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Le siepi possono aiutarci con lo stoccaggio della CO2 del suolo, fino a un aumento del 40%.

By : Aldo |Febbraio 20, 2025 |Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Le siepi possono aiutarci con lo stoccaggio della CO2 del suolo, fino a un aumento del 40%.

Alberi, prati, boschi, insomma il verde urbano oltre ad essere visivamente apprezzabile, ha tanti benefici che spaziano dalla salute ambientale a quella mentale. Non a caso si parla della Regola 3-30-300, che prevede3 alberi in vista da ogni casa, 30% di tree canopy cover in ogni quartiere, 300 metri di distanza dallo spazio verde più vicino. Per tanto sono fondamentali anche quelle siepi che spesso sembrano un mero abbellimento e che invece hanno un’importante ruolo anche per il processo di stoccaggio della CO2 dal suolo.

Serena Saponaro - Unsplash

Le siepi

Le siepi sono strutture vegetali lineari composte da specie arboree e arbustive, utilizzate per delimitare proprietà, giardini e spazi pubblici, oltre che per abbellire il paesaggio. Possono essere monospecifiche o miste, a seconda delle esigenze e delle caratteristiche del luogo. Svolgono diverse funzioni fondamentali: proteggono dal vento e dagli sguardi esterni, creano habitat per la fauna selvatica, stabilizzano il suolo prevenendo l’erosione, migliorano la qualità dell’aria trattenendo polveri e sostanze inquinanti e hanno un valore estetico e storico-culturale. Nei centri urbani, le siepi sono particolarmente utili per aumentare la biodiversità, ridurre l’inquinamento, schermare aree poco gradevoli e migliorare la qualità della vita, contribuendo alla creazione di spazi verdi più accoglienti e sostenibili.

Inoltre, possono fungere da barriere acustiche naturali, riducendo i rumori del traffico e creando ambienti più tranquilli. La scelta delle specie vegetali per una siepe è fondamentale per garantirne la funzionalità nel tempo, e spesso si prediligono piante resistenti e adatte al clima locale, come l’alloro, il ligustro, il nocciolo e la quercia. La manutenzione regolare, come la potatura, è essenziale per mantenerne l’efficacia e l’armonia con l’ambiente circostante.

Le siepi per catturare la CO₂

Tuttavia, uno studio della University of Leeds, pubblicato sulla rivista Agriculture, Ecosystems & Environment, ha evidenziato un nuovo possibile ruolo delle siepi. A quanto riportato dallo studio, quest’ultime sarebbero molto più efficaci dei prati nell’immagazzinare anidride carbonica nel suolo. Analizzando diverse località inglesi, tra cui Yorkshire, Cumbria e West Sussex, i ricercatori hanno scoperto che il suolo sotto le siepi cattura in media 40 tonnellate di CO₂ in più per ettaro rispetto ai prati, indipendentemente dal tipo di terreno e dalle condizioni climatiche. Oltre a sequestrare carbonio, le siepi svolgono un ruolo fondamentale negli ecosistemi agricoli poiché forniscono rifugio e cibo alla fauna selvatica, contribuendo alla biodiversità e migliorando la qualità del suolo.

Preservare e piantare nuove siepi

L’analisi condotta dai ricercatori ha rivelato che le siepi immagazzinano fino al 40% in più di carbonio rispetto ai prati, grazie alla decomposizione di foglie, radici e altre sostanze organiche. Inoltre, le siepi più vecchie risultano più efficaci nell’accumulare carbonio rispetto a quelle più giovani, ma esiste un limite massimo di stoccaggio oltre il quale il suolo non può assorbire ulteriore CO₂. Per questo motivo, gli scienziati sottolineano l’importanza di prendersi cura delle siepi già esistenti e di piantarne di nuove, così da massimizzare i benefici ambientali e contrastare i cambiamenti climatici. Questi risultati dimostrano che la gestione attenta del territorio e l’adozione di pratiche agricole sostenibili possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della qualità ambientale su larga scala.


Proprio per queste ragioni, il governo inglese ha incoraggiato da tempo la piantagione di nuove siepi, annunciando l’obiettivo di arrivare a quasi 73mila chilometri di siepi entro il 2050 come strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Inoltre, un aspetto particolarmente rilevante emerso dallo studio, spiegano gli autori, è che i risultati sono validi per qualsiasi tipo di suolo, indipendentemente dalla sua composizione e dalle condizioni climatiche. Le aree analizzate sono state selezionate proprio per rappresentare un’ampia varietà di climi, livelli di precipitazioni, temperature e caratteristiche del terreno. In ogni caso, si trattava di pascoli destinati all’allevamento intensivo, delimitati da siepi. Per la ricerca, gli studiosi hanno prelevato campioni di suolo a intervalli di 10 centimetri, fino a una profondità di 50 centimetri, analizzando poi i livelli di carbonio, azoto, pH e umidità.

L’importanza delle siepi negli ecosistemi agricoli

Le siepi non solo favoriscono la cattura della CO₂, ma rappresentano anche un elemento chiave per la salute degli ecosistemi agricoli. Offrono protezione dal vento, stabilizzano il suolo prevenendo l’erosione e creano micro-habitat per insetti impollinatori, uccelli e piccoli mammiferi. Anche in Italia, un rapporto ISPRA del 2010 evidenziava il valore delle siepi nella diversificazione del paesaggio agrario e nella conservazione della biodiversità. Gli agricoltori che hanno iniziato a piantare nuove siepi hanno osservato un aumento della fauna locale, come pipistrelli, uccelli e impollinatori, contribuendo a rendere le loro fattorie più sostenibili. Non a caso lo studio inglese conferma l’importanza di queste pratiche, dimostrando come la gestione e il ripristino delle siepi possano migliorare la salute del suolo e incrementare la capacità di stoccaggio del carbonio.

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“M’illumino di meno”: l’iniziativa per consumare meno energia.

By : Aldo |Febbraio 17, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “M’illumino di meno”: l’iniziativa per consumare meno energia.

Fare la differenza spesso sembra difficile, soprattutto in ambito di sostenibilità. A volte non è semplice cambiare abitudini o cambiare vita facendo attenzione ad ogni piccolo dettaglio. Tuttavia, si può sempre iniziare da azioni quotidiane, che non richiedono uno sforzo eccessivo, né tanto meno un cambio radicale. Si tratta di piccole accortezze che fanno la differenza e ci rendono parte di un cambiamento di cui beneficeremo tutti. Un esempio, è legato ai consumi energetici, per i quali possiamo fare tantissime cose, una tra tutte, la più semplice e la principale, quella di spegnere le luci quando non sono necessarie.

Yash Patel - Unsplash

I consumi energetici

Il consumo energetico rappresenta la quantità di energia utilizzata da un sistema, una macchina, un edificio o un’intera nazione in un determinato periodo di tempo. Per tale motivo, comprendere i propri consumi è fondamentale per evitare sprechi e ridurre i costi. Nel 2021, in Italia sono stati consumati quasi 301mila GWh di energia elettrica, dove il settore industriale è quello con il maggiore consumo, pari al 45% del totale. A seguire troviamo i servizi con il 30% e dal settore domestico con il 22%, mentre l’agricoltura rappresenta solo il 2%, con un consumo medio pro capite di elettricità è stato di 5.095 kWh.

Fortunatamente, negli ultimi anni, l’Italia ha migliorato la sua efficienza energetica, con un calo del 23,4% del fabbisogno energetico per unità di PIL e una riduzione del 32% delle emissioni per unità di PIL tra il 2005 e il 2022. Mentre a livello europeo, nel 2020 il 58% del fabbisogno energetico è stato coperto dalle importazioni. Purtoppo la principale fonte di energia è stata il petrolio, che ha costituito il 35% del totale.  Seguito dal gas naturale con il 24%, dalle fonti rinnovabili con il 17%, dal nucleare con il 13% e da altri combustibili fossili con l’11%. Per ridurre il consumo energetico, l’Unione Europea ha fissato obiettivi ambiziosi, come la diminuzione del consumo medio annuo nel settore edilizio di almeno il 16% entro il 2030 e tra il 20 e il 22% entro il 2035.

Ridurre gli sprechi

Per limitare i consumi energetici, è essenziale monitorare il proprio utilizzo, individuare eventuali sprechi e adottare strategie per un uso più efficiente dell’energia. Comportamenti virtuosi, come un migliore isolamento termico degli edifici e un utilizzo più consapevole degli apparecchi elettrici, possono fare la differenza. Parallelamente, l’UE sta promuovendo normative per incentivare l’uso delle energie rinnovabili.

Nel settore domestico, il risparmio può essere ottenuto attraverso la riduzione della temperatura interna e del tempo di accensione del riscaldamento, insieme a comportamenti virtuosi come l’uso di elettrodomestici efficienti, l’illuminazione a LED e il miglioramento dell’isolamento termico.

L’industria può migliorare l’efficienza energetica investendo in tecnologie moderne, monitorando i consumi e formando il personale. L’integrazione di fonti rinnovabili come pannelli solari ed eolico riduce la dipendenza dai combustibili fossili. Nel settore dei servizi, strategie come l’uso della luce naturale, il controllo della temperatura e l’automazione degli edifici contribuiscono a ottimizzare l’energia consumata.

L’adozione di queste soluzioni nei vari settori consente di ridurre i consumi e di favorire una transizione verso un futuro più sostenibile.

M’illumino di Meno

Proprio per sensibilizzare sul tema, quest’anno si svolgerà la XXI edizione di M’illumino di Meno dal 16 al 21 febbraio, estendendosi per un’intera settimana per coinvolgere un numero ancora maggiore di partecipanti. Nata come campagna di sensibilizzazione sul risparmio energetico grazie alla trasmissione Caterpillar di Rai Radio2, l’iniziativa prevede lo spegnimento simbolico di luci in edifici istituzionali, piazze, monumenti, negozi, bar e ristoranti. L’obiettivo è trasformare un semplice gesto in un evento collettivo che promuova la consapevolezza ambientale.

Durante la settimana, scuole, istituzioni pubbliche e private e singoli cittadini saranno protagonisti con azioni concrete per il risparmio energetico. Il 21 febbraio, Caterpillar raccoglierà e condividerà le soluzioni adottate dai partecipanti con un focus particolare alla moda sostenibile, per sensibilizzare sull’impatto ambientale del fast fashion e valorizzare pratiche alternative come il riuso, l’upcycling e il second hand.

Parallelamente, la campagna avrà una dimensione europea, con il coinvolgimento delle istituzioni dell’UE e degli italiani all’estero. Tra queste, si svolgerà un’iniziativa ciclistica simbolica, che collegherà Valencia alla Romagna, rafforzando il messaggio della sostenibilità anche attraverso la mobilità dolce.

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Zone umide artificiali per stoccare la CO2. Un progetto conveniente?

By : Aldo |Febbraio 03, 2025 |Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Zone umide artificiali per stoccare la CO2. Un progetto conveniente?
Sara Cottle - Unsplash

La Giornata Mondiale delle Zone Umide, celebrata il 2 febbraio, sottolinea l’importanza di adottare politiche integrate per la salvaguardia di questi fragili ambienti, essenziali per la biodiversità e la stabilità climatica del pianeta. Queste zone sono oggetto di studi, sia per le loro condizioni precarie causate dal cambiamento climatico sia perché potrebbero essere degli ottimi stock di CO2. Per questo si studia la possibilità di creare dei siti artificiali e i relativi benefici o svantaggi. 

Le zone umide

Le zone umide rappresentano ecosistemi complessi in cui acqua e suolo si uniscono, offrendo un habitat ricco di biodiversità e svolgendo funzioni ecologiche fondamentali. La loro origine dipende da specifiche condizioni idrologiche, con terreni costantemente saturi d’acqua che favoriscono la crescita di piante adattate, come canne e ninfee, e offrono rifugio a numerose specie di anfibi, rettili e uccelli acquatici.

La Convenzione adottata nel 1971 e ratificata da 168 Paesi, è l’unico accordo internazionale volto a proteggere questi ecosistemi. Secondo il testo, le zone umide includono paludi, stagni, lagune, torbiere, bacini naturali o artificiali e zone costiere marine con profondità inferiori ai 6 metri durante la bassa marea.  I suoi obiettivi principali sono:

  • L’identificazione dei siti di rilevanza internazionale
  • La promozione dell’uso sostenibile delle risorse naturali
  • La cooperazione transfrontaliera per una gestione condivisa

Distribuite su tutti i continenti, le zone umide contano oltre 2.209 siti Ramsar per un totale di 250 milioni di ettari. In Italia, vi sono 51 aree protette, tra cui lo Stagno di Cagliari, le Valli residue del Delta del Po e le Saline di Cervia.

L’emergenza Ramsar

Nonostante le misure di tutela, il 64% delle zone umide del pianeta è scomparso dal 1900, con una perdita aggiuntiva del 35% a partire dal 1970. Nello specifico, negli ultimi secoli, si è perso oltre il 50% delle zone umide globali, in particolare in Ohio il declino raggiunge il 90%. In in Italia, dal ‘700 a oggi, la perdita supera il 75%.  Le principali minacce includono l’urbanizzazione, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e le alterazioni idrologiche. Questi ecosistemi hanno una grande rilevanza poiché filtrano fino al 90% degli inquinanti dalle acque, immagazzinando circa il 30% del carbonio terrestre e contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico.

La ricerca dell’Ohio State University

Uno studio dell’Olentangy River Wetland Research Park (ORWRP) a dell’Ohio State University ha monitorato per 29 anni una zona umida artificiale nel Midwest degli Stati Uniti, una regione che ha perso circa il 90% di questi ecosistemi. I risultati mostrano che, dopo i primi 15 anni, il tasso di sequestro del carbonio si stabilizza, indicando che la capacità di assorbimento di CO₂ delle zone umide artificiali è più efficace nei primi anni di vita e diminuisce progressivamente fino a raggiungere un equilibrio.

La ricerca mostra un tasso medio di stoccaggio del carbonio di 3,58 ± 2,21 kg C/m², pari a 0,12 ± 0,08 kg C/m² all’anno. Questi dati sottolineano la capacità di tali aree, a raggiungere un equilibrio ecologico stabile e contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici.

Lo studio dunque sottolinea quindi, la possibilità delle zone umide artificiali nel contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici grazie alla loro capacità di assorbire anidride carbonica. Tuttavia, questa capacità di sequestro del carbonio è più efficace nei primi anni e tende a diminuire fino a stabilizzarsi dopo circa 15 anni, a differenza delle zone umide naturali che continuano a svolgere questa funzione nel lungo periodo.

Nonostante queste limitazioni, la creazione di nuove zone umide rappresenta una strategia utile per ridurre la concentrazione di CO₂ in atmosfera, soprattutto in considerazione della significativa perdita di questi ecosistemi a livello globale e della necessità di soluzioni basate sulla natura per affrontare la crisi climatica.

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Greenpeace pubblica la prima mappatura nazionale dei PFAS in Italia.

By : Aldo |Gennaio 30, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Greenpeace pubblica la prima mappatura nazionale dei PFAS in Italia.
Carl Tronders - Unsplash

Da anni di discute sulla questione della contaminazione delle acque italiane. Tanti sono stati gli studi pubblicati, i report sviluppati e le manifestazioni svolte. Eppure ancora nessuno aveva mai mappato la situazione nazionale in modo preciso e completo. Greenpeace si è fatta carico di questo studio, proponendo una mappatura chiara, in prossimità dell’approvazione della legge sui PFAS, che sembra non essere la soluzione al problema italiano. 

Emergenza PFAS

I PFAS, sostanze chimiche usate nell’industria per le loro proprietà idro- e oleo-repellenti, sono noti come “inquinanti eterni” perché si degradano molto lentamente, contaminando acqua, aria, alimenti e il corpo umano. Alcuni, come il PFOA e il PFOS, sono cancerogeni o interferenti endocrini, con effetti negativi su tiroide, fegato, sistema immunitario e fertilità. Nonostante la loro pericolosità, solo poche molecole sono vietate a livello globale o europeo, mentre nuove varianti continuano a diffondersi. Particolarmente preoccupanti sono i PFAS a catena ultracorta, come il TFA, che si trovano ovunque e non possono essere rimossi con i trattamenti di potabilizzazione. In Italia, non esistono dati pubblici sulla loro presenza.

Nonostante ciò, in Italia, la direttiva comunitaria 2020/2184, recepita con il D.Lgs 18/2023, introdurrà limiti ai PFAS nelle acque potabili solo dal 12 gennaio 2026. Attualmente, non esiste l’obbligo di monitorare questi inquinanti, nonostante casi gravi di contaminazione siano stati documentati in Veneto e Piemonte, con criticità anche in Lombardia e Toscana. Inoltre, i controlli sulle acque potabili sono limitati, determinando delle grandi lacune di dati, che possono aggravare l’emergenza. Non è un caso che i dati ambientali raccolti tra il 2019 e il 2022 segnalano una contaminazione diffusa in tutte le regioni monitorate, confermata anche dall’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Le carenze delle leggi

La direttiva UE 2020/2184 ha fissato limiti per i PFAS nelle acque potabili: 500 nanogrammi per litro per i PFAS totali e 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole in Italia. Tuttavia, questi valori non sono pienamente allineati con le soglie di rischio per la salute umana. Nello specifico, l’EFSA, nel 2020, ha raccomandato limiti di esposizione molto più bassi per quattro PFAS (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS), spingendo Paesi come Danimarca, Germania, Svezia e Stati Uniti a introdurre limiti più severi, vicini alla “soglia zero”.

Consapevole della necessità di proteggere meglio la salute pubblica, la Commissione Europea ha incaricato l’OMS di valutare i rischi dei PFAS nell’acqua potabile. Anche l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha sollecitato una revisione dei limiti. In Italia, già nel 2019, l’Istituto Superiore di Sanità consigliava restrizioni più rigide, sottolineando che PFOA e PFOS non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano.

Nonostante ciò e pur non disponendo delle stesse risorse degli enti pubblici, l’indagine di Greenpeace Italia, “ACQUE SENZA VELENI” rappresenta un’iniziativa pionieristica. L’organizzazione ha realizzato la prima mappa della presenza di PFAS nelle acque potabili italiane, analizzando le reti acquedottistiche di diverse regioni prima ancora delle autorità competenti.

I risultati della ricerca

Secondo i dati raccolti dall’indagine, il 79% dell’acqua potabile in Italia contiene inquinanti eterni, i “forever chemicals” che sono legati a patologie come tumori e interferenze con il sistema endocrino. La contaminazione da PFAS, le sostanze per- e polifluoroalchiliche, riguarda tutte le regioni e la concentrazione di sostanze pericolose spesso supera ampiamente i limiti che sono considerati sicuri per legge.

La ricerca si è svolta nei mesi di settembre e ottobre in Italia, per la raccolta di ben 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, i campioni sono stati analizzati da un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei PFAS. Per ogni provincia i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo. In alcune grandi città sono stati eseguiti due campionamenti (Ancona, Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Torino, Trieste, Venezia).

I dati hanno dimostrato che 206 i campioni su 260 risultano contaminati da almeno una delle 58 sostanze monitorate, con soli 54 campioni (21%) privi di PFAS. Le molecole più diffuse sono risultate, nell’ordine:

  • il cancerogeno PFOA (nel 47% dei campioni);
  • il composto a catena ultracorta TFA (in 104 campioni, il 40% del totale, presente in maggiori quantità in tutti quei campioni in cui è stato rilevato)
  • il possibile cancerogeno PFOS (in 58 campioni, il 22% del totale).

Livelli elevati si registrano in Lombardia, Piemonte, Veneto, in Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Sardegna, Perugia e Umbria. Nell’ambito delle sue analisi indipendenti, Greenpeace Italia ha inoltre verificato la presenza nelle acque potabili italiane del TFA, la molecola del gruppo dei PFAS più diffusa sul pianeta, per cui nel nostro Paese non esistono dati pubblici. Il TFA è una sostanza persistente e indistruttibile ancora oggetto di approfondimenti scientifici che, per le sue stesse caratteristiche, non può essere rimossa mediante i più comuni trattamenti di potabilizzazione.

Il comune di Castellazzo Bormida (AL) ha mostrato i valori più elevati (539,4 nanogrammi per litro), seguito da Ferrara (375,5 nanogrammi per litro) e Novara (372,6 nanogrammi per litro). Concentrazioni molto alte si registrano anche ad Alghero (SS), Cuneo, Sassari, Torino, Cagliari, Casale Monferrato (AL) e Nuoro. La Sardegna (77% dei campioni positivi), il Trentino Alto Adige (75% dei campioni positivi) e il Piemonte (69% dei campioni positivi) sono le Regioni in cui la contaminazione da TFA è risultata essere più diffusa.

In conclusione

Nonostante le evidenze sui gravi danni alla salute causati dai PFAS e la loro diffusa contaminazione nelle acque potabili italiane, il governo continua a ignorare l’emergenza senza adottare misure efficaci per proteggere la popolazione e l’ambiente. In Italia non esiste ancora una legge che vieti l’uso e la produzione di queste sostanze, rendendo urgente un’azione immediata per eliminarle. Greenpeace Italia ha lanciato una petizione, firmata da oltre 136 mila persone, per chiedere il bando totale dei PFAS e la loro sostituzione con alternative più sicure, già disponibili in quasi tutti i settori industriali. Tuttavia, il governo non ha ancora risposto, lasciando milioni di persone esposte a questa contaminazione.


Tuttavia, quella di Greenpeace è la prima mappatura completa degli inquinanti eterni nell’acqua potabile mai realizzata nel nostro paese, dunque c’è margine di miglioramento, di progresso e di speranza.

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Fiumicino. Inaugurato il parco fotovoltaico aeroportuale più grande d’Europa.

By : Aldo |Gennaio 27, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Fiumicino. Inaugurato il parco fotovoltaico aeroportuale più grande d’Europa.
American Public Power Association - Unsplash

L’aeroporto di Fiumicino “Leonardo Da Vinci” ha migliorano nei decenni la qualità dei suoi servizi, delle sue strutture e soprattutto ha incrementato il livello della sua sostenibilità.
Da anni raccoglie primati in vari settori, diventando a suo modo una peculiare eccellenza italiana. Non a caso l’ultimo primato riguarda una grande passo avanti per la sostenibilità e la transizione energetica.

Leonardo Da Vinci

L’Aeroporto di Fiumicino rappresenta un elemento fondamentale del sistema di trasporti italiano e una porta d’accesso privilegiata per il traffico aereo nazionale e internazionale. Inaugurato il 15 gennaio 1961, lo scalo ha conosciuto una crescita costante fin dai primi anni, con ampliamenti significativi realizzati negli anni ’60 e ’70 per far fronte al crescente volume di passeggeri e merci. Dal 1974, è gestito da Aeroporti di Roma (ADR), che ha modernizzato le infrastrutture e migliorato i servizi offerti.

Nel 2023, l’Aeroporto di Fiumicino ha accolto 40,5 milioni di passeggeri, confermandosi il principale scalo italiano per traffico passeggeri e il secondo per volume di merci, con oltre 184.000 tonnellate di cargo movimentate. Grazie alla presenza di numerose lounge e i suoi collegamenti globali, l’aeroporto si distingue come un hub strategico per il trasporto aereo. Unendo storia e modernità, con le sue radici nella tradizione e lo sguardo rivolto al futuro, l’Aeroporto di Fiumicino è un’infrastruttura unica e indispensabile per l’Italia.

Primati e riconoscimenti

L’Aeroporto Internazionale di Roma-Fiumicino “Leonardo da Vinci” si distingue come uno degli scali più premiati e innovativi al mondo, consolidando la sua posizione come punto di riferimento per la qualità dei servizi, l’innovazione e la sicurezza. Infatti nel corso degli anni, l’aeroporto ha raggiunto numerosi traguardi prestigiosi quali:

  • Miglior Aeroporto in Europa: dal 2017 al 2023 secondo l’ACI (Airport Council International) Europe.
  • Digital Transformation Award: (2024);
  • Airport Service Quality Award: per 5 volte consecutive, un risultato che lo colloca nell’élite degli aeroporti più apprezzati al mondo.
  • Sicurezza Aeroportuale: nel 2024, è stato insignito del titolo di “Miglior Aeroporto al Mondo per la Sicurezza Aeroportuale” durante i prestigiosi World Airport Awards di Skytrax.
  • Miglior Personale Aeroportuale in Europa.

Dal 2017 al 2023, l’aeroporto è stato per sette anni consecutivi il migliore d’Europa nella categoria degli scali con oltre 40 milioni di passeggeri. Ha inoltre trionfato agli Europe Best Airport Awards del 2022 e ricevuto premi ASQ come miglior aeroporto europeo nel 2018 e 2019. Il 2024 è stato un anno particolarmente significativo, grazie al conseguimento di tre premi di altissimo profilo: miglior aeroporto europeo, miglior aeroporto per la sicurezza e leader nella trasformazione digitale.

Il fotovoltaico aeroportuale

L’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino ha recentemente inaugurato il più grande impianto fotovoltaico in autoconsumo mai realizzato in uno scalo europeo e uno dei più estesi al mondo. Il progetto, realizzato da Enel X in collaborazione con Circet e Aeroporti di Roma (ADR), prevede l’installazione di circa 55.000 pannelli fotovoltaici in silicio monocristallino su un’area di 340.000 m², lungo il lato Est della Pista 3. La potenza installata attuale è di 22 MWp, con una produzione annua di 32 GWh, che soddisferebbe il fabbisogno energetico di 30.000 famiglie e ridurrebbe le emissioni di CO₂ di oltre 11.000 tonnellate all’anno.

Questo intervento rappresenta un tassello cruciale nella strategia di sostenibilità di ADR, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030, vent’anni prima del target del settore. Il progetto include un sistema di storage energetico da 10 MWh, basato su batterie second-life, che garantirà l’ottimizzazione dell’energia prodotta. L’investimento, del valore complessivo di 50 milioni di euro, rientra in un piano più ampio di mobilità sostenibile e generazione rinnovabile da 200 milioni di euro, che prevede l’espansione della capacità fotovoltaica fino a 60 MWp entro il 2030.

La cerimonia di inaugurazione ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali e aziendali, tra cui il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il Presidente di ADR Marco Troncone e il Presidente di Mundys Giampiero Massolo. I leader hanno sottolineato come questa iniziativa coniughi sostenibilità e innovazione, consolidando Fiumicino come hub green all’avanguardia, in linea con le direttive europee e i più elevati standard ESG.

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Roma è la prima città italiana ad approvare una Strategia di adattamento climatico.

By : Aldo |Gennaio 20, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Roma è la prima città italiana ad approvare una Strategia di adattamento climatico.
Mathew Schwartz - Unsplash

Gli incendi divampati a Los Angeles e successivamente in Argentina sono solo alcuni dei fenomeni estremi avvenuti per colpa del cambiamento climatico. Durante gli ultimi anni stanno aumentando la loro frequenza e la loro intensità al punto che ogni Nazione ha la necessità e in certi casi l’urgenza di definire un piano d’azione per contrastarli. O almeno per non trovarsi impreparata nel momento in cui si verificano, evitando gravi danni ambientali, urbanistici e sociali. Roma al momento è la prima città italiana ad averne redatto uno.

Strategia di Adattamento Climatico

La Strategia di Adattamento Climatico è un approccio sistematico volto a preparare le società e gli ecosistemi agli impatti dei cambiamenti climatici. Essa si concentra sull’anticipazione degli effetti negativi del cambiamento climatico e sull’adozione di misure adeguate per ridurre al minimo i danni o sfruttare le opportunità che possono emergere. Questo include azioni come la costruzione di infrastrutture resilienti, la modifica delle pratiche agricole e l’implementazione di politiche di gestione delle risorse naturali.

La strategia ha lo scopo di perseguire diversi obiettivi fondamentali, tra cui la riduzione della vulnerabilità, ovvero diminuire la suscettibilità dei sistemi naturali e socio-economici agli impatti climatici. È fondamentale per migliorare la capacità di resilienza e punta a proteggere la popolazione, salvaguardando la salute, il benessere e i beni delle persone. Questo è possibile attraverso la gestione dei rischi legati agli eventi meteorologici estremi. Infine, promuove lo sviluppo sostenibile, adottando un approccio integrato che unisce adattamento e mitigazione e contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

Tale strategia ha un’importanza significativa poiché gli effetti dei cambiamenti climatici sono già evidenti e destinati a intensificarsi, rendendo imprescindibile un intervento immediato per affrontarli. Inoltre, determinano rischi complessi e interconnessi, con potenziali impatti significativi su vari settori e regioni evidenziando l’urgenza di adottare misure di adattamento. Infine, una strategia di adattamento ben strutturata può rappresentare anche un’opportunità economica, favorendo la sicurezza degli investimenti e promuovendo una crescita sostenibile.

I fenomeni in Italia

Per presentare un quadro generale, al 31 dicembre 2022, la situazione del rischio idrogeologico in Italia evidenziava una realtà allarmante. Il 93,9% dei comuni italiani (7.423) risultava interessato da rischi legati a frane, alluvioni e/o erosione costiera. A rischio frane erano esposti 1,3 milioni di abitanti, mentre 6,8 milioni vivevano in zone minacciate da alluvioni. Le famiglie coinvolte dai pericoli di frane superavano le 548.000, mentre quelle a rischio alluvioni oltrepassavano i 2,9 milioni. Sul totale di più di 14,5 milioni di edifici nel Paese, quelli situati in aree a pericolosità da frana elevata o molto elevata erano oltre 565.000 (3,9%), mentre gli edifici localizzati in aree soggette a inondazioni nello scenario di media pericolosità ammontavano a più di 1,5 milioni (10,7%).

Mentre parlando della Capitale, l’impatto dei cambiamenti climatici e il rischio climatico per Roma assumono proporzioni rilevanti. Per quanto riguarda il rischio idrogeologico, circa 400.000 persone vivono in aree esposte, con 145.000 direttamente vulnerabili alle esondazioni e 245.000 a rischio di alluvioni lampo. Inoltre, l’aumento delle temperature ha reso le ondate di calore più frequenti e intense, causando effetti negativi sulla salute pubblica, specialmente nei quartieri più vulnerabili. In questo contesto, il 9% della popolazione risiede in quartieri a rischio durante prolungati periodi di caldo intenso, mentre il 26% degli anziani sopra i 65 anni vive in zone dove il caldo eccessivo estivo, combinato con elevati livelli di smog, rappresenta un serio pericolo per la salute. I quartieri maggiormente esposti, a causa dell’elevata cementificazione e della scarsità di parchi e aree verdi, includono Tiburtino Sud, Tor Sapienza, La Rustica, Prati, XX Settembre, Esquilino, Celio, Centro Storico, Nomentano, Università, Verano, San Lorenzo e Flaminio.

La Strategia di Roma

Proprio per le ragioni appena elencate, Roma ha redatto un piano d’azione per poter affrontare i cambiamenti del futuro. Il documento preparato presenta 368 pagine nel quale si determina la volontà di raggiungere 5 macro-obiettivi:

  • Ridurre i rischi per la sicurezza e la salute delle persone: per rafforzare i sistemi di allerta e prevenzione per piogge intense, alluvioni e ondate di calore. Inoltre è cruciale per l’integrazione di infrastrutture resilienti per migliorare la vivibilità urbana.
  • Ripensare il rapporto con l’acqua e il mare: per una gestione sostenibile delle risorse idriche, riducendo il consumo di acqua sorgiva e promuovendo il riutilizzo dell’acqua piovana e depurata. Con attenzione alla protezione del litorale contro l’erosione e l’innalzamento del mare.
  • Ridurre il caldo nei quartieri e migliorarne la vivibilità: al fine di contrastare l’effetto isola di calore urbana con interventi di forestazione, aumento degli spazi verdi e uso di materiali riflettenti.
  • Iniziare dai quartieri più fragili: dando priorità alle aree con alta vulnerabilità sociale e climatica, coinvolgendo il Terzo Settore e rafforzando il supporto alle comunità locali.
  • Costruire un’economia resiliente: per mitigare i danni economici nei settori chiave come agricoltura, industria e turismo, favorendo soluzioni sostenibili e innovative.

In conclusione

Nello specifico, la Strategia è stata elaborata con il supporto di enti scientifici di alto livello, come il CMCC, ed è poi stata soggetta a un lungo periodo di consultazione pubblica. Dopo tali analisi e studi, sono state individuate le 4 priorità da affrontare dal piano:

  • piogge intense e alluvioni che mettono a rischio quartieri e infrastrutture;
  • la sicurezza degli approvvigionamenti idrici in uno scenario di riduzione delle precipitazioni e periodi più lunghi di siccità;
  • l’adattamento dei quartieri alle crescenti temperature con conseguenze sulla salute delle persone;
  • gli impatti sul litorale costiero dei processi di erosione e di fenomeni di piogge e trombe d’aria sempre più violenti, in uno scenario di innalzamento del livello del mare.

Ad oggi Roma è la prima città italiana ad aver redatto questo tipo di documento. Sicuramente vista la sua popolazione e la sua importanza a livello globale, era un lavoro necessario ed urgente.
Adesso non resta che mettersi a lavoro per far sì che tale documento, non rimanga solo un mucchio di fogli ma un testo che possa proteggere veramente i cittadini romani e non solo.

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Assorbire CO2 a tavola? Ecco le soluzioni che possono aiutarci.

By : Aldo |Gennaio 16, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Assorbire CO2 a tavola? Ecco le soluzioni che possono aiutarci.
Ali Inay - Unsplash

Mangiare “bene” è una prerogativa fondamentale per poter vivere una vita in buona salute. Non a caso con tanti piccoli accorgimenti, possiamo nutrirci in modo sano ed equilibrato per vivere meglio e più a lungo. E se funzionasse allo stesso modo anche per il nostro pianeta? Se con un’alimentazione attenta all’emissioni di CO2 potessimo migliorare la vita e la salute del mondo? Uno studio si è focalizzato proprio su una dieta basata su alimenti che assorbono CO2 dall’atmosfera.

Alimentazione sostenibile

In un mondo sempre più interconnesso e segnato da sfide ambientali, adottare uno stile di vita sostenibile è diventato cruciale. Le scelte alimentari che compiamo non influenzano soltanto la nostra salute, ma anche quella del pianeta. Soprattutto perché, ogni fase del processo alimentare, dalla selezione dei prodotti alla loro consumazione e alla gestione dei rifiuti, rappresenta un’opportunità per contribuire a un futuro più sostenibile.

Come noto, la sostenibilità alimentare inizia con la scelta consapevole dei prodotti. Sarebbe opportuno infatti, optare per alimenti locali e di stagione riducendo l’impatto ambientale associato al trasporto e alla conservazione. Mentre preferire prodotti biologici supporta pratiche agricole rispettose dell’ambiente, evitando pesticidi e fertilizzanti chimici nocivi. Tali scelte determinano molteplici benefici tra cui:

  • la riduzione dell’impronta di carbonio, poiché i cibi locali richiedono meno energia per il trasporto;
  • il sostegno all’economia locale, favorendo i produttori della comunità;
  • una maggiore freschezza e qualità, poiché gli alimenti di stagione sono spesso più nutrienti.

Oltre a queste soluzioni, è necessario adottare un approccio consapevole al consumo, pianificando i pasti, per evitare gli sprechi e consumare solo il necessario. E ancora preparare i pasti a casa, invece di affidarsi a cibi pronti o fast food, non solo migliora la qualità della dieta e consente un maggiore controllo sugli ingredienti, promuovendo abitudini alimentari più sane e rispettose dell’ambiente.

L’impatto delle scelte alimentari sul pianeta

Mangiare bene non fa bene solo a noi, ma anche al pianeta. Un’alimentazione consapevole può contribuire ad assorbire carbonio dall’atmosfera, migliorando il clima. Secondo un approfondimento firmato da Joseph Poore per BBC Future, la produzione di alimenti è responsabile di un quarto delle emissioni antropiche di gas serra. Consumare alimenti “carbon negative” può rappresentare un modo per invertire questa tendenza. Uno studio basato su un modello matematico avanzato mostra che una transizione globale verso una dieta a base vegetale potrebbe liberare fino a 3,1 miliardi di ettari di terreno agricolo, permettendo il ripristino di foreste e praterie naturali. Tuttavia, gli attuali aumenti della resa agricola rimangono insufficienti senza azioni governative decise. Allo stesso tempo, ciascuno di noi può contribuire adottando scelte alimentari più sostenibili.

Alimenti “carbon negative” e pratiche rigenerative

Gli alimenti definiti “carbon negative” rimuovono più gas serra di quanti ne emettano. Prodotti come fagioli, tofu, alghe e macroalghe rappresentano alternative efficaci alla carne, che richiede notevoli risorse di terra: ad esempio, per 100 grammi di proteine di carne servono 100 metri quadrati di terra, contro soli 5 per i legumi. Questi cibi non solo riducono l’impronta ambientale, ma possono stimolare indirettamente il ripristino di ecosistemi naturali. Altri esempi includono i mirtilli, il sedano e la frutta a guscio, come le noci, che possono rimuovere significative quantità di CO2 durante la loro crescita. Anche pratiche agricole rigenerative, come il non dissodare il suolo o piantare siepi, possono aumentare il carbonio stoccato nella terra o nella vegetazione. A livello globale, si registrano progressi nel monitoraggio e nella promozione di queste soluzioni: in Nuova Zelanda, le emissioni agricole vengono già quantificate, e in Francia si prevede l’introduzione dell’etichettatura del carbonio. Adottando tali strategie, il futuro del nostro pianeta può cominciare dalle nostre tavole.

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King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.

By : Aldo |Gennaio 13, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.
Mediamodifier - Unsplash

Il fenomeno del consumismo è purtoppo parte integrante delle nostre vite, se non alla base delle nostre abitudini e della nostra quotidianità. E prende sempre rilevanza soprattutto grazie al mondo del web, il quale sta facilitando e amplificando a velocità inaudite il sistema consumista. Tutto ciò ovviamente ha un impatto estremamente negativo sul pianeta, e pertanto sono necessarie azioni che possano limitare i danni o cambiare le abitudini dell’uomo. Un esempio è la startup francese King Colis.

Il consumismo dell’e-commerce

L’avvento dell’e-commerce ha trasformato radicalmente il panorama del consumo, rendendo gli acquisti più accessibili e immediati. Tuttavia, questo cambiamento ha portato con sé una serie di problematiche, tra cui l’aumento dei resi e la gestione degli ordini mai consegnati o ritirati. Tale fenomeno è stato incoraggiato anche dalla comodità di acquistare online favorendo comportamenti di consumo impulsivo, quindi senza una reale necessità, contribuendo a un tasso di reso elevato. Quest’ultimo, nel settore dell’e-commerce può superare il 30%, influendo sui costi operativi delle aziende, determinando anche un impatto ambientale significativo a causa delle emissioni associate al trasporto e allo smaltimento dei prodotti restituiti.

Inoltre, la crescita esponenziale degli acquisti online ha complicato ulteriormente la logistica. Infatti, gli ordini non consegnati o mai ritirati rappresentano diventano dei nuovi costi legati all’inefficienze nella gestione delle scorte. Ovviamente, la pandemia ha ulteriormente accelerato questa tendenza, portando milioni di nuovi utenti a fare acquisti online per la prima volta e cambiando in modo permanente le abitudini di consumo.

Le possibili soluzioni

In risposta a queste sfide, molte aziende stanno cercando di ottimizzare le loro politiche di reso e migliorare l’esperienza del cliente attraverso l’uso di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e sistemi di gestione omnicanale. Queste innovazioni mirano a creare un processo più efficiente che riduca i costi associati ai resi e migliori la soddisfazione del cliente. Tuttavia, resta fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra i consumatori riguardo all’impatto delle loro scelte d’acquisto sull’ambiente e sull’economia.

In particolare, si può citare l’iniziativa della startup francese King Colis: un gruppo che rivende tonnellate di pacchi spediti dagli e-commerce non reclamati dai clienti. Grazie ad un’attenta analisi di mercato, quindi ad uno studio delle abitudini dei consumatori e alla logistica dell’e-commerce, l’impresa ha pensato di incrementare la circolarità nel settore.

Il problema dei resi

La startup francese ha trovato un modo innovativo per valorizzare i pacchi non reclamati provenienti dagli e-commerce. Questi colli, acquistati dai grandi operatori logistici, vengono poi rivenduti al chilo a prezzi estremamente convenienti, sia online sia nei pop-up store presenti i in diverse città europee. Questa idea è nata proprio durante il Covid quando, il cofondatore Killian Denis e sua moglie, avendo bambini piccoli a casa, ordinavano molti prodotti online. Tuttavia, l’elevata domanda globale causava ritardi o mancate consegne di alcuni ordini.

Una volta finito il lockdown, si sono chiesti che fine facessero tutti i pacchi non consegnati e ha deciso di approfondire il funzionamento del processo logistico. Attraverso varie indagini hanno scoperto la falla del sistema. I prodotti spediti che passano inizialmente dai grandi centri di logistica vengono affidati a società più piccole incaricate della consegna finale, però se un pacco ha un indirizzo sbagliato, un’etichetta danneggiata o per altri motivi non viene recapitato né reclamato dal destinatario, finisce in un deposito.
Negli stessi depositi ci finiscono anche per mezzo dei resi dei clienti, non per difetti, ma perché questi cambiano idea all’ultimo momento.  

Ma proprio per questa logistica e per l’enorme richiesta da parte dei consumatori, questi depositi si trovano sommersi di merce, che per le aziende “conveniene” distruggere anziché restituirli al mittente, spesso situato in Cina. Si parla di circa 150 tonnellate di pacchi distrutti

King Colis

Come soluzione, King Colis ha ideato un modello innovativo per recuperare pacchi non consegnati o restituiti, trasformandoli in un’opportunità di business e contribuendo alla riduzione dell’impatto ambientale. Questi pacchi, acquistati a peso, sono rivenduti attraverso un sistema di economia circolare che include pop-up store temporanei e vendite online. Il metodo prevede la vendita “a scatola chiusa”, garantendo l’effetto sorpresa e includendo prodotti vari, come dispositivi elettronici, abbigliamento e gadget.

Dopo il successo ottenuto in paesi come Olanda, Germania e Francia, King Colis debutta in Italia presso il centro commerciale RomaEst dal 14 al 19 gennaio, con circa 10 tonnellate di pacchi. L’obiettivo della startup è ampliare ulteriormente l’attività, acquistando 70 tonnellate di merce al mese e organizzando otto pop-up store mensili in diverse città europee. I pop-up store, realizzati con materiali riciclati, offrono un’esperienza interattiva dove i clienti possono selezionare pacchi, pagarli in base al peso e scoprirne il contenuto, alimentando così anche il mercato del second-hand. Se il progetto italiano avrà successo, la formula sarà replicata in altre città del paese, nonostante la sfida dei trasporti sostenibili resti aperta.

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UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.

By : Aldo |Gennaio 09, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.
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Ormai, nel 2025, è chiaro che il riciclo dei rifiuti, sia fondamentale per limitare l’impatto delle attività umane nel mondo. Ma è anche vero che ridurre la produzione dei rifiuti sia un’altra soluzione concreta al problema, che possiamo considerare prima del riciclo. È per questo che l’Unione Europea ha pensato di reintrodurre il deposito su cauzione per plastica, lattine e vetro. Ecco come.

Il deposito su cauzione

Si tratta di un sistema di raccolta selettiva ideato per incentivare il recupero degli imballaggi di bevande monouso, come bottiglie di plastica, vetro e lattine. Con l’acquisto di una bevanda, il consumatore paga una piccola cauzione, che viene restituita interamente al momento della riconsegna dell’imballaggio vuoto presso i centri di raccolta o i rivenditori. Questo sistema si propone di incrementare significativamente la raccolta differenziata, con l’obiettivo di raggiungere il 90% di recupero per bottiglie e lattine entro il 2029, in conformità con le normative europee. Inoltre, contrasta l’abbandono dei rifiuti e promuove una gestione più efficiente degli imballaggi, favorendo al contempo il riciclo e il riutilizzo, pilastri fondamentali dell’economia circolare.

