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IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

By : Aldo |Marzo 21, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su IPCC: l’ultimo rapporto non presenta scelte. Agire ora è la soluzione.

L’atteso rapporto IPCC è arrivato ed ha colpito il mondo intero. Sicuramente i dati non sono positivi, ma la fiducia è riposta nell’uomo e nelle sue soluzioni.

  

Report

Il nuovo rapporto sul riscaldamento globale era atteso da ormai nove anni ed è finalmente arrivato come un pugno nello stomaco.

Il report firmato da migliaia di scienziati è definito come la nuova ed ultima guida (per i governi) per cambiare rotta.

Conclude il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) unito al rapporto di Sintesi (Syntesis Report – SYR), che includono risultati di altri lavori. Tra questi, “Le basi fisico-scientifiche” (2021), “Impatti, adattamento e vulnerabilità” (2022), “Mitigazione dei cambiamenti climatici” (2022).

E di tre rapporti speciali “Riscaldamento Globale di 1.5”, (2018), “Climate Change and Land” (2019), “Oceano e Criosfera in un clima che cambia” (2019).

Questo ciclo di studi si è protratto per otto anni, terminando proprio domenica 19 marzo in Svizzera con l’approvazione del Rapporto di Sintesi.

    

Previsioni

Il report si indentifica come una guida per i governi dei 195 Paesi membri delle Nazioni Unite e manda un chiaro segnale al mondo.

Infatti, conferma che le emissioni di gas serra (originate dalle attività umane) siano le responsabili della crisi climatica che stiamo vivendo. Ma allo stesso tempo dichiara la possibilità di invertire la rotta, per poter mitigare il drastico cambiamento in corso.

Se non si cambia direzione le previsioni sono negative per l’intero pianeta. Ma sono chiari da tempo i possibili effetti del cambiamento climatico e quali siano le condizioni di base per poterli innescare.

    

Misure

Il documento quindi riporta le misure chiave per poter invertire la rotta e limitare i danni di tale fenomeno.

Difatti è affermato con sicurezza che esistono opzioni “multiple, fattibili ed efficaci” disponibili ora, quindi nessuno può tirarsi indietro.

Si tratta di un un’ampia varietà di soluzioni anche a livello intersettoriale: la prima in assoluto riguarda il taglio delle emissioni di CO2.  Tra le varie transizioni serve principalmente quella energetica, dal fossile alle rinnovabili, seguita da altri accorgimenti.

La gestione sostenibile (e protezione) delle foreste e dell’agricoltura, per assorbire CO2 e migliorare i servizi ecosistemici quindi le condizioni di vita di molte popolazioni.

Fondamentale anche lo sviluppo resiliente al clima, poiché le strade sostenibili possono effettivamente garantirci un futuro migliore.

Le tecnologie pulite legate all’energia, minori emissioni di carbonio e quindi un efficientamento dei più importanti servizi ai cittadini, migliorerebbero la vita di tutti. Dunque si punta ad un benessere complessivo, quindi ambientale e sanitario.

Insomma, bisogna considerare tutte le strade possibili, al massimo delle loro capacità, per frenare questo grande problema.

      

Politica

Il lavoro dell’IPCC non è solo un documento scientifico, ma ha infatti ha anche un contenuto politico perché è stato revisionato ed approvato dai delegati di tutti i 195 Stati membri.

É certo che il cambiamento di ognuno di noi possa fare la differenza, ma non c’è dubbio che il grande lavoro debba essere svolto dalla politica.

Non a caso un grande conflitto che non permette una progressione positiva, è proprio quello tra i paesi più ricchi e quelli in via di sviluppo.

I primi, hanno letteralmente scaturito la crisi climatica, mentre i secondi che hanno bisogno di uno sviluppo industriale ne stanno pagando le conseguenze.

Inoltre, è fondamentale la questione degli investimenti portati avanti dai governi rispetto a tali transizioni. Purtoppo ancora non raggiungono i livelli adeguati a trasformare le politiche ambientali, quindi rimane un’altra questione aperta, da risolvere velocemente.

    

Agire ora

Per tale motivo, il report ribadisce l’importanza di “agire ora”. Non si può aspettare un minuto, visto che  questo sembra essere il decennio definitivo, dopo il quale sarà sempre più difficile cambiare rotta.

Quindi è d’obbligo lo stop immediato ai combustibili fossili e il via a dei finanziamenti per le aree più vulnerabili. Se non altro serve dimezzare le emissioni nell’arco dei prossimi 7 anni, per mantenere il target di Parigi di +1,5 gradi.

   

Proprio Guterres avanza: 

“Chiedo agli amministratori delegati di tutte le compagnie petrolifere e del gas di essere parte della soluzione, presentando piani di transizione credibili, completi e dettagliati in linea con le raccomandazioni del nostro gruppo di esperti ad alto livello sugli impegni net zero”.

