolare non si affianca solo a determinati processi di produzione, ma riguarda un complesso sistema ideologico globale. Sarebbe necessaria la sua attuazione in più settori possibili, ma soprattutto sarebbe opportuna una sensibilizzazione della popolazione mondiale per definire il cambiamento.

   

La CO2

Generalmente si parla della CO2 con accezione negativa. Quello che ci raccontiamo sommariamente è che si tratta di un gas che sta aumentando nel mondo, causando non pochi danni alla popolazione. L’attuale lotta al cambiamento climatico è in primis volta alla riduzione di questo gas climalterante secondo vari metodi, processi dei singoli o delle aziende.

Ma quello che forse non si pensa tutti i giorni è che la CO2 potrebbe diminuire anche con attività produttive che la coinvolgono in maniera massiccia. Così l’anidride carbonica diventa una risorsa; come in altri casi è un elemento da eliminare che tuttavia può essere riusato senza creare altri danni all’ambiente.

Il movimento in atto propone quindi un’ampia gamma di soluzioni per contrastare il grande problema. Come capofila troviamo decine e decine di startup, provenienti da tutto il pianeta, che stanno rafforzando il settore della clean technology. Un ambito in forte crescita negli ultimi anni, che prevede grandi investimenti per la ricerca, che potrebbe portare ad una riduzione delle emissioni mondiali del 10%.

    

Esempi di startup e innovazioni

Al momento le tecnologie sono le più disparate come le startup che lo studiano. Ma concretamente, come si può impiegare la CO2 considerandola una materia prima, una nuova risorsa? Di seguito riportiamo una serie di esempi virtuosi, di nuovi fronti della tecnologia e dell’arte del riuso.

   

  • La CO2 in serra. Climeworks è un’azienda svizzera leader nei processi di rimozione della CO2, grazie alle tecnologie usate come quella che descriviamo in questo esempio. La società ha un impianto in grado di catturare l’anidride carbonica e trasformarla in fertilizzante per le serre ortofrutticole. Questo è possibile grazie allo sfruttamento dell’energia termoelettrica e rinnovabile di un vicino inceneritore, che ne cattura la CO2 grazie a particolari filtri.
       
  • CO2nvert e l’etanolo. CO2nvert, una startup con sede ad Udine, si è impegnata nella trasformazione dell’anidride carbonica in etanolo, per diversi impieghi. Per esempio è stato usato come carburante per aerei o come elemento per la cosmetica, soprattutto per la creazione di profumazioni.  L’impresa conferma di usare solo fonti rinnovabili e in particolare riesce a rimuovere 8 kg di anidride carbonica per ogni kg di etanolo. Un valore pari a quello catturato da 65 alberi.
       
  • Air Protein e la carenza di cibo. Air Protein invece, si è basata sul problema delle emissioni derivato dal cibo e la sua mancanza in alcune aree del mondo. L’azienda è riuscita, con una tecnologia mutuata da un programma della NASA, ad aggiungere CO2 a minerali, acqua, ossigeno e azoto. Così facendo, Lisa Dyson e John Reed (i ricercatori del MIT) ha sintetizzato una farina ricca di proteine, quindi anche un’alternativa sostenibile alla carne.
        
  • Carbon Craft Design. In questo caso invece, si parla di edilizia, settore responsabile del 39% delle emissioni. La startup Carbon Craft Design dell’architetto indiano Tejal Sidanl, vuole partecipare alla riduzione dei livelli di inquinamento, soprattutto del suo Paese. Per questo ha inventato le “carbon tiles”, mattonelle formate con il carbonio nero estratto dall’inquinamento. Sono composte di scaglie e polvere di marmo impastate con la CO2 catturata con un filtro per il particolato.
       
  • Aria nell’alcol. Air Company, un’azienda che produce profumi, si trova ora in un nuovo business: quello dell’alcol o precisamente della vodka. L’impresa formata da Stafford Sheehan (ricercatore di chimica dell’Università di Yale) e Gregory Constantine responsabile marketing della vodka Smirnoff, ha una buona idea. I fondatori infatti sono riusciti a trasformare la CO2 in etanolo con l’aiuto di un catalizzatore metallico, messo in funzione con l’energia solare. Con una bottiglia della vodka Air Company da 750 ml si catturano di 340 grammi di anidride carbonica.
        
  • Le batterie italiane. Un’altra realtà italiana di spicco è Energy Dome: la prima azienda al mondo ad aver inventato una batteria di accumulo a base di anidride carbonica. Il progetto CO2 Battery è in grado di ridurre i costi (e l’impatto) delle materie prime utilizzate. Nello specifico si basa su una tecnologia che sfrutta le proprietà della CO2 con un processo termodinamico innovativo.
        
  • I gioielli della CO2. Tutti quanti già lo sanno: un diamante è per sempre, ma vale ancora di più se può ridurre le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera. Dunque, l’azienda in esame è l’americana Aether Diamonds, che intrappola l’aria inquinata e ne estrae la CO2 trasformandola in diamanti. Si tratta di un processo rivoluzionario e sostenibile che consente la crescita del diamante, un atomo alla volta, scongiurando l’utilizzo di combustibili fossili estratti.

       
    E poi ci sono ancora imprese che con l’anidride carbonica hanno creato dei biopolimeri per borse e sedie, chi invece ha pensato di unirla al calcestruzzo. La ricerca continua senza sosta lo studio delle più complesse tecnologie, pur di risolvere la quesitone climatica. Sicuramente questi sono degli esempi che dimostrano la quantità di possibilità concrete che abbiamo per migliorare il mondo.

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Ecocidio: in Europa arrivano nuove norme e sanzioni.

By : Aldo |Novembre 17, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Ecocidio: in Europa arrivano nuove norme e sanzioni.

La legislazione serve in ogni settore per regolamentare qualsiasi tipo di attività ed evitare crimini. Per questo le leggi vanno rispettate ma è anche necessario istituirle con criterio a seconda della circostanza presa in esame. Per questo analizziamo la proposta dell’Europa sull’ecocidio.