Sul fronte della sostenibilità ambientale, il deposito su cauzione svolge un ruolo cruciale: riduce l’inquinamento da plastica e altri materiali, recuperando materie prime di alta qualità adatte al riciclo per la produzione di nuovi contenitori. Coinvolge attivamente i consumatori in pratiche responsabili, trasformando un gesto quotidiano in un contributo concreto alla tutela dell’ambiente, senza costi aggiuntivi per loro. Questo approccio rappresenta non solo un’efficace soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti, ma anche un passo fondamentale verso la costruzione di una società più consapevole e responsabile dal punto di vista ambientale.

Deposit Return System

l sistema di deposito su cauzione per contenitori monouso di plastica, vetro e alluminio si sta rapidamente espandendo in Europa e nel mondo, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti. Dal 2025, 50 paesi e circa 357 milioni di persone adotteranno i sistemi DRS (Deposit Return Systems), che prevedono il pagamento di una cauzione (tra i 15 e i 25 centesimi) al momento dell’acquisto di una bevanda, rimborsata quando il contenitore vuoto viene restituito. Questo approccio ha già preso piede in 16 Stati membri dell’Unione Europea, in linea con la direttiva SUP (Single-Use Plastics) del 2019, che promuove il recupero e il riciclo degli imballaggi.

Pioniera di questa soluzione è stata la Svezia nel 1984, seguita da Paesi del Nord Europa come Norvegia, Finlandia e Danimarca, e altri come Germania, Paesi Bassi, Lituania ed Estonia. Più di recente si sono aggiunte Austria, Polonia, Romania, Irlanda e Ungheria, mentre la Spagna prevede di implementarlo entro il 2026. I dati raccolti confermano l’efficacia del DRS: nei Paesi che lo adottano, la raccolta supera l’80% delle bottiglie monouso, rispetto a una media europea del 58%, con punte del 98% in Germania. Il sistema non solo riduce significativamente l’abbandono dei rifiuti negli spazi pubblici, ma raggiunge tassi di raccolta medi del 94% grazie all’incentivo economico offerto ai consumatori.

Il modello è anche sostenibile dal punto di vista finanziario: viene alimentato dai contributi dei produttori di bevande, dalla vendita dei materiali riciclati e dai depositi non riscattati dai consumatori che non restituiscono i vuoti. Nonostante questi risultati, l’Italia non ha ancora adottato il DRS, sostenendo che sia preferibile concentrarsi su politiche di riciclo piuttosto che puntare sulla restituzione dei rifiuti, una posizione che continua a suscitare dibattito tra istituzioni, consorzi e ambientalisti.

La discussione in Italia

In Italia, il sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso è oggetto di un acceso dibattito. Sebbene sia stato introdotto nel 2021 e confermato nel Ddl Ambiente del 2022, rimane inattuato a causa della mancanza di decreti attuativi. Intanto, il nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi obbliga tutti i Paesi membri, Italia inclusa, a raggiungere il 90% di raccolta per bottiglie di plastica e lattine entro il 2029. Questo obiettivo appare sempre più urgente, considerando che ogni anno nel nostro Paese sfuggono alla raccolta differenziata circa 7 miliardi di contenitori monouso, generando costi aggiuntivi per i Comuni e un impatto ambientale significativo. Secondo Silvia Ricci, coordinatrice della campagna “A Buon Rendere”, un DRS in Italia potrebbe portare, nel giro di due anni, a raccogliere oltre il 95% di bottiglie in PET, vetro e lattine.

Le maggiori resistenze arrivano dal Conai, il consorzio italiano per il recupero e riciclo degli imballaggi, che considera il deposito cauzionale una duplicazione non necessaria rispetto alla raccolta differenziata esistente. Lo stesso, infatti, stima che l’installazione delle macchine necessarie comporterebbe un costo iniziale di circa 2,3 miliardi di euro e spese annuali di gestione pari a 350 milioni. Tuttavia, esperienze europee dimostrano che i sistemi tradizionali e il DRS possono convivere senza creare costi duplicati, contribuendo invece a recuperare quei materiali che oggi finiscono spesso dispersi o inceneriti.

Un esempio concreto viene dal Coripet, consorzio concorrente di Conai, che dal 2021 ha installato oltre 800 eco-compattatori per la raccolta selettiva delle bottiglie in PET. Questi dispositivi identificano gli imballaggi tramite il codice a barre e premiano i consumatori con sconti o premi, incentivando il riciclo. L’obiettivo è arrivare a 5.000 eco-compattatori entro il 2026. Questo approccio mostra come un sistema basato su cauzioni tra i 15 e i 20 centesimi possa funzionare, assegnando un valore economico agli imballaggi vuoti e stimolandone il recupero.

In conclusione

Il passaggio al deposito cauzionale non è solo una questione di infrastrutture, ma richiede anche una maggiore consapevolezza ambientale da parte di produttori, istituzioni e consumatori. Integrare il Drs in Italia non rappresenterebbe solo un’innovazione gestionale, ma anche un gesto concreto verso una transizione sostenibile, dove ogni attore sociale contribuisce attivamente a proteggere l’ambiente. Speriamo quindi che l’Italia possa seguire il modello europeo senza perdere il suo primato nel settore del riciclo e della raccolta differenziata.

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UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?

By : Aldo |Dicembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?
E-Liquids UK - Unsplash

Le innovazioni tecnologiche sono fondamentali per lo sviluppo della popolazione, che sia in ambito scientifico, medico, economico o sociale. Tuttavia, a volte, le innovazioni vengono usate anche per incrementare delle abitudini o dei sistemi negativi o che almeno possono nuocere alla vita di tutti. Un caso particolare è quello delle sigarette elettroniche che da qualche tempo hanno preso piede nella società, soprattutto tra i giovani.

Le sigarette elettroniche

Le sigarette elettroniche, note anche come e-cig o dispositivi per svapo, sono strumenti elettronici progettati per inalare un aerosol prodotto dalla vaporizzazione di un liquido contenente nicotina e aromi. Diversamente dalle sigarette tradizionali, non avviene combustione, riducendo così l’emissione di sostanze cancerogene comunemente associate al fumo. Vennero inventate nei primi anni 2000 da un farmacista cinese in cerca di un’alternativa al fumo dopo la perdita del padre per un tumore ai polmoni. Dunque le e-cig hanno acquisito rapidamente popolarità, soprattutto tra i giovani per la varietà di gusti e alla percezione di essere meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali.

Nonostante l’ascesa nel panorama giovanile e l’impatto culturale, alimentato dalla grande disponibilità di aromi e dall’aspetto sociale, rimangono dubbi sui rischi legati al loro uso. I liquidi contengono sostanze chimiche che possono danneggiare il sistema respiratorio e cardiovascolare, sollevando questioni sulla sicurezza a lungo termine di questi dispositivi considerati un’alternativa “più sicura” rispetto al fumo tradizionale.

Un divieto per l’ambiente

Purtoppo l’industria delle sigarette elettroniche rappresenta una crescente fonte di rifiuti a livello globale, aggravando il problema dell’inquinamento del suolo e delle acque. Le cartucce e le batterie, spesso non smaltite correttamente, contribuiscono non solo al degrado ambientale, ma anche alla perdita di materiali preziosi come litio e rame, essenziali per diversi settori industriali. Nel Regno Unito, ogni giorno vengono smaltiti più di 1.000.000 di vaporizzatori, con un ritmo di 13 dispositivi gettati ogni secondo. La maggior parte finisce tra i rifiuti indifferenziati, dove le batterie agli ioni di litio, se danneggiate o schiacciate, possono scatenare incendi nei camion della spazzatura o nei centri di riciclo. L’aumento del 71% degli incendi di questa origine rispetto al 2022 sottolinea la gravità del fenomeno.

Per affrontare questi problemi, il governo britannico ha annunciato che dal giugno 2025 sarà vietata la vendita di vaporizzatori monouso non riciclabili. Solo i dispositivi ricaricabili o con cartucce sostituibili saranno consentiti. Questa misura mira a ridurre sia l’inquinamento ambientale sia i rischi per la fauna selvatica, causati dai dispositivi abbandonati. Infatti, uno studio di Material Focus rivela che ogni settimana vengono acquistati circa 3.000.000 di vaporizzatori, ma ben 8,2 milioni sono smaltiti impropriamente. Questo processo potrebbe essere invertito poiché i dispositivi scartati ogni anno potrebbero alimentare fino a 10.127 veicoli elettrici. Dunque investire in punti di raccolta accessibili e sensibilizzare produttori e consumatori sono passi fondamentali per favorire un riciclo più responsabile e ridurre l’impatto ambientale di queste tecnologie.

Impatti sulla salute umana

Oltre a tali aspetti, e sigarette elettroniche, spesso considerate un’alternativa meno nociva al fumo tradizionale, comportano comunque significativi rischi per la salute. Tra gli effetti principali vi sono irritazione delle vie respiratorie, infiammazione e disturbi come tosse e difficoltà nel respiro. L’esposizione ai componenti chimici, in particolare alla nicotina, può causare problemi cardiovascolari, come aumento della pressione sanguigna e accelerazione del battito cardiaco. Inoltre, studi indicano una maggiore probabilità di malattie polmonari e complicazioni gravi, come l’epidemia di EVALI, che ha provocato infezioni polmonari e decessi negli Stati Uniti.

L’uso prolungato delle e-cig potrebbe anche causare cambiamenti epigenetici simili a quelli osservati nei fumatori tradizionali, aumentando il rischio di tumori. La nicotina aggrava ulteriormente i pericoli, contribuendo a dipendenza e potenziali danni neurologici, soprattutto nei giovani. Oltre ai rischi per la salute, le sigarette elettroniche rappresentano una minaccia ambientale e possono causare incidenti come esplosioni o ustioni. In definitiva, pur riducendo alcuni rischi rispetto alle sigarette convenzionali, gli effetti negativi delle sigarette elettroniche sulla salute e sull’ambiente sollevano preoccupazioni che richiedono attenzione.

Le necessità di riciclo

Pertanto, l’introduzione del divieto di vendita per i vaporizzatori monouso non riciclabili sta spingendo i produttori a ideare soluzioni creative per aggirare la normativa. Scott Butler, direttore esecutivo di Material Focus, evidenzia che questo provvedimento da solo non sarà sufficiente. Sarà necessaria una legislazione più incisiva per regolamentare i nuovi prodotti immessi sul mercato. Inoltre, si propone che i negozi che continuano a vendere dispositivi non riciclabili debbano perdere la licenza commerciale, mentre i consumatori devono essere sensibilizzati sull’importanza del riciclo.

Riciclare un vaporizzatore dovrebbe essere facile quanto acquistarne uno, ma l’infrastruttura attuale per la raccolta e il riciclo risulta inadeguata. È indispensabile ampliare i punti di raccolta in luoghi accessibili come negozi, parchi, scuole, università e altri spazi pubblici. Allo stesso tempo, i produttori e i rivenditori devono assumersi una maggiore responsabilità, fornendo supporto finanziario per sistemi di riciclo efficienti e sicuri, riducendo così i rischi di incendio e recuperando materiali preziosi. Solo con un approccio integrato sarà possibile mitigare l’impatto ambientale dei vaporizzatori usa e getta.

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Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.

By : Aldo |Dicembre 19, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.
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Negli ultimi anni, l’attenzione crescente verso le questioni ambientali ha portato a significativi aggiornamenti del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA). Le recenti modifiche riflettono l’impegno dell’Italia per una gestione sostenibile delle risorse naturali e affrontano le sfide legate ai cambiamenti climatici e alla tutela della biodiversità. Tuttavia ci sono ancora troppe controversie e non poche opposizioni da parte di associazioni ambientaliste e partiti politici.

Decreto Ambiente 2024

Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA), rappresenta il principale riferimento normativo italiano per la tutela ambientale. Promulgato con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita proteggendo l’ambiente e promuovendo l’uso sostenibile delle risorse naturali, il TUA raccoglie disposizioni in materia di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (IPPC), gestione dei rifiuti, nonché tutela di acqua, aria e suolo. Questo corpus normativo integra la legislazione esistente nel rispetto degli obblighi internazionali ed europei e ha subito importanti aggiornamenti nel tempo, come l’introduzione di nuove sezioni nel 2015 e riforme volte a semplificare le procedure di autorizzazione e controllo.

In questo quadro, il Decreto Ambiente 2024, approvato definitivamente dalla Camera il 10 dicembre dopo il via libera del Senato, introduce diverse novità significative. Tra queste, spicca la controversa riduzione delle distanze di protezione per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia dalle coste. Il provvedimento vieta il rilascio di nuovi permessi di ricerca ed estrazione di gas e petrolio, ma prevede una riduzione della distanza minima esclusivamente per le concessioni già esistenti. Inoltre, viene introdotta una corsia preferenziale per le valutazioni ambientali riguardanti progetti di “preminente interesse strategico nazionale”, come impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica.

Novità e priorità

Il rilancio delle trivellazioni rappresenta una priorità per il governo Meloni, che lo vede come un’opportunità strategica per aumentare l’autonomia energetica del Paese. Tuttavia, solo pochi giorni fa il TAR del Lazio aveva bloccato il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. I giudici hanno sottolineato carenze significative nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) e rilevato potenziali danni agli ecosistemi marini e costieri, criticità che il decreto appena approvato mira a risolvere attraverso la semplificazione e velocizzazione dei processi autorizzativi. Una delle misure più controverse del decreto è la riduzione delle distanze minime per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia nautiche, una soglia che il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha difeso affermando che garantisce comunque “un elevato grado di sicurezza”.

Parallelamente, il decreto Ambiente 2024 punta a incentivare altre infrastrutture legate alla transizione ecologica, assegnando priorità agli impianti strategici come quelli per l’accumulo di energia idroelettrica tramite pompaggio, utili per aumentare la capacità di immagazzinamento idrico. In questo ambito rientrano anche i sistemi di stoccaggio geologico della CO2, che prevede l’iniezione di anidride carbonica in forma liquida in rocce porose o giacimenti esauriti, e gli impianti per la cattura della CO2 convertibili in bioraffinerie, in grado di trasformare biomasse in biocarburanti.

Sul fronte del dissesto idrogeologico, il provvedimento attribuisce maggiori poteri ai commissari regionali, facilitando l’avanzamento dei lavori grazie a una più stringente supervisione sui fondi assegnati e promuovendo l’interconnessione delle banche dati per migliorare il monitoraggio e la tutela dei territori. Infine, vengono introdotte nuove norme per favorire l’economia circolare, con misure come la promozione del riutilizzo delle acque reflue raffinate a scopo irriguo, sottolineando l’intenzione del governo di rendere più sostenibili i cicli produttivi e di gestione delle risorse naturali.

Controversie e ostacoli

Il decreto Ambiente ha introdotto semplificazioni significative per le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA), attribuendo priorità a progetti di rilevante interesse strategico, come quelli per la cattura, lo stoccaggio e il trasporto di CO2, considerati essenziali per ridurre il carbonio nell’atmosfera. Un esempio concreto è il progetto avviato a Ravenna, che mira a catturare il 90% delle emissioni di CO2 di un impianto locale e immagazzinarle in un giacimento esaurito a 3.000 metri di profondità. Oltre a incentivare interventi legati al PNRR e a velocizzare l’approvazione di progetti del valore di oltre 25 milioni di euro, le norme puntano anche su criteri di sostenibilità economica e tecnica.

Tuttavia, queste disposizioni hanno suscitato polemiche, soprattutto da parte delle associazioni ambientaliste e dell’opposizione politica, che accusano il governo di favorire le fonti fossili a scapito delle energie rinnovabili, promuovendo progetti come le trivellazioni costiere entro le nove miglia. La deputata Luana Zanella (Europa Verde) ha evidenziato come tali misure rappresentino un freno alla transizione ecologica, mentre il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto-Fratin, ha difeso il decreto, definendolo un passo fondamentale per la semplificazione di settori strategici per l’economia. A questa controversia si aggiunge il dibattito sulla privatizzazione dell’acqua, escluso dal testo attuale ma che potrebbe rientrare nella manovra del 2025, alimentando ulteriori divisioni e opposizioni.

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Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.

By : Aldo |Dicembre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.
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Non c’è mai fine alla ricerca e alla scoperta di nuove conoscenze, tecnologie e soluzioni. Nella vita quotidiana come nello studio, più ci si interroga e più si va avanti con il progresso. Ed è così anche nella ricerca di nuove soluzioni per contrastare il cambiamento climatico sotto il punto di vista sociale, economico e ambientale. Nello specifico, si stanno studiando sempre più, le soluzioni che possano rendere sostenibile l’edilizia e anche renderla sostenibile a livello economico. L’esempio del professor Meggers potrebbe essere un modello da seguire.

L’impatto dell’edilizia e le soluzioni

L’edilizia ha un impatto significativo sull’ambiente, contribuendo in modo sostanziale alle emissioni di gas serra e al consumo di risorse naturali. Secondo le stime, il settore edilizio è responsabile di circa il 39% delle emissioni globali di CO2, considerando sia la costruzione che l’uso degli edifici. Le attività di costruzione richiedono enormi quantità di materiali, energia e acqua, e spesso comportano la distruzione di habitat naturali. Inoltre, l’uso di materiali non sostenibili e le pratiche costruttive inefficaci possono aggravare ulteriormente questi effetti negativi.

Scegliere un’edilizia sostenibile è cruciale poiché riduzione le emissioni di gas serra attraverso l’uso di materiali eco-compatibili e tecnologie energeticamente efficienti, come i sistemi geotermici e i pannelli solari. Aiuta nella conservazione delle risorse, utilizzando materiali riciclati o recuperati e progettando edifici che consumano meno energia, l’edilizia sostenibile contribuisce a preservare le risorse naturali. È fondamentale anche per mantenere la salubrità degli ambienti, questo perché gli edifici sostenibili tendono a creare ambienti interni più sani, riducendo l’uso di sostanze chimiche tossiche e migliorando la qualità dell’aria. Senza contare poi i benefici economici, quali risparmi significativi sui costi energetici nel lungo termine, rendendo gli edifici più economici da gestire. Infine è la base per la resilienza al cambiamento climatico essendo progettata per affrontare le sfide del cambiamento climatico, come l’aumento delle temperature e le condizioni meteorologiche estreme, contribuendo così a una maggiore resilienza delle comunità.

Forrest Meggers e la sua idea

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura alla Princeton University, ha trasformato la sua casa in New Jersey in un esempio tangibile di abitazione sostenibile. L’impresa, avviata tre anni fa, è nata dalla convinzione che una progettazione intelligente possa ridurre drasticamente le emissioni e migliorare l’efficienza energetica. Insieme alla moglie Georgette Stern e alle loro quattro figlie, Meggers ha affrontato una ristrutturazione radicale per costruire una casa autonoma dal punto di vista energetico.

La casa, che funge da laboratorio vivente, riflette la passione del professore per i temi climatici, come spiegato nel suo corso universitario “Progettare Sistemi Sostenibili”. Meggers considera questa esperienza un esempio pratico per sensibilizzare non solo i suoi studenti, ma anche la comunità locale e il pubblico in generale, definendo l’attuale crisi climatica come una corsa pericolosa “a 100 miglia all’ora senza cinture di sicurezza”.

Ovviamente l’ambizioso progetto non è stato esente da sfide. La ristrutturazione ha superato il budget iniziale di 300.000 dollari di circa 40.000 dollari, e per un anno la famiglia ha dovuto vivere con una cucina improvvisata nel seminterrato. Georgette, ex ingegnere che ha lasciato la carriera accademica per dedicarsi alla famiglia, ha preso le redini come manager del progetto, coordinando gli amici che spesso si offrivano di aiutare nei lavori. Mentre Meggers ha iniziato il suo percorso accademico con l’intento di progettare biciclette ecologiche, ma la consapevolezza dell’impatto climatico degli edifici lo ha spinto verso un nuovo obiettivo: ripensare l’architettura e le infrastrutture domestiche per contribuire in modo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. Questa esperienza, benché impegnativa, rappresenta un modello concreto di come si possa agire per un futuro più sostenibile.

Sostenibilità domestica

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura a Princeton, ha trasformato la sua abitazione in un progetto sperimentale di edilizia sostenibile. Per farlo ha investito inizialmente 300mila dollari, cifra poi lievitata a 350mila, e per un anno ha vissuto con la moglie e le quattro figlie in un seminterrato adattato. La casa, priva di caldaie o condizionatori e totalmente elettrica, è pensata per non dipendere dalla rete locale né dai combustibili fossili. Ogni modifica è stata progettata per ridurre al minimo consumi ed emissioni, integrando i principi di sostenibilità che Meggers insegna nel laboratorio C.H.A.O.S. (Cooling and Heating for Architecturally Optimized Systems).

Geotermia e innovazione tecnologica

Il cuore della ristrutturazione è stato l’installazione di un sistema geotermico avanzato. Questo sfrutta l’acqua delle falde sotterranee, mantenuta a una temperatura costante di circa 10°C, e la distribuisce in casa tramite una rete di tubi sotto il pavimento. Il sistema, reversibile, garantisce riscaldamento in inverno e raffrescamento in estate. Per aumentarne l’efficienza, Meggers ha perfezionato sensori e metodi di gestione dell’umidità, evitando così di ricorrere ad aria condizionata, ritenuta inefficiente. A tutto ciò si affianca un progetto di accumulo termico: due serbatoi sotterranei malleabili da 530 galloni ciascuno immagazzineranno energia per ridurre la dipendenza dalle pompe di calore. La ristrutturazione ha puntato anche sull’ottimizzazione degli spazi, abbattendo il piano superiore per costruire un nuovo tetto più basso e creare stanze private per le quattro figlie.

Questo ha permesso di eliminare i condotti dell’aria, sfruttando il sistema radiante. I materiali scelti rispecchiano l’approccio sostenibile: pavimenti in legno recuperato da frassini infestati da insetti, isolamento in lana di pecora e porte realizzate con legname locale. Per il bagno, un sistema innovativo permette di reindirizzare l’acqua del lavandino per lo scarico del WC. Anche l’esterno della casa è stato progettato per sfruttare strategie di riscaldamento e raffreddamento naturali. Finestre incassate e schermature solari passive favoriscono la luce solare in inverno e la ombreggiano in estate, ispirandosi a pratiche antiche come quelle degli Anasazi. A ciò si aggiungono pannelli solari per rendere la casa completamente autonoma dalla rete elettrica.

Un progetto personale con risvolti educativi

Per quanto complesso, il progetto di Meggers si è rivelato un punto di riferimento per l’edilizia green, tanto da essere visitato da studenti e colleghi. L’abitazione è oggi un laboratorio vivente, che dimostra come sia possibile costruire case a basso impatto ambientale in aree urbane. “Non serve vivere nel bel mezzo della natura per ridurre le emissioni”, commentano i suoi studenti, colpiti dall’ingegnosità del progetto.
Nonostante l’impegno profuso, la costruzione ha avuto i suoi momenti difficili. La moglie di Meggers, Georgette Stern, ha dovuto negoziare compromessi, soprattutto in cucina e sul tetto. Per mantenere felice la famiglia, Meggers ha persino sviluppato sistemi ad hoc per il raffreddamento estivo. Alla fine, l’armonia domestica è stata ripristinata grazie a stanze funzionali e a una cucina attrezzata. “Finirò quando smetterò di avere idee,” afferma il professore, segno che il progetto è più una missione che una semplice casa.

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Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.

By : Aldo |Dicembre 12, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.
Marek Piwnicki - Unsplash

In un periodo storico, sociale ed economico in cui tutto sembra andare sempre peggio, è fondamentale soffermarsi su ogni nuova conquista tecnologica, su ogni nuova politica volta alla protezione dell’ambiente e su ogni miglioramento del pianeta terra. Senza dubbio i cambiamenti climatici non ci risparmieranno, ma ogni tanto arrivano anche delle notizie positive che incrementano e rafforzano l’importanza di certe politiche, di certe nuove abitudini e delle azioni dedite alla salvaguardia dell’ambiente e del mondo.
in questo caso, sembra che con il 2024 si possa pensare ad una stabilizzazione o piccola ed iniziale ripresa del buco dell’ozono.

Il buco dell’ozono

Il buco dell’ozono è un fenomeno che indica la riduzione dello spessore dello strato di ozono nella stratosfera, particolarmente evidente sopra le regioni polari, come l’Antartide. Questo strato è fondamentale per la vita sulla Terra poiché assorbe la maggior parte delle radiazioni ultraviolette (UV) nocive provenienti dal Sole, in particolare le radiazioni UV-B e UV-C. La diminuzione dell’ozono permette a una maggiore quantità di raggi UV di raggiungere la superficie terrestre, con conseguenze gravi per la salute umana e per gli ecosistemi.

Le principali cause del così detto “buco” dell’ozono sono i clorofluorocarburi (CFC) e altri composti chimici rilasciati dalle attività umane, come l’uso di spray e refrigeranti. Nonostante gli sforzi internazionali, come il Protocollo di Montreal del 1987 che ha limitato l’uso di queste sostanze, il recupero completo dello strato di ozono è previsto solo per la metà del XXI secolo. Questo a causa delle persistenti emissioni e delle incertezze legate al cambiamento climatico.

Ovviamente tale fenomeno ha degli effetti negativi per l’intero pianeta e non solo degli umani. Per prima cosa l’aumento di tali radiazioni comporta un incremento dei casi di cancro della pelle, cataratta e indebolimento del sistema immunitario negli esseri umani. Inoltre, le radiazioni non filtrate possono danneggiare gravemente gli ecosistemi, compromettendo la fotosintesi nelle piante e riducendo la produzione di fitoplancton, che è essenziale per la catena alimentare marina.

L’evoluzione del fenomeno.

Negli ultimi 40 anni, il buco dell’ozono ha subito significative variazioni, influenzate principalmente dalle attività umane e dai cambiamenti climatici. Scoperto nel 1985 sopra l’Antartide, il fenomeno ha spinto all’adozione del Protocollo di Montreal nel 1987, che ha ridotto drasticamente l’uso di clorofluorocarburi (CFC), principali responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono. Nonostante ciò, negli anni ’90, il buco ha continuato ad espandersi, raggiungendo nel 2000 la sua massima estensione, pari a circa 29,9 milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, segnali di recupero sono emersi dal 2006 grazie alla riduzione dei CFC e nel 2016, il buco si era ridotto di 4 milioni di chilometri quadrati rispetto al 2000.

Negli anni recenti, però, il fenomeno ha mostrato fluttuazioni significative. Nel 2023, il buco ha raggiunto un’estensione di oltre 26 milioni di chilometri quadrati, confermando una persistente variabilità nonostante i progressi ottenuti. Nonostante i progressi, gli scienziati avvertono che il recupero completo dello strato di ozono potrebbe richiedere decenni e che le dimensioni del buco continueranno a essere influenzate da variabili meteorologiche e dall’impatto del cambiamento climatico 12. Se le attuali tendenze continueranno, il buco dell’ozono potrebbe chiudersi completamente entro il 2066. Forse però, proprio il 2024 potrebbe essere l’anno di stabilizzazione o almeno di ripresa.

Il miglioramento del 2024

Negli ultimi quattro anni, il buco annuale dell’ozono antartico si è protratto più a lungo del solito, chiudendosi nella seconda metà di dicembre. Invece quest’anno, il fenomeno ha mostrato segnali di ritorno a comportamenti tipici, iniziando a chiudersi all’inizio di dicembre, un periodo più vicino alla media storica rispetto agli ultimi anni. Questo progresso è stato monitorato in tempo reale dal Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus (CAMS), che ha evidenziato una riduzione significativa dell’area massima del buco, scesa a 22 milioni di km² rispetto ai 25 milioni del 2023 e del 2022. Secondo il monitoraggio, l’area del buco si era ridotta costantemente nel mese di ottobre, seguendo l’andamento medio, per poi stabilizzarsi a circa 10 milioni di km² al giorno durante il mese di novembre. Inoltre, l’interruzione del vortice polare nella prima settimana di dicembre aveva contribuito a far sì che la chiusura del buco dell’ozono del 2024 si allineasse con la media registrata tra il 1979 e il 2021.

Laurence Rouil, direttore del Servizio, ha sottolineato che il Protocollo di Montreal e i suoi emendamenti avevano svolto un ruolo fondamentale nel contenere le emissioni di sostanze dannose per l’ozono. Tuttavia, aveva aggiunto che permaneva una certa variabilità legata alle dinamiche naturali delle altre variabili atmosferiche e che si sperava di osservare i primi segnali di recupero del buco dell’ozono nei prossimi decenni. Al netto di tali cambiamenti e piccoli successi, si prevede che i primi segnali concreti di recupero dello strato di ozono emergeranno nei prossimi decenni.

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GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  

By : Aldo |Dicembre 09, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  
Mehdi Mirzaie - Unsplash

La lotta al cambiamento climatico risulta ed è spesso una lotta contro le emissioni di CO2 correlate alle attività antropiche. Si invita solitamente a ridurne la produzione e la conseguente emissione in qualsiasi ambito e settore. Tuttavia non è sempre semplice stare al passo con l’innovazione e godere delle nuove attrezzature per limitare i danni al pianeta. Fortunatamente e con grande sorpresa, la ricerca va avanti spedita e sta trovando un’ampia gamma di soluzioni per rimediare al problema.

Le emissioni degli allevamenti

Le problematiche legate alle emissioni degli allevamenti sono particolarmente gravi sia a livello globale che in Italia, dove il settore zootecnico contribuisce in modo significativo all’inquinamento atmosferico. In Italia, circa il 79% delle emissioni di gas serra nel settore agricolo proviene dagli allevamenti, con una predominanza di metano e ammoniaca. Le emissioni di metano, generate principalmente dalla digestione enterica degli animali, rappresentano quasi il 70% delle emissioni agricole totali e sono particolarmente elevate negli allevamenti di bovini. A livello europeo, gli allevamenti sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni del comparto agricolo, evidenziando un trend preoccupante nonostante alcune riduzioni registrate negli ultimi decenni.

In particolare,  gli allevamenti intensivi sono la principale fonte di emissioni di ammoniaca in Italia, contribuendo al 75% del totale e alla formazione di polveri sottili, che hanno gravi ripercussioni sulla salute pubblica, causando circa 50.000 morti premature ogni anno. La situazione è particolarmente critica nelle regioni come la Lombardia, dove la densità degli allevamenti intensivi amplifica questi effetti negativi. Le pratiche di allevamento industriale non solo aumentano le emissioni di gas serra, ma comportano anche un uso insostenibile delle risorse agricole e idriche, oltre a favorire la diffusione di zoonosi e virus.

È chiaro quindi che, le emissioni degli allevamenti rappresentano una sfida significativa per la sostenibilità ambientale e la salute pubblica in Italia e nel mondo. Pertanto, sono necessari interventi urgenti per ridurre l’impatto ambientale di queste attività.

GrapheneBreathe

A tal proposito, GrapheneBreathe è la startup vincitrice della menzione speciale Green&Blue al Premio Nazionale Innovazione 2024 per il miglior progetto di impresa a impatto sul cambiamento climatico. Fondata grazie alla ricerca dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, l’azienda sviluppa una tecnologia innovativa per la cattura e trasformazione delle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti di bestiame, utilizzando avanzati sistemi di filtrazione a base di grafene. La soluzione proposta riduce l’impatto ambientale generando, al contempo, sottoprodotti utili come gas industriali, fertilizzanti a base di urea e crediti di carbonio, offrendo benefici sia agli allevatori che all’industria. Il progetto, realizzato in collaborazione con partner di ricerca e industriali, è guidato da un team composto da Pierluigi Simeone, Salvatore Cosmo Di Schino, Nadia Spinelli, Thi Ha Le e Francesco Siconolfi. Grazie alla combinazione di sostenibilità ambientale ed efficienza economica, GrapheneBreathe rappresenta un modello per le start-up innovative nel settore climatico.

Filtrazione della CO2.

GrapheneBreathe: Una Soluzione Innovativa per la Riduzione delle Emissioni Agricole

Il vantaggio competitivo di GrapheneBreathe risiede nella sua tecnologia di filtrazione avanzata basata su grafene, che offre un metodo versatile ed efficiente per catturare diversi gas nocivi (CO₂, metano, ammoniaca) direttamente dalle emissioni agricole. Questa innovativa applicazione della tecnologia di cattura delle emissioni conferisce all’azienda una posizione di leadership, superando i tradizionali approcci indiretti come gli additivi per mangimi. Il sistema di filtrazione a ossido di grafene, grazie alla sua elevata capacità di adsorbimento, garantisce un’efficace cattura dei gas, che possono poi essere riutilizzati economicamente, ad esempio come fertilizzanti o in altre applicazioni industriali.

Per supportare le aziende agricole nella riduzione dell’impatto ambientale, GrapheneBreathe propone tre soluzioni principali:

  1. Sistema di filtrazione modulare, basato su grafene, offrendo una soluzione scalabile che richiede un investimento iniziale contenuto da parte degli agricoltori.
  2. Modello di business con flussi di ricavi diversificati: la vendita e manutenzione dei sistemi di filtrazione, la commercializzazione diretta di gas industriali recuperati (CO₂, metano, ammoniaca), la vendita di crediti di carbonio certificati e la produzione di urea, in risposta alla crescente domanda di fertilizzanti sostenibili.
  3. Partnership strategiche per l’espansione del mercato collaborando con distributori di gas industriali, enti certificatori di crediti di carbonio e associazioni regionali di agricoltori per ampliare la propria presenza e offrire soluzioni efficaci e integrate.

Queste iniziative rendono GrapheneBreathe una soluzione pionieristica e concreta per affrontare le sfide ambientali del settore agricolo.

Premio Nazionale Innovazione 

Il Premio Nazionale per l’Innovazione 2024 (PNI 2024) si tiene il 5 e 6 dicembre presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Organizzato congiuntamente da PNICube e dall’ateneo ospitante, il PNI è la più importante competizione italiana di business plan, volta a selezionare i migliori progetti di start-up innovative provenienti dalle Start Cup regionali promosse dalla rete PNICube. L’iniziativa si articola su quattro settori chiave dell’innovazione: Cleantech & Energy, Life Sciences-MedTech, ICT e Industrial.

L’obiettivo principale del PNI è diffondere la cultura imprenditoriale tra ricercatori e studenti universitari, offrendo formazione specifica e supporto per la creazione di start-up. Inoltre, il premio facilita il collegamento tra i partecipanti e aziende o istituzioni finanziarie, agevolando il trasferimento tecnologico e l’incubazione di nuove idee imprenditoriali. L’iniziativa si allinea agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, promuovendo un’economia inclusiva e sostenibile.

I vincitori riceveranno premi in denaro, affiancati da riconoscimenti speciali offerti dai partner di PNICube. Tra le novità di questa edizione, spicca il Premio speciale INVITALIA per l’Imprenditoria Femminile, destinato alle start-up innovative guidate da donne. Questo riconoscimento mira a sostenere le ricercatrici e aspiranti imprenditrici, incentivando la nascita e la crescita di progetti imprenditoriali al femminile.

In sintesi, il PNI 2024 non è solo una celebrazione dell’innovazione, ma anche una piattaforma di networking e crescita per le competenze imprenditoriali, contribuendo a rendere l’ecosistema economico italiano più dinamico e inclusivo.

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Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.

By : Aldo |Dicembre 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.
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Kevin Grieve - Pexels

COP, Summit, conferenze globali tutte per salvare il nostro pianeta.  Dopo che novembre ha accolto la COP29 a Baku e il Summit sull’inquinamento da plastica a Busan, a dicembre arriva la COP16 sulla desertificazione a Riad. Questi incontri internazionali hanno sempre dei grandissimi ed importanti obiettivi, ma spesso sembrano non avere l’impatto previsto. Ultimamente è stato difficile raggiungere gli obiettivi prefissati negli anni precedenti e spesso alcuni stati si oppongono a delle politiche necessarie per proteggere il pianeta e quindi noi stessi. Come andrà la COP16 a Riad, lo scopriremo prossimamente.

UNCCD

La Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) è un accordo internazionale operativo dal 1996. Si tratta di un patto che mira a contrastare la desertificazione e gli effetti della siccità, specialmente nei paesi più colpiti, come quelli africani. Risulta essere l’unico strumento giuridicamente vincolante che integra ambiente, sviluppo sostenibile e gestione del territorio.

I suoi obiettivi principali sono:

  • Migliorare gli ecosistemi: Promuovere una gestione sostenibile del suolo e contrastare il degrado.
  • Condizioni di vita: Supportare le popolazioni colpite dalla desertificazione.
  • Gestione della siccità: Aumentare la resilienza di comunità ed ecosistemi.
  • Benefici ambientali globali: Garantire un’efficace attuazione della Convenzione.
  • Mobilitare risorse: Creare partenariati per finanziare e sostenere le azioni.

La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale principale. La COP16 si terrà a Riyad, Arabia Saudita, dal 2 al 12 dicembre 2024, per definire nuove strategie contro il degrado del suolo, che interessa circa 15 milioni di km². La desertificazione è alimentata da cambiamenti climatici, pratiche agricole insostenibili e urbanizzazione, con effetti gravi come scarsità d’acqua, insicurezza alimentare, migrazioni forzate e conflitti. Pertanto, la UNCCD propone un approccio integrato, considerando le interazioni tra ambiente, economia e società. Negli anni, le Conferenze delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) hanno prodotto importanti risultati. Per esempio, le strategie per migliorare la resilienza alla siccità, ridurre il degrado del suolo e promuovere la gestione sostenibile delle risorse naturali.

La COP 11 (2013) sono stati sviluppati gli strumenti per raggiungere la neutralità del degrado del suolo (LDN) integrando scienza e politiche. Con la COP 13 (2017) ha introdotto un nuovo Quadro Strategico UNCCD e il Fondo LDN per progetti di restaurazione del suolo. Mentre la COP 15 (2022), ha adottato l’Abidjan Call per un impegno globale contro la desertificazione, ovvero una dichiarazione sull’uguaglianza di genere nella restaurazione del suolo. Ed anche il Programma Legacy, che mira a restaurare il 20% della copertura forestale della Costa d’Avorio entro il 2030.

Vediamo cosa ci aspetta dalla COP 16 di Riad.

 

La desertificazione nel mondo

La desertificazione e il degrado del suolo sono fenomeni in rapida crescita, con il 40% dei suoli globali già degradati a causa di attività antropiche, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e pratiche agricole intensive. Le conseguenze comprendono una crescente scarsità d’acqua, l’impoverimento dei raccolti e un aumento del rischio di fame per milioni di persone. La siccità, cresciuta del 30% dal 2000, potrebbe colpire il 75% della popolazione mondiale entro il 2050. Per affrontare questi problemi, la COP16 di Riad, organizzata dall’UNCCD, punta a raccogliere fondi e a promuovere soluzioni sostenibili.

COP 16

La sedicesima Conferenza delle Parti (COP16), in corso a Riad sotto la guida dell’UNCCD, evidenzia l’urgenza di intervenire con investimenti massicci per combattere il degrado dei suoli e rafforzare la resilienza alla siccità. L’UNCCD ha infatti stimato che tra il 2025 e il 2030 saranno necessari 2,6 trilioni di dollari, ovvero un miliardo al giorno, per bonificare i terreni degradati e prevenire crisi future. Nonostante i finanziamenti globali siano aumentati, passando da 37 miliardi di dollari nel 2016 a 66 miliardi nel 2022, la cifra è ancora insufficiente rispetto al fabbisogno reale. La questione finanziaria risulta dunque essere centrale, con un appello per un maggiore coinvolgimento del settore privato, che attualmente contribuisce solo al 6% delle risorse necessarie.

Durante la COP16, sono state presentate nuove tecnologie per il monitoraggio e la gestione del territorio. Tra queste, l’Atlante mondiale della siccità, sviluppato dal Centro di ricerca congiunto della Commissione europea. E poi e il prototipo dell’International Drought Resilience Observatory (Idro) che promette di migliorare la gestione delle risorse attraverso l’intelligenza artificiale. Inoltre, gli interventi basati sulla natura, come la riforestazione e la gestione sostenibile dei pascoli, sono considerati essenziali per affrontare il problema. Questi strumenti tecnologici e approcci integrati potrebbero contribuire a mitigare i rischi sistemici per settori cruciali come agricoltura, energia e trasporti. Senz’altro si punta al ripristino dei suoli, accelerando la bonifica di almeno 1,5 miliardi di ettari entro il 2030.

Impatto in Italia e nel Mediterraneo

Si parlerà ovviamnete anche dell’Italia, dove oltre il 20% del territorio è a forte rischio di desertificazione, con punte che superano il 70% in regioni come la Sicilia. Anche il consumo di suolo è allarmante, visto che ogni anno vengono persi 70 chilometri quadrati di territorio, l’equivalente di una città come Napoli. Questa perdita comporta una riduzione della capacità del suolo di trattenere acqua, causando costi annui pari a 400 milioni di euro. Precisamente, le aree urbane sono particolarmente colpite, con meno spazi verdi accessibili e un aumento della cementificazione. Quindi, investire in tecnologie per il risparmio idrico e il ripristino dei suoli è fondamentale per mitigare gli impatti nel Mediterraneo e in tutto il paese.

Non ci resta che aspettare gli output di questa conferenza cruciale per il futuro di tutti, sperando che non sia l’ennesima delusione dell’anno.

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Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

By : Aldo |Dicembre 02, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.
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La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità. Per tali ragioni, è necessario trovare un accordo globale per limitare e cercare di ridurre per quanto possibile, i danni correlati a tale questione.

Trattati sulla plastica

Il Trattato globale sull’inquinamento da plastica, avviato nel marzo 2022 con l’adesione di 175 nazioni durante l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite (UNEA-5.2). Grazie all’istituzione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC),  punta a regolamentare l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2024. Tra i suoi obiettivi principali figurano la riduzione della produzione di plastica vergine, la promozione dell’economia circolare e il controllo delle microplastiche. La “Bozza Zero”, presentata nel settembre 2023, è alla base dei negoziati, sostenuti da coalizioni internazionali ma ostacolati dai contrasti con alcuni Paesi produttori di petrolio.

Nonostante il sostegno internazionale, il successo del trattato dipende dalla cooperazione globale e dalla capacità di superare le divergenze politiche. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha ribadito l’urgenza di un accordo ambizioso e vincolante per affrontare questa crisi ambientale.  La prossima sessione dell’INC, fissata per aprile 2025, sarà decisiva per confermare l’efficacia delle misure proposte.

Le basi per Busan 2024

A Busan, in Corea del Sud, si è svolto il quinto e ultimo ciclo di negoziati per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. L’incontro, durato una settimana, dal 25 novembre al 1° dicembre, che riunisce i delegati di 175 Paesi, rappresenta un’opportunità cruciale per affrontare un problema crescente. La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Mentre le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità.

Ogni anno, circa 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente. Nonostante le promesse di sostenibilità, solo il 10% della plastica viene riciclata a livello globale, mentre la metà dei prodotti plastici viene destinata alle discariche. Tuttavia, le divisioni fra Paesi produttori di combustibili fossili e quelli che cercano di ridurre la produzione di plastica vergine ostacolano i progressi verso un accordo internazionale.

Le difficoltà nei negoziati

Gli ultimi negoziati per il Trattato globale sulla plastica hanno fallito a causa o forse soprattutto per le divisioni tra i Paesi, che continuano a bloccare il dialogo, bloccando qualsiasi intesa entro la scadenza del 1° dicembre.  Purtoppo il dibattito a Busan è ruotato attorno visioni contrapposte: Paesi come Arabia Saudita, Iran e Russia si sono opposti alla limitazione della produzione di plastica vergine, mentre nazioni dell’UE, insieme a Svizzera e Fiji, hanno continuato a sostenere una riduzione sostenibile.