 

Dunque, anche se la realtà è abbastanza minacciosa, nessuno ha parlato di una vera e propria fine, anzi.

C’è speranza nella collaborazione internazionale, soprattutto nelle soluzioni già presenti per lo sviluppo resiliente, e socialmente accettabili. Serve un vero e proprio salto di qualità nell’azione per il clima, facendo particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

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Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

By : Aldo |Marzo 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Digital Clean Up day: ripulire il pianeta dai rifiuti digitali.

Dal 2018 esiste il World Clean Up Day che si svolge nel mese di settembre per ripulire la natura dai nostri rifiuti.

Ma qualcuno ha pensato bene di occuparsi anche dei rifiuti “invisibili” e di sensibilizzare il mondo intero.

    

L’evento

Il 18 Marzo si è svolto il Digital Clean up Day, ovvero una giornata rivolta alla sensibilizzazione per quanto riguarda i rifiuti digitali.

Questo evento è stato pensato a seguito di attenti studi correlati alla quantità di dati conservati nei server e l’inquinamento che ne deriva.

Un problema sottovalutato che è stato riportato a galla da World Clean up Day France che lanciò l’iniziativa nel 2020 come di Cyber World CleanUp Day.

Difatti l’invito avanzato è quello di dare una seconda vita ai dispositivi digitali, ripulire le loro memorie e di non inviare mail e messaggi superflui.

Tale iniziativa è stata condivisa (per ora) da 91 paesi in tutto il mondo.

    
Inquinamento digitale in cifre

I dati che girano nella rete sono infiniti, ma essendo numeri e codici chiusi in un mondo invisibile, non vengono presi in considerazione come rifiuti.

In realtà, messaggi, mail, video, foto e lo streaming hanno un costo molto elevato che solitamente viene ripagato a spese dell’ambiente.

In Italia l’evento è stato condiviso dal presidente della no-profit “Let’s do it Itay”, Vincenzo Capasso, che ha condiviso un elenco dettagliato di dati importanti.

Gli esempi riportati riguardano il mondo dello streaming, le e-mail e la messagistica e le emissioni di CO2 legate a tali attività.

     

Infatti, se 70 milioni di abbonati in streaming, riducessero la qualità dei video, si taglierebbero mensilmente 3,5 milioni di tonnellate di CO2 .

Tale cifra è pari al 6% del consumo mensile di carbone negli USA, si tratta quindi di un inquinamento abbastanza rilevante.

Ancora, le e-mail sono un altro fattore importante al centro di questa situazione.

Secondo le analisi il 60% delle e-mail non viene aperto, e di norma ne vengono inviate 62 trilioni in spam. Per questo si consiglia di disiscriversi dalle mailing list per evitare di creare nuovi dati superflui che verranno tenuti nel server per mesi. 

    

Si citano anche le videochiamate: mezzo di comunicazione che favorisce gli incontri a distanza, sempre più in voga soprattutto dopo la pandemia.

È stato stimato che se un impiegato segue 15 ore di riunioni online, con la videocamera accesa, emette 9,4 kg di CO2 al mese. Mentre solo spegnendo la videocamera, si ridurrebbe la stessa quantità di emissioni create dalla carica notturna di un telefono per tre anni.

  

Anche i bitcoin hanno il loro ruolo, poiché il mining, richiede tanta energia quanta quella consumata in Nuova Zelanda in un anno.

     

Consumo energetico

Ovviamente non si parla solo di emissioni di gas serra ma anche del consumo di energia legato a questo settore.

Non a caso tutti questi “rifiuti digitali” si trovano nei backup dei server, che con i servizi di cloud usano costantemente energia elettrica.

Per esempio, Google, usa 15.616 MWh di energia al giorno, che sono più di quelli prodotti dalla diga di Hoover. In pratica Google potrebbe alimentare un paese di un milione di abitanti per un giorno.

Forse il problema più grande sta nel fatto che internet è alimentato principalmente da combustibili fossili. Quindi foto, video, click, email ecc superflui, oltre allo streaming passivo, determinano l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2 .

    

In conclusione, il mondo del web è immenso e allo stesso tempo invisibile si nostri occhi, ma grazie a tali studi lo conosciamo in maniera più approfondita.

Sarebbe auspicabile quindi che ognuno cambi ulteriori abitudini ma ancor di più che si sensibilizzi il mondo intero su questo argomento così importante.

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Dalle isole di plastica in mare, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

By : Aldo |Marzo 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Dalle isole di plastica in mare, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

Nel mare ci sono sempre più tonnellata di plastica che poi si tramuta in microplastiche nel nostro cibo.

Fortunatamente c’è chi si ingegna e pensa a come trasformare questi rifiuti in risorse.

    

Plastica marina

Da qualche anno si parla di “Garbage patch” ovvero di grandi isole di plastica formatesi nei più grandi mari del mondo.