    

Ecocidio

Il termine ecocidio venne coniato per la prima volta nel 1970 dal biologo statunitense Arthur Galston per descrivere i danni causati dal cosiddetto “agente arancio”. Si trattava di un defoliante che l’esercito Usa sparse in enormi quantità sulle foreste tropicali durante la guerra del Vietnam. Successivamente, nel 1973 Richard Falk, docente di Diritto internazionale definì l’ecocidio come “Opera di consapevole distruzione dell’ambiente naturale”, descrizione invariata fino allo scorso giugno.

   

Proprio pochi mesi fa, infatti, un gruppo di esperti (avvocati e legali) ha trovato le parole giuste per indicare i reati ambientali a livello legale. Quindi, riuniti nella colazione Stop Ecocide International, hanno proposto l’inserimento dell’ecocidio nei crimini di guerra, contro l’umanità e i genocidi. Di seguito hanno definito che il termine ecocidio indica

 

atti illegali o sconsiderati compiuti con la consapevolezza di una significativa probabilità che tali atti causino danni all’ambiente gravi e diffusi o di lungo termine”.

Per concretizzare tale descrizione, si possono fare vari esempi:

  • le fuoriuscite di petrolio in alto mare, come quella della Deepwater Horizon del 2010;
  • gli sversamenti di petrolio nella regione del Delta del Niger;
  • la deforestazione in Indonesia e Malesia per la coltivazione di palma da olio;
  • lo sversamento di prodotti chimici nell’acqua, nel suolo o nell’aria a Bhopal, in India, nel 1984;
  • i progetti di fracking e quelli per estrarre petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, che hanno devastato la fauna selvatica e le terre indigene.

Il momento storico europeo

In questo ambito è intervenuta anche l’UE che ha deciso di inasprire le sanzioni collegate a tale crimine. Questa mossa è stata guidata dalla deputata francese Marie Toussaint, che ha dimostrato come la crescita dell’attenzione sull’ecocidio sia cresciuta negli ultimi anni. Specialmente a seguito del disastro dell’Erika, un petroliere affondato al largo delle coste della Bretagna nel 1999.

      

In questo momento storico l’Europa sta affrontando molteplici sfide ambientali senza precedenti. Pertanto l’aggiunta dell’ecocidio all’elenco delle offese punibili dall’UE rappresenta un passo significativo verso una giustizia ambientale più efficace. Si discute spesso di tale questione anche perché correlata agli ultimi avvenimenti nel mondo e soprattutto in Europa. Per esempio, la guerra in Ucraina che ha determinato distruzione e contaminazione di vaste aree quindi di tutte le matrici ambientali. Questo ha causato danni per ben 53 miliardi di dollari a terra, acqua e aria.

 

La nuova normativa

Così, per mettere dei limiti a questi scempi ambientali (e di conseguenza umani), si è arrivati ad un accordo tra i due co-legislatori UE. L’intesa stabilisce l’aumento di atti qualificati come crimini ambientali da 9 a 18. Tra questi troviamo l’importazione e l’uso illegale di mercurio, così come di gas fluorurati. Per questi materiali si prevede l’abbandono graduale entro il 2050, poiché hanno un potere climalterante fino a 24mila volte quello della CO2. Si passerà quindi allo stop immediato al commercio di HFC per alcuni elettrodomestici comuni e non solo. Tra i nuovi crimini ambientali troveremo anche l’importazione di specie aliene invasive, lo sfruttamento illegale di risorse idriche e l’inquinamento causato dalle navi.

   

Di seguito sono state inasprite le pene per chi commette tali reati:

  • oltre agli 8 anni per le ‘qualified offences’, ora ecocidio;
  • fino a 10 anni di reclusione per privati e responsabili di aziende che commettono crimini che portano a decessi;
  • un massimo di 5 anni di carcere per i reati ambientali minori a seconda della gravità e della reversibilità o meno del danno arrecato.

Sarà data più attenzione a chi denuncia crimini ambientali ed è prevista protezione rafforzata per i whistleblowers. Ci saranno poi e aggiornamenti regolari per giudici, magistrati e funzionari delle forze di sicurezza con compiti legati alla tutela dell’ambiente. E scatterà l’obbligo per i Ventisette di organizzare campagne di sensibilizzazione mirate a ridurre i crimini ambientali.

   

Critiche al sistema

Nonostante il grande passo in avanti, c’è chi non crede al cambiamento annunciato. I dubbi riguardano la definizione del termine ecocidio: chi determina cosa significa, cosa include o chi e cosa riguarda? Se l’UE lasciasse carta bianca ad ogni stato, ognuno potrebbe definirlo in maniera diversa con possibile fallimento dell’opera. C’è chi pensa che potrebbe diventare oggetto di greenwashing, come un’arma economica o una propaganda politica.

     

Certo è, che si tratta di un movimento che sta prendendo piede velocemente con leggi già in vigore in paesi come Ucraina, Vietnam, Ecuador e Francia. Poi ancora in Brasile e Belgio stanno avanzando nella legislazione mentre Scozia, Spagna e Paesi Bassi hanno recentemente proposto di rendere l’ecocidio un reato.

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Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

By : Aldo |Novembre 05, 2023 |Arte sostenibile, Home, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

Non è raro che per una maggiore sostenibilità si torni alla natura. Spesso molte innovazioni si rifanno a processi e dinamiche naturali, consentendo una nuova valorizzazione di Madre Terra e i suoi sistemi. Purtoppo però, senza degli studi, delle legislazioni o dei monitoraggi opportuni, anche quello che è naturale può causare danni irreparabili.

   

La produzione di gomma

La gomma naturale (o caucciù) deriva dal lattice, estratto da piante tropicali, tra cui la più importante, la Hevea brasiliensis (o albero della gomma). Conosciuta e importata in Europa dal Sud America fin dal Settecento, oggi se ne producono circa 20 milioni di tonnellate all’anno. Si riscontra in percentuali diverse in un’ampia varietà di oggetti, tra cui pneumatici, suole di scarpe, cancelleria, elastici, guaine isolanti per i cavi, elettrodomestici. E ancora profilattici, palloni e palline da sport, guarnizioni di motori, protesi, guanti usa e getta.