L’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio e prodotti petrolchimici, è accusata di ostacolare deliberatamente i negoziati. Questo perché ha mantenuto posizioni immutate e rallentato i progressi, mentre altri Paesi produttori di idrocarburi e lobby legate all’oil&gas hanno esercitato un’influenza significativa. Anche Anche gli Stati Uniti erano per la riduzione della produzione di plastica vergine, ma l’influenza di politiche basate sui combustibili fossili rischia di compromettere il loro impegno. La sola speranza di molti è che la Cina possa assumere un ruolo di leadership per facilitare un’intesa.

Tuttavia, le regole ONU, richiedono il consenso unanime, è questo ha portato allo stallo e al fallimento di cui siamo a conoscenza oggi.

Proposte e punti di disaccordo

Proprio per evitare lo stallo prevedibile, la delegazione di Panama ha persino proposto di abbandonare questa regola per accelerare il processo, ma senza successo. Dunque, l’ultima bozza dell’accordo non raggiunto, era ancora piena di opzioni e mancava di compromessi significativi. Perciò gli esperti dell’UNEP hanno sottolineato l’importanza di un approccio basato sul ciclo di vita della plastica, includendo la gestione dei rifiuti e la promozione di modelli di consumo sostenibili.

Sebbene le premesse fossero chiare, tra i punti di disaccordo, quindi i temi più caldi che presentano ancora 22 opzioni aperte, si riportano:

  • la riduzione della produzione globale di plastica,
  • la definizione di prodotti pericolosi per la salute
  • finanziamento per i Paesi in via di sviluppo per sistemi di gestione dei rifiuti.

Inoltre, alcune nazioni, tra cui Francia e Kenya, hanno proposto un’imposta sulla plastica vergine per raccogliere fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo, con una tariffa tra 60 e 70 dollari per tonnellata. Ovviamente, l’idea è stata fortemente osteggiata dalle associazioni industriali.

Senza contare, gli argomenti che prevedono delle visioni basilari contrastanti per via delle leggi internazionali, oppure che prevedono 2 soluzioni convergenti. Sicuramente è necessario stabilire quale approccio usare, se quello massimalista, che prevede limiti alla produzione di plastica (articolo 6), o quello minimalista, focalizzato esclusivamente sul potenziamento del riciclo. E poi bisogna ragionare  su un secondo contrasto tra il principio “chi inquina paga”, il diritto di ogni Paese a utilizzare le proprie risorse naturali come ritiene opportuno.

Accuse e malcontento generale.

Il vertice di Busan, dunque, si è concluso senza un accordo per il Trattato globale sulla plastica. Ovviamente questo ha portato a delle grandi accuse e delusioni. In primis, il diplomatico ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso ha sottolineato come i negoziati siano stati rallentati da tattiche dilatorie, come 60 interventi di cinque minuti per modificare una frase. Secondo l’OCSE, senza interventi, l’inquinamento da plastica triplicherà entro il 2060, con la produzione globale che potrebbe crescere da 460 milioni di tonnellate nel 2019 a 1,2 miliardi di tonnellate.

La Coalizione delle Alte Ambizioni ha criticato l’ostruzionismo dei paesi petroliferi e Greenpeace ha denunciato gravi conseguenze per l’ambiente, ma alcuni delegati, come quelli di Norvegia e Ruanda, hanno segnalato progressi nel testo preliminare. La prossima sessione, prevista nel 2025, non ha ancora una data o sede, con Canada e Francia che chiedono un incontro a livello governativo.

 

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Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.

By : Aldo |Novembre 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cop29, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Stop ai petro-stati come host delle COP.
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La COP29, svoltasi a Baku dall’11 al 27 novembre 2024, si è svolta in un contesto di tensioni geopolitiche. Tra resistenze dei Paesi ricchi a finanziare adeguatamente il Sud globale, la crescente sfiducia nel processo multilaterale e una presidenza controversa affidata a un petro-stato. Il focus esclusivo della conferenza è stato il New Collective Quantified Goal (NCQG), mirato a definire i flussi finanziari necessari per sostenere la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo.

Risultati Principali

Per quanto riguarda la finanza climatica, il target è stato fissato a 300 miliardi di dollari annui a partire dal 2035, una cifra lontana dai 1.300 miliardi richiesti dal Sud globale. Di questi, solo i 300 miliardi sono vincolanti, mentre il resto rimane un’aspirazione, un invito senza obblighi concreti. Tuttavia mancano chiarezza e sicurezza sulle fonti finanziarie, che includono privati e bilaterale. È stato però confermato il principio di non indebitamento per i Paesi poveri e istituita una roadmap per raggiungere l’obiettivo più ambizioso, sebbene priva di dettagli concreti.

Il tema della parità di genere ha ricevuto scarsa attenzione. Non si è raggiunto un accordo sull’estensione del piano d’azione, e le richieste di finanziamenti dedicati sono state respinte dai Paesi ricchi. Divisioni linguistiche hanno portato alla rimozione di termini come “intersezionalità”, mantenendo solo riferimenti generici ai diritti umani.

Sebbene dopo nove anni di attese, sono state adottate delle regole per il mercato dei carbon credit attese, il sistema rimane incompleto e insufficiente. Sul fronte della mitigazione climatica, non si è raggiunto alcun accordo concreto sulla transizione dai combustibili fossili, con il tema rinviato alla COP30. Si è evitato però un riferimento ambiguo ai “combustibili di transizione” come il gas naturale.

Criticità e Insoddisfazioni

Il Sud globale ha espresso insoddisfazione per la scarsità dei fondi stanziati e per l’assenza di impegni concreti. Temi fondamentali come la mitigazione climatica e la parità di genere sono stati affrontati in modo marginale o rinviati, evidenziando il peso delle lobby fossili, che hanno ostacolato i progressi e aggravato le già delicate tensioni geopolitiche.

Il target finanziario include una considerevole quota di prestiti, una scelta particolarmente contestata dai Paesi in via di sviluppo. Nonostante l’impegno a triplicare i finanziamenti ai fondi ONU entro il 2030 e a riesaminare il tema alla COP30, queste misure sono state giudicate insufficienti. L’India, in particolare, ha criticato il processo decisionale, denunciando l’approvazione del testo finale senza un consenso condiviso.

Prospettive Future

La COP30, che si terrà in Brasile, rappresenterà un momento decisivo per affrontare temi rinviati come la mitigazione climatica. Attori centrali come l’Unione Europea, la Cina e il Brasile stesso, avranno un ruolo strategico a Belém 2025. Mentre l’UE intende garantire finanziamenti non legati a nuovo debito, la Cina prosegue con progetti bilaterali senza vincoli multilaterali, Brasile, in qualità di ospite, sarà il mediatore tra Nord e Sud globale.

Un elemento chiave sarà il coinvolgimento del settore privato, incoraggiato a investire in progetti sostenibili e rispettosi delle comunità locali, senza generare nuovo debito. Sebbene l’accordo della COP29 sia stato considerato debole, come un bicchiere mezzo vuoto, non è stato totalmente vuoto. Infatti potrebbe costituire una base di partenza per il futuro, che tuttavia richiederà un rafforzamento della volontà politica e un maggiore impegno privato.

Sembra assurdo affermarlo, ma sembra che ogni anno, più si ha la consapevolezza scientifica e pratica dei cambiamenti e più ogni anno cresce l’indifferenza di certe popolazioni. Non a caso, certi processi sono resi più complicati dalla possibile nuova uscita degli USA dall’Accordo di Parigi e dal negazionismo di vari capi di stato.

Senz’altro è fondamentale che si cambi rotta anche per quanto riguarda gli host. Non è più accettable che i petro-stati possano ospitare dei summit globali di questo genere, in quando hanno un’influenza rilevante che da 3 anni si impone sugli accordi, con velate intimidazioni e degli obiettivi insufficienti o poco concreti.

Già lo scorso anno, Al Gore aveva criticato aspramente gli Emirati Arabi Uniti per aver nominato Sultan al-Jaber, CEO di ADNOC, presidente della Conferenza. Definì tale atto, come un abuso della fiducia pubblica accusando la leadership della conferenza di non essere imparziale. Inoltre, evindenziò l’aumento delle emissioni di gas serra degli Emirati nel 2022, sottolineando il conflitto d’interessi nella gestione delle negoziazioni sul clima. Gore criticò inoltre la presenza delle compagnie petrolifere e la promozione di tecnologie come la cattura del carbonio, accusando queste aziende di proteggere i loro profitti a scapito della salute del pianeta.

Nonostante i limiti, la COP29 ha evitato un fallimento totale e ha posto le basi per il futuro, ma la strada verso una vera transizione ecologica rimane difficile, richiedendo determinazione, rigore scientifico e capacità di adattamento.

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Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.

By : Aldo |Novembre 24, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Conoscere l’impatto della moda è fondamentale, come saper riciclarne i tessuti.
Héctor J. Riva - Unsplash

Il fenomeno del fast fashion ha un impatto sempre più rilevante col passare degli anni, nonostante le inchieste che lo condannano per molteplici cause. Tutti sappiamo come sta inquinando acque, suoli, l’aria, per non parlare dello sfruttamento umano e minorile, ma continuiamo a comprare dalle stesse aziende. Quindi sempre per il concetto dell’economia circolare e quindi di una maggiore sostenibilità, sarebbe opportuno far capire in modo concreto, come e quanto inquinano i nostri abiti. Ma soprattutto come possiamo riciclarli grazie alle nuove tecnologie e alla creatività.


L’impatto del fast fashion

Il fast fashion ha un impatto ambientale significativo, non solo per la produzione intensiva e il rapido ricambio di capi d’abbigliamento, ma anche per le conseguenze nascoste legate al lavaggio dei tessuti sintetici. Infatti molti abiti economici sono realizzati con materiali come il poliestere, che durante i lavaggi rilasciano microfibre di plastica nell’acqua. Queste particelle microscopiche, nei fiumi e negli oceani, contribuendo all’inquinamento marino e minacciando gli ecosistemi acquatici. Pertanto la loro dispersione è un problema silenzioso ma diffuso, aggravato dall’enorme quantità di vestiti prodotti e consumati, che richiede un’attenzione maggiore sia da parte dei produttori che dei consumatori.

Di certo per limitare tali problematiche è fondamentale un’adeguata sensibilizzazione del consumatore. Quest ultimo infatti deve essere consapevole di cosa compra e dell’impatto che hanno i prodotti che acquista. Così facendo è più probabile che si possa avere un cambio di direzione, raggiungendo nuovi obiettivi comuni. Analogamente è cruciale la consapevolezza che i prodotti che acquistiamo possono, anzi, devono essere riusati e riciclati. In entrambi i casi, i cittadini non sono chiamati a creare delle nuove strategie, ma semplicemente ad essere informati e a optare per le soluzioni migliori.

 

L’etichetta dell’impatto

Chi invece è chiamato a fare la differenza sono gli studiosi e i ricercatori di tutto il mondo che giorno dopo giorno trovano soluzioni e innovazioni per aiutarci a salvare il mondo. In questo caso parliamo di un’etichetta per vestiti abbastanza particolare, unica nel suo genere.

Infatti, due ricercatrici della Heriot-Watt University, Sophia Murden e Lisa Macintyre, hanno sviluppato un sistema per classificare i capi d’abbigliamento in base alla quantità di microplastiche che rilasciano. L’obiettivo è creare un’etichetta informativa che permetta di valutare l’impatto ambientale dei tessuti in modo semplice e immediato. Attualmente, i metodi disponibili per misurare il rilascio di microfibre, come quelli gravimetrici, sono complessi e costosi, dunque le ricercatrici propongono un approccio più accessibile e altrettanto accurato. Il loro metodo si basa su lavaggi in laboratorio, seguiti dall’analisi dei residui filtrati con il supporto di una scala visiva simile a quella usata per valutare le gradazioni di grigio.

Inizialmente testata sul poliestere nero, questa tecnica ha mostrato risultati comparabili ai metodi tradizionali. Le ricercatrici auspicano che le aziende adottino materiali più sostenibili e che i consumatori possano fare scelte consapevoli grazie a un’etichetta basata su questa scala. Tuttavia, è ancora necessario ampliare i test ad altri tipi di fibre e colori per perfezionare il sistema.


Il riciclo creativo

Come già detto, oltre all’innovazione serve una grande attività di riciclo che non riguarda solo i cittadini ma anche e forse soprattutto le aziende. Non a caso di recente nascono tante idee per far si che si buttino sempre meno capi d’abbigliamento, aumentando il tasso di riciclo soprattutto per mezzo di processi creativi. Un esempio è Pulvera, una startup fondata dalle sorelle Eleonora e Beatrice Casati, che trasforma scarti tessili in materiali innovativi e soluzioni di design sostenibile. Ispirate alla creatività del bisnonno Celso Casati, che negli anni ’40 sperimentò il riutilizzo delle fibre tessili, le due sorelle hanno sviluppato un modello di economia circolare per ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile. Pulvera collabora con aziende per recuperare e trasformare scarti in polvere utilizzabile in vari settori, come la produzione di carta e plastica.

Tra i loro progetti di design, spicca “Cremino”, un pouf realizzato con materiali derivati da vecchi materassi, che dimostra come sia possibile creare nuovi prodotti evitando lo spreco di risorse. Le sorelle Casati, legate al valore della sostenibilità, promuovono uno stile di vita rispettoso dell’ambiente anche nella loro quotidianità. Guardano al futuro puntando a consolidare la presenza sul mercato italiano e ampliarsi in Europa, proponendosi come punto di riferimento per il riciclo nel settore tessile.

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COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.

By : Aldo |Novembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP29. Emissioni non pervenute, fondi insufficienti e ancora tanti “inviti”.
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Arrivati alla conclusione di questa 29 esima conferenza, la situazione globale è cambiato poco. Gli interessi dei vari stati non sembrano coincidere e in certi casi le sfide climatiche non preoccupano proprio.
Al netto di tutto quello che è stato discusso nelle due settimane di conferenza, i risultati generali non fanno ben sperare. Ecco i punti sviluppati e i nuovi accordi.

 

Il “clima” della COP

COP29, Baku 2024, il clima dei negoziati non è mai stato così teso, con una bozza di accordo che ha suscitato forti critiche da parte di rappresentanti dell’Unione Europea e di paesi sviluppati. Dopo le prime proposte messe in tavola dai vari delegati, Woepke Hoekstra, capo della delegazione UE, aveva definito il testo “sbilanciato” e “inattuabile”. Questo perché il documento non affrontava adeguatamente la riduzione delle emissioni di gas serra rispetto agli impegni presi a Dubai l’anno precedente. Anche l’Australia ha espresso preoccupazioni simili.

Dall’altra parte, i leader africani del Gruppo dei 77 più Cina hanno evidenziato l’assenza di un importo specifico che i Paesi ricchi dovrebbero versare ai Paesi in via di sviluppo. Evidenziando tale questione hanno chiesto un contributo annuale di almeno 1,3 trilioni di dollari così da trattare con cifre concrete e non ipotetiche.  Invece il ministro italiano dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha insistito sulla necessità di non fermarsi solo alla finanza, ma di discutere anche sulla mitigazione.

A questo punto la bozza presentata prevedeva due opzioni ministeriali contrastanti:

  • La prima stabiliva un obiettivo collettivo per la finanza climatica, richiedendo ai Paesi sviluppati di fornire almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno in sovvenzioni a fondo perduto.
  • La seconda, proponeva un aumento della finanza globale per il clima a un importo non specificato (X trilioni) per tutti i Paesi, inclusi quelli in via di sviluppo.

Tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito che le posizioni iniziali delle delegazioni sarebbero dovute cambiare per raggiungere un accordo il prima possibile. Nonostante, la presidenza azera era alla ricerca di un compromesso prima della conclusione della conferenza, l’assenza di una forte leadership americana e le tensioni tra Nord e Sud globale hanno reso incerta la possibilità di un risultato positivo. Ovviamente, la Cina avrebbe avuto un ruolo cruciale nel determinare l’esito dei negoziati.

Nuovi accordi e patti consolidati

Gli ultimi aggiornamenti sui negoziati della COP29 sono arrivati e sembrano puntare ad un accordo significativo.

Sicuramente il primo obiettivo è quello richiesto dai Paesi in via di sviluppo come essenziale per affrontare la crisi climatica. Infatti, si tratta di raggiungere 1.300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima entro il 2035. Nello specifico la bozza prevede che i Paesi sviluppati contribuiscano con 250 miliardi di dollari all’anno, un aumento rispetto al precedente impegno di 100 miliardi.


Successivamente si può evidenziare un importante cambiamento con l’inclusione di nuovi donatori nella bozza. Questo significa che i Paesi in via di sviluppo sono “invitati” contribuire senza compromettere il loro status, permettendo così anche a nazioni come Cina e India di partecipare come donatori. Nonostante ciò, l’accordo riconosce la necessità di risorse pubbliche e finanziamenti altamente agevolati, in particolare per i Paesi più vulnerabili.

Critiche e dubbi

Le decisioni prese durante la COP29 hanno sollevato dubbi e critiche, soprattutto per quanto riguarda gli impegni finanziari dei Paesi sviluppati nei confronti di quelli in via di sviluppo. Nonostante i progressi, l’importo proposto di 250 miliardi di dollari è stato giudicato insufficiente per affrontare le sfide climatiche globali. Le stime indicano che i Paesi in via di sviluppo necessiteranno tra 5.100 e 6.800 miliardi di dollari entro il 2030, con ulteriori costi di adattamento annuali stimati tra 215 e 387 miliardi di dollari, ma non sono stati fissati impegni vincolanti per colmare questo divario.

Altre critiche riguardano l’eliminazione di riferimenti importanti, come le emissioni storiche e il PIL pro-capite, che avrebbero potuto garantire una maggiore equità nella distribuzione degli oneri. Anche sul fronte dei diritti umani, i riferimenti alle categorie vulnerabili restano vaghi, senza indicazioni concrete su come garantire loro accesso prioritario ai fondi.

Esponenti come Ali Mohamed, capo delegazione del gruppo africano, hanno definito l’importo proposto gravemente insufficiente, avvertendo che porterà a perdite inaccettabili. Gli esperti chiedono che gli obiettivi finanziari siano aumentati per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi. La conferenza ha messo in evidenza il divario tra le aspettative dei Paesi in via di sviluppo e gli impegni dei Paesi sviluppati, in attesa di un documento finale che potrebbe delineare nuove direzioni per i negoziati.

Proteste

Anche quest’anno non sono mancate proteste proteste e campagne per evidenziare le profonde ingiustizie climatiche e la necessità di azioni più decise contro le aziende di combustibili fossili. Tra queste, la campagna #PaybackTime, sostenuta da celebrità come Jude Law e promossa da Global Witness, ha puntato il dito contro le multinazionali del settore energetico, accusate di generare enormi profitti a scapito del Pianeta. Con un guadagno di 4 trilioni di dollari nel 2022, queste aziende sono state esortate a contribuire ai costi dei danni climatici, che colpiscono in modo sproporzionato i Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa ha incluso l’uso provocatorio del dominio cop29.com per denunciare i dirigenti delle aziende fossili, evidenziando la loro responsabilità diretta nella crisi climatica.

Parallelamente, movimenti come Fridays for Future e Greenpeace hanno organizzato manifestazioni per chiedere una transizione energetica più ambiziosa e per denunciare l’iniquità nei finanziamenti climatici. I manifestanti hanno sottolineato il paradosso di promuovere azioni climatiche mentre si continuano a sostenere nuove infrastrutture per carbone, petrolio e gas. Le proteste hanno anche evidenziato l’esclusione di gruppi vulnerabili e comunità indigene dai benefici delle politiche climatiche.

Figure simboliche come Greta Thunberg hanno criticato la mancanza di coerenza tra le promesse dei leader e le azioni concrete, definendo la COP29 un’occasione mancata. Eventi simbolici, come un “funerale climatico” organizzato da rappresentanti di Paesi insulari come Vanuatu e Tuvalu, hanno ricordato i rischi imminenti legati all’innalzamento del livello del mare, richiamando l’urgenza di un cambiamento.

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COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.

By : Aldo |Novembre 14, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su COP 29. Affermazioni e primi risultati, sembrano non dare speranze.
Li-An Lim - Unsplash

La COP29, si è aperta a Baku, Azerbaijan, puntando i riflettori sui complessi equilibri tra la necessità di azioni concrete e gli interessi geopolitici legati all’industria energetica. Quindi la conferenza rappresenta un momento cruciale per discutere politiche e misure ambientali essenziali per contenere il riscaldamento globale. Tuttavia, la presenza di molteplici attori del settore fossile ha sollevato tanti sull’effettiva volontà di operare un cambio di rotta.

Le Priorità

L’istituzione di un mercato globale dei crediti di carbonio è una delle principali priorità della COP29. Questo sistema consentirebbe ai Paesi di comprare e vendere diritti di emissione di CO₂ per raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni. Nonostante ciò, tale meccanismo è oggetto di critiche, poiché è visto come una forma di “neocolonialismo ambientale”. Infatti, le comunità dei Paesi in via di sviluppo, coinvolte spesso senza tutele, rischiano gravi impatti a causa di progetti di compensazione delle emissioni. Il suddetto sistema, inoltre, potrebbe facilitare il “greenwashing” da parte delle grandi aziende inquinanti dei Paesi più ricchi. Questi ultimi utilizzerebbero i crediti per compensare le proprie emissioni senza un reale impegno nella loro riduzione. Pertanto, trovare un accordo equo ed efficace che incentivi investimenti concreti nelle energie rinnovabili rimane complesso. Senz’altro il dibattito tra i delegati sottolinea quanto sia controverso bilanciare interessi economici e obiettivi ambientali.

Finanza climatica e il “Loss and Damage Fund”

Alla COP29, la finanza climatica è uno dei temi più discussi, con un’attenzione particolare al “Loss and Damage Fund”, un fondo progettato per supportare le nazioni più vulnerabili di fronte agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Questo fondo mira a fornire assistenza economica per compensare i danni e sostenere piani di adattamento nei Paesi che, per mancanza di risorse, non possono far fronte da soli alle catastrofi climatiche. António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato l’urgenza di attivare rapidamente il fondo, avvertendo che un ritardo nelle azioni di supporto potrebbe avere conseguenze globali.

Le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDB) si sono impegnate a destinare circa 170 miliardi di dollari per sostenere progetti di sostenibilità, con la maggior parte dei fondi indirizzata a Paesi a medio e basso reddito. Tuttavia, restano incertezze sulla trasparenza e l’effettiva tracciabilità di questi finanziamenti, sollevando preoccupazioni sulla capacità di tali risorse di produrre un reale impatto per le comunità più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici.

I Piani di adattamento

Alla COP29, i piani di adattamento sono stati messi in primo piano come risposta urgente alla crescente vulnerabilità delle nazioni esposte agli eventi climatici estremi. Adattarsi significa creare infrastrutture resilienti, gestire in modo sostenibile le risorse naturali e sviluppare sistemi agricoli capaci di affrontare condizioni climatiche imprevedibili. Nonostante la discussione di diversi progetti in questa direzione, rimangono dubbi sulla capacità dei Paesi con economie più fragili di implementare efficacemente tali strategie senza il supporto costante delle nazioni più ricche.

La conferenza sottolinea inoltre l’importanza di approcci integrati e su misura, che considerino le specificità locali e le risorse disponibili nelle comunità più a rischio. Gli studi preparatori alla COP29 indicano che, senza piani di adattamento ben strutturati, molte regioni potrebbero trovarsi di fronte a difficoltà crescenti e potenzialmente insostenibili in un futuro non troppo lontano.

Il Sondaggio Amref

Un sondaggio recentemente condotto da Amref Health Africa ha evidenziato una preoccupazione diffusa riguardo agli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute pubblica, con l’83% degli intervistati che considera la crisi climatica una delle principali minacce per la salute. Questo risultato riflette la crescente consapevolezza, in particolare tra le popolazioni africane, dei danni causati da eventi climatici estremi come siccità e alluvioni, che colpiscono in modo più severo le comunità più vulnerabili. La ricerca ha anche sottolineato la necessità di politiche sanitarie più incisive e investimenti nel settore della sanità pubblica per affrontare le sfide emergenti legate al clima.

Questi dati evidenziano l’urgenza di integrare le questioni sanitarie nelle discussioni sui cambiamenti climatici e nella pianificazione delle politiche future. La salute deve essere considerata un aspetto cruciale nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, con un focus particolare sulla protezione delle comunità più esposte.

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Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.

By : Aldo |Novembre 11, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecomondo 2024. Risultati delle politiche italiane, i premi e gli ospiti.
Karsten Würth - Unsplash

Alla fine di ogni anno, è tempo di fare un bilancio per valutare gli obiettivi raggiunti, identificare aree di miglioramento e considerare eventuali cambiamenti. Questo processo è fondamentale per famiglie, scuole, industrie, società e nazioni, poiché consente di ricalibrare le proprie strategie e migliorare la qualità della vita. In Italia e in altri paesi europei, il settore del riciclo e della sostenibilità si riunisce per fare il punto della situazione durante Ecomondo, che si tiene dal 5 all’8 novembre presso la Fiera di Rimini.


Ecomondo

Ecomondo è uno degli eventi di riferimento in Europa per chi opera nel settore ambientale, attirando ogni anno un vasto pubblico di professionisti da tutto il mondo. La fiera si basa sulla presentazione di tecnologie innovative per la gestione dei rifiuti, il riciclo e la sostenibilità esplorando anche tematiche trasversali. Dunque, sono comprese sezioni sul cambiamento climatico, l’energia rinnovabile, la bonifica del suolo e la bioeconomia.

I principali obiettivi della fiera sono la promozione dell’innovazione, la facilitazione del networking, l’informazione e la formazione. L’evento offre anche uno spazio di confronto sulle normative ambientali europee e internazionali, presentando le ultime novità su regolamentazioni e incentivi. In aggiunta, organizza appuntamenti di rilievo come conferenze specialistiche e tavole rotonde con esperti del settore. Solitamente lo scopo di questi incontri è quello di discutere su temi quali la gestione delle risorse idriche, le strategie per la riduzione dei rischi idrogeologici e l’economia circolare urbana.

Ecomondo include premi e riconoscimenti per i progetti più innovativi, offrendo visibilità a startup, aziende e organizzazioni che si distinguono per il loro impegno verso soluzioni sostenibili.

I risultati del 2024

A Ecomondo 2024, svoltasi dal 5 all’8 novembre, l’Italia ha registrato risultati significativi nella sua transizione ecologica e nell’economia circolare. Il Paese ha ridotto le proprie emissioni di CO₂ di oltre il 6%, contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030. Senz’altro si conferma come leader in Europa nell’economia circolare, con un PIL di 3,6 euro per ogni chilogrammo di risorsa consumata. Questo è un risultato rilevante poiché che supera di gran lunga la media dell’Unione Europea.

Anche quest’anno il tasso di riciclo dei rifiuti (del 72%), è stato il più alto in Europa un ulteriore segno della forte spinta verso la sostenibilità. Inoltre, più del 44% dell’energia elettrica prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili. In particolare si tratta di un contributo significativo di energia solare ed eolica (50 TWh), che rappresentano circa il 20% del fabbisogno nazionale. La produzione biologica è anche in crescita, dimostrando il consolidamento dell’agricoltura sostenibile nel Paese. Tuttavia, persistono delle sfide, come il crescente consumo di suolo con una media di 19,4 ettari al giorno, e l’urgenza di sviluppare una mobilità sostenibile (solo il 4,2% delle nuove auto è elettrico).

I partecipanti

L’edizione del 2024 ha segnato un successo straordinario per la green economy italiana, con una crescita del 5% nelle presenze rispetto all’edizione precedente, e un incremento del 10% nel numero di espositori, che quest’anno sono stati 1.620, distribuiti su 166.000 metri quadrati di superficie espositiva. L’evento ha visto la partecipazione di 650 buyer provenienti da 65 Paesi e ha generato 3.550 incontri di business matching. Inoltre, sono stati organizzati oltre 200 eventi, tra conferenze, workshop e seminari, che hanno approfondito temi fondamentali della sostenibilità.

Oltre alla crescente partecipazione di operatori internazionali, provenienti da 121 Paesi, l’edizione ha coinvolto anche 2.800 studenti delle scuole superiori, in un impegno condiviso per il futuro delle professioni green. L’edizione 2024 di Ecomondo ha inoltre beneficiato delle storiche collaborazioni con partner istituzionali e settoriali come CONAI, Utilitalia, Assoambiente, Confindustria, la Commissione Europea e molte altre realtà internazionali, che hanno contribuito a consolidare la manifestazione come uno degli appuntamenti chiave per la green economy a livello globale.

I premi

Ovviamente la fiera ha premiato l’innovazione sostenibile, conferendo due prestigiosi premi: il Premio Lorenzo Cagnoni per l’Innovazione Green e il Premio Sviluppo Sostenibile. Il primo è stato assegnato alle tre start-up più innovative dell’evento, selezionate tra oltre 150 partecipanti, inclusi 20 internazionali, con un incremento del 21% di nuove aziende rispetto al 2023. Queste start-up si sono distinte per le soluzioni avanzate nel campo della green economy, affrontando sfide ambientali con progetti all’avanguardia. Il Premio Sviluppo Sostenibile, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Ecomondo, ha riconosciuto le migliori pratiche di eco-innovazione sia nel settore pubblico che privato, premiando le imprese e le amministrazioni che hanno combinato sostenibilità e competitività, supportando così la transizione ecologica. Entrambi i premi hanno sottolineato l’importanza delle tecnologie ambientali per il futuro, stimolando lo sviluppo di soluzioni innovative sia a livello nazionale che internazionale.

 

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“La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.

By : Aldo |Novembre 06, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “La Città della Gioia” sarà il nuovo polmone verde di Roma.
Luca Pennacchioni - Unsplash

Le nostre città sono stracolme di cemento. Questo grigio si prende sempre più aree, anche le più remote per sopperire alle necessità demografiche, a volte anche quando non serve. Siamo sempre più stretti tra smog e edifici che i piccoli parchi o le aiuole quasi assomigliano alle oasi del deserto. È per questo e tanti altri motivi che i giardini, i parchi e le microforeste sono fondamentali nei grandi centri abitati. Ma in generale è essenziale rendere la città a portata d’uomo senza dimenticarsi dell’importanza della natura. Ecco il nuovo progetto dell’Ex Fiera di Roma.

Il verde urbano

I progetti di verde urbano mirano a migliorare la qualità della vita nelle città italiane attraverso la creazione e gestione di spazi verdi come parchi, giardini e aree boschive. Questi spazi offrono benefici ecologici e sociali: mitigano il cambiamento climatico, favoriscono la biodiversità, migliorano la salute e il benessere dei cittadini, e arricchiscono l’estetica urbana, aumentando il valore immobiliare.

In Italia, dal 2013 la Strategia Nazionale del Verde Urbano ha stabilito linee guida per pianificare queste aree, portando a risultati concreti: le città italiane hanno una media di 30 m² di verde per abitante, con punte elevate in città come Torino. Nel Sud Italia sono stati approvati oltre 770 progetti di rigenerazione urbana per riqualificare aree vulnerabili, e il 70% delle città italiane ha avviato iniziative per incrementare il verde pubblico. Inoltre, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede ulteriori investimenti in rigenerazione urbana e verde, con un valore stimato dei servizi ecosistemici di 338 miliardi di euro.

La “Città della Gioia”

Si chiude il bando per la riqualificazione dell’ex Fiera di Roma con un progetto centrato sul concetto di “verde attivo,” che promuove la biodiversità e uno stile di vita sano a misura di famiglia. L’inizio dei lavori per la costruzione della “Città della Gioia” è previsto per il 2025. Grazie a tale progetto l’area in questione, si trasformerà in una città a misura di bambino, inclusiva e immersa nel verde. Si chiamerà “Città della Gioia”, la transizione ecologica alla circolarità dei materiali, alla riduzione delle emissioni di carbonio, all’adattamento climatico, e alla valorizzazione della qualità urbana e del tessuto sociale.


Lo sviluppo del masterplan avverrà attorno a due piazze pubbliche: Piazza del Sole a nord, lungo viale Tor Marancia, e Piazza degli Eventi a sud, su via Georgofili. In questa area è prevista anche l’istituzione di un centro della conoscenza e della crescita consapevole, in collaborazione con l’Università di Roma Tre. Così facendo sarà possibile per i giovani e per l’intera comunità avere un punto di riferimento.

La novità del progetto “Città della Gioia” è quella di mettere al centro i bambini, creando una città innovativa e inclusiva, pensata per il loro benessere e la loro crescita. Tale masterplan presenta un modello urbano in cui le necessità dei più piccoli diventano il focus della pianificazione. In tal modo, si prioritizzano la cura, il gioco e la socialità, con spazi progettati per favorire l’inclusione e l’apprendimento attraverso il gioco. Il tutto è possibile grazie ad aree sicure e stimolanti che promuovono la creatività e il benessere per ogni fascia di età e abilità.

Il progetto è stato ideato da un team composto da ACPV ARCHITECTS, Arup, Asset e P’arcnouveau, quattro studi di architettura e ingegneria di rilevanza internazionale.

 

La sostenibilità del progetto

Senza dubbio, il verde è uno degli elementi distintivi del programma, coprendo il 50% della superficie, aumentando la permeabilità del suolo di circa 3,9 ettari, pari a metà dell’area complessiva.  A livello tecnico, il progetto prevede che l’80% della superficie utile, ossia oltre 35.000 mq, sia sia destinato a residenze, di cui più di 7.000 mq riservati all’housing sociale. Mentre il restante 20% (circa 8.800 mq), sarà adibito ad un uso non residenziale, diviso tra servizi direzionali (6.800 mq) e spazi commerciali (2.000 mq). Nello specifico, 27.000 mq saranno lasciati agli spazi verdi pubblici e altri 12.500 a quelli privati per attività all’aperto correlate a sport e socializzazione.

Non a caso il progetto mira a rigenerare l’ex area della Fiera attraverso la decarbonizzazione, la resilienza climatica e l’economia circolare. In questo caso, la sostenibilità del masterplan è rafforzata dalla forte integrazione della natura, che rende il nuovo quartiere un “corridoio ecologico” con viali alberati e ampi parchi, collegando armoniosamente le aree residenziali con piazze pubbliche e spazi per eventi, che diventano luoghi di incontro e cultura per la comunità.

Certamente, il coinvolgimento attivo della comunità e l’attenzione alla biodiversità e alla permeabilità del suolo rendono questo progetto un esempio di rigenerazione urbana che coniuga natura e innovazione, offrendo una nuova visione per il futuro delle città.

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La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.

By : Aldo |Novembre 04, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La startup finlandese Aviogel ha trovato una nuova soluzione per combattere gli incendi.
Austin Distel - Unsplash

Al giorno d’oggi la parola d’ordine è “soluzione”. Scienziati e ricercatori, infatti, lavorano di continuo alla ricerca di nuove soluzioni per problemi globali che devono essere almeno mitigati, se non risolti. A volte sembra essere una corsa contro il tempo, in altri casi, pare esserci tutto il tempo del mondo. Tuttavia, non si può mai mollare la presa e tra le ultime scoperte è arrivata quella che riguarda il problema degli incendi. Si parla del lavoro della startup finlandese, Aviogel.

Incendi in Europa

Gli incendi boschivi in Europa derivano in gran parte da attività umane, e solo il 4% causato da eventi naturali come fulmini. Ovviamente, le condizioni climatiche estreme, come siccità, alte temperature e venti intensi, aumentano il rischio di incendi. Purtoppo le regioni mediterranee sono le più vulnerabili a questo tipo di fenomeni: per esempio in Italia, gli incendi prevalgono in estate al sud, mentre al nord si verificano anche in inverno e primavera per via della siccità.  Il 2023 ha registrato una delle stagioni più gravi di incendi in Europa, con paesi come Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Slovenia pesantemente colpiti. Di certo i cambiamenti climatici hanno aumentato la frequenza e l’intensità di tali eventi fino al punto che anche Tunisia e Cipro hanno richiesto assistenza internazionale per fronteggiare le fiamme.

In generale, per prevenire gli incendi si promuovono pratiche di gestione forestale, sistemi di previsione ambientale avanzati, campagne di sensibilizzazione pubblica e regolamentazioni per le attività a rischio.
Nonostante ciò, spesso e non si riesce ad evitare che il fenomeno si sviluppi, dunque è necessario intervenire in modi diversi. Si può spegnere un incendio con mezzi aerei, squadre specializzate e cooperazione internazionale, utilizzando anche droni e tecnologie satellitari per il monitoraggio.

Pertanto, questa emergenza richiede un approccio integrato che combini prevenzione, educazione e interventi tempestivi per limitare i danni ambientali e sociali. Un esempio è la nuova tecnologia delle sfere idrogel.

Spegnere un incendio con l’idrogel

La tecnologia delle sfere idrogel biodegradabili rappresenta una soluzione innovativa per la lotta agli incendi boschivi. Queste sfere, progettate per essere rilasciate da mezzi aerei, assorbono acqua o altri liquidi, aumentando il loro peso e migliorando la precisione dei lanci, anche da quote più elevate. Tale caratteristica rende gli interventi antincendio più sicuri ed efficienti, poiché riduce il rischio per i piloti. Inoltre, le sfere idrogel trattengono l’acqua limitando l’evaporazione prima che essa raggiunga le fiamme, così facendo, aumentano l’efficacia dello spegnimento.

Un’ulteriore innovazione di questa tecnologia è la presenza di semi nelle sfere. Infatti, oltre alla funzione antincendio, le sfere rilasciano semi e nutrienti nelle aree colpite, avviando immediatamente un processo di riforestazione. Questa doppia funzione consente agli interventi aerei di contrastare l’emergenza seminando le basi per la rinascita dell’ecosistema locale, spesso non considerata.

La startup Aviogel

Aviogel è una startup innovativa impegnata nella sostenibilità e nella protezione ambientale. Nasce nel 2024, con sede a Helsinki, da William Carbone, Stéphanie Jansen-Havreng, Sevan Daniel Gerard con l’obiettivo di affrontare le sfide legate alla gestione delle risorse naturali con un approccio che integra ricerca scientifica e pratiche eco-sostenibili. La sua missione, infatti, è quella è contribuire a un futuro più verde e sostenibile, proponendo soluzioni volte a migliorare la qualità della vita e proteggere il pianeta, sensibilizzando il pubblico all’importanza di comportamenti responsabili verso la natura.

Aviogel è presente in numerosi progetti riguardanti la sostenibilità, incentivando un uso più consapevole delle risorse naturali, offrendo programmi educativi e laboratori per la sensibilizzazione sulla tematica ecologica. Inoltre, collabora con enti pubblici e privati per sviluppare strategie efficaci nella gestione ambientale, puntando non solo alla tutela dell’ambiente, ma anche al benessere delle comunità locali. Questo è possibile grazie alla creazione di opportunità economiche basate su pratiche sostenibili. Aviogel rappresenta così un esempio di come innovazione e sostenibilità possano unirsi per rispondere alle sfide ambientali moderne.

Combattere i cambiamenti climatici

Con l’aggravarsi della crisi climatica, che intensifica la frequenza e la portata degli incendi boschivi, il team di Aviogel evidenzia l’urgenza di soluzioni capaci di spegnere le fiamme, e non solo. Infatti, è necessario anche di contribuire alla rigenerazione degli ecosistemi danneggiati, pratica poco considerata o quasi mai svolta. E proprio grazie a un investimento di 300 mila euro ottenuto dal fondo italiano Scientifica Venture Capital, Aviogel può ora accelerare lo sviluppo della sua tecnologia per combattere gli incendi promuovendo la resilienza degli ecosistemi. Dunque, la startup finlandese, troverà nella fase di industrializzazione il prossimo traguardo fondamentale per estendere il proprio impatto su vasta scala. Questo processo si svilupperà all’interno dei laboratori all’avanguardia di Scientifica a L’Aquila, un centro di oltre 4.000 m², creato per aiutare le startup a trasformare le idee in prototipi e facilitare il rapido ingresso sul mercato grazie a un contesto ricco di risorse e competenze avanzate.

Sicuramente Aviogel rappresenta più di una sola innovazione, poiché è caratterizzata da una grande lungimiranza, secondo Riccardo D’Alessandri, managing partner di Scientifica Venture Capital. Esattamente tale caratteristica ha portato alla vittoria della startup. Per l’appunto si evidenzia l’approccio sinergico e lungimirante del team, che non si limita ad una semplice innovazione tecnologica, ma offre un concetto che include benefici concreti e misurabili alla comunità e alla tutela degli ecosistemi.

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Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.

By : Aldo |Ottobre 30, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Le batterie bidirezionali delle auto elettriche possono essere una nuova fonte di energia.
Roberto Sorin - Unsplash

Le tecnologie e le innovazioni ci consentono di portare avanti lo sviluppo e solitamente anche la crescita delle popolazioni. Inoltre, le nuove scoperte ci indicano la via migliore per poter continuare a vivere in questo pianeta riducendo il nostro impatto. Dunque, spesso, le nuove tecnologie oltre ad apportare delle migliorie in settori specifici, diventando delle soluzioni che ci permettono di alleviare il “nostro peso” sul mondo. Un esempio è la nuova scoperta sulle batterie bidirezionali.

Le batterie bidirezionali

Le batterie bidirezionali sono un sistema innovativo per la ricarica dei veicoli elettrici (EV) che consente sia di ricaricare la batteria dalla rete elettrica sia di restituire energia alla rete stessa. Questa tecnologia, conosciuta come V2G (Vehicle to Grid) e V2H (Vehicle to Home), trasforma il veicolo in un “accumulatore” mobile in grado di immagazzinare e rilasciare energia. Tale tecnologia si basa su convertitori di potenza avanzati che consentono il flusso bidirezionale di energia. Questo è possibile grazie ad un caricatore specifico che converte la corrente continua (DC) della batteria in corrente alternata (AC).


Queste batterie hanno molteplici modalità di ricarica, tra cui le principali V2G, che consente di restituire energia alla rete, V2H, che alimenta direttamente l’abitazione, e V2L, che fornisce energia a dispositivi elettrici dal veicolo.

I vantaggi delle batterie bidirezionali sono vari e spaziano principalmente tra i 3 pilastri della sostenibilità. A livello economico, vediamo come i proprietari possono ridurre i costi energetici ricaricando durante le fasce orarie più convenienti e vendendo energia in eccesso. Nel settore ambientale, ottimizzano l’uso delle fonti rinnovabili contribuendo a ridurre l’impatto ambientale. Mentre per quanto riguarda il sociale, favoriscono la condivisione dell’energia tra veicoli all’interno di una comunità, stabilizzando la rete elettrica locale e migliorando la gestione dei picchi di domanda.



In sintesi, queste batterie non solo migliorano l’efficienza energetica dei veicoli elettrici, ma offrono anche opportunità significative per il risparmio economico e la sostenibilità ambientale.

Specialità e caratteristiche

Le batterie bidirezionali, grazie a un sistema di collegamento a due vie e a nuove configurazioni dei convertitori di potenza, possono indirizzare l’energia elettrica verso la batteria o la rete elettrica, a seconda delle necessità. Di conseguenza, quando c’è energia in eccesso, queste batterie possono restituirla alla rete. Tale innovazione, si integra perfettamente con i sistemi di energia rinnovabile. Ad esempio, in una giornata soleggiata, un impianto fotovoltaico può produrre più elettricità del necessario per i consumi domestici. A questo punto è possibile immagazzinarla direttamente nelle batterie dei veicoli elettrici e utilizzarla successivamente per alimentare la casa nei giorni in cui è richiesta. Per questo motivo, le ricariche bidirezionali stanno acquisendo sempre più attenzione dai produttori automobilistici, che stanno implementando questa tecnologia nei loro modelli.