Ogni anno si contano ben 8 milioni di tonnellate di plastica nelle acque marine, che si accumulano sia in superficie che in profondità.

Questi insieme restano intrappolati in vortici acquatici, per mesi se non anni, creando danni irreversibili sia alla natura che alla catena alimentare.

Tale processo si verifica perchè la plastica degradandosi, di frammenta in pezzi di varie grandezze e forme principalmente microscopiche e leggerissime che si confondono con il plancton.

Inoltre, le particelle che cadono nei fondali sono ancora più difficili da degradare rispetto a quelle in superficie.

    

Legacy plastic

Proprio per limitare tale problema, la Ocean Legacy Foundation ha pensato di recuperare specifici materiali da queste isole per dargli una nuova vita.

Così hanno lanciato Legacy Plastic™, il primo pellet composto interamente di plastica oceanica riciclata.

Si tratta di un programma di recupero e trasformazione dei rifiuti per incrementare il valore dell’economia circolare plastica.

Chloé Dubois co-fondatrice della non profit canadese, riconosce di essere sorpresa dell’interesse che l’iniziativa ha ricevuto da parte delle aziende.

L’attenzione è correlata soprattutto agli obiettivi o gli oneri che le aziende hanno nei confronti della sostenibilità.

Non a caso, molte si sono rivolte alla fondazione, per incorporare nei loro prodotti, dei materiali riciclati, in modo da ridurre l’inquinamento (soprattutto marino).

     

Materiale d’origine

Il materiale preso dalla Ocean Legacy risale principalmente dalle attrezzature marine.

Si tratta quindi di pellet formato da corde e reti da pesca, galleggianti, boe, ma anche rifiuti raccolti durante le attività di pulizia.

Ad ogni modo, riciclando questi rifiuti, la fondazione riesce a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, poiché la loro produzione emette anche meno emissioni.

Infatti, i loro prodotti sono creati per mezzo di resine riciclate di alta qualità post-consumo, le quali garantiscono una quantità inferiore di CO2.

     

In generale, i rifiuti in mare sono talmente tanti che fondazioni come la Ocean Legacy hanno l’imbarazzo della scelta.

Tra le isole di plastica più grandi abbiamo la Great Pacific Garbage Patch, situata nel Pacifico, tra la California e le Hawaii. Ha più o meno 60 anni e copre un massimo di 10 milioni di km2, contando tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi.

Altri vortici simili, di dimensioni ridotte rispetto alla prima si incontrano nel sud del Pacifico, nel nord e nel sud dell’Atlantico e nell’Oceano Indiano.

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Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

By : Aldo |Marzo 08, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

Il riciclo è uno dei fattori fondamentali per ridurre lo spreco e alzare il livello di sostenibilità nel mondo.

Con gli ultimi studi, sempre più prodotti possono sottoporsi al processo del riciclo, tra questi anche le batterie.

   

Il nuovo settore

In Italia, dal 2019 al 2021, la diffusione delle auto “plug-in” è aumentata del 251,5% con 60.000 auto immatricolate (tra elettriche e ibride).

Tale crescita avvenuta anche in Europa, ha consentito di studiare in maniera dettagliata i motori di queste macchine sotto ogni punto di vista.

Non a caso, tra i vari aspetti è stato studiato il motore, che ha portato ad un’intuizione di grande rilevanza, economica e non solo.

Di conseguenza in Europa si è aperto un settore dal valore di 6 miliardi di euro: quello del riciclo delle batterie dei veicoli elettrici.

   

Il vantaggio economico

Il vero beneficio di cui potrebbe godere l’Unione è proprio quello legato alla sostenibilità dunque all’economia circolare.  Questo lo dimostra lo studio “Il riciclo delle batterie dei veicoli elettrici @2050: scenari evolutivi e tecnologie abilitanti”.

   

Presentata il primo marzo da Motus-E, il Politecnico di Milano e Strategy&, l’analisi descrive un futuro brillante la comunità europea.

Nello specifico si ipotizza che al 2050, si potrebbero ricavare 6 miliardi di euro dalla vendita di materie prime, anche rare, riciclate. Si parla di litio, cobalto e nichel, tra i minerali più usati nella composizione di motori elettrici, come in tanti dispositivi elettronici.

Il nuovo settore è poi incentivato dai nuovi target europei sul contenuto minimo di materiale riciclato nelle batterie dei veicoli elettrici.

   

Pertanto, si prevede che nel 2050, 3,4 milioni di tonnellate di batterie alla fine della seconda vita, vengano riciclate. In tal modo si supererebbero le cifre attuali che non vanno oltre le 80.000 tonnellate annue.

Inoltre, la direttiva 2006/66/CE definisce in modo chiaro, la fase finale della vita della batteria di un veicolo elettrico. Dopo l’utilizzo è destinata al riciclo.