   

Recentemente, per una combinazione di vari fattori, la produzione non riesce più a far fronte alla domanda globale. Questo ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di materiali simili, incrementando la produzione di una gomma sintetica, che ovviamente ha un impatto ambientale negativo. Per questo e per le sue fondamentali caratteristiche è difficile allontanarsi dalla produzione naturale, che tuttavia arreca danni al pianeta con ritmi sempre più elevati.

    

La materia prima sta finendo

L’albero della gomma, originario del Rio delle Amazzoni, oggi si trova esclusivamente in Thailandia, Indonesia, Malesia, Cina e Myanmar e in Africa occidentale. Dagli anni ’30 infatti, la sua coltivazione in America Latina si arrestò a causa di un parassita che ne ostacolò la crescita. L’infezione potrebbe arrivare anche in Asia e in Africa grazie all’intensificazione del cambiamento climatico che ha già arrecato danni in Tailandia. Infatti, lunghi periodi di siccità e gravi alluvioni hanno favorito la diffusione di patogeni e malattie delle piante, che hanno ridotto la produzione.

 

Tali meccanismi non sono poi aiutati dal mercato, che negli ultimi anni ha mantenuto basso il prezzo della gomma.  Quest’ultimo è fissato dallo Shanghai Futures Exchange (SHFE), dunque le speculazioni sul valore della gomma, sono spesso slegate dalla realtà nelle piantagioni. Così per incrementare i profitti, gli agricoltori sono indotti a sfruttare eccessivamente gli alberi, incidendo il tronco più a fondo e più volte. Così facendo, hanno esposto le piantagioni ad un progressivo indebolimento e una maggiore vulnerabilità rispetto alle malattie che determinano una minore produttività.

   

Per non parlare della tendenza di convertire le coltivazioni di Hevea in quelle più redditizie, colpevoli delle deforestazioni e perdita della biodiversità.

     

La deforestazione

Purtoppo come spesso accade, questo tipo di attività non sono seguite dalle istituzioni, o non sono regolamentate in modo opportuno. Queste falle del sistema incrementano l’abbattimento di intere foreste, causando danni globali e irreversibili. Nature ne parla nel suo nuovo studio, affermando che dal 1993 le piantagioni hanno distrutto 4 milioni di ettari di foresta del Sud-est asiatico. Nello specifico, la ricerca conferma che le coltivazioni di Hevea brasiliensis, hanno spazzato via un’area due, tre volte superiore a quanto stimato in precedenza. Pertanto, è uno dei principali rischi per gli ecosistemi della regione.

     

Nel 90-99% dei casi, la deforestazione è legata alla produzione di materie prime da esportazione, con filiere non regolamentate o controllate dagli enti predisposti. Risulta dunque fondamentale, lo sviluppo di strategie di prevenzione ad hoc che aiutino a preservare uno dei più importanti ecosistemi del Pianeta.

   

L’analisi dimostra che 1 milione di ettari di tali aree, sono importanti hot-spot di biodiversità. In particolare, le piantagioni di gomma hanno provocato la maggior deforestazione in Indonesia, seguita da Tailandia e Vietnam. Lo studio così afferma che le normative e le iniziative messe in campo dalle nazioni del Sud-Est asiatico sono poco efficienti, perché basate su dati imprecisi. O meglio, dati che sottostimano fortemente il problema.

    

In conclusione

La situazione è dunque complicata poiché, le infezioni, il mercato e il cambiamento climatico, ostacolano la produzione di gomma naturale. Quest’ultima da anni è causa di una crescente deforestazione che mette a rischio l’ambiente delle aree prima citate. Usare a gomma quella sintetica è una soluzione presa in considerazione di recente che tuttavia incrementerebbe l’impatto dell’industria sul pianeta.

    

Per questo si richiedono nuove leggi, maggiori studi e monitoraggi delle coltivazioni. Infine, sarebbe importante rendere tali filiere sostenibili, istituire organi e normative efficienti, per ridurre l’impatto ambientale della produzione descritta.

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Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

By : Aldo |Ottobre 26, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

Nonostante le nuove misure riguardanti i rifiuti, lo smaltimento e il riciclo, c’è ancora tanto da fare. Pertanto, l’Europa si è mossa nuovamente per proporre una nuova direttiva, che purtoppo non piace all’Italia.

   

Il quadro europeo

Ogni anno nell’UE si producono ben 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui più di un quarto (il 27%) è rappresentato da rifiuti urbani. Viste le cifre è abbastanza semplice affermare che i paesi più ricchi tendono a generare più rifiuti per abitante. Questo è confermato dagli studi che hanno descritto una specifica condotta dei vari paesi membri. Per esempio, tra il 2018 e il 2021 i rifiuti urbani per abitante sono diminuiti a Malta, Cipro, Spagna e Romania. Mentre sono aumentati, toccando i picchi più alti in Austria, Lussemburgo, Danimarca e Belgio. I numeri più bassi sono stati registrati in Spagna, Lettonia, Croazia e Svezia.

    

Se invece si restringe il campo ai soli rifiuti da imballaggio, la situazione non sembra migliorare. Secondo le statistiche, nell’ultima decade la situazione è peggiorata passando da 66 milioni di tonnellate di rifiuti da imballaggi nel 2009, a 84 milioni nel 2021. Un aumento di grande rilevanza che ha culminato appunto, con la produzione di 188,7 kg di rifiuti di imballaggio all’anno per ogni europeo. Per quanto analizzato dai ricercatori, questa tendenza non diminuirà, anzi continuerà a crescere a dismisura fino a toccare i 209 kg per abitante nel 2030.

     

Le nuove misure

Per questo la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha appena adottato, una nuova proposta di regolamento. Questa punta a una maggiore facilità d’uso del packaging, con lo scopo di ridurre tutti gli imballaggi inutili e i rifiuti prodotti del continente. La proposta è passata con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni; l’Italia però non l’approva.  La proposta (Packaging and Packaging Waste Regulation) passerà alla votazione dell’Assemblea plenaria per poi iniziare i negoziati finali con il Consiglio Ue tra un mese.