Il report di Transport&Environment prevede che in futuro queste ricariche potrebbero addirittura diventare il quarto fornitore di energia in Europa. Si stima che lo sviluppo delle ricariche bidirezionali possa portare a un risparmio complessivo di oltre 100 miliardi di euro in dieci anni. Così facendo consentirebbe ai proprietari di veicoli elettrici di ottenere fino al 52% di risparmio sulla bolletta elettrica annuale, con riduzioni fino a 780 euro all’anno. Questo ovviamente sarà possibile a seconda della localizzazione geografica, della presenza di pannelli solari e delle dimensioni della batteria del veicolo.

Lo studio

Lo studio condotto dagli istituti di ricerca Fraunhofer ISI e ISE per T&E evidenzia l’importanza delle ricariche bidirezionali, che possono fungere da “batterie su ruote” e i potenziali risparmi economici tra il 2030 e il 2040. Tuttavia, iniziano con l’avvertire tutti che senza standard comuni a livello europeo, questa tecnologia potrebbe non svilupparsi in modo efficace, limitando i benefici ambientali ed economici. Nonostante ciò, le auto elettriche con sistemi di ricarica bidirezionale possono assorbire energia nei momenti di surplus e restituirla quando la domanda aumenta, ma il loro potenziale rimane inespresso senza un’interoperabilità garantita. Secondo il report, l’adozione del V2G (vehicle-to-grid) potrebbe ridurre i costi annui del sistema elettrico dell’UE di oltre 9 miliardi di euro nel 2030 e arrivare a 22 miliardi nel 2040, con risparmi totali superiori a 100 miliardi di euro nel decennio.

A questo punto, l’integrazione con le energie rinnovabili è fondamentale: collegando le auto elettriche alle abitazioni o ai luoghi di lavoro, si può ridurre il fabbisogno di sistemi di accumulo fino al 92% entro il 2040. Specialmente in Italia, queste auto potrebbero rappresentare quasi tutta la capacità di accumulo necessaria per stoccare l’energia rinnovabile in eccesso. Infatti, la tecnologia V2G potrebbe consentire alla flotta europea di veicoli elettrici di contribuire fino al 9% del fabbisogno energetico annuale dell’UE entro il 2040. In questo modo, diventerebbe il quarto fornitore di elettricità in Europa e il secondo in Italia, favorendo un significativo risparmio economico per i consumatori e contribuendo alla stabilizzazione della rete elettrica e alla riduzione delle emissioni di CO2.

In conclusione

In conclusione, La ricarica bidirezionale delle auto elettriche rappresenta una svolta fondamentale per la transizione energetica. Non solo permette di ridurre le emissioni e la dipendenza dai combustibili fossili, ma offre anche la possibilità di utilizzare le batterie dei veicoli come veri e propri accumulatori di energia rinnovabile, contribuendo a stabilizzare la rete elettrica.

Transport & Environment sottolinea come questa tecnologia possa prolungare la vita delle batterie e ridurre la necessità di costruire nuove infrastrutture di stoccaggio. Tuttavia, per sfruttare appieno il potenziale della ricarica bidirezionale è necessario un quadro normativo europeo chiaro e uniforme, che definisca standard comuni per garantire l’interoperabilità tra i diversi veicoli e sistemi di ricarica.

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ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.

By : Aldo |Ottobre 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su ONU: allarme gas serra. La temperatura potrebbe salire di 3,1 gradi.
Matthew TenBruggencate - Unsplash

Da più di 50 anni si parla di cambiamenti climatici ed emissioni di gas serra. Ci siamo evoluti con noi le tecnologie, per sostenere la nostra crescita esponenziale. Sembra che ogni giorno, avvenga una nuova scoperta per migliorare la situazione; eppure, sembra andare sempre peggio. Quanto possiamo resistere in queste condizioni? Quanto potremmo permetterci di negare l’evidenza sotterrando la testa nella sabbia? Ancora poco, pochissimo, anzi siamo già in netto ritardo e l’ONU ce lo ricorda lanciando un nuovo allarme.

Il ruolo dell’ONU

L’ONU rappresenta un pilastro fondamentale nella battaglia globale contro il cambiamento climatico. In qualità di più grande organizzazione intergovernativa al mondo, fornisce un forum unico per la cooperazione internazionale su questa sfida esistenziale. Attraverso i suoi numerosi organi e agenzie specializzate, l’ONU coordina gli sforzi globali, conduce ricerche scientifiche, sviluppa politiche e promuove accordi internazionali come l’Accordo di Parigi. L’impegno dell’organizzazione è volto a mobilitare i governi, le imprese e la società civile per ridurre le emissioni di gas serra, promuovere l’adattamento ai cambiamenti climatici e sostenere i Paesi più vulnerabili.

L’ONU ha iniziato a trattare il cambiamento climatico in modo strutturato dagli anni ’80, in seguito all’emergere di prove scientifiche sul riscaldamento globale e sui suoi rischi. Nel 1988, è stato fondato l’IPCC, con il compito di valutare scientificamente i cambiamenti climatici. Successivamente, nel 1992 è stata adottata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), che mira a stabilizzare i gas serra. Da allora, attraverso incontri annuali come la COP, l’ONU coordina azioni e trattati internazionali per mitigare il cambiamento climatico, dimostrando un impegno crescente e globale su questo fronte.

Gli ultimi dati

Le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto un nuovo record nel 2023, aumentando dell’1,3% rispetto all’anno precedente e collocandosi a 57,1 GtCO2e. Questo allarmante dato, evidenziato nell’ultimo rapporto UNEP, ci allontana sempre più dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ci pone sulla traiettoria di un riscaldamento globale catastrofico di 3,1°C entro la fine del secolo. Nonostante gli sforzi internazionali, la dipendenza dai combustibili fossili persiste, alimentando l’aumento delle temperature e intensificando gli eventi climatici estremi. Secondo l’ONU, per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C, è necessaria una riduzione drastica delle emissioni: del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019. Il rapporto sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e coordinata a livello globale.

È indispensabile un impegno concreto da parte di tutti i Paesi per accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile, proteggere le foreste e promuovere pratiche sostenibili. La finestra di opportunità per evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico si sta rapidamente chiudendo. È fondamentale che i governi agiscano con determinazione e intraprendano misure ambiziose per decarbonizzare le economie e costruire un futuro sostenibile.

La cooperazione necessaria

L’allarme lanciato dall’UNEP è chiaro: le emissioni globali di gas serra stanno accelerando il cambiamento climatico, mettendo a rischio il futuro del pianeta. Per contenere l’aumento della temperatura entro i limiti stabiliti dall’Accordo di Parigi, è urgente una trasformazione profonda e rapida del nostro sistema energetico. Eventi internazionali come il G20 e la COP29 offrono un’opportunità unica ai governi di prendere decisioni coraggiose e di collaborare per un futuro più sostenibile. Infatti, è fondamentale che i Paesi aumentino l’ambizione dei propri obiettivi climatici. Ma soprattutto è cruciale che attuino politiche concrete per ridurre le emissioni, come la transizione verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

L’Italia, come tutti gli altri Paesi, ha un ruolo rilevante nel raggiungimento di questo traguardo. Sicuramente, deve accelerare la decarbonizzazione dell’economia e rafforzare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato l’urgenza di agire ora. Nonostante le sfide geopolitiche, è necessario superare le dipendenze dai combustibili fossili e investire in soluzioni sostenibili. In conclusione, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità. Solo attraverso una cooperazione internazionale ambiziosa e determinata potremo costruire un futuro più sicuro e prospero per le generazioni future.

Le carenze finanziarie e morali

Inger Andersen, a capo dell’UNEP, ha affermato che i mezzi, i finanziamenti e la tecnologia necessari per ridurre le emissioni sono già disponibili. Tuttavia, secondo la direttrice esecutiva, manca la volontà politica, soprattutto nei Paesi del G20 (esclusi quelli africani) che sono responsabili del 77% delle emissioni globali. L’ONU ha ribadito che le energie rinnovabili rappresentano un’opportunità fondamentale per invertire la tendenza. Investendo maggiormente in energia solare ed eolica, si potrebbero ottenere riduzioni delle emissioni pari al 27% entro il 2030 e al 38% entro il 2035. Inoltre, bloccare la deforestazione e la distruzione delle foreste porterebbe ad un ulteriore riduzione del 20% delle emissioni.

Agire ora non solo permetterebbe di mantenere vivo lo scopo di salvare il pianeta, ma si tradurrebbe anche in un notevole risparmio economico a lungo termine. Secondo le stime dell’ONU, raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro la metà del secolo richiederebbe un investimento aggiuntivo compreso tra 0,9 e 2,1 trilioni di dollari all’anno fino al 2050. Tuttavia, i costi dell’inazione sarebbero molto più elevati a causa degli eventi meteorologici estremi, delle perdite agricole e di altri disastri.

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Il fotovoltaico cresce a dismisura. Ecco i nuovi traguardi.  

By : Aldo |Ottobre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il fotovoltaico cresce a dismisura. Ecco i nuovi traguardi.  
Bill Mead - Unsplash

Che le fonti di energia rinnovabili siano il futuro, è ormai chiaro. La loro diversità consente il loro utilizzo in un’ampia gamma di ambienti e situazioni, togliendo qualsiasi dubbio sulla loro efficienza. Inoltre, le tecnologie avanzano e gli strumenti utilizzati per tale produzione sono sempre più sofisticati e promettono grandi risultati in un tempo inferiore alla tecnologia precedente. Non a caso è recente la notizia della loro potenza, efficienza e importanza, con un focus specifico sui rilevanti traguardi raggiunti dal solare.

La nuova certezza

Il solare ora è più forte che mai e questo lo dimostra l’ultimo report IEA-PVPS Trends 2024.
Nel 2023, il settore fotovoltaico ha raggiunto un nuovo record, con 456 GW di nuova capacità installata a livello globale. Tale novità contribuirà a ridurre le emissioni di CO2 di 0,92 gigatonnellate, equivalenti al 2,5% delle emissioni globali legate alla produzione energetica. Precisamente, la capacità produttiva di celle e moduli fotovoltaici ha toccato i 1.032 GW/anno per entrambe le categorie, un traguardo importante nel settore. Anche per quanto riguarda la produzione, ci sono dati rilevanti. Non a caso la produzione di celle solari ha raggiunto i 644 GW, segnando un incremento del 63% rispetto ai 394 GW del 2022.

In questo ambito, la Cina è lo stato che ha consolidato la sua posizione dominante. Tale traguardo lo ha raggiunto con una quota del 91,8% e una produzione di 591 GW di celle fotovoltaiche, su una capacità produttiva totale di 930 GW/anno. Addirittura nella prima metà del 2024, la Cina aveva già prodotto 310 GW. Per quanto riguarda i moduli fotovoltaici, la capacità produttiva globale ha superato per la prima volta il terawatt, arrivando a 1.032 GW/anno. La produzione effettiva è stata di 612 GW, con un aumento del 62% rispetto ai 324 GW del 2022. I prezzi dei moduli hanno raggiunto un minimo storico di circa 0,14 USD/W nel 2023 e sono scesi sotto i 0,10 USD/W nel 2024.

Il report evidenzia che la crescita della capacità manifatturiera sta superando quella del mercato fotovoltaico globale, creando un divario tra domanda e offerta e portando a una continua diminuzione dei prezzi. Se il divario non sarà colmato e le scorte non saranno liquidate, si prevede che i prezzi rimarranno ai livelli attuali.

Gli ultimi esperimenti

EDP ha avviato un importante progetto pilota di automazione nel settore delle energie rinnovabili. Per la prima volta a livello mondiale, ha utilizzato la tecnologia Hyperflex di Comau per la costruzione di un parco fotovoltaico. Questo progetto, denominato AutoPV, coinvolge l’automazione di 3 MW su un totale di 122 MW presso il parco solare di Peñaflor, in Spagna. Tale tecnologia ottimizza la fase di installazione dei pannelli solari, prevedendo l’uso di una fabbrica mobile e robot che collaborano con gli operatori umani per svolgere le attività più pesanti, come il trasporto e il montaggio delle strutture. Questo sistema innovativo consente di ridurre i tempi di assemblaggio dei pannelli fino al 50%, rendendo l’intero processo più rapido, efficiente e sicuro. Così facendo si rende l’energia solare sempre più competitiva e sostenibile.

Questo test rappresenta un passo avanti fondamentale per EDP, che punta a integrare tali tecnologie a livello globale, migliorando la sua capacità di costruzione di parchi solari in tutto il mondo. soprattutto perché, la società produce il 98% della sua energia da fonti rinnovabili, con oltre 4 GW di capacità solare installata, e mira a raggiungere obiettivi ambiziosi di sostenibilità

Gli obiettivi principali sono due:

  • eliminare completamente la produzione di energia a carbone entro il 2025, a essere completamente green entro il 2030;
  • raggiungere la neutralità climatica (net zero) entro il 2040.

Questi passi avanti delle aziende, fanno sì che la transizione energetica possa avvenire nel minor tempo e con la massima efficienza possibile. Senz’altro il cambiamento deve derivare anche da tali enti o quasi dovrebbero esserne i portavoce. Tali ambizioni fanno solo sperare in un  vero cambiamento di rotta.

Il solare in Italia

L’Italia attualmente si trova al centro di una rivoluzione energetica, con l’energia solare che emerge come protagonista indiscussa. Negli ultimi anni, il Paese ha visto un’esplosione nella diffusione di impianti fotovoltaici, tanto da posizionarsi tra i leader mondiali in questo settore. I dati parlano chiaro: si produce oltre 20 TWh di energia all’anno grazie al sole, un traguardo ottenuto grazie a una serie di fattori che hanno contribuito a questo successo. Tra questi gli incentivi statali, per la promozione dell’installazione di impianti fotovoltaici attraverso sgravi fiscali e misure agevolative. A questo si aggiunge la riduzione dei costi delle tecnologie, che ha reso gli impianti più accessibili sia per le famiglie che per le imprese. Infine, la crescente consapevolezza ambientale, alimentata dalle preoccupazioni per il cambiamento climatico, ha spinto sempre più cittadini e aziende a orientarsi verso fonti di energia rinnovabile.

Le prospettive per il solare in Italia sono altrettanto promettenti. Le stime più recenti suggeriscono che il Paese potrebbe coprire una parte sempre maggiore del proprio fabbisogno energetico attraverso il fotovoltaico. Tuttavia, non mancano le sfide da affrontare. Tra queste, il potenziamento della rete elettrica è una priorità, poiché la diffusione capillare del fotovoltaico richiede una rete adeguata per garantire una distribuzione efficiente dell’energia prodotta. Un altro aspetto fondamentale è l’integrazione con sistemi di accumulo energetico, che consentirebbero di immagazzinare l’energia solare garantendo la continuità dell’approvvigionamento anche durante le ore notturne. Infine, lo sviluppo di nuove tecnologie rimane un fattore chiave per migliorare l’efficienza degli impianti e favorire nuove applicazioni, come l’agrivoltaico, che combina produzione agricola ed energia solare.

In conclusione, l’Italia ha tutte le potenzialità per diventare un punto di riferimento globale nel settore dell’energia solare. Con una politica energetica lungimirante e investimenti strategici, il Paese potrebbe accelerare la sua transizione verso un futuro più sostenibile e indipendente.

 

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World Energy Outlook 2024. Le rinnovabili sono il futuro.

By : Aldo |Ottobre 20, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su World Energy Outlook 2024. Le rinnovabili sono il futuro.
Matthew Henry - Unsplash

Che le rinnovabili stiano prendono sempre più piede nel mondo, è oggettivo. Tale crescita è spinta sicuramente da molteplici ragioni, tra le quali la limitata disponibilità di risorse, i nuovi conflitti e le tensioni geopolitiche. Soprattutto quest’ultime, fanno riflettere maggiormente sulla sicurezza energetica di ogni paese. Tutto ciò è stato affrontato nel World Energy Outlook 2024, che dimostra quali saranno le sorti del settore, nei prossimi anni.

World Energy Outlook

Il World Energy Outlook (WEO) è una pubblicazione annuale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) che offre un’analisi approfondita e proiezioni sullo scenario energetico globale. Solitamente, l’analisi del WEO si sofferma sulle tendenze in atto nel settore energetico, identificando i principali fattori che influenzano la domanda e l’offerta di energia a livello mondiale. Grazie a questo rapporto si presenta una visione d’insieme delle sfide e delle opportunità che caratterizzano la transizione energetica. Analogamente si analizza l’impatto delle politiche energetiche, delle innovazioni tecnologiche e dei cambiamenti climatici sul sistema energetico. Si tratta, di uno strumento fondamentale per governi, imprese e investitori per comprendere le dinamiche del mercato energetico e definire strategie in un contesto in continua evoluzione.

Mercoledì 16 ottobre è stata pubblicata l’analisi del 2024, la quale ha portato una maggiore luce su quello che sarà il futuro dell’energia. In particolare, si evidenzia l’importanza dei questa risorsa a livello globale e quanto influenza i rapporti internazionali tra Stati. Di certo alcune cose non sono una novità, ma anche quest’anno le rinnovabili sono cresciute ad una velocità inaudita.

Lo studio e i suoi temi

Lo studio discute attraverso vari scenari, le prospettive future e globali dell’energia, con particolare attenzione alla sicurezza energetica, alla sostenibilità e alla transizione verso le energie pulite. Questi quadri dimostrano i percorsi che il settore energetico potrebbe seguire, le azioni politiche per raggiungerli, le loro implicazioni per i mercati energetici. Ma anche la sicurezza, le emissioni e per le vite e i mezzi di sussistenza delle persone.  

In particolare, vengono presentate tre panoramiche riguardanti:

  • politiche dichiarate (STEPS) che si basa sui dati di mercato più recenti, sui costi delle tecnologie e su un’analisi approfondita delle politiche in vigore nei vari paesi del mondo.
  • impegni annunciati (APS) esamina cosa accadrebbe se tutti gli obiettivi nazionali in materia di energia e clima, inclusi quelli di zero emissioni nette, fossero raggiunti pienamente e puntualmente.
  • emissioni nette zero entro il 2050 (NZE), la quale delinea un percorso sempre più stretto per raggiungere le emissioni nette zero entro la metà del secolo, limitando il riscaldamento globale a 1,5 °C.

Geopolitica

In questo periodo storico i rischi geopolitici sono vari forse troppi e pertanto il panorama energetico mondiale sta vivendo una profonda trasformazione. Da un lato, la geopolitica instabile e le tensioni internazionali portano ad una situazione di incertezza e aumentano i rischi per la sicurezza energetica. Dall’altro, l’offerta abbondante di combustibili fossili e la sovraccapacità produttiva delle tecnologie pulite (in particolare per il fotovoltaico solare e le batterie).

Di conseguenza si intensifica la competizione tra le diverse fonti energetiche dove i prezzi dei combustibili restano stabili, mentre quelli delle tecnologie pulite diminuiscono. Sebbene in questo modo risultino sempre più competitive, non sarà semplice mantenere e accelerare la transizione con prezzi più bassi per i fossili. Sicuramente saranno decisive le scelte dei consumatori e le politiche di governo, che avranno un forte impatto sulla lotta ai cambiamenti climatici e sulla sicurezza energetica a lungo termine.


La transizione alle energie pulite

Come anticipato, l’energia pulita sta entrando nel sistema energetico con rapidità senza precedenti. Nel 2023 sono stati aggiunti oltre 560 GW di nuova capacità rinnovabile e gli investimenti in tali progetti, hanno raggiunto quasi 2.000 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di investimenti duplicati rispetto a quelli per nuove forniture di petrolio, gas e carbone. Dopo una breve crescita post-Covid, i costi delle tecnologie pulite stanno nuovamente diminuendo, favorendo un aumento della capacità di generazione rinnovabile da 4.250 GW attuali a quasi 10.000 GW nel 2030.

Nonostante, si resta sempre sotto l’obiettivo fissato alla COP28, si prevede che questo nuovo raggiungimento sarà sufficiente per coprire la domanda globale di elettricità e ridurre la dipendenza dal carbone. Tuttavia, l’accelerazione della transizione è soggetta alle politiche governative e dalle strategie industriali, di cui l’efficienza è ancora incerta. Non a caso dal 2020, sono state introdotte 200 misure commerciali (maggiormente restrittive) legate alle tecnologie per l’energia pulita, rispetto alle 40 dei cinque anni precedenti. Comunque, entro il 2030, le fonti a basse emissioni, comprese quelle nucleari, produrranno più della metà dell’elettricità mondiale.

Il ruolo della Cina

Nel 2023, la Cina ha dominato il panorama delle energie rinnovabili, contribuendo al 60% della nuova capacità globale. La sua produzione fotovoltaica è destinata a superare, entro i primi anni 2030, l’attuale domanda di elettricità degli Stati Uniti, evidenziando la rilevanza di questo stato. Ad ogni modo, persistono incertezze sulla capacità di integrare rapidamente ed efficientemente questa nuova energia nei sistemi elettrici, sia in Cina che altrove. Tale difficoltà è correlata alla lentezza nell’espansione delle reti e dei tempi di autorizzazione.

Molte economie in via di sviluppo sono frenate dall’incertezza politica e dai costi elevati del capitale, mentre nei paesi avanzati le tendenze sono contrastanti. In più alcune aree vedono accelerazioni, altre rallentamenti, come il calo delle vendite di pompe di calore in Europa nel 2024. Inoltre, l’obiettivo di raddoppiare l’efficienza energetica globale, cruciale per ridurre le emissioni entro il 2030, sembra irraggiungibile con le attuali politiche. Anche se esistono tecnologie per ridurre le emissioni di metano dai combustibili fossili, gli sforzi di mitigazione sono stati irregolari.

In conclusione

In conclusione, è chiaro che nonostante il rapido progresso della transizione energetica, due terzi dell’aumento della domanda energetica globale nel 2023 è stato nuovamente soddisfatto dal fossile. In questo modo le emissioni di CO2 hanno raggiunto un nuovo record di 37,5 miliardi di tonnellate. Comunque, lo slancio dell’energia pulita è sufficiente a far raggiungere un picco nella domanda di petrolio, gas e carbone entro il 2030. Da quel momento in poi, l’economia globale potrà continuare a crescere senza aumentare il consumo di combustibili fossili.

Le economie emergenti e in via di sviluppo, come India, Sud-est asiatico, Medio Oriente e Africa, guidano l’aumento della domanda di energia, mentre i cambiamenti strutturali, soprattutto in Cina, stanno contribuendo a rallentarne la crescita complessiva. Grazie all’elettrificazione e alla maggiore efficienza del sistema energetico basato su fonti rinnovabili, la domanda futura potrà essere soddisfatta interamente da energia pulita. Tuttavia, sfide geopolitiche e politiche frenano il progresso, e le emissioni legate ai combustibili fossili restano un problema critico.

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Cosa chiederà l’UE alla COP29 di Baku?

By : Aldo |Ottobre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cosa chiederà l’UE alla COP29 di Baku?
Lloyd Alozie - Unsplash

Come ogni anno, si sta avvicinando il periodo di un grande incontro globale, che pone nuovi target, obiettivi e cerca di risolvere delle importanti questioni internazionali riguardanti la sostenibilità, quindi l’ambiente, la società e l’economia. Quest’anno la COP si svolgerà a Baku in Azerbaigian, location che già lo scorso anno ha fatto discutere molti per via di politiche, diritti e processi poco chiari rispetto l’ambiente. Ovviamente a tale evento partecipano centinaia di paesi e l’Europa si presenta con delle idee e richieste ben chiare.

La COP

La COP (Conference of Parties) è un incontro annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Nasce nel 1992 per affrontare il cambiamento climatico come organo decisionale supremo della convenzione e riunisce 198 Paesi per negoziare azioni concrete contro il riscaldamento globale. Il suo obiettivo è quello di promuovere la cooperazione internazionale sul clima definendo politiche globali per migliorare la sostenibilità del mondo.

Nel corso degli anni ce ne sono state varie di grande rilevanza, sia per gli accordi sottoscritti o i nuovi obiettivi fissati come la COP 21, grazie alla quale nascono l’Agenda 2030 e gli Accordi di Parigi. In altri casi, gli incontri sono stati quasi fallimentari o controversi a seconda del Paese che ospitava l’incontro o a causa della poca efficienza dell’evento.

Tra un mese si svolgerò la 29 esima edizione della COP nella capitale dell’Afganistan, Baku. Non sno mancate ovviamente le critiche per la scelta dello stato, vista la situazione dei diritti umani e del contesto politico del paese. In particolare, le autorità azere sono accusate di repressione politica, con arresti di attivisti e giornalisti, e censura delle voci critiche. Tale situaizone preoccupa tutti poiché la chiusura dei media e la limitazione della libertà di espressione potrebbero controllare in modo improprio l’evento. Inoltre, c’è preoccupazione che la conferenza diventi un’operazione di greenwashing per migliorare l’immagine del governo, compromettendo la credibilità della COP e le sue finalità climatiche.

 

L’ideale europeo

L’Unione Europea ha definito la sua strategia per la COP29, che si terrà a Baku, Azerbaijan, a novembre 2024. Sebbene non vi siano novità rilevanti, l’UE conferma il proprio impegno a rispettare l’Accordo di Parigi, mantenendo il riscaldamento globale entro 1,5-2°C rispetto ai livelli preindustriali. L’Unione ribadisce l’obiettivo di eliminare gradualmente i combustibili fossili entro il 2050, con l’obbligo di presentare entro il 2025 nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni (NDC). Tuttavia, alcuni attivisti ritengono che l’Europa dovrebbe accelerare l’uscita dal carbone entro il 2030, dal gas entro il 2035 e dal petrolio entro il 2040.

 

La finanza climatica sarà al centro dei negoziati. I Paesi ricchi, compresa l’UE, hanno faticato a rispettare l’impegno di versare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella transizione climatica. Nonostante le pressioni per aumentare i contributi, l’UE non ha previsto fondi aggiuntivi. Un altro punto di discussione sarà il ruolo della Cina, che non contribuisce ancora, essendo classificata formalmente come “Paese in via di sviluppo”. Tuttavia, data la sua attuale potenza economica, Europa e Stati Uniti spingono per un suo maggiore coinvolgimento, anche se la Cina ribatte che le responsabilità storiche del cambiamento climatico ricadono principalmente sull’Occidente.

Le grandi questioni

In vista della COP29, c’è attesa per eventuali nuovi impegni climatici da parte dei governi europei. Nonostante ciò, alcuni attivisti, come Climate Action Network Europe, sostengono che l’UE debba accelerare il suo piano per raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Così facendo, eliminerebbe il carbone entro il 2030, il gas entro il 2035 e il petrolio entro il 2040. Tuttavia, molti Paesi, come l’Italia, continuano a investire in infrastrutture per i combustibili fossili, sollevando dubbi sulla possibilità di abbandonarle a breve termine.

Il tema centrale della COP29 sarà la finanza climatica. I Paesi ricchi, pur con difficoltà, stanno cercando di rispettare l’impegno di destinare 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Ad ogni modo, non sono previsti contributi aggiuntivi, nonostante le richieste dei Paesi più vulnerabili. Un altro grande obiettivo è quello coinvolgere la Cina. Poiché tale nazione ancora non contribuisce ancora in quanto classificata come “Paese in via di sviluppo” nonostante sia oggi una forza economica molto diversa rispetto al 1992. Pechino, però, sottolinea che la responsabilità storica del cambiamento climatico ricade principalmente sull’Occidente, a causa della Rivoluzione industriale.

Quindi l’Europa si presenterà a Baku, con la speranza che la Cina cambi le sue prospettive riguardo lo sforzo finanziario necessario per aiutare i Paesi a rischio. Inoltre, L’Unione è in attesa anche delle elezioni statunitensi del 5 novembre, che con una eventuale vittoria di Donald Trump cambierebbero completamente lo scenario delle politiche climatiche.

La posizione italiana

In tutto ciò, la premier italiana Giorgia Meloni ha espresso in Parlamento la sua posizione riguardo alla decarbonizzazione, affermando che perseguire questo obiettivo a discapito dell’industria sarebbe un errore fatale. Questa idea rafforza il pensiero della parte più conservatrice del settore imprenditoriale italiano. Così facendo però si trascurano, i grandi risultati derivati dagli investimenti in tecnologie verdi rappresentano una fonte di crescita economica e creazione di posti di lavoro. Soprattutto in Europa, Stati Uniti e Cina.  

Tuttavia, la politica italiana sembra operare su due fronti: da un lato, fa dichiarazioni interne rivolte all’elettorato, e dall’altro sottoscrive accordi internazionali che spesso vanno in direzione opposta. Un esempio di questa contraddizione è il contrasto tra le parole di Giorgia Meloni e il documento approvato dal Consiglio dell’UE, che sottolinea i benefici di un’azione climatica ambiziosa per migliorare la vita, l’economia e la sostenibilità. Infatti, nel testo, si afferma che investire in una transizione verde, attraverso istruzione e innovazione, è essenziale e meno costoso rispetto all’inazione.

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Stoccaggio di CO2 in mare: inaugurato l’impianto più grande al mondo in Sicilia.

By : Aldo |Ottobre 13, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Stoccaggio di CO2 in mare: inaugurato l’impianto più grande al mondo in Sicilia.

La gestione della CO2 è fondamentale per affrontare il cambiamento climatico, dato che i livelli attuali hanno superato i 420 ppm, con un aumento del 50% rispetto all’era pre-industriale. Pertanto giorno dopo giorno si ricercano le migliori soluzione per limitare i danni causati da tale riscaldamento.  Tra queste troviamo la tecnologia di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS), che prevede la cattura e lo stoccaggio della CO2 in formazioni geologiche profonde. A riguardo, è recente la notizia di un nuovo impianto di stoccaggio in Sicilia, il primo al mondo in mare.

Lo stoccaggio di CO2

Lo stoccaggio della CO2, noto anche come CCS (Carbon Capture and Storage), è una tecnologia fondamentale per la mitigazione dei cambiamenti climatici, poiché consente di catturare l’anidride carbonica emessa da fonti industriali e stoccarla in formazioni geologiche profonde. Questo processo si articola in tre fasi principali: cattura, trasporto e stoccaggio. Durante la cattura, la CO2 viene separata dai gas di scarico attraverso metodi come l’assorbimento chimico, la combustione in ambiente ossigenato o la criogenia. Una volta catturata, la CO2 viene compressa e trasportata verso siti di stoccaggio, dove viene iniettata in giacimenti di gas esauriti o formazioni saline profonde, a profondità di circa 1-3 chilometri.

L’efficacia dello stoccaggio della CO2 è supportata da studi che mostrano come possa ridurre significativamente le emissioni di gas serra. Tuttavia, ci sono sfide legate ai costi elevati e alla disponibilità limitata di siti adatti per lo stoccaggio. Attualmente, l’Europa detiene solo il 5% della capacità globale di CCS, smaltendo meno di 2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ma gli investimenti nella tecnologia stanno crescendo. Nonostante le critiche riguardo alla sua efficacia come soluzione a lungo termine per il cambiamento climatico, il CCS rappresenta un’opzione importante per settori difficili da decarbonizzare, come l’industria pesante e i trasporti.

Lo stoccaggio in mare e Limenet.

Lo stoccaggio di CO2 negli oceani è una soluzione innovativa e promettente per combattere il cambiamento climatico, sfruttando il potenziale degli oceani come serbatoi naturali di carbonio. Attualmente, gli oceani assorbono circa il 25-30% delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo, ma l’aumento delle concentrazioni atmosferiche richiede nuove tecnologie per potenziare questa capacità senza danneggiare gli ecosistemi marini. Tecniche come L’ocean Alkalinity Enhancement consentono di convertire la CO2 in bicarbonato di calcio, non a caso startup come Limenet stanno sviluppando processi industriali proprio in questo ambito.

Si tratta di una startup innovativa italiana, fondata nel 2023, che si specializza nella cattura e nello stoccaggio della CO2 nel mare. Nata come community scientifica, ha sviluppato una tecnologia brevettata in grado di trasformare l’anidride carbonica in bicarbonati di calcio, un processo che consente di immagazzinare la CO2 in modo duraturo e stabile negli oceani per oltre 10.000 anni. Questo tipo di tecnologie possono dare un contributo significativo alla riduzione globale delle emissioni e alla protezione della biodiversità marina, trasformando gli oceani in un attore chiave nella lotta al cambiamento climatico.

La rivoluzione parte da Augusta

Ad Augusta, in Sicilia, è stato inaugurato il più grande impianto al mondo per lo stoccaggio di CO2 in mare, sviluppato dalla start-up italiana Limenet. Questo impianto, capace di catturare e trasformare fino a 800 tonnellate di CO2 all’anno in bicarbonato di calcio, rappresenta un passo avanti nella lotta al cambiamento climatico. 


Il processo si basa su un principio naturale per cui la CO2 reagisce con l’acqua marina per formare bicarbonati, che vengono poi stoccati in modo sicuro negli oceani. In tal modo l’impianto contribuisce a ridurre l’acidificazione marina, rimuovendo la CO2 dall’atmosfera e rigenerando gli ecosistemi marini. Il tutto è possibile grazie ad elementi semplici come acqua di mare e carbonato di calcio, che rappresenta addirittura il 7% dell’intera crosta terrestre. Questa soluzione, ispirata a fenomeni naturali, è stata ideata e sviluppata da Limenet grazie alle ricerche di Stefano Caserini, pioniere nel campo del sequestro di CO2 in mare.

Mentre Stefano Cappello, amministratore delegato e fondatore di Limenet, ha spiegato in un’intervista con Wired, che l’impianto di Augusta permetterà di avviare il funzionamento continuo della tecnologia, con una capacità produttiva di 100 kg all’ora di CO2 stoccata sotto forma di bicarbonato di calcio. L’obiettivo per questo impianto, e per i futuri, è raggiungere economie di scala che riducano i costi di rimozione e stoccaggio della CO2. Infatti, l’azienda ha già avviato la vendita di crediti di carbonio, segnando l’inizio della sua applicazione industriale, con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare la scala produttiva in futuro.

Non è un punto di arrivo

Nonostante l’entusiasmo per le tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, esistono diverse criticità. Una delle principali preoccupazioni è che queste soluzioni possano essere usate come scusa per ritardare la transizione energetica, permettendo alle aziende di continuare a dipendere dai combustibili fossili. Appunto è probabile che l’industria energetica utilizzi queste tecnologie come alibi per prolungare l’estrazione e la combustione di petrolio, gas e carbone, sostenendo che le emissioni potranno essere rimosse in un secondo momento. Questo potrebbe rallentare gli sforzi globali di decarbonizzazione, poiché molte delle tecnologie di cattura della CO2 si sono rivelate meno efficaci di quanto promesso dalle multinazionali.

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Cicloni tropicali anche in Europa: l’arrivo di Kirk.

By : Aldo |Ottobre 10, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cicloni tropicali anche in Europa: l’arrivo di Kirk.
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L’autunno è arrivato nell’emisfero boreale e con lui i cicloni e gli uragani che caratterizzano questo periodo dell’anno in specifiche zone del mondo. Lo stato della Florida (USA) per esempio, è già stato colpito da ben due uragani nell’arco di due settimane e gli effetti sono catastrofici. Come sappiamo, con il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature, questi fenomeni diventano sempre più potenti, frequenti e si stanno verificando anche in aree insolite. Un esempio è l’uragano Kirk che arriverà in Europa sottoforma di Ciclone tropicale.

Tempeste, cicloni ed uragani

La differenza tra uragani, cicloni e tempeste risiede principalmente nell’intensità dei venti e nella struttura del sistema. Il termine “tempesta” è generico e si riferisce a vari fenomeni meteorologici, come tempeste tropicali o perturbazioni con venti forti e piogge intense. L’uragano, invece, è un tipo specifico di tempesta tropicale che si forma nell’Oceano Atlantico o nel Pacifico orientale, caratterizzato da venti sostenuti di almeno 119 km/h e da una struttura con un “occhio” al centro. Gli uragani sono classificati in 5 categorie, con la più alta che include venti oltre 252 km/h.

I cicloni tropicali sono fenomeni simili agli uragani, ma si formano in altre aree, come il Pacifico occidentale o l’Oceano Indiano. Quando si spostano su acque più fredde o sulla terra, perdono le loro caratteristiche tropicali e diventano cicloni extratropicali, alimentati dal contrasto tra masse d’aria calde e fredde. Dunque, possiamo dire che, non tutte le tempeste sono uragani, ma tutti gli uragani sono tempeste.

Un ulteriore aspetto da considerare in questo argomento è la variazione di potenza e frequenza di questi fenomeni spesso catastrofici. Infatti, studi recenti, hanno evidenziato un aumento significativo dell’intensità dei cicloni tropicali negli ultimi quattro decenni. Come riportato, la probabilità di eventi di categoria 3 o superiore è aumentata di circa il 15%. Questo incremento è attribuito principalmente al riscaldamento delle acque oceaniche, che ha portato alla formazione di ben 30 cicloni tropicali (record) nella stagione degli uragani atlantici nel 2020.

Cicloni ed uragani in Europa

L’arrivo di Kirk, la prima grande tempesta della stagione autunnale in Europa, si verifica proprio mentre cresce la preoccupazione per un altro uragano che minaccia gli Stati Uniti. Si tratta dell’11 esima tempesta con un nome a formarsi quest’anno, come previsto dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). L’ente infatti aveva annunciato che ci sarebbero state da 17 a 25 tempeste con un nome nel 2024, un numero fuori dalla norma.

In particolare, l’Europa è stata colpita in passato da diversi uragani e cicloni post-tropicali di notevole intensità. Uno dei più famosi è stato l’uragano Vince nell’ottobre 2005, che raggiunse la terraferma in Spagna come tempesta tropicale; fu il primo caso documentato di un uragano atlantico che colpisce la penisola Iberica. Nel settembre 2006, i resti dell’uragano Gordon causarono danni e vittime in Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia e Russia. Più recentemente, nel settembre 2017, l’uragano Ophelia ha portato venti di burrasca e piogge torrenziali su Irlanda e Regno Unito.

Anche l’Italia non è immune da questi fenomeni. Possiamo ricordare quando i resti dell’uragano Leslie hanno portato maltempo estremo su gran parte del Paese nel settembre 2018, con allagamenti, frane e danni ingenti. In particolare, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia sono state le regioni più colpite, con raffiche di vento fino a 180 km/h e accumuli di pioggia localmente superiori ai 300 mm in 24 ore. Un evento ancora più eccezionale si è verificato nell’ottobre 1996, quando un vero e proprio uragano mediterraneo (o “medicane”) ha colpito la Calabria, causando vittime e distruzioni.

Kirk

La tempesta Kirk, originariamente un uragano di categoria 4 nell’Atlantico, ha perso parte della sua intensità trasformandosi in un ciclone extratropicale, ma continua a rappresentare una minaccia per diverse nazioni europee. Dopo aver raggiunto venti fino a 233 km/h, Kirk si sta dirigendo verso l’Europa, dove è arrivata tra l’8 e il 9 ottobre. Nonostante il declassamento, la tempesta porterà forti raffiche di vento, fino a 145 km/h, e piogge intense, soprattutto in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania settentrionale. Le condizioni meteorologiche peggioreranno inizialmente nel nord del Portogallo e nella Spagna nord-occidentale, con piogge abbondanti e venti forti tra i 100 e i 150 km/h. Successivamente, la tempesta si sposterà verso la Francia e l’Europa centrale, toccando anche Svizzera e Germania sud-occidentale, portando venti fino a 150 km/h lungo le coste francesi.

La perturbazione è nata come depressione tropicale il 29 settembre al largo delle isole di Capo Verde, evolvendo in uragano il 1° ottobre e raggiungendo la categoria 4 il 4 ottobre. Risalendo verso nord-est, Kirk ha perso energia a causa delle acque più fredde, trasformandosi in un ciclone extratropicale, ma mantenendo una certa intensità grazie alle interazioni atmosferiche. In Italia, la perturbazione non arriverà direttamente, ma il 10 ottobre parte della sua energia residua influenzerà la Liguria e le Alpi, portando temporali, venti forti e mareggiate. Il Centro-Sud, invece, non sarà colpito, con temperature ben al di sopra della media, oltre i 30°C.

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L’UE, vuole rinviare la legge sulla deforestazione tra esultanze e polemiche.

By : Aldo |Ottobre 07, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’UE, vuole rinviare la legge sulla deforestazione tra esultanze e polemiche.
Christian Lue - Unsplash

Quando si parla di proteggere la natura ci sono sempre e purtroppo, troppi scontri ideologici, a volte poco condivisibili. Sta di fatto che la protezione della natura e delle sue specie, sia un processo lungo, lento ma di enorme importanza. Tuttavia, spesso e volentieri, “intralcia” gli affari delle aziende di vari settori, tra i quali quello alimentare (il più rilevante). Di recente sembra che l’Europa abbia fato qualche passo indietro rimettendo in discussione la sua propensione ad una forte e corretta transizione ecologica.

 

La deforestazione nel tempo

La deforestazione consiste nell’eliminazione delle foreste o della vegetazione arborea, spesso finalizzata a destinare i terreni ad attività agricole, pascoli o zone urbane. Questo processo ha impatti rilevanti, sia in termini positivi che negativi. Tra i vantaggi si possono annoverare l’incremento dell’agricoltura e lo sviluppo economico in determinate aree, con la creazione di posti di lavoro e un miglior accesso alle risorse alimentari. Tuttavia, gli effetti negativi prevalgono nettamente: la deforestazione causa una grave perdita di biodiversità, contribuisce ai cambiamenti climatici aumentando le emissioni di carbonio e provoca il degrado del suolo, compromettendo la capacità produttiva agricola nel lungo periodo.

In Italia, la regolamentazione della deforestazione ha radici antiche, con il Regio Decreto del 1923 che definiva le prime norme per la gestione delle foreste. Negli ultimi anni, il Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018 ha modernizzato e semplificato la normativa, affrontando le sfide attuali legate alla sostenibilità e alla tutela ambientale. Queste leggi sono cruciali per salvaguardare le foreste e promuovere pratiche agricole sostenibili, contribuendo a un futuro più ecologico e sano per il pianeta.

Regolamento Ue sui prodotti senza deforestazione (EUDR)

Sul piano politico, la deforestazione è diventata una questione di rilevanza globale, spingendo all’adozione di interventi legislativi. Tuttavia è recente la proposta della Commissione Europea di rinviare di un anno la dibattuta legge sulla deforestazione. Tale iniziativa, ha fatto esultare le grandi aziende, poiché il rinvio ola revisione della legge non alzerebbe i prezzi di produzione. Al contrario gli ambientalisti sono sconcertati e invitano a riflettere sui prossimi passi da fare. Perché?

La legge prevede che i produttori che non rispettano il divieto di commercializzare prodotti legati alla deforestazione non possano vendere nei mercati dell’UE. Il testo venne inizialmente apprezzato per la sua finalità di proteggere le foreste, importanti per l’assorbimento di CO₂. Nonostante ciò venne subito criticato per la complessità della sua applicazione, soprattutto da Paesi esportatori come Brasile e USA. Le aziende devono infatti ricorrere a tecnologie come il monitoraggio satellitare e sistemi di tracciabilità per dimostrare che i loro prodotti non provengono da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020.

Un’altra particolarità è che la legge si rivolge esattamente alle aziende produttrici di materie prime di uso globale quotidiano quali: caffè, cacao, legname, olio da palma e carne bovina. Tutto serviva a proteggere i polmoni verdi della Terra, la biodiversità e a combattere il cambiamento climatico in modo concreto. Si trattava di un incentivo importante, per porre delle basi solide per una produzione (globale) più sostenibile.