Successivamente al primo uso, la batteria viene riportata in vita ed impiegata per applicazioni stazionarie pubbliche o privati. Dopodiché si avvia la fase di riciclaggio.

   

Un futuro business italiano

Includere questo meccanismo nell’economia del nostro Paese potrebbe riconoscergli un ruolo da protagonista in Europa.

Poiché l’Italia ha una grande esperienza con i motori e con il riciclo, potrebbe far convergere i due mondi per crescere.  Secondo le statistiche, potrebbe ricavare tra i 400 e i 600 milioni di euro contando solamente le batterie già presenti nel suo territorio.

   

Se questo settore si ampliasse, si verificherebbe un effetto domino (di incremento) anche sul parco elettrico circolante.

Uno sviluppo simile sarebbe capace di offrire tanti benefici occupazionali e ambientali se non a rendere indipendente lo stato. Esattamente con il riciclo e la lavorazione delle materie prime in “casa”, si potrebbe fare leva sulle proprie potenzialità.

Questa possibilità ha permesso di incentivare nuovi studi ma soprattutto di investire nel campo descritto, per avere un vantaggio competitivo.

    

Se si verificasse concretamente, questa soluzione consentirebbe all’Italia di affermarsi in un settore tecnologico e avanzato. Inoltre, i suoi benefici sarebbero talmente tanti, da coprire una vasta gamma di persone, impieghi e modi di vivere.

Questo è il concetto alla base della sostenibilità, ovvero un’interconnessione tra ambiente, società ed economia.

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Ikea sceglie la colla biologica per ridurre l’impronta ecologica dei suoi prodotti

By : Aldo |Marzo 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, plasticfree |Commenti disabilitati su Ikea sceglie la colla biologica per ridurre l’impronta ecologica dei suoi prodotti

Ormai le grandi aziende non possono più voltarsi dall’altra parte. Gli obiettivi dell’agenda 2030 e le nuove leggi promulgate dai vari stati del mondo, definiscono una linea precisa d’azione.

La novità

Ikea da anni studia come ridurre il suo impatto sul pianeta, per mezzo di maggiori accorgimenti nella produzione e nel commercio dei suoi prodotti.

Di conseguenza non può passare inosservata la notizia del primo marzo, per la quale l’azienda sceglie di puntare sulla colla biologica.

Senza dubbio, sarà un processo graduale, di sostituzione della colla comune di matrice fossile, che è stata usata fino al giorno d’oggi.

Per tale motivo, l’obiettivo preposto è quello di ridurre l’uso di quest’ultima del 40% e le emissioni di gas serra ad essa correlate del 30%.

Perchè cambiare?

La decisione del colosso dell’arredamento deriva da un’attenta valutazione della propria produzione e del mercato.

Precisamente, Ikea ha analizzato che l’uso di colla comune nei materiali di cartone determina il 5% della sua impronta nel mondo.
Questo perchè la colla usata attualmente è di base petrolchimica, quindi, rappresenta un materiale di basso costo facile da usare negli adesivi.

Ma data la sua origine, è nociva per l’ambiente. L’estrazione e l’uso del petrolio creano gravi danni in natura, come anche le sostanze chimiche altamente tossiche che rilascia durante la lunga biodegradazione.

Pertanto, dopo più di 10 anni di studio, l’azienda è riuscita a raggiungere l’obiettivo preposto.

 

Cosa si intende per colla biologica?

Secondo Adhesive Platform, si intendono colle biobased, tutte quelle che possono essere prodotte da amido, olio vegetale, diverse proteine, lignina e resina naturale.

Quindi Ikea si è mossa in modo da trovare la giusta soluzione, avviando dei programmi per acceleratori, proprio per sperimentare varie alternative.

Tra i molteplici esperimenti, sembra che quello attivo in Lituania (Kazlu Ruda) sia il più valido.

Si tratta di una colla composta di amido tecnico di mais che non deriva da coltivazioni alimentari, ma da colture industriali separate.

Perciò, vista l’apparente efficienza, la società introdurrà questo nuovo composto progressivamente nei suoi processi di produzione.

Obiettivi e idee

Tale innovazione, non è la prima considerata da Ikea per la sua transizione ecologica.

Infatti, da tempo ha incrementato l’uso del legno riciclato e si è impegnata per arrivare ad un consumo energetico al 100% rinnovabile entro il 2030.

A queste premesse, segue l’intenzione di integrare la propria sostenibilità con la selezione di materiali rinnovabili e riciclabili.

Secondo Venla Hemmilä, Material and Technology Engineer di IKEA di Svezia, questi sono dei cambiamenti necessari all’interno dell’industria.

Che siano anche delle modifiche minori, come quella appena descritta, sono sempre dei passi in avanti che possono avere dei grandi impatti.

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Nokia torna in pista con un modello di telefonia sostenibile.