    

La normativa nasce per porre uno stop drastico a questa avanzata; dunque, l’UE propone di puntare tutto sul riuso, il recupero e il riciclo. Le idee riportate sono varie e coprono diversi aspetti:

  • vietare la vendita di determinati sacchetti di plastica leggeri (inferiori a 15 micron);
  • ridurre in generale i rifiuti in plastica degli imballaggi;

Precisamente l’obiettivo è quello di apportare una riduzione graduale: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Arrivando anche a determinare delle percentuali minime del contenuto riciclato delle parti in plastica entro la fine del 2025. Si pensa anche alla possibilità di fissare obiettivi e criteri di sostenibilità anche per le bioplastiche. Ed infine si suggerisce di garantire un numero minimo di riutilizzo dei vari imballaggi per semplificare sempre più il processo di riuso.

    

Altri punti importanti della norma, riguardano ristoranti e caffè e i distributori finali di cibi e bevande d’asporto. Proprio loro dovranno garantire ai consumatori la possibilità di portarsi il proprio contenitore. Mentre si parla anche del divieto dell’uso di PFAs e delle sostanze chimiche eterne (forever chemicals), che possano essere a contatto con gli alimenti. C’è un punto anche per la raccolta differenziata: si chiede Paesi membri di differenziare al 90% dei vari materiali da imballaggio entro il 2029.

  

L’Italia contraria

Germania e Francia hanno accolto la proposta con grande entusiasmo poiché certi processi sono già in atto nelle loro città. Per esempio, nella prima, l’abitudine del riuso è comune e molto diffusa per prodotti quali latte, acqua e birra. Tuttavia, insieme, questi due stati hanno richiesto delle flessibilità in modo da adattarsi nel tempo e deroghe in base alle abitudini dei cittadini. Anche l’Austria esulta ma ricorda l’importanza di osservare le regole sulla sicurezza alimentare.

    

L’Italia invece non ci sta. Si oppone al voto, ricordando le risorse usate e gli sforzi fatti per puntare sul riciclo, di cui è leader europeo. Con le nuove norme invece, si ritroverebbe davanti a politiche di riuso che potrebbero penalizzare diversi settori, dalla ristorazione alla distribuzione. Il pensiero è condiviso dai vari ministeri a Confindustria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Confcommercio.

Confcommercio ribadisce che la nuova proposta potrebbe danneggiare la filiera alimentare perché gli imballaggi sono fondamentali per

  • protezione e conservazione degli alimenti,
  • l’informazione al consumatore e la tracciabilità,
  • l’igiene dei prodotti.

Tutti questi punti sono fondamentali perché ne consentono anche la commercializzazione e l’export. Anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ricorda che il modello vincente italiano deve essere valorizzato. Pertanto, afferma, che continuerà la lotta per difendere la filiera innovativa e virtuosa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo.

     

Dunque, in attesa dell’Assemblea plenaria prevista dal 20 al 23 novembre, l’Italia continuerà a difendere la qualità del suo made in Italy. Così continuerà ad opporsi per valorizzare anche gli sforzi e gli impegni (anche economici) fatti in questi anni.

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Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.

By : Aldo |Ottobre 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.
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La COP28 di Dubai si avvicina, ci sono dubbi e perplessità per quanto riguarda gli esiti di tale riunione, ma una cosa è certa. I giovani non stanno con le mani in mano e hanno la mente piena di idee per contrastare il cambiamento climatico.

Youth4Climate

Youth4Climate è un’iniziativa globale, guidata dall’Italia e dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). È un progetto co-modellato con giovani e altri partner quali:

  • Connect4Climate – World Bank Group,
  • la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
  • Secretariat (UN Climate Change),
  • l’Ufficio dell’Inviato del Segretario Generale per la Gioventù
  • il Gruppo Consultivo dei Giovani del Segretario Generale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
  • YOUNGO (collegio ufficiale dei bambini e dei giovani dell’UNFCCC).

Questo programma riunisce risorse, strumenti, capacità, partnership, reti e movimenti online e offline esistenti e nuovi da e per i giovani. Rivolge una grande attenzione nel sostenere l’implementazione di soluzioni per il clima guidate dai giovani con finanziamenti e altri tipi di supporto. Tutto questo con lo scopo di determinare un impatto climatico più sostenuto sul territorio.

    

Dal 2021, è diventato un evento annuale, forse il più atteso del settore, che riunisce attivisti, innovatori, rappresentanti governativi, agenzie ONU, organizzazioni private e non profit. La prima volta si svolse a Milano nell’ambito del Summit pre-COP. Qui i delegati dei giovani di tutto il mondo hanno condiviso la loro visione e le loro richieste in quattro aree tematiche:

  • i giovani guidano l’ambizione
  • la ripresa sostenibile
  • l’impegno degli attori non statali
  • la società attenta al clima

Nel 2022 si tenne a New York il Youth4Climate: Powering Action. Questo evento ha lanciato la collaborazione tra il governo italiano e l’UNDP per renderlo un’iniziativa a lungo termine a sostegno dei giovani leader del clima.

     

Roma 2023

Quest’anno lo Youth4Climate si è svolto a Roma nei giorni 17, 18 e 19 ottobre. Qui sono arrivati 130 under 30 provenienti da 63 Paesi per confrontarsi sulle azioni possibili per il clima. In questo caso, il Mase ha gestito l’iniziativa globale in collaborazione con il Centro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Lo “Youth4Climate: Sparking Solutions 2023” è un evento che segue una prima fase avviata a New York, dove a settembre sono stati raccolti ben 1143 progetti. Di questi solo i migliori 40 sono arrivai a Roma. L’iniziativa articolata in 3 giorni, si divide tra Palazzo Rospigliosi e Casina di Macchia Madama.

   

L’apertura è stata affidata all’inviato speciale italiano per il Clima Francesco Corvaro e il Coordinatore del Centro UNDP di Roma Agostino Inguscio. Dopo una prima presentazione sono seguiti quattro panel di confronto tra i giovani sui temi della sostenibilità urbana, energia, alimentazione e agricoltura, educazione. Il secondo giorno, ha aperto i lavori il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Successivamente i giovani si sono messi all’opera su altri temi come: giustizia climatica, approccio unitario tra privato e pubblico nella sfida ambientale. E ancora il supporto finanziario e tecnico all’inclusione dei giovani nel processo di cambiamento, terminando con l’accensione serale del Colosseo con il logo di Youth4Climate. L’evento si è concluso con la premiazione dei progetti, presidiata dal Ministro Pichetto Fratin e dal Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani. Per concludere in bellezza, il maestro Giovanni Allevi ha sorpreso tutti dedicando un video ai giovani della Youth4Climate, spronandoli a fare sempre di più.