Il rinvio

Nonostante la sua importanza, in alcuni Paesi membri, come l’Italia, si sono registrati tentativi di ritardare l’implementazione delle norme, poiché si teme che le imprese non siano pronte a soddisfare i requisiti richiesti. In molti hanno poi definito “”difficile e molto costoso” il cambiamento richiesto e pertanto è arrivata la richiesta di un rinvio o una revisione del regolamento.  Dunque, a inizio ottobre la Commissione Ue ha ceduto, annunciando l’intenzione di un rinvio di 12 mesi. Questo significa che, se la proposta venisse approvata dai ministri dell’UE e dal Parlamento europeo, la legge entrerebbe in vigore il 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e il 30 giugno 2026 per le piccole imprese.

Le accuse degli ambientalisti

Gli ambientalisti temono che un eventuale rinvio della regolamentazione possa portare a una deforestazione aggiuntiva di 2.300 chilometri quadrati. Infatti, Christian Poirier, direttore del programma per Amazon Watch, ha criticato duramente le grandi aziende e i governi. Li ha accusati di collaborare per evitare le responsabilità legate alla deforestazione zero nella catena di fornitura, sfruttando i piccoli proprietari come pretesto. Mentre Nicole Polsterer, attivista di Fern, ha affermato che Ursula von der Leyen avrebbe ceduto alle pressioni di aziende e Paesi che, pur consapevoli da anni dell’arrivo della regolamentazione, non si erano preparati adeguatamente.

Analogamente Greenpeace UE ha definito la decisione un grave passo indietro per le politiche del Green Deal e Sébastien Risso, direttore delle politiche forestali di Greenpeace, ha espresso rabbia. Il direttore sostiene che il rinvio permetterà la presenza di prodotti legati alla deforestazione sugli scaffali europei per altri dodici mesi. Infine, Virginijus Sinkevičius, eurodeputato lituano ed ex commissario all’ambiente, ha sottolineato che il rinvio rappresenterebbe un passo indietro nella lotta al cambiamento climatico, aumentando il 15% delle emissioni globali di carbonio e compromettendo la credibilità dell’UE nei suoi impegni climatici.

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Seul sceglie la natura e sostituisce un’autostrada con un fiume pedonale.

By : Aldo |Settembre 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Seul sceglie la natura e sostituisce un’autostrada con un fiume pedonale.
Yohan Cho - Unsplash

Siamo ormai abituati a vivere in città sempre più vaste, ricche di servizi, negozi e di tutto ciò che ci serve. Continuiamo a costruire senza sosta, sfruttando tecnologie avanzate e immaginando città futuristiche, con grattacieli e auto volanti. Nonostante ciò, i luoghi che amiamo di più sono quelli in cui possiamo allontanarci da tutto questo: sentiamo il bisogno di una passeggiata in riva al mare, di un picnic accanto al fiume o di una gita al lago. Così Seul abbraccia la sostenibilità scegliendo il fiume al posto di un’autostrada.

I fiumi: dalle città alle metropoli

I fiumi hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle città, dalla nascita delle prime civiltà alle metropoli moderne. Nelle antiche culture mesopotamiche ed egizie, i fiumi erano essenziali per l’irrigazione, l’acqua potabile e il commercio, favorendo l’agricoltura e la crescita demografica. Durante il periodo medievale, le città si sono sviluppate attorno a corsi d’acqua, che fungevano da risorse strategiche per il commercio e l’industria, come nel caso di Venezia e Firenze.

I fiumi continuano a essere importanti nelle grandi metropoli, non solo per le loro funzioni economiche ma anche come simboli di bellezza e spazi ricreativi. I waterfront urbani attraggono residenti e turisti, migliorando la qualità della vita. Inoltre, la gestione sostenibile dei fiumi è diventata cruciale per affrontare le sfide ambientali attuali, sottolineando il loro valore nel contesto urbano contemporaneo.

Non a caso oggi, è sempre più frequente il fenomeno chiamato “daylighting”. Si tratta dell’iniziativa che propone di “portare alla luce” proprio i fiumi nascosti per rendere l’acqua nuovamente protagonista nelle nostre città. Un esempio famoso di questa trasformazione è il Cheonggyecheon a Seoul, un percorso pedonale di 11 km che è oggi una delle passeggiate più apprezzate della città.

Il progetto Cheong Gye Cheon

Cheong Gye Cheon, un corso d’acqua di Seoul, ha una storia che risale a oltre 600 anni fa, quando la città divenne capitale durante la dinastia Joseon. Inizialmente ampliato per prevenire inondazioni, il canale è stato utilizzato come sistema fognario per circa 500 anni, subendo ripetuti dragaggi a causa dell’aumento della popolazione. Durante l’occupazione giapponese (1910-1945), il fiume si inquinò gravemente e venne coperto con calcestruzzo, trasformandosi in una fogna. Dopo la guerra di Corea, il canale continuò a degradarsi, diventando un simbolo di povertà. Negli anni ’70, fu costruita l’autostrada Cheong Gye Cheon proprio sopra il fiume.

Per questo, nel 2003, l’ex sindaco Lee Myung-bak avviò un progetto di restauro che ha portato alla rimozione dell’autostrada e alla riqualificazione del fiume come area pubblica, completata nel 2005 con un investimento di circa 700 milioni di euro.

Il progetto di Seul

Il progetto di restauro del Canal ChonGae a Seoul mirava a ripristinare un corso d’acqua coperto e inquinato, demolendo circa 4km di autostrada che dividevano la città. Infatti, prima dell’intervento, l’area era occupata da una strada trafficata, con 168.000 auto al giorno, che contribuivano a elevati livelli di inquinamento, compromettendo la salute degli abitanti. In risposta a questa situazione critica, il governo cittadino ha approvato un progetto che metteva l’uomo al primo posto, demolendo l’autostrada e orientandosi verso un approccio più ecosostenibile focalizzato sulla qualità della vita.

L’obiettivo principale era creare una zona pedonale che permettesse alle persone di interagire con l’acqua e mitigare le inondazioni durante i temporali della stagione dei monsoni. La progettazione si è basata sui livelli d’acqua variabili, e il restauro ha rappresentato il primo passo verso una riqualificazione complessiva delle sette miglia di fiume. Inaugurato nell’ottobre 2005, il progetto ha creato un nuovo spazio verde urbano che ha rafforzato il rapporto tra la città e il fiume, attirando continuamente persone.

Grazie al restauro del Cheonggyecheon, sono stati prevenuti allagamenti nella zona per un periodo stimato di 200 anni e si è registrata una riduzione della temperatura di 3-5°C rispetto alle strade circostanti. Questi risultati notevoli sono stati raggiunti riportando alla luce un corso d’acqua che era stato a lungo relegato a canale sotterraneo.

Conclusioni

I corpi idrici nelle aree urbane offrono vantaggi concreti di natura sociale, ambientale ed economica. Sicuramente abbelliscono le città e riducono lo stress mentale dei cittadini, fungendo anche da canali di raccolta in caso di allagamenti, alleviando così la pressione sulla rete idrica. Inoltre, contribuiscono a mitigare le temperature locali. È quindi essenziale che le città integrino questi aspetti nello sviluppo urbanistico, riappropriandosi di elementi naturali spesso trascurati per promuovere un futuro urbano più sostenibile e vivibile.

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Wind Turbine Wall: le nuove frontiere dell’eolico urbano.

By : Aldo |Settembre 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Wind Turbine Wall: le nuove frontiere dell’eolico urbano.
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Il cambiamento climatico si sta manifestando in maniera sempre più concreta e noi non possiamo più restare fermi a guardare. È ovvio che non ci sia tempo da perdere e che bisogna puntare tutti insieme alla transizione ecologica. Tuttavia il pensiero di molti è negativo a riguardo, e si pensa che non ci siano troppe speranze per un futuro migliore. Nonostante ciò, lo sviluppo tecnologico ci dimostra che possiamo comunque avere fiducia nelle innovazioni e che le soluzioni per migliorare esistono.

La produzione eolica

L’energia eolica è una delle fonti rinnovabili più promettenti, poiché utilizza la forza del vento per produrre elettricità tramite turbine che trasformano l’energia cinetica in energia elettrica. Questa tecnologia è cruciale per la transizione energetica globale, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili e le emissioni di gas serra. L’energia eolica è pulita, abbondante e non richiede grandi quantità d’acqua, rendendola competitiva rispetto ad altre fonti. A livello globale, la produzione eolica è in forte crescita: nel 2020 ha coperto il 16% dell’elettricità in Europa e ha superato il carbone come seconda fonte energetica dopo il gas naturale. La Cina è leader mondiale nel settore eolico anche grazie ai massicci investimenti.

In Italia, l’energia eolica sta guadagnando terreno come parte della strategia nazionale per la transizione energetica. Gli investimenti nel settore sono in aumento e si prevede che entro il 2050 saranno necessari circa 2000 km² di impianti fotovoltaici e un ulteriore sviluppo dell’eolico. Attualmente, si sta lavorando per integrare maggiormente queste tecnologie nel mix energetico nazionale, contribuendo così a una maggiore sostenibilità ambientale.

Il mini – eolico urbano

L’eolico urbano, a differenza del fotovoltaico, ha ricevuto meno attenzione nel corso degli anni. Sebbene le soluzioni esistano, è complesso trovare un equilibrio tra risorse disponibili, design e spazi utilizzabili. I pochi progetti che hanno cercato di affermarsi sul mercato infatti, si sono concentrati su turbine con capacità da 1 a 10 kW, installabili su tetti piani, torri di comunicazione e strutture ad altezze elevate. Invece, il mini- eolico urbano è una soluzione innovativa per generare energia rinnovabile nelle città, utilizzando piccoli aerogeneratori integrati negli edifici.

Un esempio è il nuovo progetto del designer Joe Doucet si chiama Wind Turbine Wall. Si tratta di un mini-eolico da parete, composto da 25 micro turbine ad asse verticale, progettato per integrarsi nelle strutture urbane. Il prototipo misura 2,4 metri di altezza e 7,6 metri di larghezza, ma può essere adattato per coprire interi edifici. Doucet sostiene che un solo “muro cinetico” potrebbe coprire il fabbisogno elettrico annuale di una casa americana, sebbene l’efficacia dipenda dal luogo di installazione e i dati debbano ancora essere confermati.

Joe Douchet e il suo design

Doucet, designer e imprenditore di fama internazionale, è noto per coniugare innovazione e sostenibilità nelle sue creazioni, come dimostrato dal suo “Wind Turbine Wall”. Con oltre 50 brevetti e numerosi riconoscimenti, tra cui il Cooper-Hewitt National Design Award, continua a esplorare soluzioni di design che migliorano la vita quotidiana. In questo caso, l’approccio di Joe Doucet rivoluziona l’integrazione dell’energia eolica negli edifici, fondendo estetica e funzionalità.

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Tempesta Vaia: dopo 6 anni cosa è cambiato, i problemi e le possibili soluzioni.

By : Aldo |Settembre 22, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Tempesta Vaia: dopo 6 anni cosa è cambiato, i problemi e le possibili soluzioni.
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Alla fine di ottobre 2018, la tempesta Vaia devastò i boschi delle Dolomiti con piogge incessanti e venti fino a 208 km/h, in particolare a Passo Rolle. In poco tempo furono abbattuti oltre 14 milioni di tronchi e 41.000 ettari di foreste distrutti.  Strade e sentieri furono bloccati e la rimozione del legname durò svariati mesi e richiese enormi investimenti. L’area distrutta e le sue popolazioni affrontarono difficoltà tecniche e logistiche, con un danno economico complessivo stimato intorno ai tre miliardi di euro.  Fortunatamente, un gruppo di giovani ha pensato a come risollevare i paesi colpiti, in modo innovativo.  

La missione di “Vaia”

Vaia è una startup italiana fondata nel 2019 da Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo, in risposta alla devastante tempesta Vaia che ha colpito le Dolomiti nel 2018. L’azienda si occupa di recuperare il legno degli alberi distrutti per creare prodotti sostenibili. Nello specifico i suoi obiettivi sono la valorizzazione delle risorse locali, l’attivazione delle filiere artigianali e coinvolgimento delle comunità, reinvestimento dei ricavi nei territori colpiti.

La startup si propone di affrontare le sfide socio-ambientali attraverso azioni concrete, come la riforestazione e la creazione di una rete di artigiani locali, contribuendo così a un futuro più sostenibile. Non a caso ha creato dei nuovi prodotti come il “Vaia Cube”, una cassa passiva per amplificare il suono degli smartphone. Questo oggetto non solo rappresenta un’alternativa ecologica, ma simboleggia anche un impegno verso la sostenibilità e la valorizzazione delle risorse locali. Infatti, Vaia si distingue anche per il suo approccio comunitario, cercando di coinvolgere attivamente le persone e sensibilizzarle riguardo alla sostenibilità ambientale.

I problemi odierni

Dopo l’avvenimento, gran parte del legname fu venduto a basso costo all’estero, principalmente in Cina. Senza la protezione degli alberi e delle loro radici, il territorio venne più esposto a frane, valanghe e inondazioni. Inoltre, la situazione si aggravò per l’infestazione del bostrico, una specie di coleottero che attacca gli abeti rossi e ne provoca la morte in poco tempo. Secondo recenti studi, i danni causati dal bostrico hanno ormai superato quelli della tempesta Vaia, colpendo una superficie doppia rispetto a quella del Lago di Garda.

Dunque, gli effetti della tempesta non sono solo ambientali, ma hanno anche rilevanti implicazioni economiche e sociali. Il fenomeno Vaia ha infatti amplificato problematiche preesistenti che affliggono le comunità montane in tutta Italia. Tra le varie questioni si riportala più importante resta lo spopolamento dovuto alla scarsità di opportunità lavorative, allo sviluppo limitato e alla mancanza di servizi. Oltretutto, il recupero del legname caduto si è rivelato costoso e, in alcuni casi, impossibile da realizzare. Di conseguenza sono state sottolineate le difficoltà di coordinamento e gestione tra gli enti responsabili della protezione e della gestione forestale.

A distanza di 6 anni, solo una parte degli alberi abbattuti è stata recuperata, mentre molti restano ancora a terra, lasciando la foresta spoglia e vulnerabile all’infestazione del bostrico. Federico Stefani, co-fondatore della startup, ha evidenziato come, nonostante l’aumento della superficie forestale, la qualità del bosco sia in peggioramento. In più ha evidenziato come gli abitanti, attualmente beneficiari della vendita del legname, rischiano di trovarsi privi di risorse entro 50 anni, poiché il capitale naturale si sta progressivamente esaurendo.

I progetti futuri e le iniziative di Vaia

Vista la missione dei della startup, Stefani sottolinea come la sostenibilità sia possibile solo coinvolgendo l’economia locale e coordinando tutti gli attori del territorio. Per esempio, il primo prodotto di Vaia, il Vaia Cube, è un amplificatore analogico in legno realizzato con alberi abbattuti e lavorato da artigiani locali. Ogni Cube venduto ha permesso di piantare nuovi alberi, raggiungendo 100.000 abeti grazie a oltre mille unità vendute in 38 Paesi. Questo è a tutti gli effetti un piccolo contributo, ma con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione e collaborare con amministrazioni e enti forestali. 

In seguito, Vaia ha lanciato il Vaia Focus, un amplificatore per smartphone eco-sostenibile, destinando i ricavi alla ricerca sui ghiacciai in collaborazione con varie organizzazioni. Inoltre, ha riutilizzato teli geotessili per realizzare il materiale protettivo del Focus. L’obiettivo di Vaia è quello di consolidare un modello di business circolare e sostenibile, coinvolgendo 12 laboratori artigianali locali e restituendo dignità alle risorse naturali, come dimostrato dal successo del Cube e del Focus.

La “Foresta degli innovatori”

La startup “Vaia” è arrivata alla sua terza edizione dell’iniziativa “La foresta degli Innovatori”. Si tratta di un evento che si terrà il 21 settembre a Folgaria. Nonostante non tutti possano partecipare di persona, è possibile seguire le dirette di talk, attività e un concerto di Gio Evan sui canali social, con la possibilità di interagire e vivere virtualmente l’atmosfera. Inoltre, chi vuole contribuire a distanza può acquistare una t-shirt e un albero che verrà piantato durante l’evento, con l’obiettivo di piantare oltre 1.000 alberi in un solo giorno. L’evento è gratuito, ma richiede iscrizione, ed è patrocinato dal Parlamento Europeo.

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Con l’IA, Orbisk ci aiuta a quantificare lo spreco di cibo.

By : Aldo |Settembre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con l’IA, Orbisk ci aiuta a quantificare lo spreco di cibo.
Markus Winkler - Unsplash

L’intelligenza artificiale oscilla tra l’essere una grande scoperta ad una possibile minaccia. Sta di fatto che si tratta di un nuovo modo di usare la tecnologia, tanto atteso quanto respinto.  Sicuramente l’IA può facilitare tanti lavori, tanti studi e tante operazioni quotidiane e necessarie all’uomo. Ma proprio per questo per molti è quasi considerata come una minaccia. Tuttavia tra i progetti positivi che vedono l’intelligenza artificiale come un mezzo per migliorare la vita di tutti e renderla più sostenibile, troviamo l’idea di Orbisk.

L’IA per il futuro

L’intelligenza artificiale (IA) è una disciplina che sviluppa sistemi in grado di svolgere compiti tipici dell’intelligenza umana, come percezione e problem solving. Nonostante diventi sempre più sofisticata, presenta anche delle sfide etiche e di sicurezza che devono essere affrontate durante la sua evoluzione per evitare che diventi una minaccia. Tuttavia, l’IA è applicabile in vari settori, come sanità, istruzione, industria e sta diventando ogni giorno più importante anche per la lotta contro il cambiamento climatico e nell’adattamento ad esso.

Infatti, grazie alla sua capacità di elaborare grandi quantità di dati, l’IA può aiutare a prevedere e monitorare gli effetti del cambiamento climatico con una precisione senza precedenti. Dunque, può essere utilizzata per ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre le emissioni di gas serra e sviluppare soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali. Sembra non esistano confini di utilizzo di questa tecnologia; dall’agricoltura di precisione alle smart grid, dall’analisi dei dati satellitari alla progettazione di edifici sostenibili. Pertanto, investire nel suo sviluppo e nella sua applicazione è fondamentale per garantire un pianeta sano alle future generazioni.

Lo spreco alimentare

Uno tra i tanti settori in cui l’IA può essere impiegata è proprio quello alimentare, visti i grandi problemi mondiali di spreco e allo stesso tempo di malnutrizione. In generale c’è un filo conduttore che unisce cibo, energia, natura e perdite economiche, ossia lo spreco alimentare. Si tratta di un problema crescente in un sistema alimentare globale insostenibile e questo è visibile tramite i dati.

Attualmente, un terzo della produzione alimentare mondiale non viene consumato, con sprechi lungo tutta la filiera, maggiormente nelle case. Secondo gli studi, se non si agisce, entro il 2050 queste perdite raddoppieranno; pertanto, aumenteranno anche i prezzi dei settori affini.  Per esempio, in Italia, si gettano circa 25 kg di cibo a persona all’anno, con un costo complessivo di circa 15 miliardi di euro (un punto di PIL). Nonostante ciò, il 9,4% degli italiani vive in povertà alimentare. Cambiare questo ritmo e optare per un’alimentazione sostenibile, è essenziale e l’ONU ha fissato l’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare globale entro il 2030. Questo perché a livello mondiale, il valore economico del cibo sprecato raggiunge i 1.000 miliardi di dollari, ma con i costi ambientali nascosti arriva a 2.600 miliardi.  È qui che l’IA può venirci incontro, e può portare una nuova attenzione al tema, per provare a risolvere, almeno in parte tale problema. Orbisk, un’impresa innovativa, è riuscita aa creare una tecnologia per la quale, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, si può quantificare lo spreco alimentare.

Orbisk

Orbisk è una startup olandese nata nel 2017, fondata da Olaf van der Veen, insieme a Bart van Arnhem e Richard Beks. L’impresa innovativa ha l’obiettivo di combattere lo spreco alimentare nelle cucine professionali utilizzando l’intelligenza artificiale. In questo caso, la tecnologia impiegata da Orbisk si basa su un sistema di riconoscimento delle immagini che, tramite una telecamera e una bilancia digitale installate sui bidoni dei rifiuti, rileva gli alimenti scartati. L’algoritmo AI identifica il tipo, la quantità e il momento esatto in cui il cibo viene buttato, fornendo dati dettagliati sui flussi di rifiuti. Queste informazioni poi permettono di individuare inefficienze strutturali nelle cucine di ristoranti e mense, aiutando a ridurre lo spreco alimentare.

Il prototipo

Il dispositivo tecnologico di Orbisk è stato reso disponibile per i ristoranti con una formula di leasing e non richiede spazio aggiuntivo o nuove infrastrutture in cucina, poiché si integra facilmente con il bidone dei rifiuti esistente. Il tutto deve essere connesso ad una rete mobile o ad un Wi -Fi, affinché i dati raccolti vengano inviati automaticamente al cloud. Il software è in grado di analizzare vari aspetti, come il tipo e la quantità di cibo scartato, il livello di lavorazione e il momento e motivo dello smaltimento. Inoltre, rileva anche se il cibo proviene da una padella, un tagliere o un piatto, consentendo di identificare le fasi in cui si verificano inefficienze.

Per far sì che questa tecnologia sia produttiva e aiuti veramente il nostro pianeta, sono previste giornate di formazione per il personale di cucina. Così lo staff è capace di interpretare i dati e utilizzarli, grazie anche ad un focus sui momenti del processo in cui si verificano sprechi e suggeriti i possibili miglioramenti.

Olaf van der Veen ha spiegato che Orbisk sta lavorando per integrare i dati sui rifiuti con quelli di vendita, acquisto, numero di coperti e persino informazioni sulle previsioni del tempo. L’obiettivo è prevedere il consumo futuro per ridurre gli sprechi in modo proattivo.

Nel 2023, Orbisk ha ampliato l’installazione dei suoi dispositivi nelle cucine dei ristoranti olandesi, passando da venti a 120 dispositivi entro giugno, con l’intenzione di installarne altri 300 entro la fine dell’anno. A partire dal 2025, l’azienda prevede di espandersi negli Stati Uniti, noti per l’alto livello di spreco alimentare.

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Sea Beyond Ideas Box: a Napoli i piccoli scoprono come salvare l’oceano.

By : Aldo |Settembre 15, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sea Beyond Ideas Box: a Napoli i piccoli scoprono come salvare l’oceano.
Danilo D'Agostino - Unsplash

Spesso si dice che nella vita non si hanno certezze, forse qualcuna. Una di queste è la capacità dei bambini di imparare; non a caso vengono paragonati a delle spugne. Questo è vero ed è una caratteristica che ci dobbiamo ricordare quando pensiamo al futuro. Si, perché se vogliamo salvare il pianeta e crescere persone consapevoli del proprio ruolo nel mondo, dobbiamo partire proprio dai bambini. Ed è a loro che rivolgono le nuove mediateche mobili di Napoli.

I bambini sono il futuro

I bambini hanno una straordinaria capacità di apprendimento, alimentata dalla loro curiosità e dal desiderio di esplorare il mondo. Nei primi anni, il cervello si sviluppa rapidamente, facilitando l’acquisizione di conoscenze e competenze sia cognitive che emotive e sociali, influenzate dall’ambiente familiare e dalle esperienze educative. Certamente, in un periodo in cui i cambiamenti climatici sono una sfida cruciale, è essenziale introdurre i bambini a questi temi fin da piccoli. L’educazione ambientale può promuovere consapevolezza e responsabilità, spingendoli a diventare cittadini attivi. Comprendere questioni come il riscaldamento globale e l’inquinamento li aiuta a capire l’importanza di azioni sostenibili per proteggere il pianeta. Capire come proteggere gli animali e la natura è sicuramente un’attività alla loro portata che può implementare la loro consapevolezza. Investire in questa educazione prepara le nuove generazioni ad affrontare le sfide climatiche e a costruire una società più sostenibile e responsabile.

L’unione fa la forza

FOQUS, acronimo di Fondazione Quartieri Spagnoli, è un’associazione no profit attiva a Napoli dal 2013, dedicata alla rigenerazione urbana e sociale dei Quartieri Spagnoli.  Si tratta di un progetto che ha l’obiettivo di trasformare un’area precedentemente abbandonata in una comunità produttiva. Questo è possibile attraverso la promozione di nuove imprese, auto-imprenditorialità e opportunità di occupazione in settori qualificati. Tra le varie iniziative, FOQUS ha abbracciato l’idea di sensibilizzare i più piccoli alla salvaguardia dell’oceano, grazie anche all’aiuto di Biblioteche Senza Frontiere. Quest’ultima è una ONG francese che si impegna a garantire l’accesso all’informazione e all’istruzione per le persone vulnerabili in tutto il mondo. Il suo obiettivo è quello di combattere l’isolamento culturale e sociale per mezzo di iniziative che facilitano la diffusione della conoscenza e delle risorse educative, in contesti difficili.

Le due realtà prettamente sociali, hanno unito le forze per qualcosa di molto più grande, ossia la protezione degli oceani. Infatti a Napoli, negli spazi gestiti dalla fondazione FOQUS, è arrivata una mediateca mobile chiamata SEA BEYOND Ideas Box. La mediateca mobile è stata realizzata con il supporto di Sea Beyond, il programma educativo ideato dal Gruppo Prada e avviato nel 2019 in collaborazione con la Commissione Oceanografica Intergovernativa (COI) dell’UNESCO, con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sulla preservazione e sostenibilità dell’Oceano. Progettata pro bono da Philippe Starck per Bibliothèque Sans Frontière, l’Ideas Box festeggerà dieci anni nel 2024, e Napoli sarà una delle oltre 100 comunità nel mondo a beneficiarne.

Il progetto dell’Ideas Box

Secondo quanto riportato dalle interviste, Francesca Santoro, Senior Programme Officer dell’Unesco-COI, ha richiamato l’attenzione sulle minacce che l’oceano affronta. Tra queste il cambiamento climatico, le anomalie termiche, l’invasione di specie aliene e tropicali, e l’innalzamento dei mari. In questo modo ha sottolineato l’importanza di educare i bambini alla tutela dell’ecosistema marino, in linea con quanto recentemente denunciato dal segretario generale dell’ONU, António Guterres, in merito al Pacifico. Rendere partecipi i più piccoli fa sì che si possano crescere dei protettori del pianeta e fa ben sperare in generazioni più consapevoli e proattive al cambiamento.

Le attività previste includono laboratori di educazione all’oceano, guidati da educatori e ambassador del progetto come Carmelo Isgrò e Valentina Gottlieb. Tra le altre pratiche vengono proposti anche esercizi ispirati allo yoga e giochi didattici sugli animali marini. In attesa dell’arrivo dell’Ideas Box, i bambini di Napoli e Palermo hanno creato degli “Atlanti dell’Oceano”, utilizzando materiali riciclati dai mercati locali, ricordando l’importanza di ridurre l’inquinamento plastico.

Non a caso, l’obiettivo di Unesco-COI è rendere l’Ocean Literacy accessibile a più comunità possibili, attraverso testi e materiali audiovisivi pensati per insegnare ai bambini in modo divertente. Questo approccio è già attivo a Napoli, dove è stato avviato un programma annuale di laboratori e attività gestito da Biblioteche Senza Frontiere.

In conclusione

L’Ideas Box, sarà quindi un centro mobile che visiterà vari luoghi simbolici della città e delle isole vicine, promuovendo la sensibilizzazione ambientale. Ilaria Gaudiello, Direttrice di Biblioteche Senza Frontiere, ha ribadito l’impegno di tale iniziativa nel porre l’educazione sull’oceano e la partecipazione al centro delle attività, coinvolgendo giovani e famiglie.

Questo è il punto cruciale da cui partire per garantire un futuro migliore. I bambini, come le famiglie che li circondano sono il fulcro della transizione che necessitiamo, dunque se ben informati ed educati possono far parte dei game changers nell’adattamento e nella lotta al cambiamento climatico.

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Città più fresche con pochi e semplici lavori: gli studi della Sapienza.

By : Aldo |Settembre 12, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Città più fresche con pochi e semplici lavori: gli studi della Sapienza.
CHUTTERSNAP - Unsplash

Il caldo estivo è sempre più forte, di anno in anno cresce e i suoi effetti oltre ad essere palesi, li soffriamo tutti. Ormai siamo abituati a intere città soleggiate, senza un minimo di verde, all’asfalto che si scioglie, alle isole di calore che si espandono sempre più. Di certo alcune aree del mondo sono più esposte a questi fenomeni rispetto ad altre; alcune città sono costruite in modo da fronteggiare questi problemi. Tante invece devono capire come adattarsi a tali cambiamenti. Uno studio della Sapienza ci mostra che questo è possibile anche con semplici modifiche.

 

Caldo nei centri urbani

Il caldo estivo nelle metropoli come Roma influisce in modo rilevante sulla salute pubblica e sul benessere dei cittadini. Durante le ondate di calore, che possono raggiungere situazioni di emergenza, si osserva un incremento dei casi di patologie legate alle alte temperature, specialmente tra i gruppi più vulnerabili, come gli anziani e i bambini. Le temperature elevate, combinate con un’elevata umidità, riducono l’efficacia dei meccanismi di termoregolazione del corpo, aumentando il rischio di colpi di calore e altre complicazioni sanitarie. Inoltre, il fenomeno delle “isole di calore” è aggravato dalla densità urbana e dalla carenza di spazi verdi, fattori che determinano un innalzamento delle temperature superficiali in alcune aree della città.

Le superfici impermeabili e la mancanza di vegetazione non solo accentuano il caldo, ma possono anche peggiorare la qualità dell’aria, incrementando l’inquinamento e rendendo più difficili le condizioni di vita. Per attenuare questi effetti, è essenziale adottare misure preventive per la propria salute. Tuttavia, sono necessarie infrastrutture e accorgimenti a livello pubblico in modo da evitare che gravi situazioni di emergenza si manifestino con frequenza maggiore ogni anno.

Lo studio della Sapienza

Uno studio condotto dalla Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’Accademia Araba di Scienze, Tecnologia e Trasporto Marittimo in Egitto (AASTMT), ha dimostrato che semplici modifiche possono rendere più freschi e godibili i giardini urbani, come quelli di Viale Carlo Felice a Roma. Infatti, secondo la ricerca, pubblicata su “Scientific Reports”, l’aumento della vegetazione, l’installazione di fontane alimentate da acqua piovana e l’uso di materiali di pavimentazione più chiari e riflettenti permetterebbero di ridurre la temperatura e migliorare il comfort termico nelle giornate calde.

A tal proposito, l’architetta Paola Altamura, coautrice dello studio, ha sottolineato l’importanza di introdurre piante a basso fabbisogno idrico, superfici d’acqua e materiali riflettenti, preferibilmente riciclati, per abbassare la temperatura percepita. In più ha anche evidenziato che la particolare conformazione dei giardini, situati in un’area storica con forte pendenza lungo le Mura Aureliane, causa ristagni d’acqua durante le piogge. Dunque, la raccolta e distribuzione dell’acqua piovana potrebbe aiutare a prevenire allagamenti e a rinfrescare l’ambiente.

Inoltre, l’aggiunta di vegetazione, attualmente scarsa, contribuirebbe a migliorare la gestione dell’acqua e aumentare la vivibilità dell’area. L’architetta Altamura ha osservato che un giardino poco vegetato tende a diventare inutilizzabile durante i periodi di caldo intenso. Infine, ha suggerito che migliorare l’attrattività e la sicurezza del parco potrebbe avere anche benefici economici, attraverso l’integrazione di percorsi pedonali, aree gioco, punti di ristoro e connessioni Wi-Fi.

Prospettive della ricerca e possibili modelli

Le modifiche alla struttura dei giardini, suggerite dagli autori dello studio non sono invasive, come la rimozione o lo spostamento degli alberi e dei viali. Questo è dettato anche dai vincoli paesaggistici e archeologici presenti nell’area. La proposta invece è quella di un modello di intervento che potrebbe essere applicato anche ad altri parchi e spazi urbani, tenendo conto dei cambiamenti climatici e dell’aumento delle temperature. Se non delle caratteristiche delle possibili aree di intervento.

L’analisi è stata condotta anche in Egitto, dove l’Accademia AASTMT ha avviato il progetto sotto la guida della ricercatrice Nour M. Ahmed. Quest’ultima ha coinvolto l’Università di Roma, la Sapienza per collaborare alla ricerca di soluzioni comuni. L’architetta Altamura ha evidenziato come lo scenario studiato in Egitto fosse ancora più complesso di quello preso in esame a Roma.  Infatti, la zona scelta era un piazzale urbano vicino alla stazione di Assuan, una città nel sud dell’Egitto caratterizzata da temperature molto elevate e da una quasi totale assenza di piogge.

Il gruppo di ricerca del Professor Fabrizio Tucci, di cui fa parte Paola Altamura, sta anche lavorando su altri progetti di riqualificazione urbana, utilizzando modelli e simulazioni per ripensare spazi parzialmente in disuso o abbandonati, spesso degradati. Tra questi progetti è prevista la rigenerazione di ex quartieri di edilizia residenziale pubblica, dove l’intervento prevede la ristrutturazione degli edifici per migliorare la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico, oltre alla revisione degli spazi esterni per mitigare l’eccesso di calore e favorire lo scambio sociale e lo sviluppo economico. Per finire si punta molto sulla ricerca per quanto riguarda l’uso delle biomasse generate dalla potatura della vegetazione di Roma. L’idea è quella di analizzarne i diversi possibili impieghi nei quartieri e nei distretti urbani, incrementando l’economia circolare e la sostenibilità delle strutture.

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Recupero delle acque reflue: possibile aiuto contro la siccità.

By : Aldo |Settembre 09, 2024 |Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su Recupero delle acque reflue: possibile aiuto contro la siccità.
Ivan Bandura - Unsplash

L’estate del 2024 è stata una delle più calde dell’ultimi anni e non è ancora finita. I problemi di siccità si sono verificati, come purtoppo, in tutti questi anni, con problematiche più o meno accentuate a seconda delle regioni. È ben noto che in Italia siano necessari dei grandi lavori di manutenzione della rete idrica, viste le grandi perdite. D’altra parte, sono ormai chiare a tutti le ripercussioni delle nostre azioni, quindi gli effetti del cambiamento climatico. Tuttavia, grazi alla ricerca sembrano esserci delle nuove soluzioni in merito, che includono l’utilizzo delle acque reflue.

Siccità nel mondo

Nell’estate del 2024, l’Italia ha vissuto una situazione critica a causa della siccità, colpendo in modo particolare le regioni meridionali come la Sardegna e la Sicilia. Le ondate di calore estremo, accentuate dai cambiamenti climatici, hanno provocato una drastica riduzione delle precipitazioni, portando a condizioni di siccità molto gravi. Uno studio di World Weather Attribution ha rilevato che il riscaldamento globale ha aumentato del 50% la probabilità di eventi di siccità estrema. Questo determina gravi difficoltà nell’approvvigionamento idrico e causa danni significativi alle colture e agli ecosistemi locali. Molte città hanno introdotto misure di razionamento dell’acqua, mentre il lago di Pergusa, in Sicilia, è quasi scomparso per la prolungata mancanza di pioggia. Secondo gli studi, a livello globale, questa è stata l’estate più calda mai registrata con temperature superiori di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Le acque reflue possono aiutarci

Proprio per tali ragioni, la correlazione tra i problemi di siccità e la gestione delle acque reflue è sempre più evidente. Soprattutto in un contesto di cambiamenti climatici e riduzione delle risorse idriche. Durante i periodi di siccità, la scarsità di acqua potabile spinge a considerare alternative per il riutilizzo delle acque reflue trattate, che possono essere impiegate per l’irrigazione agricola, il ripristino ambientale e altri usi non potabili. Tuttavia, qeusti processi richiedono infrastrutture adeguate e sistemi avanzati per rimuovere contaminanti e agenti patogeni, garantendo la sicurezza per l’ambiente e la salute umana. Quindi, investire in questo settore, può contribuire a mitigare gli effetti della siccità, ridurre la pressione sulle riserve d’acqua dolce e promuovere una gestione più sostenibile delle risorse idriche globali.  A tal proposito Gradiant, uno spinoff dell’MIT di Boston sembra aver trovato una soluzione.

La tecnologia di Gradiant

Gradiant, uno spin-off del MIT di Boston fondato nel 2013, è un’azienda specializzata nello sviluppo di tecnologie avanzate per il trattamento delle acque. La startup si concentra su soluzioni innovative per la desalinizzazione, il riciclo e il trattamento delle acque industriali, utilizzando tecnologie proprietarie che migliorano l’efficienza e riducono i costi dei processi idrici. Infatti, opera principalmente nel settore ambientale e dell’energia. Più precisamente è specializzata in soluzioni sostenibili per la gestione delle risorse idriche, come il settore petrolifero, del gas, minerario e manifatturiero.

In particolare, la soluzione che prevede l’uso di acque reflue per contrastare la siccità, si rifà a dei sistemi naturali. Il processo innovativo, si basa su un principio simile a quello della formazione della pioggia, in cui il vapore acqueo viene condensato e trasformato in acqua pulita, riducendo così i costi di depurazione del 50%.  Il co-fondatore e direttore tecnico di Gradiant, Prakash Govindan, afferma che la tecnologia studiata e brevettata è in grado di recuperare fino al 99% delle acque reflue altamente contaminate. Dunque, siamo di fronte ad un risultato nettamente superiore rispetto alle tecnologie tradizionali, che ne recuperano solo il 50-60%.

Tale tecnologia permette di massimizzare il recupero dell’acqua, ridurre l’uso di risorse idriche fresche, recuperare minerali e altre sostanze preziose, e diminuire l’impronta di carbonio e di acqua delle operazioni industriali. Non a caso Gradiant detiene centinaia di brevetti relativi al metodo (in esame) che ha attirato l’interesse di grandi aziende come Coca-Cola, Tesla, BMW, TSMC, Micron e Pfizer. Inoltre, Gradiant è riuscita a ridurre significativamente il consumo idrico in un impianto di semiconduttori, portandolo da 37 milioni a 757mila litri al giorno. Inoltre, per GlaxoSmithKline, ha risolto il problema delle acque reflue contenenti sostanze pericolose nell’impianto di amoxicillina di Singapore, estraendo circa cinque tonnellate di rifiuti al giorno.

La differenza del “singolo”

Gradiant ha creato una soluzione completa, gestendo oggi, oltre 600 impianti nel mondo, trattando circa 8,5 miliardi di metri cubi di acque reflue al giorno. Così facendo garantisce un riciclo del 98% delle acque contaminate, e risparmia così 6,4 miliardi di litri d’acqua quotidianamente, equivalente al consumo di circa 48 milioni di persone.

L’adozione della tale brevetto in Italia potrebbe migliorare significativamente il trattamento delle acque reflue. Soprattutto perché, secondo un report Istat 2020-2023, gli impianti italiani gestiscono oltre 6,7 miliardi di metri cubi di acque reflue annualmente, di cui 4,7 miliardi derivano da acqua potabile. Attualmente, il 70% di queste acque subisce un trattamento avanzato, rendendole idonee per l’irrigazione e l’uso industriale.

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Il paradosso del “Last chance tourism”: tra bellezze e minacce.

By : Aldo |Settembre 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il paradosso del “Last chance tourism”: tra bellezze e minacce.
Ross Parmly - Unsplash

La curiosità e la scoperta da sempre hanno spinto l’uomo oltre i suoi limiti. Sicuramente anche grazie a queste qualità lo sviluppo della specie umana è stato straordinario e continua a stupirci quotidianamente.
Se solo non fosse che al contempo tale specie sta perdendo, consapevolmente le grandi risorse che gli sono state offerte dalla natura; i suoi prodotti, i suoi processi ed i suoi paesaggi. Così nasce lo strano caso del last chance tourism, una corsa nelle aree più vulnerabili del pianeta, per vederle prima che spariscano per sempre.

Last chance tourism

Il last chance tourism, o “turismo delle ultime opportunità”, è la pratica di visitare destinazioni gravemente minacciate dalla crisi climatica, come ghiacciai in via di scioglimento, barriere coralline in deterioramento e habitat di specie in pericolo. L’obiettivo di tale turismo è quello di vedere e vivere luoghi che potrebbero non essere più accessibili in futuro, spingendo i turisti a esplorare aree vulnerabili prima che scompaiano del tutto. Tuttavia, questo nuovo tipo di viaggi presenta un paradosso: mentre incrementa la consapevolezza riguardo alla bellezza e alla fragilità di questi luoghi, il viaggio stesso comporta un elevato consumo di risorse e un aumento delle emissioni di gas serra. Di conseguenza, si contribuisce maggiormente alla loro ulteriore distruzione. Questo solleva interrogativi sulla sostenibilità di tali pratiche e sulla reale efficacia nel promuovere la conservazione ambientale.

Come peggiora la situazione

Il paradosso del last chance turism si basa proprio sul viaggio. Secondo la Banca Mondiale, questo settore e quello delle vacanze è responsabile di oltre il 5% delle emissioni globali di gas serra. Tale processo, o l’insieme di questi viaggi sta aggravando la situazione delle mete più gettonate. Questo perché ogni viaggio aggiunge un peso all’ambiente, un impatto ancor più significativo nei contesti fragili. Ma nonostante la consapevolezza degli effetti del cambiamento climatico, molti visitatori ritengono comunque necessario vedere questi luoghi prima che sia troppo tardi. Dall’altro lato, una ricerca pubblicata su “Science” lo scorso anno prevedeva che, entro il 2100, metà dei ghiacciai del pianeta si sarà sciolta, anche nel caso in cui gli Obiettivi dell’Accordo di Parigi vengano raggiunti.

Inoltre, il paradosso non si applica solo all’ambiente ma anche all’economia delle aree in esame. Proprio perché l’economia di questi posti, o in particolare dei ghiacciai, spesso dipende proprio da essi, e la loro scomparsa ridurrebbe drasticamente l’attrattiva del territorio. Questo tipo di turismo ci spinge a riflettere su come percepiamo la trasformazione dei paesaggi che amiamo e delle specie che ci affascinano. Purtoppo non abbiamo tanto tempo per pensare a delle soluzioni visto il ritmo del cambiamento climatico, che ci impone di affrontare le conseguenze e di adattarsi rapidamente.



Dunque, l’idea che il fenomeno dei viaggi sia trascurabile è errata: secondo la World Bank, ci sono 1,44 miliardi di arrivi turistici all’anno, contribuendo per oltre il 5% alle emissioni globali di gas serra. Inoltre, è importante ricordare che ciò che per i turisti sono “destinazioni”, per chi ci vive rappresenta “casa”.

Possibili soluzioni

Sicuramente la sensibilizzazione non è una possibile soluzione a questo problema, ma probabilmente non basta. Serve una maggiore consapevolezza da parte di tutti e un cambiamento quasi radicale del pensiero, per far si che le persone siano sempre più rispettose dell’ambiente.

Tuttavia, grazie alle nuove tecnologie, si potrebbero presentare nuove occasioni e nuovi stimoli per arginare questo fenomeno ed altri simili. Per esempio, si potrebbe sviluppare la possibilità di visitare virtualmente luoghi remoti o di creare mostre interattive in zone meno vulnerabili. La “citizen science”, con le sue osservazioni naturalistiche, può aumentare il senso di connessione con l’ambiente, ispirando le persone a rispettarlo di più.

Inoltre, molteplici soluzioni potrebbero essere utili anche per la sicurezza degli esploratori. Infatti, ritornando ai ghiacciai, è fondamentale tenere conto anche dei probabili a cui si può incorrere visitandoli. Perché a causa del cambiamento climatico, diventano sempre più pericolosi per il rischio di crepacci, frane e valanghe aumenta sempre più. Paradossalmente, il valore che attribuiamo a questi luoghi potrebbe essere proprio ciò che ne accelera la scomparsa ed è per tale ragione che dobbiamo preservare tali aree.