By : Aldo |Marzo 06, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Dopo anni, la Nokia torna sul commercio con una nuova visione del mondo della telefonia.

Un nuovo logo e nuovi modelli cambieranno le sorti del colosso.

    

Il nuovo modello

G22 è il nuovo smartphone della Nokia, unico al mondo nel suo genere. Si tratta del primo telefono al mondo pensato per essere riparato facilmente, rendendolo molto più sostenibile di tanti altri telefoni.

É dotato di un display da 6,5”, memoria interna che può variare tra i 4 e i 128 GB, 3 fotocamere esterne e una interna.

Ovviamente, quelli elencati non sono i connotati di un pezzo di alta gamma ma d’altronde non era quello l’obiettivo della Nokia.

Questo lo si può intuire anche dal prezzo, di soli 189 euro, una cifra tra le più basse nel mercato dei nuovi smartphone.

Ulteriori caratteristiche che lo rendono particolare sono la scocca in plastica riciclata al 100% e la possibilità di ripararlo direttamente a casa.

 

iFixit

Il nuovo prototipo è accessibile ad un’ampia clientela sia per il prezzo che per la possibilità di una durata maggiore.

Grazie alle tecnologie di iFixit (comunità globale volta a promuovere la riparazione dei dispositivi elettronici), si potrà aggiustare il telefono in pochi minuti.

Che si tratti di uno schermo danneggiato, il cambio della batteria o la porta di ricarica piegata, nulla sarà più costoso.

iFixit ha messo appunto un kit di riparazione (probabilmente del costo di 5 euro) che permetterà di poter risolvere delle problematiche comuni in maniera efficiente.

         

I vantaggi

In primo luogo, non si dovrà portare il telefono in assistenza, quindi si risparmieranno soldi e tempo, inoltre si aiuta anche l’ambiente.

Infatti, tra le soluzioni più sostenibili è compresa la riparazione del dispositivo. Poiché ad oggi solo l’1% degli smartphone nel mondo viene riciclato, la possibilità di riparare il proprio, in casa, rende il G22 un modello all’avanguardia.

 

Oltretutto, le tecnologie impiegate consentono alla batteria di durare addirittura 3 giorni, prolungando la vita dello stesso telefono.

Tale peculiarità permette di ridurre le emissioni di CO2 del 26% annuo, senza tenere conto di tutti gli altri passaggi della produzione.

      

Produzione europea.

La Nokia ha un’ulteriore sorpresa nel campo della sostenibilità.

L’azienda avrebbe deciso di portare la produzione in Europa. Il colosso è di proprietà dell HDM Global che ha annunciato tale cambiamento; una scelta di rilievo soprattutto per quanto riguarda il benessere della Teerra.

Questo perchè l’83% delle emissioni riconducibili alla vita di un dispositivo, sono riconducibili alla fase di produzione e trasporto.

   

Per tale motivo, la decisione di spostare le fabbriche in Europa nei prossimi anni garantirebbe un minor impatto sul pianeta.

Altresì, Ben Wood, Chief Analyst di CCS Insight dichiara:

 

… al di fuori del periodo di garanzia, circa metà degli intervistati e possessori di smartphone hanno dichiarato l’interesse a poter riparare il proprio dispositivo a un costo ragionevole e autonomamente in caso di rottura.

 

Sembra così, che l’idea della Nokia possa far breccia nei cuori dei più attenti alla sostenibilità e non solo.

Sicuramente se riuscisse in questa impresa, si cambierebbero le sorti del settore della telefonia, dimostrando quanto le tecnologie siano di aiuto per raggiungere un futuro sostenibile.

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Se fossero uno stato i SUV sarebbero il 9° inquinatore mondiale.

By : Aldo |Marzo 02, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |0 Comment
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L’Europa fa i primi passi per cambiare rotta nell’ambito della mobilità, ma alcuni recenti studi hanno rivelato che un tipo specifico di auto è un antagonista in questa transizione.

        

Il record

Sembra che i SUV siano l’automobile più inquinante in circolo e detiene un record alquanto incredibile.

Infatti, secondo gli studi, se tutti i SUV nel mondo fossero riuniti e formassero uno stato, questo sarebbe il 9° inquinatore mondiale.

Il posto nella top 10 è dato dall’elevata quantità di emissioni di CO2 prodotta proprio dal numero complessivo di tali veicoli, nel mondo.

La quota si aggira intorno al miliardo di tonnellate di CO2, cifra che tende a crescere con l’aumentare del commercio di SUV.

Se questi ricoprono il 9° posto, vuol dire che si posizionano subito dopo il Giappone, ma precedono la prima potenza economica Europea, la Germania.

        

Cifre delle vendite

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel 2022 sono stati venduti 75 milioni di auto in più rispetto al 2021.

Tale dato è una media mondiale, in cui la Cina ha contato un 10% di crescita, mentre gli Stati Uniti e l’Europa hanno registrato delle flessioni.  