 

I vincitori

Tra questi 40 progetti, alcuni hanno spiccato in specifici settori. Per la categoria “Energia” si riportano:

  • “Emisa Enterprise” di Isaac Chiumia dal Malawi. Ha ideato una stufa che fa risparmiare circa 4-5 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno rispetto alla cucina tradizionale. In questo modo si riducono i tempi di cottura e i costi del combustibile fino al 60%.
  • “Enable the disable action” di Sylvain Obedi Katindi della Repubblica democratica del Congo. Il progetto prevede l’inclusione di giovani e persone con disabilità nelle azioni climatiche, rafforzando la loro educazione ambientale e occupazione nell’imprenditoria ecologica.

Nel settore “Alimentazione e agricoltura:

  • “Seed of Life” di Errachid Montassir dal Marocco. L’idea è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla conservazione dell’ambiente promuovendo i benefici dell’arboricoltura attraverso la piantumazione di alberi da frutto biologici.
  • “Nabd Development and Evolution Organization (NDEO)” di Muna Alhammadi dallo Yemen. Propone la diffusione di pratiche climaticamente intelligenti. Un esempio sono le serre domestiche con sistemi di irrigazione a goccia per aiutare le famiglie ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Oltre a questi c’è un podcast per insegnare agli ucraini come ricostruire il Paese in modo green dopo la guerra. Si parla di batterie riciclate che portano l’elettricità nelle zone rurali della Colombia e del cemento per costruire aree di aggregazione ricavato dalle discariche di Delhi.

     

Tale iniziativa dimostra ancora una volta, quanto i giovani siano pronti a contrastare il cambiamento climatico. Non si tratta solo di attivismo, ma di ragazzi con un bakground di grandi studi e ricerche che si uniscono per un fine comune. Quello di rendere il mondo un posto migliore.

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Il lusso nel turismo sostenibile. Lefay Resorts&Residences è l’esempio italiano.

By : Aldo |Ottobre 22, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il lusso nel turismo sostenibile. Lefay Resorts&Residences è l’esempio italiano.

Ad oggi qualsiasi attività deve approcciare ad una transizione verso la sostenibilità. Questo comprende anche il settore del turismo, che in Italia vale milioni di euro ogni anno.
Alcuni cambiamenti in questo senso prevedono importanti finanziamenti che non tutti possono permettersi. Tuttavia il settore del lusso, anche nell’ambito turistico può fare la differenza: ecco come.

   

Turismo sostenibile

Il turismo sostenibile è considerato come un approccio in contrapposizione rispetto all’overtourism. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo si tratta di un:

turismo consapevole del suo impatto sociale, economico e ambientale presente e futuro, in grado di soddisfare le esigenze dei visitatori, delle comunità locali, dell’ambiente e delle aziende”.

Il Global Sustainable Tourism Council (GSTC) stabilisce e gestisce gli standard globali per viaggi e un turismo sostenibili e repsonsabili, noti come i Criteri GSTC. Questi sono rivolti a due insiemi, quelli dei policy maker e ai manager delle destinazioni turistiche e quelli rivolti agli hotel e ai tour operator. I criteri sono divisi in quattro pilastri:

  • Gestione sostenibile
  • Impatti socioeconomici
  • Impatti culturali
  • Impatti ambientali

Poiché le destinazioni turistiche sono diverse per cultura, usanze e leggi, i criteri sono adatti ad ogni condizione e integrati con ulteriori specificità.  Questi sono la base con cui l’ente di Accreditamento per gli Organismi di Certificazione valuta le società e le imprese in esame.

   

L’esempio italiano

L’Italia, hotspot di biodiversità e casa di un grande patrimonio storico e artistico è sicuramente lo stato che dovrebbe sviluppare maggiormente questo tipo di turismo. Negli ultimi anni, molte città hanno migliorato questo aspetto tanto da essere riconosciute dal Global Sustainable Tourism Council, tra queste: Siena, Cagliari, La Valsugana.

   

L’Italia sta facendo dei grandi passi in avanti e per questo si può riportare l’esempio di una grande catena di lusso che fa da capofila. Lefay Resorts&Residences è una delle strutture alberghiere più citate nel settore lusso per il suo approccio sostenibile presente fin dalle origini dell’impresa. Alcide Leali, amministratore del gruppo, afferma che la famiglia non ha mai puntato a costruire un hotel o diventare albergatori. Pensavano invece di creare un concetto di ospitalità legato al benessere degli ospiti e quindi anche in armonia con l’ambiente circostante.

    

Lefay Resorts&Residences creò ben 2 strutture a cinque stelle: una a Gragnano (sul Lago di Garda nel 2008), una a Pinzolo (tra le Dolomiti nel 2019). L’approccio del gruppo consiste nell’utilizzo di risorse locali e rinnovabili per quanto possibile e nel limitare le emissioni e l’impatto delle loro attività. In entrambi i casi, l’azienda ha scelto accuratamente i materiali necessari e le tecnologie opportune per il raggiungimento della massima sostenibilità.

    

Le misure sostenibili.

L’azienda Lefay Resorts è la prima del settore ad aver siglato un accordo il ministero dell’Ambiente per progetti mirati alla neutralizzazione delle emissioni di CO2. La famiglia ha iniziato un percorso di compensazione per mezzo dell’acquisto di crediti CERs ancora prima che l’attuale norma fosse autorizzata.

   

Inoltre il gruppo redige da anni il Bilancio della Sostenibilità, per condividere in trasparenza i risultati raggiunti e gli obiettivi di miglioramento attesi nel futuro. Tra le misure riportate ci sono anche soluzioni per ridurre i consumi energetici, come l’uso di software per la gestione intelligente di luce e acqua. Il report indica che le strutture godono di pannelli solari e centrali a biomassa alimentate a cippato. Con queste scelte, e i 3 nuovi impianti fotovoltaici realizzati nel 2023, per il risparmio energetico, l’impresa ha evitato l’immissione di 75mila kg di CO2.