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La ricerca americana fa progressi nell’ambito del biogas dall’erba.

By : Aldo |Agosto 27, 2024 |Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su La ricerca americana fa progressi nell’ambito del biogas dall’erba.
Nik Shuliahin 💛💙 - Unsplash

La natura ci dona quotidianamente da migliaia di anni delle risorse fondamentali per la nostra vita, che dobbiamo saper usare al meglio. Soprattutto ora che siamo consapevoli della loro importanza e della loro precarietà, dovremmo capire come gestire al meglio anche i rifiuti. Gli scarti infatti hanno un valore economico non indifferente e un’ampia gamma di possibili nuove vite che renderebbero la nostra quotidianità più sostenibile. Ancor di più se dai rifiuti si può produrre una cosa importante quanto l’energia.

Il biogas

Il biogas è una fonte di energia rinnovabile composta principalmente da metano e anidride carbonica, prodotto attraverso la decomposizione anaerobica di materia organica, come rifiuti agricoli, letame, residui alimentari e altre biomasse. Si tratta di un processo che avviene in assenza di ossigeno, grazie all’azione di microrganismi che degradano la materia organica. Il tutto, all’interno di digestori anaerobici, dove la materia organica viene raccolta e mantenuta in condizioni controllate di temperatura e umidità.

Il biogas prodotto può essere utilizzato per generare elettricità, calore o può essere purificato e trasformato in biometano, un combustibile rinnovabile. Pertanto, i suoi vantaggi ambientali sono molteplici. Riduce le emissioni di gas serra, poiché sostituisce i combustibili fossili e riduce la quantità di rifiuti organici in discarica, dove decomponendosi emettono metano. Inoltre, il digestato risultante dal processo di produzione del biogas può migliorare la qualità del suolo e ridurre la necessità di fertilizzanti chimici, promuovendo pratiche agricole più sostenibili. Senza escludere che il biogas rappresenta una soluzione efficace per la gestione dei rifiuti, contribuendo a un’economia circolare e sostenibile.

Il biogas dall’erba

La produzione di biogas dall’erba di sfalcio è una possibilità già esplorata, come dimostrato dal progetto europeo GR3 – Grass to green gas, avviato circa dieci anni fa. Questo progetto mirava a sviluppare tecnologie per trasformare l’erba di scarto in una miscela di metano e anidride carbonica attraverso la digestione anaerobica, un processo naturale che avviene in assenza di ossigeno. Nonostante il potenziale del biogas prodotto da residui erbacei, il suo utilizzo rimane limitato in Europa e negli Stati Uniti. Le ragioni includono una conoscenza insufficiente delle tecnologie di raccolta e digestione, la mancanza di cooperazione tra gli operatori della filiera e la scarsa convenienza economica, che porta a un uso marginale di queste risorse.

I nuovi studi americani

L’interesse per la produzione di biogas dall’erba di sfalcio è riemerso grazie alla ricerca di Lisa Schulte Moore della Iowa State University. Schulte Moore ha studiato come trasformare l’erba raccolta in gas rinnovabile conveniente per gli agricoltori che convertono porzioni dei loro terreni in praterie energetiche. Uno studio pubblicato su “BioEnergy Research” ha sviluppato un modello con 10 digestori anaerobici, alimentati da erba, letame e altri rifiuti, situati intorno alla città di Ames. Il biogas prodotto avrebbe un costo livellato di 0,011 dollari/kWh, con costi di produzione superiori a quelli del gas tradizionale, ma con la possibilità di ridurli sfruttando l’economia di scala nei comuni più grandi.

Un altro studio invece, pubblicato su “GCB Bioenergy”, ha valutato l’impatto economico e ambientale di due digestori per biomassa erbosa, stimando un profitto di oltre 400 milioni di dollari in 20 anni e una riduzione dell’83% dell’impronta di carbonio rispetto al gas fossile. I risultati tengono conto dei sussidi federali per la produzione energetica sostenibile e dell’uso di terreni agricoli poco produttivi per le praterie.

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A che punto siamo con la sostenibilità dell’industria alimentare?

By : Aldo |Agosto 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su A che punto siamo con la sostenibilità dell’industria alimentare?
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La cosa che unisce più di tutte gli italiani è il cibo. Non c’è nulla che rappresenti il legame alla nostra terra meglio delle pietanze italiane, famose in tutto il mondo e di cui siamo orgogliosi. Le caratteristiche migliori sono la qualità degli alimenti che rappresenta a suo modo la qualità di vita italiana e il suo livello di benessere. Nonostante ciò, gli studiosi si sono domandati dove l’Italia, portavoce di questa grande qualità, sia arrivata nella sostenibilità dell’industria alimentare e quale sia la situazione a livello globale. 

Sostenibilità nell’industria alimentare

La sostenibilità nell’industria alimentare rappresenta un approccio fondamentale per garantire un futuro equilibrato e responsabile. È un concetto che implica l’adozione di pratiche volte a minimizzare l’impatto ambientale, promuovendo il benessere sociale e garantendo la sicurezza alimentare. Le aziende stanno sempre più integrando metodi di produzione ecologici, come l’agricoltura biologica e l’uso di tecnologie innovative per ridurre gli sprechi. Dall’altra parte, la filiera corta, che favorisce l’acquisto di prodotti locali, non solo supporta l’economia locale, ma riduce anche le emissioni di carbonio legate al trasporto. Tutto questo è anche dettato dalla sensibilizzazione dei consumatori verso scelte alimentari sostenibili, come il consumo di alimenti di stagione e a basso impatto ambientale. Questo processo è essenziale per promuovere un cambiamento positivo, proattivo e concreto. Anche perché, investire nella sostenibilità non solo migliora la reputazione delle aziende, ma contribuisce anche a un sistema alimentare più resiliente e giusto per le generazioni future.

Il lavoro di Quantis

Quantis è un’azienda di consulenza ambientale internazionale specializzata in sostenibilità.  Dal 2006, fornisce servizi di consulenza scientifica per aiutare le aziende a misurare, gestire e ridurre il loro impatto ambientale. Principalmente si occupa di valutazioni del ciclo di vita, strategie per la decarbonizzazione e analisi ambientali su vari aspetti, come cambiamento climatico, biodiversità e uso delle risorse naturali. LA sua caratteristica è quella di collaborare con imprese di diversi settori per integrare la sostenibilità nelle loro operazioni e strategie.

In questo caso, la società si è soffermata su uno studio che riguardava la sostenibilità dell’industria alimentare, chiamato Recipe for Transformation. Lo scopo di tale lavoro è quello di offrire una panoramica precisa sulle sfide e le opportunità che il settore del food & beverage deve affrontare per realizzare una transizione sostenibile. La ricerca, condotta in collaborazione con Sapio Research, ha coinvolto oltre 600 manager e dirigenti di aziende del settore alimentare (sia negli Stati Uniti che in Europa).

Lo studio afferma che la sostenibilità è ormai cruciale nell’industria alimentare, ma solo il 30% dei manager globali è ottimista sul raggiungimento degli obiettivi entro il 2030. Nello specifico, il 100% dei manager del settore marketing delle aziende alimentari ha notato un cambiamento nelle abitudini di acquisto, con i consumatori sempre più disposti a pagare di più per prodotti sostenibili. Tuttavia, persiste un’incertezza diffusa tra le aziende riguardo al raggiungimento dei target di sostenibilità.

Lo studio

Davide Tonon, Direttore di Quantis Italia, è entusiasta del fatto che in Italia la sostenibilità sia stata costruita “dal basso” grazie all’attivazione trasversale nelle aziende. Ha sottolineato che il 50% del campione nazionale ha già KPI di sostenibilità da oltre un anno, rispetto al 38% a livello globale, attribuendo questo risultato anche all’impegno della catena del valore.

Stringendo il campo della ricerca al Belpaese, è stato evidenziato come la trasformazione sostenibile sia vista come un’opportunità per mantenere competitivo il settore food & beverage. In particolare, ricorda quali sono le priorità per concretizzare questa transizione. Si parla del redesign del portafoglio prodotti, dell’agricoltura rigenerativa e dell’adozione di alimenti plant-based.

Nonostante gli investimenti nella sostenibilità rimangono limitati (12,5% del bilancio annuale destinato a ridurre gli impatti ambientali) l’Italia si dimostra all’avanguardia in questo settore. Tale caratteristica è stata determinata dalla differenza di risposte al sondaggio tra i manager italiani e quelli globali.  Tuttavia, entrambi i gruppi concordano sull’importanza di un clima di collaborazione tra le funzioni aziendali e sulle normative come driver del cambiamento, ritenute cruciali per una transizione responsabile.

Ulteriori dati

Dallo studio svolto sono comunque emersi dei punti critici su cui è necessario lavorare, sia in ambito italiano che globale. Tra questi sono stati evidenziati:

  • la valutazione del portafoglio prodotti: Il 24% degli italiani e il 19% degli esteri ritengono prioritario rivedere il portafoglio, comprese ricette e imballaggi.
  • Packaging: Identificato dal 67% dei manager italiani (e dal 62% a livello globale) come un’area cruciale per ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti plastici.
  • Riduzione degli sprechi alimentari: Considerata prioritaria dal 53% degli intervistati in Italia e dal 57% a livello globale.
  • Complessità della supply chain: Una delle sfide più significative, secondo il 37% degli italiani e il 42% dei rispondenti globali.

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“Act 1.5”. I Massive Attack si mettono in gioco per il clima.

By : Aldo |Agosto 25, 2024 |Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su “Act 1.5”. I Massive Attack si mettono in gioco per il clima.
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La sfida del clima è una missione importante per tutto il mondo. Non si tratta di un’opinione personale, tantomeno di una diceria. Sempre più persone nel mondo stanno capendo l’importanza di un’azione concreta ed immediata e fortunatamente tra queste, c’è chi ha un’influenza molto più grande rispetto a quella del singolo cittadino. Si tratta dei VIP, in questo caso, dei cantanti di fama internazionale e no.

La musica ed il clima

I grandi tour internazionali e i concerti delle star hanno un impatto ambientale significativo, principalmente a causa delle elevate emissioni di CO2, del consumo di energia e della produzione di rifiuti. Questo perché l’organizzazione di eventi di massa, come questa, determina un’infinita quantità di spostamenti massivi di persone e attrezzature, che contribuiscono a un aumento sostanziale delle emissioni di gas serra. Per esempio, un festival medio possa generare circa 500 tonnellate di CO2, con ogni partecipante che produce fino a 5 kg di emissioni al giorno.

Senza calcolare poi la produzione del merchandise, tipico di questi eventi e dei rifiuti di plastica che vanno per la maggiore (viste anche le regole per la sicurezza). Tuttavia, ci sono iniziative in corso per rendere i concerti più sostenibili. Non a caso, artisti come i Coldplay hanno implementato pratiche eco-friendly, riducendo le loro emissioni di CO2 del 47% rispetto ai tour precedenti e piantando milioni di alberi per compensare l’impatto ambientale.

La crescente consapevolezza riguardo all’impatto ecologico ha portato a un aumento delle iniziative per la sostenibilità nell’industria musicale, con molti artisti e organizzatori di eventi che cercano di adottare pratiche più responsabili, come l’uso di energie rinnovabili e la riduzione dei rifiuti. Nonostante ciò, la sfida rimane complessa e richiede un impegno continuo da parte di tutti gli attori coinvolti per bilanciare l’amore per la musica con la necessità di proteggere l’ambiente. Quindi anche e soprattutto degli spettatori.

I Massive Attack

I Massive Attack sono un influente collettivo musicale britannico, fondato nel 1988 a Bristol. Sono considerati i pionieri del genere trip hop, infatti, il loro primo album, “Blue Lines”, è stato pubblicato nel 1991 segnando un punto di svolta nella musica alternativa. Con questa raccolta hanno introdotto sonorità innovative e collaborazioni con artisti di diverse estrazioni. Nel corso della loro carriera, hanno pubblicato cinque album e ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui un Brit Award per il miglior gruppo di danza britannico e due MTV Europe Music Awards. Hanno venduto oltre 13 milioni di copie in tutto il mondo e continuano a essere attivi nella scena musicale, sostenendo anche cause politiche e ambientali.

L’attenzione per l’ambiente

I Massive Attack iniziarono ad interessarsi alla questione già anni fa, quando nel 2019 hanno incaricato il Tyndall Center for Climate Change Research di studiare l’impatto ambientale dei loro concerti. L’obiettivo di questa richiesta era quello di trovare soluzioni concrete per ridurre l’impronta ecologica dell’industria musicale. Tale studio si concentrò sulle emissioni generate dai viaggi della band, dagli spostamenti del pubblico e dall’impatto sulle location e i suoi risultati saranno condivisi con l’intero settore per promuovere concerti a basso impatto ambientale. Così facendo i Massive Attack, organizzarono un concerto “super-low carbon” a Liverpool nell’estate 2020 come parte di questa iniziativa.

Ma non si sono fermati lì, poiché hanno proprio quest’anno, la loro idea è diventata realtà con un concerto-festival. Il gruppo di Bristol sarà vita ad “Act 1.5”: concerto che mette al centro la crisi climatica e con le emissioni più basse di sempre. Mai nessun big della musica si è mai spinto a tal punto per il clima. Di certo I Coldplay in Italia hanno tentato di dar vita a spettacoli con un’elevata attenzione all’ambiente, promuovendo metodi alternativi per le fonti energetiche (persino le bici che generano elettricità su cui pedalano gli spettatori. Ma la band inglese vuole andare oltre.

Act 1.5

Si chiama “Act 1.5” con lo scopo di richiamare alla necessità di agire tutti insieme per restare entro i +1,5 gradi di riscaldamento globale, e promette di essere il “concerto più green di sempre”. Il cibo sarà completamente vegano, i bagni compostabili, e l’energia per il palco e le bancarelle sarà fornita da furgoni elettrici. I 34.000 fan sono invitati a raggiungere il concerto a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, senza parcheggi disponibili.

Altre iniziative includono navette elettriche gratuite, uso di energia rinnovabile, utensili compostabili, e una drastica riduzione dei mezzi di trasporto dell’attrezzatura. Lo show, alimentato al 100% da energia rinnovabile, mira a diventare un modello per la musica dal vivo sostenibile. Mentre una grande priorità è stata data ai residenti locali nella prevendita, e sarà piantato un nuovo bosco nelle vicinanze. I Massive Attack vogliono dimostrare che concerti a basso impatto ambientale sono possibili, e sperano di influenzare positivamente il settore musicale.

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Scoperta una nuova fonte di ossigeno nei fondali del Pacifico. Ecco l’”ossigeno buio”.

By : Aldo |Agosto 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Scoperta una nuova fonte di ossigeno nei fondali del Pacifico. Ecco l’”ossigeno buio”.
Denes Kozma - Unsplash

Come spesso si ricorda, lo studio e la ricerca da parte delle università e dei centri specializzati non finiscono mai (soprattutto se ben finanziati).  La ricerca è fondamentale per lo sviluppo e il progresso di ogni popolazione poiché trova nuove soluzioni a questioni ordinarie e straordinarie. Ma soprattutto può trovare risposte o tornare su scoperte storiche ribaltando totalmente quello che sappiamo da una vita. Un esempio è la nuova scoperta dell’“ossigeno oscuro”.

 

Le fonti di ossigeno

Dalle elementari fino alle scuole superiori, nei programmi di scienze, ci troviamo a studiare più volte l’importanza dell’ossigeno sulla terra. Sappiamo quindi che è fondamentale per quasi ogni forma di vita e che principalmente ci viene donato dalle grandi foreste del mondo. Tuttavia, approfondendo questo argomento si scoprono tante altre nozioni che sono rilevanti, soprattutto per infondere in ognuno di noi, una maggiore consapevolezza sull’ambiente e sulla sua salvaguardia.  In questo caso parliamo di ossigeno e delle sue fonti, che sono varie ma essenziali per tutti noi. Generalmente si parla di fonti rappresentate da organismi fotosintetici, che si trovano sia negli oceani che sulla terraferma.

La prima grande fonte, sono gli oceani che grazie alle alghe e ai cianobatteri producono approssimativamente circa 6,1 gigatonnellate di ossigeno all’anno. Di queste, fino al 20% è prodotto da cianobatteri, come il Prochlorococcus (tra i più piccoli organismi fotosintetici). Grazie al loro lavoro, questi esseri viventi contribuiscono alla produzione di oltre la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera.

Mentre per quanto riguarda la terraferma, si individuano le piante verdi (alberi e arbusti), e quindi boschi e foreste, che producono circa 8 gigatonnellate di ossigeno all’anno. La quantità emessa varia in base alla specie vegetale e alla loro area fogliare. Alberi come abeti, aceri e faggi sono tra i più produttivi, mentre piante più piccole o meno sviluppate producono meno ossigeno.

L’ossigeno oscuro

Uno studio condotto recentemente dal professor Andrew K. Sweetman e il suo gruppo di ricercatori presso la Scottish Association for Marine Science (SAMS) ha rivelato che alcune rocce nei fondali marini possono generare elettricità sufficiente a creare elettrolisi, scomponendo l’acqua e producendo ossigeno molecolare. Durante l’esperimento, gli studiosi hanno constatato che in due giorni, l’ossigeno è aumentato fino a tre volte la concentrazione iniziale a 4.000 metri di profondità, dove la luce non arriva. Per tale motivo e quindi è chiamato ossigeno “oscuro” o “buio”.

Questa scoperta potrebbe essere fondamentale per comprendere l’origine della vita sulla Terra, suggerendo che l’ossigeno potrebbe essere stato prodotto nelle profondità marine prima dell’apparizione degli organismi fotosintetici. Il biologo Jeffrey J. Marlow dell’Università di Boston, autore dello studio, ipotizza che questa nuova fonte di ossigeno potrebbe sostenere la vita animale e l’ecosistema dei fondali marini. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questa ipotesi.

Tale scoperta risale al 2013, quando Sweetman aveva notato anomalie nel flusso di ossigeno, ritrovate in successive misurazioni nel 2021. Tali rilevamenti hanno confermato l’aumento di ossigeno in condizioni di oscurità in assenza di organismi fotosintetici. Dunque, gli scienziati hanno ipotizzato che i noduli polimetallici fossero responsabili, producendo ossigeno attraverso un processo di elettrolisi. Di seguito, anche i test di laboratorio hanno mostrato che questi noduli agiscono come “geobatterie”, generando una piccola corrente elettrica (1 volt circa ciascuno) che scinde le molecole di acqua (H2O) in idrogeno e ossigeno, che viene così liberato. Questo processo è chiamato elettrolisi. Dunque, Sweetman ha dichiarato che potrebbe trattarsi di una nuova fonte naturale di ossigeno, implicando quindi, la possibile produzione di ossigeno per altri mondi, suggerendo la possibilità di vita extraterrestre.

Le possibili controversie

Tuttavia, questo studio sui noduli polimetallici potrebbe avere implicazioni significative per le società minerarie, interessate a materiali essenziali per le tecnologie energetiche rinnovabili. Proprio i noduli, ricchi di terre rare, cobalto, nickel, litio e manganese, sono stati trovati nella zona di Clarion-Clipperton nel Pacifico, un’area ricca di risorse minerarie. L’estrazione di questi materiali potrebbe danneggiare un ecosistema marino che ospita oltre 5.000 specie animali ancora sconosciute, come evidenziato da uno studio pubblicato su Current Biology. Purtoppo però, 16 appaltatori hanno già ricevuto contratti per l’esplorazione di un’area totale di circa 1 milione di chilometri quadrati proprio nella zona di Clarion-Clipperton.

Pertanto, l’industria mineraria in acque profonde sta sviluppando tecnologie per raccogliere i noduli su vasta scala, utilizzando bracci metallici, sottomarini e veicoli telecomandati (ROV) per trasportarli su navi verso i siti di lavorazione.

È ovvio che si tratti di un’ipotesi eccitante, che merita di essere approfondita, ma è necessario supportare e tutelare il più possibile i delicati ecosistemi marini dallo sfruttamento industriale. A tal proposito è stata già creata petizione firmata da più di 800 scienziati marini di 44 paesi diversi volta ad evidenziare i rischi ambientali, chiedendo quindi una pausa nell’attività mineraria.

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Sostenibilità Olimpiadi 2024: totale disastro o l’inizio di un grande cambiamento?

By : Aldo |Agosto 17, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sostenibilità Olimpiadi 2024: totale disastro o l’inizio di un grande cambiamento?
Tirza van Dijk - Unsplash

I requisiti sulla sostenibilità nei grandi eventi sono sempre più richiesti, vista la loro rilevanza. Sono tanti i punti da analizzare, studiare e concretizzare per rendere una manifestazione importante più sostenibile; dunque, è spesso difficile trovare una soluzione per ogni aspetto. Tuttavia, bisogna sempre ricordare che puntare sulla sostenibilità non significa diventare estremisti.

Parigi 2024

Le Olimpiadi di Parigi 2024 svolte dal 26 luglio all’11 agosto 2024 hanno rappresentato la 33ª edizione dei Giochi Olimpici e segnato il centenario dall’ultima volta che Parigi ospitò i Giochi nel 1924. Gli eventi sportivi si sono tenuti in vari luoghi iconici della capitale francese, trasformando la città in un grande parco olimpico. Tra le sedi principali ci saranno il Grand Palais, gli Champs de Mars e la Reggia di Versailles, mentre il villaggio olimpico situato a Saint-Denis, ha ospitato circa 15.000 atleti provenienti da tutto il mondo.

Questa edizione ha portato tante novità, tra cui il basket 3×3 e l’arrampicata sportiva, ma anche una cerimonia d’apertura totalmente diversa, svolta lungo la Senna con 300.000 spettatori. Mentre la grande e rilevante novità dei giochi di Parigi riguarda gli obiettivi sostenibili, che sono stati annunciati con grande fervore ed ambizione.

Non a caso, Parigi 2024 si distingue per il suo impegno ecologico, puntando a ridurre le emissioni di CO2 del 55% rispetto alle edizioni precedenti. Questo è possibile poiché, il 95% delle infrastrutture era già esistente o sarebbe stato temporaneo, e l’80% delle sedi si trovavano entro 10 km dal villaggio olimpico. Inoltre, il cibo servito durante i Giochi era 100% locale e biologico, contribuendo a un evento più sostenibile e responsabile.

I risultati

Parigi 2024 si è imposta di ridurre del 50% le emissioni di carbonio rispetto alle medie di Londra 2012 e Rio 2016.  Quindi l’obiettivo è quello di passare alla media di 3,5 milioni di tonnellate di CO2 di Londra 2012 e Rio 2016 a 1,75 milioni di tonnellate. L’impatto che questa scelta potrebbe avere sarebbe paragonabile all’evitare l’equivalente di 1,3 milioni di voli da New York a Parigi. Un inizio così determinato e volenteroso ha lanciato un forte messaggio a livello mondiale, sulla tutela dell’ambiente.

Sicuramente la città è stata trasformata a questo proposito, con il centro pedonalizzato, corsie preferenziali per i mezzi pubblici e le bici, la plastica quasi scomparsa con la guerra dichiarata alle bottigliette e alle stoviglie usa e getta. Per non parlare del resto, ossia, gli studi per incanalare l’aria fresca che scorre sopra la Senna verso i quartieri più interni per raffrescarli. Oppure gli ecodesigner che hanno progettato oggetti fatti con materiali riciclati o riciclabili. E infine depuratori, bacini di stoccaggio delle acque piovane e nuove fognature, per fare della Senna un fiume balneabile.

Diciamo che l’idea e il messaggio ecologico di Parigi 2024 era incentrato molto su una transizione possibile. Il problema è che, stando ai racconti degli atleti e di chi ha vissuto le olimpiadi in prima persona, i progetti legati alla transizione ecologica non includevano aspetti pratici, importanti e piacevoli di questo evento.  

Le critiche

Infatti, riconoscendo l’impegno dell’organizzazione, gli atleti hanno alzato critiche su vari fronti, riguardanti la gestione dei giochi e la vita presso il villaggio olimpico.

Le condizioni erano discutibili già al principio quando venne annunciata l’assenza di condizionatori nel villaggio olimpico. Questo ha scatenato le ire dei ragazzi che si sono lamentati, fino ad arrivare al famoso scatto del campione olimpico Thomas Ceccon, ripreso a dormire sul prato accanto ad una panchina per trovare un po’ di refrigerio. Stessa cosa per la mensa, che ha fatto discutere molto soprattutto per la scarsa qualità del cibo che ha costretto molti atleti a cambiare aria e procurarsi una differente alimentazione tramite la propria federazione. Anche qui il problema principale è stato quello della “transizione eco-sostenibile“: carne e uova scarseggiavano rispetto ad alimenti per vegani disponibili in abbondanza ma non così tanto richiesti dagli atleti.

Altre polemiche sono state sollevate in merito all’acqua calda nelle borracce ovviamente per le condizioni inaccettabili della Senna, che hanno portato più atleti in ospedale con infezioni gravi. A proposito ci si chiede, se sia giusto o opportuno scommettere tanto denaro e tanta reputazione, per poi dover rimandare le gare giorno per giorno, provocando comunque problemi di salute agli atleti che hanno accettato di tuffarsi nel fiume?

In conclusione

È oggettivo che un evento della portata delle olimpiadi poteva e doveva essere organizzato in modo più curato sotto tutti gli aspetti, senza escluderne uno. Certamente l’intento era nobile ma i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative; pertanto, restano grandi dubbi sulla riuscita dell’intera manifestazione.

Tuttavia, bisogna attendere ancora per dare il verdetto finale, in primo luogo perché si svolgeranno le Paralimpiadi dal 28 agosto all’8 settembre. Dopodichè si potrà esaminare quanto rimarrà dei Giochi Green nel futuro di Parigi, quando sarà tutto spento. Solo lì e col passare del tempo, potremmo capire se la città a misura d’uomo, in cui ci si muove in bici, a piedi sarà stato un fuoco di paglia, pensato e realizzato solamente per i media o se invece sarà l’inizio di una nuova vera e propria transizione.  

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Costi elevati e tempi lunghi, rallentano la realizzazione di soluzioni bio-based.

By : Aldo |Agosto 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Costi elevati e tempi lunghi, rallentano la realizzazione di soluzioni bio-based.
Markus Spiske -Unsplash

La ricerca, le innovazioni e le nuove tecnologie sono il motore del nostro futuro in ogni ambito, soprattutto quando si parla di sviluppo. Di certo le nuove scoperte in ambito scientifico sono fondamentali anche per lo sviluppo sostenibile, per aiutare il pianeta e le sue specie a contrastare il cambiamento climatico. Purtoppo però, le istituzioni non agevolano i processi necessari per mettere in atto i nuovi studi e spesso i costi per realizzarli sono troppo elevati per le aziende che mirano al cambiamento.

Le soluzioni bio-based

Le soluzioni bio-based sono materiali e prodotti derivati da fonti rinnovabili come piante, alghe e scarti agricoli, che offrono un’alternativa ecologica ai materiali tradizionali derivati dal petrolio e consistono principalmente in:

  • Biopolimeri e plastiche rinnovabili prodotte da microorganismi che fermentano zuccheri semplici o sottoprodotti dell’industria alimentare e agricola;
  • Vernici e rivestimenti formulati con ingredienti derivati da oli vegetali, resine naturali, biosolventi e pigmenti naturali.

E poi ancora possono essere usati microbi per produrre coloranti sostenibili nell’industria tessile, sviluppare organismi in grado di catturare la CO2 e purificare l’acqua.  Questi materiali bio-based trovano applicazione in vari settori industriali quali, l’imballaggio e il confezionamento, l’edilizia e l’arredamento e il settore tessile. Se non altro possono essere usate nell’ambito dei trasporti, dell’elettronica e della tecnologia.

Tali tipi di alternative offrono degli specifici vantaggi nell’ambito della sostenibilità ambientale, in particolare nella riduzione della dipendenza da risorse non rinnovabili. Senza dubbio hanno un grande impatto in tema di Biodegradabilità e compostabilità, riducendo i rifiuti e per la differenziazione delle fonti di materie prime rinnovabili.


Il parere delle aziende internazionali

Proprio per indagare sulla complessità dello sviluppare o realizzare delle soluzioni bio based, Capegemini Research Institute, ha condotto un report specifico. Il report, intitolato “Engineering Biology: The Time is Now”, evidenzia che il 99% dei dirigenti prevede cambiamenti radicali nei prossimi 5-10 anni grazie alla bioingegneria, che riduce i costi e velocizza l’ingegnerizzazione dei sistemi biologici. Mentre il 70% considera la bioingegneria una leva per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ed il 56% è già attivo in sperimentazioni e progetti pilota. Inoltre, le aziende ritengono che le biosoluzioni possano ridurre inquinamento ed emissioni, migliorare le prestazioni e la sicurezza dei prodotti e ridurre i rischi della catena di approvvigionamento.

Nonostante alcuni ostacoli come costi elevati e tempi lunghi di sviluppo, le soluzioni bio-based rappresentano un’importante componente dell’economia circolare e dell’economia globale, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale delle attività industriali.

Gli ostacoli dell’innovazione

Tuttavia, resta l’incertezza sull’efficacia di queste soluzioni, che devono essere valutate lungo l’intero ciclo di vita del prodotto e dimostrare efficienza di costo e prestazioni superiori. Secondo Umberto Larizza di Capgemini Invent Italia, molte soluzioni di bioingegneria sono ancora in fase iniziale e devono dimostrare benefici ambientali, efficienza e performance migliori rispetto alle soluzioni esistenti.

Altri ostacoli sulla diffusione di tali innovazioni, sono la loro acerbità ma anche i costi elevati e i lunghi tempi di sviluppo, le difficoltà nella scalabilità della produzione e la previsione dei comportamenti cellulari su larga scala. Senza dimenticare la mancanza di infrastrutture adatte per la produzione su vasta scala e la carenza di talenti specializzati.

Per i motivi appena elencati, ci sono vari processi che necessitano di essere attivati o attenzioni e responsabilità da ricordare e sottolineare. Per esempio, è rilevante un maggiore supporto governativo per stabilire normative che favoriscano l’innovazione. Sarebbe opportuno puntare sull’uso delle tecnologie digitali, come intelligenza artificiale, gemelli digitali e robotica, per ridurre i costi e ottimizzare i bioprocessi.

In conclusione

Oltretutto, il report evidenzia che il 70% degli intervistati utilizza già l’IA per accelerare l’adozione delle biosoluzioni, rispetto al 20% per la robotica e all’11% per i gemelli digitali. Di certo tutto questo sarebbe possibile solo ed esclusivamente con un aumento di investimenti per affrontare la carenza di professionisti qualificati nel settore e di una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli stakeholder sui benefici delle biotecnologie, come dimostra il caso della carne coltivata.

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Il 1° Agosto segna l’Earth Overshoot Day 2024.

By : Aldo |Agosto 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il 1° Agosto segna l’Earth Overshoot Day 2024.
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Il consumo adeguato delle risorse, la lotta contro lo spreco alimentare e l’educazione all’alimentazione sono tutti temi fondamentali che dovrebbero essere alla base di un’alimentazione sana, sicura e sostenibile. Tuttavia, ogni paese nel mondo ha necessità, abitudini, possibilità e risorse diverse; pertanto, non è semplice coordinare ogni popolazione in un’unica azione per garantire la sostenibilità di questo settore. Anche quest’anno infatti siamo arrivati troppo presto all’Earth Overshoot Day.

Earth Overshoot Day nel tempo

L’Earth Overshoot Day 2024 arriva il 1° agosto, un giorno prima rispetto al 2023, questo vuol dire che in soli 7 mesi l’umanità ha consumato tutte le risorse che la Terra impiega 12 mesi a rigenerare. Nello specifico, a livello globale, abbiamo consumato l’equivalente di 1,7 pianeti all’anno, una cifra che potrebbe arrivare a 2 pianeti entro il 2030 sulla base delle tendenze attuali.

Infatti, per soddisfare i nostri bisogni e promuovere il progresso, stiamo continuamente depauperando il capitale naturale. L’uso eccessivo della deforestazione, la pesca intensiva, l’erosione del suolo e la perdita di biodiversità contribuiscono all’accumulo di CO2 nell’atmosfera. Senza contare che tali processi determinano effetti sempre più significanti come ondate di calore, incendi, siccità e inondazioni.

Questi fenomeni aggravano la crisi climatica, causando eventi meteorologici sempre più intensi e frequenti, che a loro volta influenzano negativamente la produzione alimentare. Si tratta di un circolo vizioso da cui non riusciamo a uscire.

La corsa contro il tempo

In poco più di cinquant’anni, il giorno in cui l’umanità va a debito con il pianeta è stato anticipato di quasi centocinquanta giorni. E le prospettive non sono tanto migliori: continuando di questo passo, si stima che nel 2030 arriveremo a consumare due pianeti. La velocità con la quale consumiamo tutte le nostre risorse è a tutti gli effetti un grande problema, per il pianeta ma in primo luogo per noi umani. Questo è vero perché non ci rendiamo conto della gravità della situazione e di conseguenza non le diamo la giusta importanza. Analogamente continuiamo a non prenderci le nostre responsabilità, necessarie per invertire la rotta di questa corsa contro il tempo.  

Non a caso cinquant’anni fa, nel 1974, l’Earth Overshoot Day cadeva il 30 novembre, mentre nel 2004 era il 2 settembre e nel 2014 il 5 agosto. La data si è sempre più anticipata, segno che il nostro debito ecologico è in continua crescita. Tra i Paesi che esauriscono le risorse naturali più velocemente ci sono Qatar (11 febbraio) e Lussemburgo (20 febbraio), e gli Emirati Arabi Uniti (4 marzo). Tra i Paesi che invece termineranno il budget di risorse a loro disposizione in concomitanza con la fine dell’anno compaiono Kirghizistan (30 dicembre), la Moldavia (28 dicembre) e la Guinea (27 dicembre 2024).

Calcoli e possibili soluzioni

Come si arriva però a definire una vera e propria data riguardante un argomento così particolare ed articolato, vista la portata mondiale? Il WWF ricorda che, l’Earth Overshoot Day si calcola dividendo la “biocapacità” del pianeta (la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare in un certo anno) per l’impronta ecologica dell’umanità (cioè la domanda delle nostre società per quello stesso anno) e moltiplicando tutto per i 365 giorni dell’anno. Generalmente l’impronta ecologica viene calcolata sulla base di sei categorie quali: coltivazioni, pascoli, aree necessarie per i prodotti forestali, aree di pesca, aree edificate e aree forestali necessarie per assorbire il carbonio emesso dai combustibili fossili.

Per limitare e rallentare questo processo, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) vuole ridurre il 43% le emissioni di gas serra entro il 2030 a livello mondiale, rispetto ai livelli del 2010.

Il debito dell’Italia

Quest’anno in Italia l’Overshoot Day è arrivato il 19 maggio, in leggero ritardo rispetto al 2023 (15 maggio). Il nostro è uno dei paesi con il più elevato debito ecologico al mondo. L’Italia è responsabile di circa il 3 per cento del consumo di risorse a livello globale e si posiziona all’ottavo posto nella classifica mondiale. A fornire in dati è uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista scientifica The Lancet che per la prima volta ha stimato il debito ecologico accumulato da 160 Paesi negli ultimi cinquant’anni.

Im questo contesto, il WWF suggerisce due strategie principali per ridurre il debito ecologico accumulato con la Terra:

  1. Generare energia elettrica per almeno il 75% da fonti rinnovabili, rispetto all’attuale 39%. Questo potrebbe spostare in avanti l’Overshoot Day di ben 26 giorni.
  2. Implementare e migliorare le tecnologie di efficienza energetica esistenti per gli edifici, i processi industriali e la produzione di energia elettrica. Applicando queste tecnologie, si potrebbero recuperare ulteriori 21 giorni.

Complessivamente, aumentando l’uso di energie rinnovabili al 75% e adottando tecnologie di efficienza energetica, si potrebbe guadagnare quasi 2 mesi prima di raggiungere l’Earth Overshoot Day, ritardando significativamente il momento in cui l’umanità esaurisce le risorse che la Terra può rigenerare in un anno.

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Neutralità climatica 2030: successi e barriere delle 9 città italiane.

By : Aldo |Luglio 30, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Neutralità climatica 2030: successi e barriere delle 9 città italiane.
Markus Spiske - Unsplash

A volte sembra che nulla si stia muovendo, o che niente vada nella direzione giusta, ma dietro le quinte ci sono grandi progetti che potranno cambiare le cose. L’ASviS è un ente che più o meno in sordina, continua a lavorare per rendere l’Italia un Paese migliore basando tutti i suoi studi, ricerche e progetti sulla sostenibilità della vita. In questo caso, riporta successi e difficoltà delle città parte della missione Europea per diventare carbon neutral entro il 2030.

L’importanza dell’ASviS

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) è stata fondata il 3 febbraio 2016, grazie all’iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Il suo obiettivo principale è quello di sensibilizzare la società italiana, le istituzioni e gli attori economici sull’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Di conseguenza ha un grande ruolo nella mobilitazione di tutti questi attori per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Attualmente, l’ASviS riunisce oltre 270 membri, tra cui associazioni, università, enti locali e reti della società civile, creando una rete ampia e diversificata per affrontare le sfide legate alla sostenibilità.

Le attività si concentrano su vari aspetti, come la promozione di una cultura della sostenibilità, l’analisi delle opportunità e delle implicazioni dell’Agenda 2030 per l’Italia, e la definizione di strategie nazionali per il conseguimento degli SDGs. Inoltre, l’alleanza è attivamente coinvolta nella realizzazione di eventi significativi, come il Festival dello Sviluppo Sostenibile, che mira a diffondere la consapevolezza sui temi della sostenibilità attraverso dibattiti, workshop e iniziative pubbliche. In sintesi, la sua missione è fondamentale per garantire che l’Italia non solo aderisca agli impegni internazionali, ma anche per promuovere un cambiamento culturale necessario per un futuro sostenibile.

Climate City Contract

L’ASviS, dunque, direziona le attività sostenibili dell’Italia e coordinandosi con le iniziative e le nuove norme europee, non a caso, si parla di Climate City Contract (CCC). Si tratta di uno strumento innovativo introdotto nell’ambito della Missione “100 Climate-Neutral and Smart Cities by 2030” del programma Horizon Europe (concepito per supportare le città europee nella transizione verso la neutralità climatica).

Questo contratto è stato istituito per affrontare in modo collaborativo le sfide legate alla riduzione delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere una diminuzione di almeno l’80% entro il 2030. Pertanto i settori inclusi sono quelli della mobilità, infrastrutture, riscaldamento degli edifici, gestione dei rifiuti e delle risorse idriche Mentre le città italiane che partecipano a questa iniziativa sono Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino, ognuna delle quali ha sviluppato un proprio piano d’azione specifico.

Il Climate City Contract si compone di tre elementi principali:

  • impegni strategici: definiti in collaborazione con attori locali e nazionali;
  • un piano d’azione: identifica le lacune nelle politiche esistenti e propone interventi coordinati;
  • piano di investimenti: valuta costi e impatti delle azioni previste, fornendo una struttura per il finanziamento delle iniziative.

Con questo approccio integrato, il contratto facilitare la partecipazione attiva dei cittadini e garantisce alle città di affrontare efficacemente le sfide climatiche, rendendo il CCC uno strumento fondamentale per la governance urbana sostenibile.

Futuro e barriere

Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, sottolinea che il percorso verso la neutralità climatica è impegnativo ma fattibile, con le città che hanno già registrato significative riduzioni delle emissioni rispetto al 2015. Tuttavia, esistono ancora ostacoli normativi e culturali, come la riqualificazione energetica degli edifici e l’elettrificazione dei trasporti. Per superare queste barriere, è necessario incrementare le risorse disponibili e rafforzare la collaborazione politica e istituzionale a tutti i livelli, coinvolgendo imprese e società.

Tale programma è stato realizzato dal sottogruppo ‘Politiche climatiche’ del Gruppo di Lavoro sul Goal 11 ‘Città e comunità sostenibili’ dell’ASviS. Attualmente, Firenze e Parma hanno già ricevuto l’approvazione dei loro contratti, mentre Bergamo, Bologna, Milano, Prato e Torino sono in attesa. Padova e Roma devono ancora completare e presentare i loro documenti.

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HBI dona un nuovo e vantaggioso destino ai fanghi da depurazione.

By : Aldo |Luglio 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su HBI dona un nuovo e vantaggioso destino ai fanghi da depurazione.
Terry Vlisidis -Unsplash

Ogni persona ha il suo impatto sul mondo anche quando meno se ne rende conto, o con attività quotidiane e naturali. Ogni città, infatti, si confronta quotidianamente con le attività di depurazione delle acque reflue urbane ed extraurbane, un processo tanto importante quanto delicato.  Questo perché le acque reflue raccolgono tantissimi elementi diversi, tra cui anche materiali pericolosi e patogeni. Pertanto, è necessario che i depuratori funzionino alla perfezione per garantire la salute dei cittadini. È per questo che c’è chi ha concentrato il proprio studio sui rifiuti legati a tale processo, ai loro effetti e ai loro vantaggi.



I fanghi da depurazione

I fanghi da depurazione sono una sospensione liquida, più o meno ricca di solidi di natura organica e inorganica, che si forma durante i trattamenti di depurazione delle acque reflue urbane ed extraurbane. Sono composti per circa il 75% da acqua e per il 25% da rifiuti, tra cui sostanze organiche facilmente degradabili come cellulosa, zuccheri, lipidi e proteine, e sostanze inorganiche inerti come sabbia e ossidi.

Tali fanghi contengono anche microrganismi, che possono includere agenti patogeni come Salmonella e Streptococchi provenienti da deiezioni di soggetti malati. Nonostante il loro riutilizzo in agricoltura come fertilizzante sia una valida soluzione per lo smaltimento, esso presenta alcune criticità dovute alla possibile presenza di composti organici nocivi, metalli pesanti e potenziali agenti patogeni. Infatti, l’uso eccessivo di fanghi in agricoltura può portare a fenomeni di tossicità e inquinamento rilevanti per la catena alimentare e per la qualità delle acque superficiali e sotterranee.

L’Italia, con una produzione annuale di 3.2 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione nel 2021, è il terzo paese europeo in questo settore. Circa la metà viene smaltita in discarica o incenerita senza recupero, mentre la maggior parte, del resto, viene utilizzata in agricoltura senza decontaminazione da materiali pericolosi, come metalli pesanti, e senza recupero di risorse come fosforo e magnesio. Inoltre, circa 480.000 tonnellate di fanghi sono esportate dal Centro e Sud Italia verso il Nord. Per questo l’Unione Europea ha avviato procedure di infrazione contro l’Italia per inadempienze nel trattamento dei fanghi, con costi per la collettività che superano i 60 milioni di euro all’anno.

La tecnologia HBI

Per rimediare a tale problema la startup innovativa fondata a Bolzano nel 2016, HBI, ha sviluppato una tecnologia che offre una soluzione sostenibile per il trattamento dei fanghi di depurazione in Italia. Adottata su scala nazionale, questa tecnologia consentirebbe di generare un risparmio stimato tra i 120 e i 150 milioni di euro annui per imprese e collettività. Nello specifico, HBI permette di chiudere il ciclo idrico integrato, recuperando l’acqua contenuta nei fanghi ed estraendo materie critiche e strategiche come fosforo e magnesio, utilizzabili come basi rinnovabili per la produzione di fertilizzanti agricoli sostenibili, per i quali l’Europa dipende attualmente da forniture extra-UE.