Ad ogni modo, le auto elettriche rappresentano il 60% delle vendite.

Nello specifico durante gli ultimi 2 anni, il settore dei SUV ha registrato un aumento del commercio pari al 3% determinando oggi, il 46% delle nuove vendite. Di cui il 16% di essi sono elettrici.

     

Le conseguenze ambientali

Essendo più grandi e pesanti rispetto alla norma, i SUV richiedono il 20% in più di gasolio e questa necessità, crea dei problemi.

Non a caso, con l’impennata delle vendite di SUV, cresce anche la domanda petrolio, e delle emissioni di CO2 (di 70 Mt CO2 nel 2022).

Pertanto l’Iea afferma che

      

“…il consumo di petrolio dei SUV è aumentato a livello globale di 500.000 barili al giorno, rappresentando un terzo della crescita totale della domanda di petrolio.”

Successivamente a tali considerazioni, si può affermare che una scelta sostenibile sia fondamentale anche in questo campo. Sicuramente il tipo di automobili descritto garantisce una maggiore comodità e sicurezza della guida, ma emette circa il 25% delle emissioni generate in un anno dall’Italia.

       

Quindi nel caso in cui si debba comprare un’auto, è importante considerare la grandezza e di conseguenza la potenza del veicolo e optare per un’alternativa più green.

         

Una macchina più piccola, anche se meno bella potrebbe inquinare di meno rispetto ad un SUV, ma se proprio non si avesse la possibilità di scelta, sarebbe meglio indirizzarsi verso l’auto elettrica.

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Riscaldamento domestico: decarbonizzarlo non basta.  

By : Aldo |Febbraio 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sono diversi, importanti se non fondamentali per una valida transizione ecologica.

Per arrivare alla meta però ci sono molteplici modifiche da effettuare nella vita di tutti i giorni.

Riscaldamento e raffreddamento domestico

Il report condotto dall’EEA (Agenzia Europea per l’Ambiente), rivela dati e statistiche per quanto riguarda il riscaldamento (e il raffreddamento) domestico.

Secondo le analisi svolte, gli edifici sono il principale responsabile di emissioni di CO2, poiché consumatori al 42% dell’energia finale impiegata in tutti i settori.

Difatti, nel 2020 il servizio di riscaldamento di ambienti e dell’acqua ha determinato l’80% del consumo domestico in Europa.

Il problema? Più della metà di tale energia è garantita da sistemi ad alta temperatura che bruciano principalmente combustibili fossili. Tra questi gas (39%), petrolio (15%) e carbone (4%).

Pertanto, l’agenzia afferma


Decarbonizzazione del riscaldamento e del raffreddamento: un imperativo climatico.

Soluzioni possibili

Senza dubbio le rinnovabili sono le prime candidate per la decarbonizzazione del riscaldamento. Purtoppo però servono degli incentivi su altre tecniche prima di poter cambiare totalmente il sistema: serve un cambio di rotta progressivo.

La biomassa è stata avanzata come ipotesi, poiché molto diffusa nel nord Europa, in cui è il principale combustibile per il riscaldamento.  

Tuttavia, non potrebbe essere scelta come soluzione a livelli industriali, sarebbe più auspicabile per una produzione energetica minore. Anche perchè è un sistema che può avere degli effetti nocivi sulla salute umana, sul sequestro di carbonio del suolo e sulla biodiversità.  In sostanza determinerebbe un effetto controproducente.

Proprio per questo le rinnovabili restano le più accreditate per un cambiamento più sicuro sotto tutti i punti di vista.

          

Procedere con le rinnovabili

Una volta capito che le rinnovabili sono effettivamente la scelta migliore per tale transizione, bisogna capire in che modo usarle.

L’EEA suggerisce vari programmi per una valida decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento che consistono nell’affiancamento e l’efficientamento degli stessi.

Ma ancora di più, per poter sviluppare un nuovo piano energetico, serve implementare le fonti rinnovabili a livello locale, coinvolgendo i cittadini stessi.

Questo perchè riqualificare un edificio mettendo a punto l’involucro e efficientando il risparmio non basterebbe ad abbattere le emissioni di CO2 entro il 2030.

     

Le politiche

Ovviamente in queste situazioni entrano in gioco anche le politiche europee di modo che tutta l’unione si muova nella stessa direzione.  Sebbene ci siano stati dei passi in avanti, l’idea delle rinnovabili negli edifici non ha ancora ottenuto l’adeguato consenso.

Pertanto, nell’ultima revisione della Direttiva UE “Case Green” viene richiesto di aumentare di almeno 1.1% annuo, l’uso di fonti rinnovabili.

Come detto in precedenza, oltre a linee guida, direttive e leggi, serve un miglior coinvolgimento dei cittadini. Infatti, se si spiegasse che con un cambiamento del genere le persone potrebbero diventare consumatori e produttori allo stesso tempo, si avrebbe un riscontro diverso.