   

Materiali biodegradabili o compostabili a base di mais sostituiscono la plastica monouso e per quanto possibile si scelgono materiali locali. A Gragnano il gruppo ha scelto il marmo rosso di Verona e per il parquet, il legno di ulivo invece che l’iperbolico teak birmano. Qui è presente anche un impianto di cogenerazione (energia e riscaldamento) alimentato a gas metano. A Pinzolo troviamo legno che deriva dai boschi del territorio, quindi da alberi come la rovere e il larice. Mentre per quanto riguarda l’energia, si sfrutta il gas naturale liquefatto (il carburante fossile più pulito fra i disponibili), perché non sono presenti altre alternative.

    

Le certificazioni 

Tutti questi sforzi sono stati riconosciuti grazie alle certificazioni dall’ente certificatore TÜV SÜD (nel rispetto di quanto previsto dallo standard ISO 14064). Tale realtà ha convalidato l’implementazione del sistema di Gestione per la Qualità e l’Ambiente conforme agli standard ISO 14001 e ISO 9001. Questo riconoscimento specifico riguardava:

  • L’ideazione e sviluppo di soluzioni architettoniche per strutture ricettive innovative ed ecocompatibili;
  • Processi di management e sviluppo dei settori accoglienza e benessere.

   

Un’altra certificazione distintiva è la Green Globe, fondata su un protocollo appositamente ideato per le strutture turistiche. Si basa sulla verifica di ben 400 indicatori relativi alle aree: economica, sociale e ambientale. Infine, nel 2022 per raggiungere la carbon neutrality, Lefay ha acquistato i crediti Gold Standard e CER a sostegno dei progetti:

  • Clean Water Somali (Etiopia),
  • Dora-II Geothermal Power (Turchia),
  • Carotino e Melewar Palm Oil Mill (Malesia),
  • Pho Thong Solar (Thailandia).

L’impresa è impegnata anche nell’etica, soprattutto per migliorare quotidianamente le condizioni di lavoro degli impiegati e la relazione con clienti e stakeholder.

Sicuramente nel momento in cui gli incassi sono elevati, è più facile poter apportare modifiche e usare misure più dispendiose. Queste possono ridurre l’impatto ambientale delle strutture, migliorando contemporaneamente la permanenza degli ospiti. 

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Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

By : Aldo |Ottobre 19, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

Per il sedicesimo anno consecutivo, si è svolta la Start Cup Puglia, che ha fatto spiccare molteplici giovani realtà del territorio.

     

L’evento 2023

Le Start Cup regionali continuano e il 18 ottobre si è conclusa la selezione in Puglia, con un evento ospitato dalle Officine Cantelmo di Lecce. Quest’anno la ricerca, le idee e l’innovazione sono andate oltre qualsiasi aspettativa con un podio interessante e variegato.

   

Foreverland conquista il primo posto con l’invenzione del Frecao, seguito da MyBon con la sua piattaforma nazionale per gli scontrini. Infine, troviamo Ember Laptops con il suo laptop innovativo e Preinvel che presenta la prima tecnologia di filtraggio fluidodinamico brevettato ad aria. Oltre alla selezione principale sono stati consegnati altri due premi:

  • “Premio regionale per l’innovazione” per il vincitore assoluto della Start Cup 2023
  • “Premio speciale per il miglior progetto di impresa ad impatto sul climate change” Green&Blue offerto dal Gruppo Gedi, media partner del PNI.

A seguito di tale evento i progetti finalisti accedono alla finale del Premio Nazionale Innovazione, che si svolgerà a Milano nei giorni 30 novembre e 1 dicembre 2023.

    

Foreverland: primo vincitore

La startup vincitrice è costituita da quattro giovani, Massimo Sabatini, Giuseppe D’Alessandro, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta. Questi ragazzi hanno unito forze e conoscenze (di esperienze rilevanti in multinazionali) per determinare un impatto positivo nel mondo. Il loro obiettivo è quello di affrontare le criticità ambientali ed etiche legate alla produzione di cibo. Così si sono concentrati su un alimento che piace a tutto il mondo, è sempre più richiesto ed è parte della nostra quotidianità: il cioccolato. La loro ricerca è partita dalle origini del prodotto più amato al mondo, di cui pochi conoscono il vero iter di produzione.

    

Foreverland ha studiato le fasi di raccolta, produzione e trasporto del cioccolato e i dati estratti, sottolineano l’impatto negativo sul mondo della sua industria:

  • è responsabile del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana;
  • più di 1,5 milioni di bambini vengono sfruttati per la sua raccolta;
  • richiede circa 24.000 litri d’acqua per ogni chilogrammo prodotto;
  • è il secondo prodotto al mondo per emissioni di CO2 dovute alla logistica e allo sfruttamento delle terre.  

    

Per queste ragioni, i ragazzi che alle spalle hanno delle grandi esperienze nell’ambito delle multinazionali, si sono uniti per creare un cioccolato alternativo. Così nasce Freecao, un ingrediente rivoluzionario per il settore dolciario, privo di cacao, ma creato a partire dalla carruba.  Quest’ultima è un legume poco conosciuto e valorizzato che in Italia invece cresce in abbondanza rendendola il secondo produttore mondiale. Si parla quindi di una svolta ecologica, ambientale ma anche più etica: si può definire Freecao come un’innovazione sostenibile a tutti gli effetti poiché prevede:

  • una riduzione dell’80% delle emissioni di CO2;
  • una riduzione del 90% del consumo di acqua;
  • è privo dei principali allergeni (latte e frutta a guscio);
  • non contiene glutine o caffeina;
  • ha il 50% in meno di zuccheri (rispetto ad un cioccolato al latte tradizionale);
  • non contiene ingredienti artificiali.

    

Dunque, siamo di fronte ad un nuovo alimento che risulta più sano per il consumatore, più sano per il pianeta e anche più etico. Questo perché sono state scelte coltivazioni locali di carrube, in cui è escluso lo sfruttamento minorile. Precisamente tra 29 giorni, sarà possibile assaggiare questo cioccolato mediterraneo, cacao free al 100%, vegano e sostenibile: chissà quale sarà la risposta dei consumatori?