La tecnologia, autonoma dal punto di vista energetico in quanto reimpiega l’energia contenuta nei fanghi stessi, è perfettamente integrabile agli impianti di digestione anaerobica esistenti. Inoltre, consente di trasformare i comuni depuratori delle acque in bioraffinerie poligenerative, in grado di recuperare acqua, materiali strategici critici e energia rinnovabile pulita. In tal modo si recupera e ricicla oltre il 90% della materia contenuta nei fanghi di depurazione e riducendo in modo consistente i costi di gestione e trattamento. Proprio grazie a tale tecnologia e all’intensa attività di ricerca e sviluppo, HBI ha ottenuto certificazioni ISO 9001 e ISO 14001 e la maturità tecnologica dei suoi impianti è stata certificata al livello TRL9 nel 2023.

La sostenibilità dell’innovazione HBI

Il sistema HBI utilizza un processo di separazione molecolare per estrarre dai fanghi materiali sostenibili ad alto valore aggiunto, come ammoniaca, idrogeno e nutrienti per l’agricoltura, producendo al contempo energia pulita e rinnovabile, rendendo l’impianto energeticamente autosufficiente. Questa tecnologia modulare e scalabile rappresenta un esempio concreto di economia circolare, contribuendo a ridurre i rifiuti destinati a discarica o incenerimento. Grazie all’applicazione della tecnologia HBI, i costi operativi per la gestione dei fanghi di depurazione possono diminuire di almeno il 15%, grazie a una riduzione dei rifiuti fino al 90%, al recupero di materiali preziosi e all’estrazione dell’acqua contenuta nei fanghi fino all’85%.

Inoltre, se applicata ai fanghi digestati, HBI può aumentare la produzione di biogas fino al 40%. Installata presso il depuratore di Bolzano e successivamente al sito GP Lab di Fusina, la tecnologia ha ottenuto nel novembre 2022 il certificato ETV (Environmental Technology Verification) da Rina, riconosciuta come la migliore disponibile sul mercato. La startup trevigiana stima che il mercato delle soluzioni innovative per il trattamento dei fanghi di depurazione in Italia possa generare oltre 500 milioni di euro all’anno, mentre la commercializzazione di materie prime recuperate dai fanghi potrebbe aggiungere ulteriori 200-300 milioni di euro.

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Entro il 2025 l’elettricità green sarà al primo posto, superando il carbone.

By : Aldo |Luglio 24, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Entro il 2025 l’elettricità green sarà al primo posto, superando il carbone.
Andrey Metelev - Unsplash

La transizione energetica è necessaria affinché tutto il mondo o quasi, possa lasciare il combustibile fossile come prima scelta per produrre energia. Questo determinerebbe una significativa riduzione della CO2 immessa in atmosfera dalle attività antropiche e ci sarebbe una maggiore sicurezza ed indipendenza dei popoli. Non a caso, lo studio e la ricerca che non si fermano mai stanno dando ottimi frutti in questo settore sempre più importante per l’intero pianeta.

Carbone o rinnovabili

La disputa tra energie rinnovabili e carbone si è intensificata nel corso degli anni, segnando un cambiamento significativo nel panorama energetico globale. Dalla Rivoluzione Industriale, il carbone ha rappresentato una fonte primaria di energia, contribuendo allo sviluppo economico ma anche all’inquinamento e al riscaldamento globale. Negli ultimi decenni, tuttavia, la crescente consapevolezza dei cambiamenti climatici ha spinto molti paesi a considerare le energie rinnovabili come alternative più sostenibili.

Le energie rinnovabili esistono da tempo e sono di molteplici tipi, sono essenziali per una corretta transizione energetica e funzionano. Nonostante ciò, si continuano a registrare discussioni contrarie al loro utilizzo o che mettono in dubbio la loro efficienza. Di certo servono ancora tanti studi per portare tali tecnologie al massimo della loro prestazione, in modo da sostenere il fabbisogno del dei cittadini. Tutto ciò non toglie che i risultati ottenuti fino ad oggi, sono eccellenti e si può sperare solo in un ulteriore miglioramento.

Oggi, la sfida principale rimane quella di bilanciare la sicurezza energetica con la sostenibilità, soprattutto alla luce delle recenti crisi geopolitiche che hanno messo in discussione la dipendenza dai combustibili fossili. La transizione verso un sistema energetico basato sulle rinnovabili è vista come cruciale non solo per ridurre le emissioni di gas serra, ma anche per garantire un futuro energetico più sicuro e accessibile.

 

Gli ultimi risultati

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) ha annunciato che entro il 2025 la quantità di elettricità prodotta da fonti rinnovabili dovrebbe superare per la prima volta quella generata dal carbone.  Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza dell’AIE, ha dichiarato che l’aumento della domanda globale di elettricità mette in evidenza il crescente ruolo di questa risorsa. Soprattutto nelle economie moderne, evidenziando anche l’effetto delle intense ondate di calore.

Tuttavia, ha sottolineato che il progresso nello sviluppo delle tecnologie a basse emissioni di carbonio non sta avvenendo con la necessaria rapidità. Nel rapporto Electricity Mid-Year Update sull’elettricità, si legge che idroelettrico, solare ed eolico, le principali fonti rinnovabili, dovrebbero fornire il 35% dell’elettricità mondiale nel 2025, rispetto al 30% del 2023. In particolare, il fotovoltaico da solo dovrebbe coprire la metà della crescita della domanda, mentre solare ed eolico insieme coprono il 75%.

Il controcanto

Nonostante ciò, la produzione di elettricità dalle centrali a carbone non dovrebbe subire una diminuzione nel 2024, a causa di un significativo aumento della domanda, soprattutto in Cina e India. Tuttavia, l’AIE avverte che la capacità idroelettrica cinese potrebbe sorprendere, contribuendo a ridurre la quota di carbone e le emissioni di CO2 nel settore elettrico. Si prevede che la domanda globale di elettricità crescerà di circa il 4% nel 2024, rappresentando il tasso di crescita annuale più alto dal 2007. In India, la domanda dovrebbe aumentare dell’8%, mentre in Cina si prevede una crescita superiore al 6%, sostenuta da un’attività economica robusta. Negli Stati Uniti, la domanda elettrica è attesa in crescita del 3%, spinta dall’attività economica e dalle esigenze di condizionamento. In Europa, si prevede un incremento dell’1,7% dopo due anni di calo. Nel complesso, l’AIE stima che il forte aumento del consumo di elettricità continuerà anche nel 2025, con una crescita simile al 2024.

Le nuove necessità e il cambiamento climatico

La richiesta di energia comunque aumenta anche per le nuove invenzioni quale l’IA. Con il suo rapido la domanda di elettricità da parte dei data center è in crescita. Infatti, il rapporto dell’AIE evidenzia un’ampia gamma di incertezze riguardo ai bisogni energetici legati a questa tecnologia e spiega la necessità di una migliore raccolta di dati sul consumo di elettricità. Questo servirebbe a identificare correttamente gli sviluppi passati e comprendere meglio le tendenze future.

In aggiunta, con il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature, la richiesta di energia aumenta anche per altre motivazioni. Così, Sadamori ha commentato che è incoraggiante osservare l’aumento della quota di energia pulita, ma ha sottolineato l’importanza di accelerare questo processo. Pertanto, ha invitato a rafforzare le reti e a migliorare gli standard di efficienza energetica per mitigare l’impatto della crescente domanda di aria condizionata.

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Arriva il bonus per la pergola bioclimatica: requisiti e vantaggi.

By : Aldo |Luglio 21, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva il bonus per la pergola bioclimatica: requisiti e vantaggi.
Ibrahim Boran - Unsplash

Negli ultimi 4 anni i cittadini italiani hanno avuto la possibilità di usufruire di molteplici bonus che potessero rendere più sostenibile la vita dei singoli, come quella di tutta della nazione. Capotti per i palazzi, macchine elettriche, biciclette nuove, filtratori per l’acqua e tante altre soluzioni sono state pensate per la riduzione dei rifiuti, dei consumi elettrici, dell’uso di combustibile fossile e per il miglioramento della salute umana. Tra questi arriva anche il bonus per le pergole, per affrontare in modo sostenibile il caldo dell’estate e non solo.

Il caldo “antropico”

Negli ultimi decenni, le temperature globali hanno mostrato un preoccupante aumento, principalmente a causa del cambiamento climatico causato dall’attività umana. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), la temperatura media globale è aumentata di circa 1,2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Questo incremento termico ha portato a fenomeni meteorologici estremi più frequenti, tra cui ondate di calore, siccità e incendi boschivi. In Italia, il riscaldamento globale si fa sentire in maniera particolarmente intensa.

Durante gli ultimi anni, il’Italia ha sperimentato estati sempre più torride, con temperature che spesso superano i 40°C in diverse regioni. Ad esempio, nell’estate del 2023, molte città italiane, tra cui Roma, Firenze e Bologna, hanno registrato temperature record, causando gravi problemi di salute pubblica, soprattutto tra le fasce di popolazione più vulnerabili, come anziani e bambini. Inoltre, l’aumento delle temperature ha avuto impatti significativi sull’agricoltura, riducendo la resa dei raccolti e aumentando la necessità di irrigazione. Anche il turismo ha subito le conseguenze del caldo estremo, con molti visitatori che evitano le città d’arte durante i mesi più caldi.

Infine, l’aumento delle temperature ha contribuito allo scioglimento dei ghiacciai alpini, un fenomeno che minaccia le risorse idriche e l’ecosistema delle regioni montane. In questo contesto, è fondamentale adottare politiche di mitigazione e adattamento per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e proteggere l’ambiente e la popolazione.

 

L’edilizia per contrastare il caldo

L’edilizia sostenibile riveste un ruolo cruciale nel mitigare l’impatto ambientale e nel promuovere uno sviluppo urbano più equilibrato e rispettoso delle risorse naturali. Questo approccio costruttivo integra materiali ecocompatibili, tecniche innovative e soluzioni energetiche efficienti per ridurre l’impronta ecologica degli edifici. In estate, i consumi legati al raffreddamento della casa possono essere significativamente ridotti attraverso diverse strategie. L’uso di materiali isolanti di alta qualità nelle pareti, nei tetti e nei pavimenti aiuta a mantenere la temperatura interna stabile, limitando la necessità di aria condizionata.

Inoltre, l’installazione di tetti verdi e giardini verticali migliora l’isolamento termico e contribuisce al raffrescamento naturale. Sistemi di ventilazione naturale, come le finestre posizionate strategicamente per favorire la circolazione dell’aria, insieme all’utilizzo di tende, persiane e schermature solari, possono ulteriormente ridurre il calore entrante. L’adozione di queste pratiche non solo diminuisce i consumi energetici e le emissioni di CO2, ma migliora anche il comfort abitativo e la qualità della vita.

Da qui la necessità di installare pergole nei giardini delle ville; una richiesta che aumenta e per la quale è stato pensato un nuovo bonus.

Ecobonus pergola bioclimatica

Le pergole bioclimatiche offrono un metodo naturale per ridurre l’uso dei sistemi di raffrescamento, creando più ombra e diminuendo la necessità del climatizzatore. Grazie agli emendamenti del decreto Salva casa, queste strutture possono ora essere installate senza permessi comunali, rientrando nell’edilizia libera. Inoltre, fino alla fine dell’anno, è possibile usufruire dell’ecobonus al 50% se si rispettano i requisiti dell’ENEA per le schermature solari. Le pergole bioclimatiche, con lamelle orientabili come le tende veneziane, offrono un’ombreggiatura più efficiente rispetto alle tende solari a braccio. Per essere considerate edilizia libera, queste strutture devono essere ancorate alla casa e non autoportanti, garantendo una riduzione dei consumi energetici e un basso impatto visivo.

Per ottenere l’ecobonus del 50% per l’installazione delle pergole bioclimatiche, è necessario rispettare i requisiti dell’ENEA riguardanti il risparmio energetico. L’agevolazione è valida solo se le pergole sono installate su pareti orientate da Est a Ovest, passando per Sud, mentre non è concessa per quelle esposte a Nord, Nord-Est e Nord-Ovest, poiché la loro efficacia nel riparare dal sole è limitata. Inoltre, è richiesta la certificazione dei risultati: la struttura deve avere un valore del fattore di trasmissione solare totale, in combinazione con il tipo di vetro della superficie coperta, che rispetti i limiti prefissati dall’ENEA per la specifica zona climatica.

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Bactery: la startup che crea energia pulita e a basso costo dal terreno.

By : Aldo |Luglio 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Bactery: la startup che crea energia pulita e a basso costo dal terreno.
Anna Shvets - Unsplash

Il tema dell’energia è uno dei più discussi degli ultimi anni. Si parla di rinnovabile, di energia pulita, nucleare e fossile ma anche di sicurezza ed autonomia. Ci sono tanti pareri diversi, dunque, tanti modi di agire differenti, una varietà che potrebbe non essere la miglior cosa per la transizione ecologica. Tuttavia, la ricerca è sempre in moto e degli studiosi hanno creato delle batterie che possono caricarsi nel suolo, come Bactery.

Le batterie per la transizione

Le nuove tecnologie legate alle batterie stanno rivoluzionando il settore energetico, contribuendo in modo significativo alla transizione verso fonti di energia pulita e rinnovabile. Le batterie al litio, già ampiamente utilizzate in dispositivi elettronici e veicoli elettrici, continuano a migliorare in termini di densità energetica, durata e costi, rendendo più efficiente lo stoccaggio dell’energia prodotta da fonti rinnovabili come il solare e l’eolico. Parallelamente, le batterie a idrogeno, o celle a combustibile, offrono un’alternativa promettente grazie alla loro capacità di immagazzinare energia in modo altamente efficiente e con zero emissioni di carbonio, trasformando l’idrogeno in elettricità attraverso una reazione chimica con l’ossigeno.

Oltre a queste, stanno emergendo tecnologie come le batterie a stato solido, che promettono maggiore sicurezza e capacità energetica rispetto alle tradizionali batterie al litio, e le batterie a flusso, che sono particolarmente adatte per l’accumulo su larga scala di energia rinnovabile. Queste innovazioni non solo migliorano la capacità di stoccaggio e gestione dell’energia pulita, ma sono anche fondamentali per stabilizzare le reti elettriche e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, contribuendo così a un futuro energetico più sostenibile e a basse emissioni di carbonio.

Dall’agricoltura all’energia pulita.

Le batterie e la tecnologia sono sempre più presenti anche nel settore agricolo. Infatti, l’Internet of Things (IoT) sta trasformando l’agricoltura attraverso una rivoluzione digitale. La combinazione di sensori IoT, intelligenza artificiale e sistemi basati sul Cloud sta migliorando l’agricoltura di precisione e le catene di approvvigionamento, permettendo la raccolta e l’analisi continua dei dati per decisioni informate in tempo reale. Questo tipo di dispositivi raccolgono dati sullo stato dei campi, aumentando l’efficienza, riducendo i costi e massimizzando le rese.

Tuttavia, tali dispositivi funzionano grazie all’energia e ad Internet, non sempre facili da installare e mantenere. Questo, per via dei cavi che possono ostacolare i campi, le batterie chimiche monouso che devono essere monitorate e sostituite, e le fonti di energia rinnovabile come i pannelli solari funzionano a piena capacità solo in determinate condizioni climatiche. Proprio da tali bisogni, nasce una startup che ha trovato la soluzione per generare energia pulita, a basso costo e che non intralcia il lavoro agricolo. Si chiama Bactery e crea batterie che sfruttano i batteri nel terreno per fornire energia pulita 24 ore su 24 a basso costo.


Bactery

Bactery, è uno spin-off dell’Università di Bath fondato dai ricercatori Ben Metcalfe, Jakub Dziegielowski e Mirella Di Lorenzo. I tre studiosi hanno sviluppato una tecnologia rivoluzionaria basata su batterie alimentate da batteri endogeni che raccolgono energia verde dal terreno. Questa scoperta sfrutta i processi naturali dei microrganismi presenti nel suolo, fonte di elettroni prodotti grazie ai quali le batterie si ricaricano. Tutto questo succede solamente inserendole nel terreno, in modo da fornire elettricità pulita e continua anche nelle aree più remote. Con una durata di oltre 25 anni e un costo di 25 sterline per unità senza necessità di manutenzione, queste batterie mirano a rivoluzionare l’agricoltura digitale, migliorando la produttività e riducendo i costi operativi grazie a dati affidabili.


Dai primi prototipi al successo globale

Un primo prototipo è stato testato con successo nel 2019 in un villaggio di pescatori a Icapuí, in Brasile, dimostrando la fattibilità della tecnologia in ambienti remoti con scarse risorse elettriche. Nonostante ciò, negli ultimi quattro anni, la ricerca ha approfondito i processi bioelettrochimici per massimizzare l’estrazione di energia dai batteri del suolo. Nei prossimi 12 mesi, l’azienda perfezionerà i prototipi in vista di una produzione su piccola scala e il lancio del prodotto previsto per i primi mesi del 2026. Mirella Di Lorenzo sottolinea che la tecnologia permette agli agricoltori di generare dati in modo sostenibile, mentre Jakub Dziegielowski evidenzia l’impatto positivo della loro innovazione sull’agricoltura e altri settori, sostenendo la qualità e incrementando i ricavi attraverso pratiche agricole più efficienti e riconosciute. Bactery punta a diffondere la sua tecnologia per un’agricoltura sostenibile in tutto il mondo.

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Copenaghen premia chi sceglie di viaggiare in modo sostenibile.

By : Aldo |Luglio 15, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Copenaghen premia chi sceglie di viaggiare in modo sostenibile.
Nick Karvounis - Unsplash

Quando si parla di grandi cambiamenti è importante ricordare che niente avviene o si modifica se ognuno di noi non si applica. Di solitp si dice che il mare sia fatto da gocce e noi umani siamo quelle gocce che possono creare qualcosa di immenso. Tutto questo è vero per qualsiasi cambiamento, tra cui anche quello climatico che dobbiamo affrontare tutti insieme e uniti. Ecco come Copenaghen rende tutti partecipi di tale transizione.  

Copenaghen è sostenibile

Copenaghen è spesso citata come uno degli esempi più avanzati di sostenibilità urbana in Europa e nel mondo. La città ha adottato un approccio pionieristico alla sostenibilità ambientale, mirando a diventare la prima capitale al mondo a emissioni zero entro il 2025.

Per esempio, la città è famosa per la sua infrastruttura ciclabile. Circa il 62% dei cittadini utilizza la bicicletta per spostarsi quotidianamente. Sempre per parlare di mobilità, gode di un trasporto pubblico è altamente efficiente e comprende autobus, treni e una metropolitana automatizzata. È considerata una delle migliori metropolitane al mondo in termini di puntualità e frequenza.

A livello energetico invece ha investito massicciamente nell’energia eolica offshore, con parchi come il Middelgrunden vicino alla costa di Copenaghen. Inoltre, la città vanta sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento altamente efficienti, che riducono la domanda energetica complessiva.
Si parla anche di inceneritori moderni, edifici sostenibili e del Copenaghen Climate Plan, un piano strategico volto a ridurre le emissioni di CO2 e a migliorare la sostenibilità della città.

L’impatto del turismo

Per quanto sia decisivo a livello economico, il turismo ed il suo flusso può avere un impatto significativo su una città, influenzando vari aspetti ambientali e di sostenibilità. L’afflusso di turisti comporta un aumento della domanda di risorse naturali, come acqua ed energia, oltre a una maggiore produzione di rifiuti e inquinamento atmosferico. La gestione dei rifiuti diventa più complessa, e le infrastrutture esistenti possono essere sovraccaricate, causando degrado urbano e ambientale. Inoltre, il turismo di massa può portare alla perdita di biodiversità a causa della trasformazione di habitat naturali in strutture ricettive e attrazioni turistiche.

Tuttavia, con una pianificazione attenta e l’implementazione di pratiche sostenibili, come il turismo responsabile e la promozione di mezzi di trasporto ecologici, è possibile mitigare questi impatti e garantire che il turismo contribuisca positivamente all’economia locale senza compromettere l’ambiente.

Il piano di Copenaghen

Proprio per questo motivo, l’ufficio turistico di Copenaghen ha promosso il progetto CopenPay. L’iniziativa offre incentivi ai visitatori che adottano comportamenti sostenibili, come spostarsi in bici o con i mezzi pubblici e mantenere pulita la città. Dal 15 luglio all’11 agosto, i turisti che partecipano a questa iniziativa possono ottenere ricompense come un caffè gratuito in un museo o un giro in kayak senza costi.

Una mappa interattiva elenca i premi disponibili: ad esempio, chi arriva in bici o a piedi può fare un tuffo gratuito nel canale presso Kanalhuset, mentre chi raccoglie spazzatura nell’area BaneGaarden può ottenere un pasto biologico gratuito. In totale, 24 attrazioni partecipano al progetto, inclusa la pista di sci artificiale CopenHill, che offre 20 minuti di discesa gratis a chi arriva in modo sostenibile. Il progetto, basato sulla fiducia, non richiede prove formali delle azioni ecologiche compiute, sebbene in alcuni casi potrebbe essere richiesta una foto o un biglietto dei trasporti.

L’intero programma, finanziato dalle aziende partecipanti e non da fondi pubblici, CopenPay mira a promuovere comportamenti sostenibili tra i visitatori e rappresenta un passo verso la transizione verde della città. L’iniziativa sottolinea che il vero valore non risiede nelle ricompense immediate, ma nei benefici collettivi derivanti da scelte consapevoli.

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La “penna” a ultrasuoni contro le microplastiche: l’invenzione di due adolescenti americani.

By : Aldo |Luglio 11, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La “penna” a ultrasuoni contro le microplastiche: l’invenzione di due adolescenti americani.
Aaron Burden - Unsplash

La ricerca scientifica è fondamentale per lo sviluppo delle società, lo è sempre stata e continuerà ad esserlo. Soprattutto quando serve per trovare la soluzione a problemi di grande rilevanza nel mondo, come possono essere delle patologie, delle tecnologie, l’inquinamento o tanto altro. In particolare, la ricerca legata agli effetti della plastica nelle matrici ambientali e non solo, è aumentata negli ultimi anni, con degli ottimi risultati. Tra questi anche la nuova tecnologia pensata da due diciassettenni del Texas.

Le microplastiche

Ogni anno, tra 6 e 15 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono nell’ambiente, degradandosi in microplastiche di dimensioni tra 0,001 e 5 mm a causa di sole, vento e onde. Si stima che negli oceani ci siano almeno 14 milioni di tonnellate di microplastiche, con un incremento annuo di circa 1,5 milioni di tonnellate. L’inquinamento da microplastiche suscita crescente preoccupazione per i potenziali impatti ambientali e sulla salute, nonostante molte incertezze. Le microplastiche sono ingerite da organismi marini, terrestri e dagli esseri umani, trovandosi in vari alimenti e bevande come frutti di mare, acqua potabile, birra, sale e zucchero. Studi recenti rivelano che ogni settimana inaliamo e ingeriamo l’equivalente di una carta di credito di plastica, con tracce riscontrate nel sangue e negli organi umani.

Di certo questo è uno degli argomenti più trattati degli ultimi anni, a seguito del forte impatto che stanno avendo le microplastiche nel mondo e soprattutto nella salute dell’uomo. Pertanto, è anche il focus di tantissimi studi e ricerche che hanno come obiettivo quello di trovare soluzioni al problema. Un esempio sono i due diciassettenni texani che hanno vinto molteplici premi con la loro invenzione.

La visita che ha cambiato tutto

Lo scorso autunno, Victoria Ou e Justin Huang, 17enni e studenti del college Woodlands in Texas, hanno visitato un impianto di trattamento delle acque nella loro città. Durante il tour, hanno scoperto che l’impianto non aveva strumenti efficaci per rimuovere le microplastiche dalle acque reflue, poiché i metodi disponibili, come l’uso di coagulanti chimici, erano costosi, inquinanti e alteravano il pH dell’acqua.  inoltre, anche le soluzioni biologiche e i filtri esistenti presentavano problemi di efficienza e intasamento. I due studenti, dopo la visita hanno analizzato i problemi legati agli impianti usati e le necessità di mantenere “pulite” le acque dalle microplastiche.

Da questo studio hanno quindi ideato un dispositivo innovativo, piccolo quanto una penna, che utilizza ultrasuoni per rimuovere le microplastiche. Questo sistema, composto da un tubicino con due trasduttori elettrici, respinge le microplastiche mediante onde ultrasoniche, permettendo all’acqua pulita di fluire. I ragazzi hanno testato il prototipo su poliuretano, polistirene e polietilene, con risultati positivi, dimostrati dal fatto che sono state rimosse tra l’84% e il 94% delle microplastiche in un solo passaggio. La tecnologia a ultrasuoni è promettente per eliminare anche altri inquinanti particellari.

Il successo e le possibili applicazioni

La loro invenzione ha vinto il primo posto nella categoria Terra e Scienze Ambientali e il premio di 50.000 dollari del Gordon E. Moore Award (sponsorizzata da Google) alla Regeneron International Science and Engineering Fair (ISEF) di Los Angeles. Questo dispositivo che ha riscontrato subito un grande successo potrebbe essere impiegato in vari ambiti.

Le  microplastiche risultano una grave emergenza ambientale, con 75 trilioni di particelle negli oceani che minacciano la fauna selvatica e la salute umana. Pertanto, lo studio di Victoria e Justin non si ferma qui; ispirandosi ad uno studio del New Mexico Tech del 2022, i due studenti intendono migliorare il loro progetto per renderlo utilizzabile su larga scala, con l’obiettivo iniziale di ripulire l’acqua delle lavatrici e degli impianti di trattamento. Così facendo potrebbero sostituire i metodi attuali che sono tutt’oggi molto costosi o pericolosi poiché usano elementi artificiali ed inquinanti.

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Fotovoltaici “non convenzionali”: a Bolzano si ricerca il pannello adatto ad ogni necessità.

By : Aldo |Luglio 01, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Fotovoltaici “non convenzionali”: a Bolzano si ricerca il pannello adatto ad ogni necessità.
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Il mondo della ricerca è infinito, è un settore in costante evoluzione e sempre attivo ed è fondamentale per lo sviluppo di ogni popolazione. È un ambito in cui probabilmente non si conoscono limiti, e dove a volte ll’unico limite è il denaro mancante per portare avanti certi studi. Tuttavia, i ricercatori non mollano mai, neanche a Bolzano dove stanno studiando dei pannelli fotovoltaici “non convenzionali”.

Il fotovoltaico

I pannelli fotovoltaici non sono più un segreto per nessuno, soprattutto dal momento in cui rivestono un’importanza fondamentale nel contesto della transizione energetica verso fonti rinnovabili e sostenibili. La loro tecnologia è ormai una sicurezza nel campo delle rinnovabili, soprattutto dopo gli ultimi report in cui si afferma che il fotovoltaico sta crescendo di più come capacità installata. Non a caso al 31 marzo 2024 si sono raggiunti i 32 GW, dopo che nel 2023 si erano installati 5,234 GW, nel primo trimestre del 2024 se ne sono aggiunti 1,721 GW (fonte Gaudì-Terna).

Tuttavia, nonostante i loro innegabili benefici ambientali, i pannelli fotovoltaici spesso non sono accolti benevolmente, soprattutto a causa delle loro caratteristiche estetiche. Molti ritengono che la loro presenza sui tetti delle abitazioni o nei paesaggi naturali deturpi l’aspetto visivo, influenzando negativamente l’estetica urbana e rurale. Tali pregiudizi, possono influenzare l’opinione dei più scettici, ostacolando di conseguenza l’adozione diffusa dei pannelli solari. Ed è proprio qui che si evidenzia la necessità di soluzioni innovative e di design che possano armonizzare l’integrazione dei pannelli fotovoltaici con l’ambiente circostante.

Il laboratorio del futuro

È per queste ragioni che nasce a Bolzano, il “laboratorio dei pannelli del futuro”, presso l’Eurac Research. Si tratta di un laboratorio realizzato grazie ai fondi Pnrr di Nest, un partenariato pubblico-privato dedicato alla ricerca di base sulle energie verdi.  All’interno di Eurac, scienziati, ricercatori universitari, ingegneri e responsabili di imprese private si incontrano in un continuo scambio tra il mondo accademico e quello produttivo, con l’obiettivo di testare sia tecnologie universitarie che i prodotti sviluppati dalle aziende che necessitano di essere messi alla prova.

A Bolzano, la ricerca sui pannelli fotovoltaici copre tutte le fasi di produzione: dalla lavorazione di vetro e plastica, all’assemblaggio manuale delle celle, fino alla laminazione del modulo in un forno specifico. Si potrebbe dire che il laboratorio funzioni come un centro di produzione di pannelli, cercando nuove forme, misure e caratteristiche a seconda delle necessità previste, in modo tale da creare delle vere e proprie soluzioni. Successivamente i pannelli vengono testati prima in laboratorio e poi in campo aperto, simulando diverse condizioni climatiche, dalle ideali alle più estreme, per raggiungere l’efficienza dei pannelli tradizionali, viste anche le misure standard di 1 metro per 1 metro, che garantiscono l’efficienza in campo reale, al contrario di quelli più piccoli.  Anche per questa ragione il laboratorio è molto apprezzato dalle aziende.

I prodotti di Eurac research

Chi lavora al centro di Eurac research studia moduli colorati, trasparenti e in grado di adattarsi anche dove finora sono stati visti con diffidenza, per esempio i centri storici o i campi coltivati. Questo perché i pannelli fotovoltaici non sono tutti uguali. Di certo non è smeplice unire un atale tecnologia ai bisogni di tutti o per esempio di un comune che vuole usarli nelle sue strutture storiche che vantano specifiche forme o colorazioni.

Gli obiettivi del centro, infatti, sono vari perché devono cercare di soddisfare più richieste possibili. Per esempio, si parla di integrare i pannelli in contesti diversi dai soliti tetti e solai, magari realizzandoli con componenti e colori tali da simulare tegole, riducendo al minimo l’impatto visivo. Questo potrebbe essere un lavoro di grande impatto vista la cultura edilizia italiana soprattutto all’interno dei paesini.

Una seconda applicazione a cui punta il team è quella “campestre”, per produrre energia senza ostacolare l’attività agricola. Nello specifico stanno studiando dei pannelli che permettano il passaggio di sufficiente luce per la crescita delle piante, proteggendole al contempo dall’eccessivo irraggiamento solare. Si pensa quindi a dei moduli trasparenti o semi-trasparenti, che potrebbero risolvere le controversie legate all’agri-voltaico e alle restrizioni imposte dal Ministero dell’Agricoltura.

Nest punta tutto sulla potenza italiana, quindi sulla ricerca, le tecnologie ed il lavoro, basandosi anche sul piano RePowerUe, rafforzando tutta la filiera italiana ed europea, che ancora dipende fortemente dalla Cina. Solo con questo tipo di progetti a lungo termine, l’Italia può iniziare un percorso per la autonomia energetica e per riprendere punti in determinati ambiti e tra le grandi potenze mondiali. 

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Italia ai primi posti per l’export di tecnologie low-carbon e digitalizzazione.

By : Aldo |Giugno 27, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Italia ai primi posti per l’export di tecnologie low-carbon e digitalizzazione.
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L’Italia è un paese pieno di risorse, comprese anche quelle intellettuali di grandi studiosi, ricercatori, scienziati e inventori. L’insieme di queste menti deve essere considerato come un patrimonio nazionale da valorizzare tanto quanto i suoi lavori e i suoi successi. Soprattutto nell’ambito scientifico tecnologico, l’Italia ha un grande potenziale che non viene sempre evidenziato in modo opportuno, ancora di più se si parla di export, in cui l’Italia è tra i primi posti a livello europei e mondiali.  

Le tecnologie low-carbon

Quando si parla di tecnologie low carbon, si intendono strumenti e pratiche progettate per ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra, contribuendo così a mitigare il cambiamento climatico. Queste sono fondamentali per la transizione verso un’economia sostenibile e a basse emissioni di carbonio.

Le tecnologie low-carbon comprendono delle grandi categorie, fondamentali per la transizione ecologica e quindi per l’adattamento ai cambiamenti climatici, quali:

  • Energie rinnovabili;
  • Efficienza energetica;
  • Mobilità sostenibile;
  • Tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS);
  • Idrogeno verde.

La loro importanza è correlata ai vantaggi derivanti dal loro utilizzo, poiché aiutando nella riduzione delle emissioni di CO2, incrementando anche il livello di sostenibilità economica (quindi crea nuovi posti di lavoro). Di certo hanno un grande impatto anche nella sicurezza energetica, riducendo così la dipendenza da combustibili fossili importati aumentando di conseguenza la salute pubblica.

Proprio per questi motivi, il loro mercato è in rapida crescita, grazie alle nuove politiche governative favorevoli e agli investimenti in ricerca e sviluppo. Si pensi che secondo le ultime stime solamente il mercato delle energie rinnovabili potrebbe superare i 2 trilioni di dollari entro il 2030. Un ulteriore aspetto positivo riguardo tale settore è il ruolo dell’Europa, che attualmente è uno dei principali paesi nel mondo che guida tale transizione, favorendo crescita economica e opportunità a livello ambientale.

L’export italiano

In questo gioco tra nazioni però è presente anche l’Italia. Infatti, le tecnologie low-carbon e la digitalizzazione stanno guidando l’export del Made in Italy, posizionando l’Italia ai vertici delle classifiche europee e mondiali. Attualmente, il Belpaese è il secondo in UE e il settimo a livello mondiale per l’export di beni a basso contenuto di carbonio, di cui il 55% è rappresentato dalla meccanica strumentale low-carbon. L’export di queste tecnologie è destinato a crescere a un ritmo tre volte superiore rispetto alla media fino al 2027, con previsioni di raggiungere i 50 miliardi di euro entro il 2025, segnando una crescita del 13,7%.

Lo dichiara anche il report “Doing Export Report 2024” di SACE. Il Gruppo assicurativo-finanziario italiano, direttamente controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, evidenzia infatti il valore delle esportazioni italiane di beni. In particolare, sottolinea che aumenterà del 3,7% nel 2024, del 4,5% nel 2025 e del 4,2% nel biennio successivo. Mentre il settore delle tecnologie low-carbon avrà una crescita ancora più robusta: 11,1% nel 2024 e 13,7% nel 2025, rappresentando il 7,3% del totale del Made in Italy esportato.

Tali cifre sono straordinarie se si pensa alla ricerca e al lavoro che c’è dietro un solo prodotto, legato all’attività di ben 5.400 aziende italiane, tra cui Manz Italy e la 3Sun Gigafactory.

Un trionfo a Colonia

Un esempio della nostra prossima leadership in tale ambito è quello di Green Silence Group che ha presentato una nuova gamma di motori elettrici innovativi all’International Vehicle Technology Expo di Colonia. Si tratta di nuovi motori caratterizzati da alta efficienza energetica, che consente prestazioni superiori e costanti senza ridurre il rendimento dei motori tradizionali. Sono molto più silenziosi, combattendo così l’inquinamento acustico e sono più sostenibili a livello ambientale, questo perché non hanno magneti permanenti e quindi non contribuiscono all’attività mineraria, migliorando la riciclabilità dei materiali.

Come descritto in precedenza, questo tipo di innovazioni e tecnologie favoriscono dei vantaggi ottimi sia per la transizione ecologica sia per la sicurezza nazionale. Non a caso il progetto in questione consente di lavorare per una maggiore indipendenza dalle terre rare ed è versatile poiché il prodotto può essere utilizzato in vari mezzi quali dai veicoli industriali e commerciali (autobus, camion dei rifiuti) alle macchine agricole e robot umanoidi.

Il gruppo italiano formato da Settima Meccanica, Motive e Spin, con il supporto del fondo Xenon Private Equity, ha oltre 200 dipendenti e un fatturato di 50 milioni di euro. L’azienda opera a livello globale, con il 72% dei ricavi provenienti dall’estero, e si posiziona come leader nelle tecnologie sostenibili per l’elettrificazione industriale e la mobilità sostenibile.

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Il Gazometro di Roma ospita il SIOS 2024. Si punta allaultura dell’innovazione.

By : Aldo |Giugno 24, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il Gazometro di Roma ospita il SIOS 2024. Si punta allaultura dell’innovazione.
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L’innovazione accompagna lo sviluppo e la crescita di ogni singola civiltà grazie all’uso (appunto), innovativo, delle tecnologie a disposizione. Ma i tempi cambiano e così cambiano anche i metodi di innovazione e quelli di fare impresa. Oggi, infatti, si parla di startup e di come si può cambiare il mondo passo dopo passo, se si investono energie, studio e soprattutto soldi, in idee innovative per il futuro.

Startup Italia

Le startup sono emerse nei primi anni 2000 come nuove imprese fondate da imprenditori con l’obiettivo di sviluppare prodotti o servizi innovativi, spesso tramite nuove tecnologie. Sono caratterizzate da un ambiente di lavoro dinamico e collaborativo, mirano a risolvere problemi esistenti o migliorare processi e prodotti, e si distinguono per l’elevato potenziale di crescita e la capacità di scalare rapidamente grazie a modelli di business flessibili. Operano in vari settori come tecnologia, biotecnologia, fintech, e-commerce, ed energie rinnovabili, e sono spesso finanziate da venture capital, angel investor e crowdfunding.

Le startup sono un motore fondamentale per l’innovazione e lo sviluppo economico globale, attirando molti giovani intraprendenti. In Italia, il numero delle startup è in crescita, richiedendo finanziamenti adeguati, linee guida burocratiche e punti di riferimento. In questo contesto, è nata Startup Italia, una piattaforma dedicata al supporto e alla promozione delle startup italiane. Offre servizi e risorse per imprenditori e innovatori, notizie, approfondimenti e organizza eventi, workshop e programmi di formazione per favorire il networking e la crescita professionale. Startup Italia facilita l’accesso a finanziamenti, mentorship e opportunità di mercato, lavorando per promuovere l’Italia come hub di innovazione internazionale.

SIOS 2024 Roma

Startup Italia Open Summit 2024, si chiama così la serie di eventi ideata dal capo fila delle startup italiane. Si tratta di giornate dedicate alla presentazione di nuovi progetti, innovazioni e tecnologie, spesso ideate da giovani volenterosi di cambiare il mondo. Giovedì 20 giugno è stata la volta di Roma, precisamente presso gli spazi del Gazometro di via Ostiense, dove tante realtà si sono riunite per collaborare e parlare del futuro di questo mondo.

L’evento intitolato “SIOS24 Summer: Intelligenze Multiple”, ha accolto l’intero ecosistema dell’innovazione italiano con un mix di formazione e intrattenimento. La manifestazione è stata creata in collaborazione con Radio 105, Eni, ROAD (Rome Advanced District), mentre SACE ha partecipato come partner principale condividendo l’obiettivo di supportare l’intero contesto collaborativo e innovativo e poi:

  • partner speciali: Intesa SanPaolo, Microsoft e Range Rover
  • media partener: Rai Cinema, 4Books, Giffoni Film Festival, Luce, Quotidiano Nazionale
  • partner tecnici: Acqua Orsini, Orsini Soda, Helba, Caffè Colorado
  • startup partner: We Short, Fool Farm e Innov Up.

La giornata si è focalizzata su quattro filoni principali: Empatia, Responsabilità, Futuro e ESG, promuovendo valori come sostenibilità, collaborazione e avanzamento tecnologico. Tali argomenti oltre ad essere di interesse per gli speech, sono stati la base per i vari worskhop business matching, networking e interviste. Anche la società E-Cube ha partecipato alla manifestazione per raccogliere idee, informazioni e approfondire le proprie conoscenze per quanto riguarda il mondo dell’innovazione.

Cambiamento, empatia e fallimento

Nella giornata di giovedì di è parlato molto del futuro delle startup, del loro sviluppo e degli ostacoli burocratici e amministrativi che ancora oggi bloccano la vera ascesa di queste imprese.  Tuttavia, è stato dato un grande spazio a quelli che sono dei fattori umani correlati alla creazione e alla crescita di una startup. E-cube è stata colpita principalmente dai discorsi sul rischio ed il fallimento. Due concetti che da sempre creano paure ed ansie a chi vuole iniziare un percorso di vita diverso, a chi vuole cambiare la propria rotta e che nell’ambito dell’imprenditoria sono alla base della sfida legata agli investimenti e quindi alla creazione di una nuova realtà. In particolare, è stato gradito il workshop “Sbagli di successo” della scrittrice Francesca Corrado.

Un altro tema rilevante è stato quello dell’empatia e dell’inclusione. Due principi fondamentali per la crescita funzionale di un gruppo a prescindere che sia un’impresa, una classe di alunni o la popolazione di una città. In questo è stato formidabile Domenico Acampora, fondatore di Pizza Aut, che ha raccontato la sua storia familiare legandola poi alla fondazione ed al successo della sua fantastica realtà. L’uso di parole semplici a efficaci ha consentito di rendere il suo discorso oltre informativo, anche motivazionale. La sua energia nel raccontare il suo percorso nonostante le difficoltà del caso riassumono la determinazione necessaria per poter inseguire i propri sogni e quindi anche aprire una startup.



Ultima menzione, non per ordine di importanza va a Emilia Garito, Founder e Chairman di Deep Ocean Capital SGR SPA e di Quantum Leap srl. Il suo discorso molto improntato sulla valorizzazione delle nostre risorse e delle conoscenze in ambito tecnologico. Il suo è stato un appello per far si che l’Italia possa trovarsi sul podio delle ricerche e quindi delle pubblicazioni nel settore anche delle nanotecnologie, per far si che si possa muovere anche un nuovo mercato, e si possa accrescere la fiducia nei nostri confronti.

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Arriva il SI dell’Austria e viene approvata la Restoration Law.

By : Aldo |Giugno 19, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva il SI dell’Austria e viene approvata la Restoration Law.
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L’unione fa la forza. Questa volta il cambiamento l’ha fatto l’Unione Europea unita per un solo grande obiettivo, quello di proteggere la Terra! Una meta tanto bramata quanto combattuta, per la quale tutti hanno il dovere di muoversi per dare il proprio contributo, affinché si possa vivere in un pianeta migliore. Tutti hanno delle responsabilità in questo lavoro, nonostante ciò, qualcuno fa finta di dimenticarlo, e altri si oppongono: ecco il caso dell’Austria.

L’approvazione della legge

Il 17 giugno 2024 è stata approvata dal Consiglio dell’Unione Europea la Nature Restoration Law, una normativa pionieristica volta a ristabilire la biodiversità e la resilienza degli ecosistemi in Europa. Questa legge prevede obiettivi vincolanti per la restaurazione di almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’UE entro il 2030, con l’intento di estendere la restaurazione a tutti gli ecosistemi bisognosi entro il 2050. Tra gli obiettivi specifici, si elencano:

  • la rigenerazione di habitat come foreste, zone umide e praterie,
  • la promozione della biodiversità urbana,
  • il recupero degli ecosistemi agricoli e marini,
  • il miglioramento della connettività fluviale.
  • invertire il declino delle popolazioni di insetti impollinatori (entro il 2030)

L’approvazione della legge è stata accolta con entusiasmo da diverse organizzazioni ambientaliste e della società civile, sottolineando l’essenzialità di tale normativa per la lotta contro i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Nonostante le resistenze di alcuni gruppi politici e lobby anti-natura, la maggioranza degli europarlamentari ha sostenuto il testo, evidenziando l’importanza di un impegno comune per la salvaguardia del pianeta.

La legge inoltre prevede che gli Stati membri presentino piani nazionali di restaurazione entro il 2026 e che monitorino regolarmente i progressi, con rapporti periodici alla Commissione Europea e al Parlamento Europeo.

I contrasti europei

L’approvazione della legge rappresenta un risultato importante, atteso da ambientalisti, scienziati e associazioni verdi. Per mesi, tuttavia, la legge è stata ostacolata da diversi Paesi, tra cui Svezia, Finlandia, Ungheria, Olanda e la stessa Italia che temevano conseguenze economiche negative per il settore agricolo. Questi Paesi si sono opposti anche nell’ultima votazione, creando un’opposizione che impediva di raggiungere il 65% dei consensi necessari per l’approvazione.