Tale veduta migliorerebbe la vita della società, riducendo la povertà energetica, incrementando i benefici economici e sanitari.

         

In battuta finale si può dire che l’obiettivo è quello di sviluppare edifici che possano produrre energia, usata dalla comunità che li ospita.

Forse l’ostacolo più grande sarebbe quello di superare le proprie abitudini visto che eolico e solare dipendono dal clima. Tale correlazione determinerebbe un’efficienza altalenante, dunque, dovremmo diventare più flessibili a picchi o cali di produzione.

Da non escludere inoltre, la solita questione burocratica che potrebbe rallentare o rendere più difficile tali processi.

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Biometano: da Vicenza più di 200 camion si spostano grazie agli scarti agricoli.

By : Aldo |Febbraio 27, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |0 Comment

Ridurre l’inquinamento causato dai mezzi di trasporto è un’impresa abbastanza difficile ma non impossibile.

Le soluzioni valide sono svariate e tra l’ibrido e l’elettrico di ultima generazione spicca anche il biometano.

L’eccezione italiana

A Vicenza, le aziende agricole più lungimiranti hanno usufruito del servizio degli impianti, Motta Energia e EBS per la produzione di biometano. Si tratta della produzione di 7 mila tonnellate all’anno, grazie al rifornimento di scarti agricoli di ben 120 aziende locali.

Sebbene il nuovo carburante sia sostenibile per la sua natura organica, lo è anche per quanto riguarda i trasporti della materia prima.  Infatti, le imprese che consegnano i loro “rifiuti” naturali si trovano nei pressi degli impianti, creando così un combustibile a km0.

La produzione del biometano a km0 è possibile grazie alla raccolta di scarti ed effluenti zootecnici quali letame e liquami bovini, pollina.

AB e la cooperazione

AB è l’impresa di riferimento “globale” come riportato nel sito web, in merito alle soluzioni di sostenibilità energetica, impianti, competenze, tecnologie e altri servizi.

Non a caso l’azienda ha fornito le migliori tecnologie agli stabilimenti al fine di contraddistinguerli per l’efficienza e per l’offerta di servizi unici nel settore.

In questo caso entrambi sono di proprietà di Iniziative Biometano ma si differenziano per le loro origini. Motta Energia è un cosiddetto “greenfield” quindi un impianto totalmente nuovo adibito a questo tipo di produzioni, al contrario dell’EBS. Quest’ultimo è definito “brownfield”, poichè è uno stabilimento di biogas riconvertito

Proprio grazie a tale cooperazione, si è raggiunto l’obiettivo prefissato ovvero quello di coprire l’intera filiera di trasformazione del biogas in biometano. 

         

Le tecnologie AB

La trasformazione da biogas a biometano possibile per mezzo di sistemi di depurazione a membrane BIOCH4NGE®, in grado di produrre 1200 Sm³/h di biometano.

Sono attivi anche due liquefattori CH4LNG®, che sfruttano la tecnologia Stirling capace di convertire il biometano purificato in biometano liquido.

Per ultimi, i due cogeneratori ECOMAX®, alimentati da biogas o gas naturale, per la produzione di energia impiegata in altri processi.  Ed è proprio con questa tecnologia che gli impianti si rendono portavoce di una produzione al massimo della sostenibilità.

             

Impieghi 

Il bioo-GNL prodotto a Vicenza è attualmente usato come carburante da più di 200 camion che percorrono complessivamente 100 mila km all’anno.

Ma in alternativa può essere impiegato come fertilizzante e quindi perchè no, ritornare nelle imprese agricole che forniscono gli scarti.  Anche questa produzione è realizzabile per via delle nuove tecnologie, le quali permettono un’ulteriore trasformazione rilevante.

Concretamente il digestato (residuo della digestione anaerobica) può diventare concime di ottima qualità, capace si arricchire il terreno e non solo. In questo modo il nuovo fertilizzante potrebbe contribuire notevolmente al sequestro e stoccaggio del carbonio nel suolo.

           

Piano europeo 

Se si sviluppassero attivamente altre realtà simili a quella descritta, si potrebbero cambiare le sorti della transizione energetica.

Anche perchè da poco è stato pubblicato il decreto da parte del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica). Nel documento sono riportate le regole per accedere agli incentivi per l’immissione del biometano nella rete del gas naturale.

Inoltre, il piano REPowerEU mira alla produzione di 35 miliardi di m3 di biometano al 2030, un’opportunità di crescita e sviluppo del settore. Una chance che l’Italia dovrebbe cogliere poiché dovrebbe arrivare a 6 miliardi di m3, raggiungendo i primi posti europei per gas “verde”.

Col passare degli anni la richiesta di servizi di questo tipo cresce, come cresce anche la necessità di trovare soluzioni per salvare il pianeta.