     

Flying DEMon: premio speciale Green&Blue

Il premio speciale “Green and Blue” invece è stato consegnato a Flying DEMon, una startup legata al monitoraggio ambientale. L’impresa nasce proprio nel 2023, grazie ad un gruppo di ricercatori INFN che in breve tempo ha vinto anche il premio dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Il team registrato alla Camera di Commercio, accreditato come spinoff dell’Università di Bari ha prevalso con un programma sul monitoraggio ambientale.

    

La missione di Flying DEMon è quella di fornire servizi nel settore della rilevazione e nel monitoraggio ambientale di elementi radioattivi. Questo è possibile grazie all’esperienza e alle competenze del team legate ad anni di Ricerca e Sviluppo nell’ambito di esperimenti di fisica astroparticellare.

La startup barese propone un sistema per semplificare e velocizzare il monitoraggio ambientale per la ricerca di sorgenti radioattive presenti sul territorio. Come? Con un detector FHERGA – Flying High Efficiency fast-Response Gamma affiancato da sensori per immagini ottiche e iperspettrali, installati in un drone di 10 kg. In aggiunta, la squadra ha pensato alla progettazione di un’elettronica dedicata alla acquisizione e analisi di dati in tempo reale.

     

L’evento è stato organizzato da ARTI – Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione, in collaborazione con Regione Puglia, PNI e Comitato Promotore. Tale cooperazione ha permesso l’istituzione di grandi premi come quello del primo posto, del valore di €10 mila il diritto di accesso al PNI.

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Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.

By : Aldo |Ottobre 17, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.

La transizione ecologica prevede una serie di cambiamenti all’interno della maggior parte dei settori che riguardano i servizi basilari di ogni città. E come ogni grande rivoluzione si deve partire da un punto più o meno complesso: nel nord Italia si parte dai trasporti su rotaie.

     

La presentazione

Arriva dopo tanta attesa l’innovazione che cercavamo. Il primo treno a idrogeno d’Italia è pronto per portare un grande cambiamento nella Valcamonica (BS) e nel territorio circostante. Il prototipo è stato presentato durante l’EXPO Ferroviaria 2023 alla quale hanno partecipato le società produttrici, le aziende di trasporti e tanti altri. Tra questi FNM e Alstom, che sono i nomi principali di questa novità italiana e che vantano anni di successi nel settore ferroviario e non solo.

    

L’idea riportata nell’accordo siglato a novembre 2020 è quella di far passare il treno lungo la linea Brescia-Iseo-Edolo in Valcamonica, nell’ambito di H2iseO. La linea attiva dal 2025 sarà la base per la realizzazione per la prima Hydrogen Valley italiana.

   

Coradia Stream

Coradia stream, è il primo treno ad idrogeno d’Italia ed è la soluzione all’obiettivo europeo di azzerare completamente le emissioni di C02 entro il 2050. La sua entrata in scena segna l’inizio di una nuova era nel trasporto ferroviario passeggeri nella Penisola. Si tratta del primo treno a zero emissioni dirette di CO2 per l’Italia, ha 260 posti a sedere e un’autonomia superiore a 600 km.

    

Nello specifico il mezzo presenta una carrozza intermedia chiamata “Power Car”, nella quale risiede il cuore della tecnologia ad idrogeno. L’energia è fornita dalla combinazione dell’idrogeno (immagazzinato nei serbatoi) con l’ossigeno dell’aria esterna, senza emissione di CO2 nell’atmosfera.  Mentre le batterie agli ioni di litio ad alte prestazioni immagazzinano l’energia. Quest’ultima viene successivamente sfruttata nelle fasi di accelerazione per supportare l’azione delle celle a idrogeno e garantire il risparmio di carburante.

    

Nonostante i cambiamenti, le società produttrici assicurano il mantenimento degli elevati standard di comfort già apprezzati dai passeggeri nella sua versione elettrica. Inoltre, garantiscono anche le stesse prestazioni operative dei treni diesel, compresa l’autonomia. Infine, il Coradia potrà operare sulle linee non elettrificate in sostituzione dei treni che utilizzano combustibili fossili.
     

Accordi, obiettivi e progetti

L’accordo siglato a novembre 2020 prevedeva la fornitura a Trenord di 6 treni a celle a combustibile a idrogeno con opzione per ulteriori otto. Il progetto è stato promosso da FNM, FERROVIENORD e Trenord, H2iseO, società che hanno lo stesso punto di vista sulla sostenibilità e lo stesso obiettivo. Quello di sviluppare in Valcamonica una filiera economica e industriale dell’idrogeno. Partendo dal settore della mobilità, si passerebbe alla conversione energetica del territorio per poi contribuire alla decarbonizzazione di una gran parte del trasporto pubblico locale.  

    

Tale progetto altamente innovativo include la realizzazione di 3 impianti di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno rinnovabile senza emissioni di CO2. Oltre a questo, è prevista la messa in servizio di 40 autobus ad idrogeno in sostituzione dell’intera flotta oggi utilizzata da FNM Autoservizi.

 

Le società e l’attivazione

Come anticipato il treno entrerà in servizio in Valcamonica verso l’inizio del 2025, lungo la linea non elettrificata Brescia-Iseo-Edolo di FERROVIENORD (servizio viene gestito da Trenord). Nonostante ciò, il progetto è stato presentato alla fiera e creato da FNM e Alstom.

   

FNM è attualmente il principale Gruppo integrato nella mobilità sostenibile in Lombardia ed è uno dei principali investitori non statali italiani del settore. Alstom invece, è leader globale nella mobilità intelligente e sostenibile. Si occupa di treni ad alta velocità, metropolitane, monorotaie, tram, sistemi chiavi in mano. Ma anche di servizi, infrastrutture, segnalamento e alla mobilità digitale ed è fornitore e manutentore del Gruppo FNM da oltre 15 anni. Insieme hanno collaborato per l’ideazione del progetto, concretizzato in molteplici siti sparsi per il nord Italia.

    

Studi, tecnologie e ricerche hanno uno scopo comune, ovvero quello di sviluppare progettualità a tutto tondo che facciano crescere la cultura aziendale. In tal modo si caratterizzano i processi industriali e le soluzioni compatibili con la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico, tutto anche a servizio dei cittadini.