L’obiettivo del Governo è quello di sostituire il  30% del gas importato con il biometano nazionale entro il 2030; che sia solo un punto di partenza per una futura Italia verde?

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Grazie all’agrivoltaico, è possibile produrre energia su un terreno coltivato.

By : Aldo |Febbraio 22, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |0 Comment

Il dissenso generale nei confronti del solare è ancora presente soprattutto in Italia.

Ma la ricerca di nuove tecnologie non si ferma mai e l’agrivoltaico è una delle recenti scoperte sostenibili che potrebbe cambiare il parere della società.

 

L’agrivoltaico

L’argivoltaico è una tecnologia che unisce l’agricoltura al fotovoltaico permettendo una duplice fruizione di un solo terreno, riducendo l’abbandono dei suoli.  Il sistema è stato studiato in modo dettagliato al punto che i vantaggi offerti sono alquanto rilevanti per la sostenibilità a breve termine.

Non a caso l’Europa ha promosso un progetto nel programma Horizon Europe, al quale collaborano 18 realtà (centri di ricerca e imprese) . Lo scopo dell’iniziativa è esattamente quello di cambiare l’idea che il solare possa sottrarre suoli all’agricoltura, quando in realtà può solo raddoppiare i suoi benefici.

Infatti, il messaggio che vuole essere diffuso è che l’agrivoltaico possa aiutare in maniera concreta l’ambiente ma soprattutto anche le piccole aziende.

 

I vantaggi

Come affermato nel paragrafo precedente, i pro di tali innovazioni sono tanti e soddisfano le nuove necessità delle imprese agricole.

Sicuramente il primo beneficio è la riduzione del consumo del suolo, poichè gli impianti sono situati anche a 3 metri di altezza sopra le colture.  Proprio in questo modo è possibile fruire dei terreni duplicemente, garantendo anche la riduzione del loro abbandono, in modo specifico quelli a rischio desertificazione.

Possono anche integrare e migliorare l’agricoltura poiché aumentando l’ombra sul suolo, sono capaci di diminuire l’evapotraspirazione senza, perciò, ridurre la radiazione solare. In aggiunta, il fotovoltaico può stimolare nuove professionalità, creando nuovi posti di lavoro, migliorando le competenze tecnologiche e anche l’economia locale.

Ci sono degli ottimi vantaggi anche nel settore energetico. Sebbene sia ancora poco sviluppato, l’agrivoltaico conta 32MW di serre fotovoltaiche che possono generare all’anno oltre 44 mln di kWh.  Analogamente, questo tipo di integrazione può essere estesa anche agli allevamenti, come agrivoltaico zootecnico, già in sperimentazione in Cina.

La burocrazia

Come in tanti altri casi, la burocrazia resta un grande ostacolo per le realizzazioni di opere più grandi, o semplicemente per la diffusione dell’installazione.  Nello specifico, mancano dei decreti attuativi che non sono stati emessi nel 2022 e delle linee guida nazionali.

Un ulteriore questione da risanare è la mancanza di una rete tra regioni e di comunicazione tra paesi vicini per la cooperazione. Questo anche in virtù degli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030), per i quali serve una struttura organica.

Il progetto

L’entourage di imprese e centri di ricerca mira a sviluppare delle tecnologie adattabili a vari assetti colturali e a migliorare la standardizzazione dell’opera.  

Sicuramente è un piano che prevede un’attenta cura ai dettagli per i fattori determinanti l’efficienza dell’installazione. Tra questi l’altezza, la distanza tra pannelli, il posizionamento rispetto alle piante, le strutture usate ed altro.

Quindi per avere un programma vincente, oltre ai finanziamenti ed alle tecnologie, servono aiuti e contatti dunque connessioni tra città, province e regioni. Dove la rete non serve solo a scopo di marketing e di organizzazione ma anche per il repowering di impianti esterni.  Acnor di più delle connessioni servirebbero delle regole, in modo tale che il paese possa cambiare allo stesso modo, nello stesso tempo, ovunque.

L’intero progetto finanziato dall’Ue con 5 milioni di euro include l’ENEA e la EF Solare, collaboratori spagnoli, olandesi e belgi. Tali paesi hanno avviato delle sperimentazioni con caratteristiche diverse per poi raccogliere tutti i dati che serviranno per sviluppare una seconda tecnologia.

L’idea è di creare un algoritmo che possa in futuro ottimizzare la produzione elettrica e agricola della coltura in esame.

Se l’Europa ha da poco celebrato il sorpasso delle rinnovabili rispetto al gas, l’Italia non può dire lo stesso. Servirebbe infatti, una volontà comune che consenta un cambiamento rilevante nel settore burocratico e in quello finanziario.
Fortunatamente esistono i progetti europei che fanno da apripista a future iniziative locali, che si attendono con grande curiosità.

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