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L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

By : Aldo |Ottobre 16, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Home |Commenti disabilitati su L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

La sostenibilità è un punto cruciale delle nostre vite da anni e lo sarà sempre di più. Sicuramente realtà come le grandi aziende hanno un potere immenso per poter limitare il loro impatto sulla Terra. Non a caso c’è chi ancora ha difficoltà ad affrontare un cambiamento del genere e chi invece ne ha fatto la caratteristica principale del brand.

    

L’Oréal

“La bellezza è il nostro DNA” e L’Oréal da più di 110 se ne prende cura in mille modi diversi. Il gruppo è leader mondiale nel settore della bellezza, a partire dalla prima tinta per capelli prodotta nel 1909. La sua missione? Offrire a tutte le donne e gli uomini del pianeta il meglio della bellezza in termini di qualità, efficacia, sicurezza e responsabilità.

    

Oggi L’Oréal è diffuso in ben 150 paesi, comprende 88.000 dipendenti, di cui 4000 scienziati e 5500 esperti in tecnologia e digitale. Gode di 6 premi per l’innovazione, è tra le 5 aziende più attraenti per gli studenti e comprende 36 brand affidati a 4 divisioni. I suoi prodotti si trovano ovunque, dai saloni di parrucchieri alle profumerie, dalle farmacie alla grande distribuzione, coprendo tutti i campi della cosmetica.

     

Impegni e certificazioni

Il gruppo L’Oréal vanta una serie di impegni, cambiamenti e certificazioni sostenibili che la rende una delle migliori aziende anche nella tutela dell’ambiente. Tra i molteplici riconoscimenti si possono citare:

  • Ecovadis: medaglia di platino, tra le top 1% delle migliori compagnie al mondo (per la prestazione ambientale, sociale, l’etica, i diritti e la sostenibilità);
  • Tripla A CDP (7 anni di seguito) come leader nella lotta al cambiamento climatico (per la sicurezza delle acque e la protezione delle foreste);
  • Premio Ethisphere 2022 come una delle aziende più etiche del mondo (per il tredicesimo anno);
  • Riconosciuta dal Bloomber Gender-Equality index 2023 come pioniera della parità e la diversità (per il sesto anno consecutivo).

Oltre a questi attestati, da quanto viene riportato nel sito web, il 65 % dei loro sedi produttive è “Carbon neutral”. Se l’azienda francese si è impegnata tanto per arrivare a questo livello, non c’è da stupirsi dell’innovazione e l’avanguardia del centro di Settimo Torinese.

     

Lo stabilimento pioniere

L’Oréal Italia ha sede a Milano e un centro produttivo a Settimo Torinese attivo dal 1960. Realizza prodotti che vengono distribuiti in 29 paesi, infatti è tra i primi 4 stabilimenti in Europa e i primi 10 nel mondo. Copre una superficie di 55 mila m2  e conta ben 340 lavoratori.  Nacque durante il boom economico e da subito intraprende un percorso per aumentare la sostenibilità della propria produzione. I primi articoli sulle emissioni di C02 e il consumo di acqua sono arrivati nel 2010 e nel 2013 sono iniziati vari progetti. L’Oréal Italia è considerata uno dei precursori della sostenibilità e non a caso il suo stabilimento è stato il primo a diventare “water loop factory”.

    

Il centro è improntato su una filosofia “automazione e green economy” e dal 2005 ad oggi ha raggiunto due grandi obiettivi: zero emissioni e zero rifiuti. Questo è stato possibile grazie ai passi fatti negli ultimi 20 anni, in maniera graduale, consapevole ed efficiente.

     

2015: l’azienda si dichiara “carbon neutral” dopo l’installazione di 14 mila pannelli solari e il passaggio a fonti alternative.

    

2018: l’acqua viene riutilizzata grazie a un impianto di ultrafiltrazione; nasce la waterloop factory. Con un impianto super innovativo lo stabilimento ricicla 40 milioni di litri d’acqua l’anno (una quantità pari a ottanta piscine lunghe venticinque metri). Il processo che trasforma il liquido torbido del lavaggio in acqua limpida inizia e finisce a pochi metri dalle linee di produzione. Essere waterloop factory, significa che il sito usa acqua solo nella composizione dei prodotti, mentre, per gli altri processi viene filtrata e riutilizzata. Inoltre, si usa un “superconcentratore” che aiuta a ricavare più acqua possibile dai fanghi usati, soprattutto per il mascara.  Anch’essi saranno probabilmente riusati in futuro; l’idea è quella di usarli per la composizione di una vernice ignifuga.

      

2020: milioni di flaconi di shampoo e balsamo nascono al 100% da Pet riciclato, assicurando un risparmio di oltre 3 mila tonnellate di plastica vergine. E poi ancora, la plastica che non diventa flacone di shampoo si trasforma in una sedia, oppure in un tavolo della mensa. Per ridurre l’inquinamento legato al trasporto dei nuovi flaconi, si è scelta una fornitura a km zero, in tutti i sensi. Questo perché arriva da un imprenditore che lavora direttamente nello stabilimento, come se si eliminassero 1000 camion all’anno.

      

Nonostante ciò, l’azienda ha stampanti 3D per ricreare pezzi in caso di rottura e ricicla perfino i mozziconi di sigaretta. In questo modo L’Oréal Italia abbatte ogni anno 9 mila tonnellate di CO2, una quantità paragonabile ad aver tolto dalla strada 3 mila auto a benzina.

      

L’automazione e i robot

Un’altra peculiarità dello stabilimento è la presenza di 18 robot che aiutano, velocizzano e automatizzano i processi produttivi.  Sono 18 carrelli automatici guidati da laser, governati da un software che cooperano con operai e tecnici nella fabbrica.  In tal modo sono stati tagliati i tempi di produzione al punto che si confezionano 200 flaconi di shampoo al minuto. 

      

Sicuramente la questione degli automatismi nelle fabbriche è ancora un tema caldo correlato alla perdita di lavoro per tante persone. In questo caso è dichiarato che per ogni “catena di montaggio” c’è una persona davanti al computer che controlla, coordina, gestisce.
Comunque sia, tutto questo rende efficiente la catena produttiva e determina il successo che contraddistingue L’Orél da più di 110 anni.

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