La sorpresa è arrivata all’ultimo dall’Austria, che ha cambiato direzione, inizialmente contraria, e votando per il SI ha consentito di raggiungere il 66% dei voti favorevoli, sancendo così il passaggio della legge. Dunque, il regolamento sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore nelle prossime settimane.

Il caso dell’Austria

Leonore Gewessler, Ministra per la Protezione del clima, l’ambiente, l’energia, la mobilità, l’innovazione e la tecnologia del governo austriaco, è stata determinante nell’approvazione della Nature Restoration Law. Nonostante l’opposizione del cancelliere austriaco Karl Nehammer, che preferiva l’astensione, Gewessler ha votato a favore, garantendo così il raggiungimento del 66% dei consensi necessari per l’approvazione della legge. Questa scelta, vista come un atto di disobbedienza ha suscitato polemiche in Austria, ma Gewessler ha difeso la sua decisione come una scelta di coscienza, pensando al futuro delle sue nipoti e alla bellezza del continente europeo.

La sua presa di posizione lungimirante, volta alla protezione del pianeta e quindi alla salvaguardia del futuro delle prossime generazioni è costata alla ministra. Infatti, poco dopo l’approvazione della legge, il cancelliere Nehammer ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia dell’UE chiedendo l’annullamento del voto e denunciando Gewessler per abuso di potere e violazione della Costituzione. La ministra, sicura della legalità della sua scelta, ha dichiarato di non essere preoccupata.

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Europei di calcio 2024: la UEFA mira alla sostenibilità.

By : Aldo |Giugno 17, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Europei di calcio 2024: la UEFA mira alla sostenibilità.
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La sostenibilità è un principio da seguire ormai in ogni ambito, e al quale dobbiamo aspirare, in primis noi cittadini. Grazie alle nuove direttive europee è diventato anche un obiettivo, quasi un dovere per le grandi imprese, per mezzo della CSRD. Da poco anche la UEFA ha pensato si imporsi degli obiettivi in questo senso proprio durante gli Europei 2024 in Germania.

UEFA

La UEFA (Union of European Football Associations) è l’organismo amministrativo e organizzativo che governa il calcio in Europa. Fondata nel 1954, la UEFA è responsabile della supervisione e della regolamentazione del calcio in tutta Europa, organizzando competizioni sia per squadre nazionali che per club, come la Champions League, l’Europa League e il Campionato Europeo di Calcio (euro). La missione della UEFA è promuovere, proteggere e sviluppare il calcio europeo a tutti i livelli, mantenendo alti standard di integrità e fair play.

Quest’anno gli Europei si svolgeranno in Germania dal 14 giugno al 14 luglio 2024. Per la sedicesima edizione, sono state scelte le città di Berlino, Monaco di Baviera e Dortmund nelle quali si sfideranno ben 24 squadre nazionali.  Per questo grande evento, la UEFA ha di grandi obiettivi non solo calcistici ma anche ecologici. Infatti, ha comunicato il suo impegno nel ridurre l’impronta ecologica dell’intero evento sportivo.

Germania 2024

I Campionati Europei di Calcio in Germania mirano a diventare l’evento sportivo più sostenibile di sempre, grazie a una serie di misure ambientali, sociali e di governance adottate dalla UEFA e dal Paese ospitante. Queste includono un calendario che minimizza gli spostamenti delle squadre, biglietti ferroviari scontati per tifosi e giornalisti, trasporti pubblici gratuiti per il personale accreditato e una gestione dei rifiuti basata sul principio “riduci-riusa-ricicla-ripara”.

Sono previsti anche un fondo per compensare le emissioni di CO2 inevitabili, accessibilità per tutti i tifosi (con più di 15.000 biglietti venduti per persone disabili) inclusi servizi di audiodescrizione (per le persone non vedenti) e una valutazione del rischio per i diritti umani. Michele Uva, direttore di Social & Environmental Sustainability della UEFA, ha dichiarato che queste misure, frutto di un investimento di 32 milioni di euro, dovrebbero ridurre del 20% l’impronta carbonica del torneo. Ogni stadio avrà un Sustainability Venue Manager e 500 volontari dedicati ad ambiente, diritti umani.  Inoltre, sarà pubblicato un ESG Event Report entro 90 giorni per garantire la massima trasparenza.

La vera partita

Per raggiungere tale obiettivo, la UEFA ha introdotto il “carbon footprint calculator” per misurare l’impronta ecologica del calcio. Tuttavia, l’impegno per la sostenibilità non è stato pienamente accolto dalle squadre nazionali partecipanti. Se queste avessero adottato comportamenti sostenibili, come l’uso dei treni invece degli aerei per gli spostamenti, si potrebbero risparmiare fino a 1.100 tonnellate di CO2, equivalenti a 200 volte l’impronta di carbonio di un cittadino europeo medio in un anno. Questo è quanto emerge da uno studio di Transport & Environment (T&E), la Federazione europea dei trasporti e dell’ambiente, che ha calcolato le emissioni di ciascuna squadra per il torneo in Germania.

Il report sottolinea che “gli sforzi della UEFA e di alcune squadre per ridurre l’impronta ecologica non dovrebbero essere un’eccezione”. Erin Vera, responsabile della campagna, ha dichiarato: “Gli organizzatori hanno lavorato duramente per ridurre le emissioni di trasporto durante il torneo, rendendolo il campionato europeo più verde di sempre, dimostrando che è possibile”. Tuttavia, ha lamentato che le squadre non hanno ancora seguito l’esempio.

Infatti, secondo il T&E e insieme alla campagna “Travel smart” e altre 18 organizzazioni, ha richiesto a 13 federazioni calcistiche europee di condividere i loro piani di viaggio per il torneo, incoraggiandole a ridurre l’impronta ecologica. A fine maggio, solo tre squadre hanno risposto: la Germania, che non userà l’aereo durante i gironi, il Portogallo, che lo userà una volta e la Svizzera, che utilizzerà treni e autobus per tutta la competizione. L’Italia purtoppo non ha risposto. Di certo la scelta ecologica è più facile per alcune nazioni, come Belgio e Svizzera, rispetto ad altre, d’altra parte, sarebbe opportuno che ogni nazione si unisca a questa partita a modo suo, cercando di cooperare per raggiungere l’obiettivo comune.

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CALL4INNOVIT: le migliori startup voleranno nel cuore della Silicon Valley.

By : Aldo |Giugno 13, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su CALL4INNOVIT: le migliori startup voleranno nel cuore della Silicon Valley.
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Quando si pensa al futuro è facile pensare a dei cambiamenti tecnologici, all’innovazione e a qualcosa che mai ci potremmo aspettare. In effetti questo pensiero non è totalmente sbagliato, soprattutto se ci sofferma sull’aspetto della ricerca che non si ferma mai. In questo ambito possiamo includere anche tutti quei progetti legati alle startup che portano sempre una ventata di aria fresca e di innovazione al mondo.

INNOVIT

Innovit è un progetto promosso dalla Direzione Generale Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con il supporto dell’Ambasciata d’Italia a Washington e del Consolato Generale a San Francisco. Si tratta di un’iniziativa gestita con il sostegno di ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco.

CALL 4 INNOVIT è un programma rivolto a PMI e startup italiane che lavorano nell’ambito dell’innovazione tecnologica e della promozione della cultura italiana a livello internazionale.

Il programma è diviso in 3 fasi principali che sono:

  • Readiness: attività online di orientamento, analisi dei fabbisogni, mentorship e tutoring.
  • Experience: batch di accelerazione nella Silicon Valley, con appuntamenti istituzionali, workshop, mentoring session, networking con Startup, big tech, venture capital ed esperti.
  • Follow up: un accompagnamento nei processi di consolidamento delle relazioni e delle attività avviate in Silicon Valley nel corso della Fase 2.

Al programma possono partecipare PMI e startup correlate a molteplici settori quali: Generative AI, Robotics hardware Advanced material, Life science and Digital health, Green Energy, Clean Tech, Climate Tech e AgriFood Tech. E ancora Startup bootcamp, Fintech e Insurtech a Space Economy. INNOVIT è situato in un edificio storico nel quartiere finanziario di San Francisco, con un design diviso in 2 livelli adibiti alle varie attività previste dal programma.

CALL4INNOVIT

La CALL4INNOVIT, invita le PMI italiane a presentare progetti innovativi nei settori Green Energy, Clean Tech, Climate Tech e AgriFood Tech entro il 14 giugno. In questo modo mira a rispondere alle sfide climatiche e ambientali, con investimenti crescenti nel settore cruciali per garantire un futuro sostenibile. Inoltre questi progetti non solo aiutano a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ma contribuiscono anche a proteggere la biodiversità e a rafforzare la resilienza delle comunità. Inoltre, l’adozione di tecnologie innovative stimola la crescita economica, crea posti di lavoro e favorisce lo sviluppo di nuove competenze. Investire in queste aree è fondamentale per affrontare le sfide ambientali contemporanee e per costruire un’economia verde che possa sostenere le generazioni future.

 Dopo la candidatura, 25 PMI saranno selezionate per un programma di mentorship online di due settimane. Le 15 PMI migliori parteciperanno a un percorso intensivo presso INNOVIT a San Francisco, con una settimana di attività interattive e mentorship. Il programma si concluderà con un DemoDay, dove le imprese presenteranno i loro progetti agli investitori.

Innovit in numeri

Finora, CALL4INNOVIT ha ricevuto 641 candidature, selezionando oltre 360 realtà per programmi online di pre-accelerazione. A San Francisco sono andati 278 giovani imprenditori di startup e PMI italiane, partecipando a oltre 300 sessioni di confronto e formazione con 220 professionisti di grandi aziende tecnologiche e università prestigiose come Stanford e UC Berkeley. Questi imprenditori hanno avuto l’opportunità di creare relazioni di business e finanziamento con l’ecosistema della Silicon Valley. Nel primo anno, l’hub ha accolto oltre 4.500 visitatori, organizzando 68 eventi e più di 100 meeting con enti, università e centri di ricerca.

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Le isole Eolie puntano al geotermico offshore, per l’indipendenza energetica.

By : Aldo |Giugno 10, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Le isole Eolie puntano al geotermico offshore, per l’indipendenza energetica.
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L’indipendenza energetica delle isole è essenziale per ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e per garantire una maggiore sicurezza energetica. Per le isole italiane, questo è particolarmente importante a causa del loro isolamento geografico e della dipendenza energetica dal continente. Pertanto, la promozione del rinnovabile locale può migliorare la resilienza energetica, supportare lo sviluppo economico locale e preservare l’ambiente, facendo delle isole esempi di sostenibilità e innovazione. Ecco l’idea delle Eolie.

La potenza italiana

La produzione di energia geotermica consiste nello sfruttare il calore presente nel sottosuolo terrestre per generare energia elettrica e termica. Questo processo è fondamentale poiché fornisce una fonte di energia rinnovabile, continua e a basso impatto ambientale, contribuendo a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e le emissioni di gas serra.

L’Italia vanta una lunga storia di attività geotermica, scoperta per la prima volta nel 1904 a Larderello, in Toscana, dove venne installato il primo impianto geotermico al mondo. Non a caso l’Italia ha continuato a sviluppare questa tecnologia con nuovi progetti di esplorazione e sfruttamento del potenziale geotermico. Questo è vero soprattutto nelle regioni con maggiore attività vulcanica come la Toscana, il Lazio e la Sicilia. Nonostante l’Italia sia leader mondiale nella geotermia, è ferma da qualche anno su questo fronte.

Proprio lo studio dell’European House Ambrosetti, afferma che con solo il 2% del potenziale geotermico e nei primi 5 km di profondità l’Italia potrebbe generare a emissioni nulle il 10% della produzione elettrica al 2050. In pratica potremmo fare molto di più, ma siamo in una situazione di stallo.

Novità ai Green Salina Energy Days

I “Green Salina Energy Days” organizzati dall’associazione Isole sostenibili ed il sostegno di ANCE Sicilia, sono un evento dedicato alla sostenibilità energetica, con una particolare attenzione sull’energia geotermica. L’ evento si svolge ogni anno sull’isola di Salina, nelle Eolie, con la partecipazione di esperti internazionali, rappresentanti di istituzioni europee, e aziende del settore energetico. Ovviamente i temi trattati riguardano il settore delle politiche energetiche, delle tecnologie innovative e delle iniziative pubbliche volte alla transizione energetica dell’arcipelago.

Durante l’edizione 2024 svoltasi dal 5 al 7 giugno, sono arrivate nuove proposte ed iniziative che potrebbero incentivare l’indipendenza energetica delle isole. In primo luogo, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) con il progetto IRGIE ha iniziato ad aggiornare la mappatura delle fonti geotermiche presenti attorno alle isole minori siciliane. Il lavoro è guidato da Fabio Di Felice, coordinatore INGV con Monia Procesi del progetto che consiste nella creazione di un Inventario delle Risorse Geotermiche delle Isole Eolie, da qui IRGIE. L’obiettivo di tale programma è quello di garantire in maniera sostenibile l’autonomia energetica delle Piccole isole, ad oggi estremamente dipendenti da soluzioni energetiche fossili e non sostenibili.  Alla ricognizione di tali risorse geotermiche seguirà la realizzazione di di un pozzo geotermico sperimentale sui fondali al largo di Panarea.

Si lavora quindi sulla valutazione in dettaglio delle potenzialità geotermiche delle sette isole dell’Arcipelago delle Eolie. L’obiettivo è quello di usare la risorsa geotermica sia bassa (30°C-100°C), che media (100°C-150°C) e alta temperatura (>150°C). Inoltre, si lavora per definire i possibili usi diretti come il raffrescamento e riscaldamento di ambienti o indiretti come la produzione di elettricità.

Dissalatore ed “living lab”

Durante i Green Salina Energy Days, il Comune di Malfa ha lanciato l’idea di creare un “living lab” e un Energy Center per promuovere progetti pilota sull’efficientamento energetico degli edifici, fornendo assistenza a professionisti e imprese locali, oltre a formare giovani e trasferire competenze. Questa iniziativa, supportata dall’associazione Isole Sostenibili con l’assistenza tecnica di ANCE Sicilia e CNA, sarà finanziata tramite i fondi della misura “Isole Verdi” del PNRR.

Parallelamente, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e il Dipartimento regionale Siciliano Energia stanno esplorando la possibilità di utilizzare, circa 200 mila euro, per realizzare un pozzo geotermico sperimentale per l’alimentazione di un mini-dissalatore per fornire acqua potabile all’isola.

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“Planetaria- Discorsi con la Terra”: il cambiamento climatico arriva a teatro.

By : Aldo |Giugno 06, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “Planetaria- Discorsi con la Terra”: il cambiamento climatico arriva a teatro.
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La lotta al cambiamento climatico è un tema semrpe più importante e presente nei nostri pensieri. È declinato in ogni ambito della vita e ora più che mai anche nel settore dell’intrattenimento, dei social e della cinematografia. Questo consente di poter diffondere dei messaggi delicati quanto rilevanti ad un’ampia gamma di persone e proprio per tale motivo nasce “Planetaria”.

“Planetaria”

Dal 7 al 9 giugno, al Teatro della Pergola di Firenze, Stefano Accorsi sarà il direttore artistico e protagonista di “Planetaria – Discorsi con la Terra”. Insieme a Vittoria Puccini, Valentina Bellè e due scienziati, salirà sul palco per esplorare alternative nella lotta al cambiamento climatico.  L’evento, ideato da Accorsi e Filippo Gentili, unisce arte e scienza in un format innovativo che include spettacoli teatrali, workshop esperienziali per bambini, dialoghi con il pubblico e l’intelligenza artificiale Sibilla.

L’idea nasce dall’amore dell’attore per la natura. Accorsi afferma di amare la montagna e di aerla vissuta sotto tanti aspetti. Quindi ha assistito alla riduzione dei ghiacciai e agli sconvolgimenti climatici, come piogge torrenziali e inondazioni che si manifestano da anni. Tali avvenimenti lo hanno colpito al punto di voler fare di più, di portare un cambiamento attraverso il suo lavoro, basato quindi sulla comunicazione.

La scelta del teatro

La scelta di portare tutto a teatro di certo non è casuale, poiché è considerato il luogo dell’empatia, dove le persone riescono a percepire in modo peculiare l’importanza dei temi affrontati sul palco. Inoltre, è stato scelto perché poteva coinvolgere a pieno le famiglie, un nucleo fondamentale per la vita di tutti, in primis per i figli che vengono educati. In secondo luogo, per i più grandi che possono sempre imparare dai giovani.  A questo proposito, sono previste sia attività e workshop durante la mattina per i ragazzi, sia incontri istituzionali il pomeriggio, così possono essere coinvolti tutti, senza distinzioni, ma con dei programmi adeguati.

I ragazzi al primo posto

Come già annunciato l’iniziativa prevede una grande partecipazione di bimbi e ragazzi. Questo perché l’attenzione verso le nuove generazioni è fondamentale per il cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno. Si tratta comunque di un modo per responsabilizzare sin da subito i più piccoli con nuove abitudini e nuove consapevolezze. Così facendo si possono aiutare le famiglie a prendere una nuova direzione per il futuro.

Anche perché gli adulti di oggi, hanno commesso molti errori in passato, quindi nella loro gioventù. Si tratta di sbagli legati ad una conoscenza superficiale della questione, o correlati alla mancanza di abitudini virtuose. È quindi di fondamentale importanza che sin da subito, con le opportune tecniche di insegnamento e con il giusto approccio, i ragazzi conoscano il loro potere e il loro ruolo nel mondo, per evitare di ripetere la storia.

È importante che i ragazzi sappiano quali abitudini devono cambiare e la ragione per cui bisogna farlo. Nonostante ciò, ci sono modi e modi di spiegare ai più piccoli come possono portare un impatto positivo nel mondo. Per esempio, Stefano Accorsi afferma che ai suoi figli non chiede di non sprecare l’acqua, ma essendo piccoli gli racconta una storia che possa attrarre la loro attenzione.  Da qui si spiegano i laboratori fisici a sfondo ambientale dove recepiranno delle informazioni, ma all’interno di una storia che lascia un ricordo.

Gli ospiti

Il programma prevede che l’attore e direttore artistico Stefano Accorsi, si accompagnato da due colleghe ossia Vittoria Puccini e Valentina Bellè. Insieme i 3 artisti attueranno uno spettacolo costruito come una lettura a tre.

Gli attori collaboreranno con scienziati noti al panorama italiano tra cui:

  • Claudia Pasquero, professoressa di Oceanografia e Fisica dell’Atmosfera all’Università di Milano Bicocca e Direttrice Scientifica di Planetaria;
  • Stefano Mancuso, divulgatore scientifico, botanico, Direttore del laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale;
  • Giulio Boccaletti, oceanografo e direttore del centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici nel ruolo di Consulenti Scientifici del progetto.

Un’ospite particolare e inaspettato invece è l’intelligenza artificiale Sibilla, creata da Engineering. Quest’ultima interagirà da uno schermo di sette metri per due e risponderà con una serie di dati scientifici inconfutabili, riconosciuti a livello mondiale. Il direttore artistico interagirà con il pubblico portando le loro domande alla Sibilla.

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Releaf Bag: dalle foglie cadute ai sacchetti di carta.

By : Aldo |Giugno 03, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Releaf Bag: dalle foglie cadute ai sacchetti di carta.
Simon Berger - Unsplash

Quando si dice che la natura ci regala una miriade di risorse è proprio vero. Purtoppo non riusciamo sempre a trovarne i vantaggi, e tuttavia quando li troviamo ne facciamo un uso smodato senza renderci conto delle possibili conseguenze. A volte però c’è chi studia sia i benefici di una risorsa, sia la possibilità di usufruirne in maniera sostenibile: un esempio è quello di Releaf Bag.

Le foglie in autunno

Le foglie che in autunno cadono dagli alberi hanno un’importanza rilevante a livello ecosistemico, poiché contribuiscono al ciclo naturale dei nutrienti. Quando cadono al suolo, si decompongono gradualmente, rilasciando sostanze nutritive essenziali che arricchiscono il terreno e favoriscono la crescita di nuove piante. Questo processo è fondamentale per mantenere la fertilità del suolo e per sostenere una varietà di forme di vita, dai microrganismi ai funghi, che a loro volta supportano l’intera rete alimentare del bosco.

Al contrario, quando si tratta di un contesto urbano la situazione è differente, poiché spesso, creano problemi. Il principale è l’ostruzione dei i tombini delle strade impedendo il corretto deflusso dell’acqua piovana, aumentando il rischio di allagamenti urbani e danni alle infrastrutture.

Per mitigare questo problema, molte città italiane implementano programmi di pulizia e raccolta delle foglie, che tuttavia vengono bruciate, rilasciando nell’atmosfera emissioni di monossido di carbonio e di altri gas nocivi, danneggiando, di conseguenza, la salute umana e l’ambiente. Attualmente in Italia, ogni anno si raccolgono circa 1,5 milioni di tonnellate di foglie cadute.

Releaf Bag

A proposito di foglie, esiste una startup nata in Ucraina nel 2021 con sede a Kiev, che si occupa della loro raccolta per la creazione di un prodotto di consumo quotidiano. Releaf Technology Research and Production Enterprise conosciuta come Releaf bag, è un’azienda Dal 2022, Releaf produce oltre 100 tonnellate di carta al mese, dimostrando il successo della sua visione sostenibile. La caratteristica di questo business è che la carta che produce deriva dalle foglie cadute dagli alberi.

Tutto è iniziato quando Valentin Frechka (founder), a 16 anni, decise di studiare dei processi alternativi alla produzione di cellulosa per ridurne la deforestazione. Durante un’uscita nella foresta dei Carpazi tuttavia, si rese conto del potenziale delle foglie sul terreno e studiandole scoprì che da esse si potevano ottenere le stesse fibre del legno.

Sfortunatamente i suoi primi tentativi non funzionarono finché nel 2018 riuscì a testare il suo primo prototipo, partecipando e vincendo svariati concorsi quali:

  • l’Ukrainian ecology Olympia,
  • l’Intel Eco Ukraine Scientific and Technical Competition,
  • l’I fest International Olympiad,
  • il Climate Olympiad in Kenya.

Attualmente, l’azienda fondata da Valentin Frechka e Aleksandr Sobolenko potrebbe aiutare a preservare le foreste del nostro pianeta, grazie allo sviluppo di un metodo innovativo per la produzione della carta che utilizza come materia prima le foglie. Ricordiamo infatti che ogni anno, oltre 7,3 milioni di ettari di foreste vengono abbattuti per la produzione di carta, il che significa distruggere l’equivalente di 20 campi da calcio al minuto.

La produzione e il prototipo

Per produrre la carta ecologica, Releaf Bag segue una serie di passaggi. Infatti, dopo averle raccolte, le foglie vengono pulite e granulate, così da poter essere stoccate per lunghi periodi. In questo modo si assicura anche la stabilità del prodotto. Successivamente le foglie vengono trasformate in una fibra speciale che è la base per la creazione della nostra carta. Ed infine viene fustellata.

La carta che produce l’azienda sé impiegata poi nella produzione di sacchetti, definendo una vasta gamma di vantaggi nella sostituzione della carta con le foglie. Sicuramente una tale tecnologia elimina la necessità di abbattere alberi per ottenere la materia prima necessaria. Così facendo si preservano le foreste e i loro ecosistemi. Successivamente si parla anche dei tempi di degradazione 9 volte inferiori rispetto a quelli della solita carta. In tal caso si riducono anche i rifiuti.

Per di più, nella creazione della carta ecologica non sono impiegati composti chimici dannosi come zolfo e cloro, garantendo garantisce una produzione ecologica e una carta più sicura per l’ambiente e la salute umana. Senz’altro questa tecnologia innovativa è in grado di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 78% rispetto alla produzione di carta tradizionale.

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Arriva a Modena la “School of Sustainability”, volta ai protagonisti del futuro.

By : Aldo |Maggio 30, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva a Modena la “School of Sustainability”, volta ai protagonisti del futuro.
Ivan Aleksic - Unsplash

La scuola di ogni grado è un luogo in cui i ragazzi passano la maggior parte del loro tempo e pertanto deve essere un posto in cui devono crescere sotto vari punti di vista. Negli ultimi anni infatti sembra che oltre alle solite materie, importanti per la cultura di ognuno, siano stati introdotti progetti volti all’acquisizione di nuove conoscenze. Un esempio è la crescita dei progetti di educazione civica ed ambientale, che rendono i giovani consapevoli del loro ruolo nel mondo e nel futuro.

L’importanza della scuola

La scuola ha un ruolo cruciale nell’attività di sensibilizzazione su temi fondamentali della vita tra cui anche il cambiamento climatico e la sostenibilità. Educare i ragazzi fin dalla tenera età all’educazione civica ed ambientale non solo contribuisce a formare cittadini consapevoli e responsabili, ma favorisce anche lo sviluppo di comportamenti virtuosi e sostenibili. L’importanza di una buona educazione ambientale è tangibile quando si riesce a trasmettere il messaggio delle sfide ecologiche attuali e delle loro implicazioni future, in modo comprensibile a tutti.

Attraverso programmi scolastici mirati e attività didattiche coinvolgenti, gli studenti apprendono l’importanza della conservazione delle risorse, della riduzione dei rifiuti e dell’adozione di stili di vita eco-compatibili. Questo tipo di sensibilizzazione non solo promuove un senso di responsabilità individuale e collettiva verso l’ambiente, ma prepara anche le nuove generazioni a diventare agenti di cambiamento, capaci di influenzare positivamente le politiche e le pratiche ambientali. Inoltre, una formazione adeguata in questi ambiti può stimolare l’innovazione e l’impegno nella ricerca di soluzioni sostenibili, contribuendo a costruire un futuro più verde e più sano per tutti.

La “School of Sustainability”

L’importanza dell’educazione civica e quindi anche ambientale è ormai chiara a tutti e pertanto sono sempre più le iniziative che portano tali argomenti nelle scuole. Una tra queste è la “School of Sustainability”, promossa da “Bolton Hope Foundation” (Fondazione specializzata sui temi dell’educazione) e “Future Education Modena” (Centro internazionale per l’innovazione in campo educativo). Si tratta di un programma che trasforma l’apprendimento puntando tutto sul futuro dei giovani, parlando quindi di sostenibilità e ambiente.

Il progetto è stato creato a seguito della pubblicazione del nuovo Quadro di competenze per l’educazione alla sostenibilità dell’Unione Europea, il “GreenComp”. Tale convenzione è diventata un vero e proprio riferimento per il lavoro in ambito educativo e alla base della transizione ecologica. È un programma rivolto alle scuole secondarie di primo grado, le medie, del territorio, nelle quali le lezioni su tali argomenti sono solitamente ascoltate in maniera passiva. Invece l’obiettivo di questa iniziativa è quello di far partecipare i ragazzi nella progettazione del presente e del futuro.

L’idea di Solda e Lanfrey

Donatella Solda e Damien Lanfrey, cofondatore di ‘Future Education Modena’, insieme alla Bolton Hope Foundation, hanno creato la ‘School of Sustainability’ mettendo gli studenti al centro del progetto come motore della trasformazione dei territori. L’iniziativa riconosce l’importanza di affrontare l’eco-ansia tra i giovani, promuovendo un’educazione ambientale che vada oltre la semplice rappresentazione dei fenomeni naturali per abbracciare la complessità della transizione ecologica. Un approccio interdisciplinare, che integra conoscenze scientifiche, tecnologiche e socio-culturali, è fondamentale per avere un impatto significativo.

Il progetto si avvale di strumenti digitali avanzati per l’educazione ambientale, come immagini satellitari e modelli matematici per l’analisi del territorio. Questo approccio permette agli studenti di comprendere e sperimentare direttamente le possibilità di trasformazione del loro ambiente. Inoltre, il ‘future thinking’, o la capacità di immaginare scenari futuri, è considerato cruciale per stimolare innovazione e soluzioni sostenibili.

La scuola applica il ‘challenge-based learning’ per affrontare sfide concrete come la riqualificazione urbana e la riduzione delle emissioni climalteranti, coinvolgendo gli studenti in progetti di citizen science e altre attività pratiche. In questo modo, gli studenti non solo acquisiscono nuove competenze, ma contribuiscono attivamente alla creazione di soluzioni realistiche per la transizione ecologica. Secondo Solda e Lanfrey, sono proprio gli studenti a poter fornire il motore cognitivo, sociale ed emotivo necessario per spingere il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

In conclusione

Il programma della “School of sustainability”, punta oltre ad un nuovo modello di insegnamento, teorico e pratico ma anche all’incremento del problem solving tra i ragazzi. Il tutto è effettuato attraverso l’uso del rigore scientifico e metodologico, intelligenza collettiva e uno scenario di riflessione basato sulle opportunità di cambiamento e sulla ricerca di soluzioni possibili. I temi che verranno intrapresi in questo percorso sono la transizione energetica degli edifici, le città verdi e la valorizzazione degli ecosistemi urbani, la pianificazione, il clima locale e il miglioramento della qualità dell’aria.

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Cuppy Clean riduce i rifiuti legati alla pausa caffè degli uffici.

By : Aldo |Maggio 27, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cuppy Clean riduce i rifiuti legati alla pausa caffè degli uffici.
Nathan Dumlao - Unsplash

Spesso e volentieri si discute sulle abitudini da cambiare per vivere una vita migliore anche sotto il profilo della sostenibilità. Solitamente ci si concentra sull’alimentazione, sui trasporti o al proprio abbigliamento ma ci sono tanti altri ambiti in cui possiamo fare la differenza ai quali non pensiamo. Tra questi troviamo anche la nostra vita in ufficio che non riguarda solo le ore passate al pc ma anche la pausa caffè.

Gli uffici

In Italia, si stima che ci siano circa 4,5 milioni di aziende attive, molte delle quali operano tramite un totale di circa 10 milioni di uffici (considerando quelli aziendali che quelli degli enti pubblici). Questi uffici, per l’insieme delle loro attività producono una quantità significativa di rifiuti, stimata in circa 800.000 tonnellate all’anno. Di questi, il 40% è costituito da carta e cartone, mentre la plastica il 20% e i materiali elettronici il 10%.  

I consumi e i rifiuti dettati dalla vita degli uffici hanno un impatto di circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalente ogni anno. Non a caso la riduzione dei rifiuti e l’adozione di pratiche sostenibili negli uffici sono cruciali per diminuire l’impatto ambientale e contribuire agli obiettivi di sostenibilità del paese. Questo è possibile migliorando operativa l’efficienza nell’uso delle risorse e la soddisfazione dei dipendenti.

Per affrontare queste problematiche, molte aziende stanno implementando soluzioni innovative. Ad esempio, la digitalizzazione dei documenti e l’introduzione di sistemi di raccolta differenziata più efficienti. Inoltre, si punta alla riduzione dei consumi energetici per mezzo di sensori di movimento per l’illuminazione e i termostati intelligenti ha contribuito a un uso più efficiente dell’energia.

Pausa caffè

Nella vita di un dipendente in ufficio è di fondamentale importanza la pausa caffè. Che sia al bar, o in una stanza con i distributori automatici, si tratta di una pausa sacra, per distrarsi e riprendere il ritmo di lavoro. Anche in questo caso però, possiamo essere più sostenibili o forse dovrebbero essere le aziende per prime a definire nuove regole e a investire su macchinari e approvvigionamenti più “green”.  

Per esempio, in Italia un dipendente consuma una media di 3 caffè al giorno. Quindi con i dati citati prima capiamo quanto caffè viene consumato quotidianamente in ufficio, ma soprattutto quanti rifiuti si creano. Per l’esattezza, vengono buttati ogni giorno 30 milioni di bicchieri al giorno, ossia bicchierini di carta ma anche in plastica che vengono consumati per qualche minuto che diventano una quantità enorme di rifiuti.

Le aziende stanno quindi iniziando a promuovere l’uso di alternative più ecologiche, come bicchieri riutilizzabili o compostabili, per ridurre l’impatto ambientale delle pause caffè negli uffici. Ma c’è chi si è spinto oltre.

Cuppy Clean

Per rimediare a tale problematica il CEO di Lamec Cablaggi, ha fondato la startup Cuppy Clean. Si tratta di un’impresa che produce un dispositivo che consente di sostituire i bicchierini di carta usa-e-getta per il caffè, con tazzine di ceramica. La caratteristica principale è quella di non produrre rifiuti, assicurando un minore impatto ambientale, comodità ed igiene, un’opera non facile da portare a termine.

Il macchinario creato sembra un mobiletto da cucina che contiene in meno di 1 m2 sia l’impianto di igienizzazione che 4 cassetti per le 24 tazzine. Il suo successo, proprio negli uffici dell’azienda di cablaggi, è determinato dall’efficienza e la sostenibilità del prodotto, nato dopo quattro anni di sviluppo di un complesso sistema.

Di preciso il macchinario è composto da un impianto di igienizzazione basato sul vapore capace di eliminare fino al 99,997% dei microrganismi (virus, germi, batteri, funghi, spore e lieviti). I getti di vapore a 140° usano solamente 15 ml di acqua, per un lavaggio a 360° nell’arco di 18 secondi. Il vapore durate l’azione viene aspirato sia per preservare gli ambienti che per recuperare una parte di acqua da riutilizzare (quella della condensa). Il serbatoio del macchinario è di 5L i quali assicurano 300 lavaggi per mezzo di un detergente naturale a base di acido citrico.

L’impatto ambientale

Grazie alle sue caratteristiche, Cuppy Clean ha un ridotto impatto ambientale, minore anche a tutte quelle pratiche portate avanti quotidianamente da tutti noi. Il sistema che oggi è un vero e proprio prodotto commerciale ha un consumo di 5W per singolo lavaggio a vapore (simile ad una lampadina a led). Inoltre, secondo uno studio della Carbon Foot Print, un caffè servito con tazzina lavata in lavastoviglie professionale ha un impatto di 4 mg di CO2, mentre con Cuppy Clean addirittura si scende a soli 2,5 mg di CO2. Mentre se si trattasse di un bicchiere di carta, i mg di CO2 emessi sarebbero 22.

Sembra proprio che Cuppy Clean sia un’ottima soluzione ad una questione di cui si parla poco. Solamente scegliendo un’alternativa del genere si risparmiano chili di rifiuti ed altrettante emissioni di CO2 e si migliora anche l’esperienza del caffè in ufficio.

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“Oasi urbane di biodiversità”: il progetto per la protezione degli insetti impollinatori.

By : Aldo |Maggio 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “Oasi urbane di biodiversità”: il progetto per la protezione degli insetti impollinatori.
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Anche se il tempo non promette bene, la primavera è arrivata e con essa sono arrivati i profumi e i colori delle piante in fiore. Ogni anno sembra una magia, un colpo di scena che cambia tutti i nostri paesaggi; una trasformazione che mai dobbiamo dare per scontata e che dovremmo proteggere ad ogni costo. Questo perchè si tratta di un processo che è alla base della nostra vita senza il quale non potremmo mangiare e quindi vivere. Per questo è fondamentale la salvaguardia degli insetti impollinatori.   

Maggio e la biodiversità

Il 22 maggio si celebra La Giornata Mondiale della Biodiversità, per riflettere sull’importanza della diversità biologica per il nostro pianeta. Venne istituita il 22 maggio del 1992, in coincidenza con l’adozione della Convenzione sulla Diversità Biologica, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) di Rio de Janeiro. Il testo approvato è ancora oggi uno degli accordi internazionali più importanti per la conservazione della biodiversità che evidenzia il bisogno di azioni coordinate a livello globale per proteggere gli ecosistemi terrestri e marini.

Tale ricorrenza, rappresenta un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della biodiversità delle specie ed il suo ruolo vitale per il mantenimento dell’equilibrio ecologico. Inoltre, è un momento per promuovere nuove politiche, abitudini volte alla salvaguardia di tale caratteristica quindi di tutte le specie animali e vegetali esistenti sul nostro Pianeta.

Tuttavia, è significativo notare che la Giornata Mondiale della Biodiversità segue di poco la Giornata Mondiale delle Api, celebrata il 20 maggio. La vicinanza di queste due ricorrenze sottolinea proprio la rilevanza di tali argomenti, la loro correlazione ed insieme sono un inno alla Terra e alla sua protezione. Questo perché le api, come tutti gli insetti impollinatori, sono cruciali per l’ecosistema globale poiché è grazie a loro che tantissime piante possono fiorire e darci i frutti di cui ci cibiamo quotidianamente.

La biodiversità degli impollinatori

La Giornata Mondiale delle Api venne istituita nel 2017 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite su richiesta della Slovenia, nel giorno che corrisponde alla nascita di Anton Janša, un pioniere delle tecniche di apicoltura moderna. Anche in questo caso la ricorrenza è volta alla sensibilizzazione dei cittadini, dei governi e degli Stati sul tema, attraverso attività, convegni, manifestazioni e tanto altro.

Queste sono giornate necessarie anche per ricordare e descrivere il rischio di estinzione che molte specie di insetti impollinatori stanno vivendo. Nello specifico il WWF dichiara che ci sono oltre 20 mila specie che garantiscono l’indispensabile servizio di impollinazione da cui dipende quasi il 90% di tutte le piante selvatiche con fiore. Nello specifico, l’80% di queste producono cibo e prodotti per il consumo umano, pari al 35% della produzione agricola mondiale, per un valore economico annuo globale stimato di oltre 153 miliardi e 22 miliardi di euro in Europa. Nonostante ciò, per l’impatto umano, il 9,2% delle 1.965 specie di api presenti in Europa sta per sparire mentre un altro 5,2% potrebbe essere minacciato nel prossimo futuro (dati della Red List IUCN).

Campus X per le api

Di fronte a tali problemi, non si può restare indifferenti e a proposito Campus X ha deciso di dimostrare il suo impegno con un progetto volto alla protezione della natura. CX Campus & Hotel è una società leader nello student housing e short stay, una nuova imprenditoria con lo scopo di rinnovare i campus studenteschi in Italia. La loro idea si ispira ai modelli dei campus nordici, soprattutto per il tipo di strutture, di servizi, comfort e per la loro avanguardia in temi come quello della sostenibilità.

Ed è proprio su questo punto che Campus X vuole migliorare, sia per una questione aziendale, che per una maggiore sensibilizzazione degli studenti che abitano i suoi studentati. La società ha lanciato un progetto insieme alla Fondazione Experience (ente filantropico attivo nelle questioni di mobilità studentesca e del diritto allo studio) e a 3Bee (startup agri-tech specializzata nella salvaguardia e la protezione delle api) per la salvaguardia delle api.

“Creare città a misura di api: oasi urbane di biodiversità” è il nome dell’iniziativa che prevede l’installazione di casette per gli insetti impollinatori. Farfalle, coccinelle, api e altri insetti potranno quindi rifugiarsi e completare i loro cicli vitali in queste piccole scatole in legno composte da canne di bambù. Tali “oasi” si trovano proprio all’interno dei Campus di Roma, Bari, Chieti, Firenze e Torino Belfiore e successivamente arriveranno anche a Trieste, Milano Bicocca e Milano Novate.

Il connubio tra la protezione dell’ambiente e i giovani sembra ormai un tema scontato, forse però è l’incontro più importante per un futuro migliore. Che il progetto sia stato lanciato proprio nei campus degli studenti non è una casualità e sicuramente i ragazzi potranno giovare di tale iniziativa dimostrando che anche queste “piccole” scelte fanno la differenza nel loro futuro.

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Overshoot Day: il 19 maggio l’Italia ha esaurito tutte le sue risorse per il 2024.  

By : Aldo |Maggio 19, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Overshoot Day: il 19 maggio l’Italia ha esaurito tutte le sue risorse per il 2024.  
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Cambiare le nostre abitudini è cruciale per ridurre il nostro impatto sul mondo, poiché le azioni quotidiane di ciascuno di noi contribuiscono significativamente alla crisi ambientale globale. Adottare comportamenti sostenibili, quindi uno stile di vita più consapevole, non solo aiuta a preservare l’ecosistema, ma promuove anche una cultura di responsabilità ambientale che può essere condivisa da tutti. Dunque, fare un passo indietro per dare una svolta alle nostre abitudini è un passo fondamentale per garantire un futuro più sostenibile e sano per le generazioni future.

Overshoot Day

L’Overshoot Day, è una data simbolica che segna il punto dell’anno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse naturali che il pianeta è in grado di rigenerare in dodici mesi. Venne istituita dal Global Footprint Network negli anni ’70, per studiare il crescente squilibrio tra il consumo umano e la capacità della Terra di rigenerare le sue risorse.

Negli ultimi decenni, l’Overshoot Day è stato anticipato progressivamente, evidenziando l’aumento del consumo eccessivo delle risorse da parte dell’uomo.  Per esempio, nel 1987 cadeva il 19 dicembre, mentre nel 2023 è stato il 2 agosto. Questo trend allarmante sottolinea la necessità urgente di adottare pratiche più sostenibili per invertire la tendenza.

In Italia, l’Overshoot Day è stato calcolato per la prima volta nel 2015. Anche nel nostro caso, il giorno retrocede in maniera progressiva. Pertanto, sarebbe fondamentale sensibilizzare tutti, dai governi alle aziende, compresi i cittadini, sull’importanza di ridurre l’impronta ecologica e promuovere uno sviluppo sostenibile.

19 maggio 2024

Per il 2024 l’Italia ha dato il meglio di sé. Il 19 maggio si registra l’Overshoot Day italiano, quindi da questo giorno in poi siamo in deficit con la terra. Precisamente, fa notare il WWF, se tutti vivessero e consumassero come noi, servirebbero le risorse di quasi 3 Pianeti.  O in termini più vicini, oggi per soddisfare i consumi annui degli italiani sarebbero necessarie più di 4 Italie.

Il limite superato dalla Penisola è stato segnalato come di consuetudine dal Global Footprint Network che misura annualmente la domanda di risorse e servizi da parte di una popolazione e l’offerta di risorse e servizi da parte dei loro ecosistemi. Infatti, da domenica gli italiani sono in “deficit ecologico” quindi spendiamo più risorse di quelle che abbiamo e immettiamo in atmosfera più CO2 della capacità che hanno gli ecosistemi di assorbirla.

L’impronta dell’Italia è determinata principalmente dai trasporti e dal consumo alimentare. Pertanto, sarebbe necessario che il governo attui delle politiche in tal senso, provando a incrementare gli incentivi e delle nuove abitudini riguardanti il consumo alimentare e l’utilizzo dei trasporti. Potremmo quindi mangiare meno carne, pesce e derivati, scegliere cibo fresco e di stagione per contribuire ad una maggiore sostenibilità, favorendo il mercato locale. Dopodiché sarebbe opportuno limitare lo spreco alimentare, sia in fase di preparazione dei cibi che dopo il loro consumo, poiché ad oggi buttiamo quasi 30 kg di cibo a testa l’anno.

Per quanto riguarda i trasporti sarebbe adeguato scegliere i mezzi pubblici, la bicicletta se la città in cui si vive e si lavora lo consente o in generale ridurre quanto possibile l’uso delle proprie autovetture. Da anni sono stati investiti grandi premi per incentivare l’acquisto di mezzi elettrici, ibridi e la scelta di ricariche da energie rinnovabili.

Il resto del mondo 

Ovviamente l’Italia non è l’unica Nazione ad aver superato i propri limiti. Senza dubbio è un traguardo tutt’altro che positivo, ma di certo ci sono Paesi che hanno fatto di peggio. Questo non vuol dire che si possa restare indifferenti alla questione, anzi, dovrebbe essere una spinta a fare sempre meglio. Tuttavia, come anticipato, paesi come il Qatar e il Lussemburgo hanno esaurito tutte le loro scorte a febbraio. Mentre Emirati Arabi, Stati Uniti, Canada, Danimarca e Belgio sono riusciti a raggiungere il mese di marzo.

Al contrario il Belpaese che ha un’impronta ecologica di 4 ettari globali (gha) pro capite, si trova in condizioni peggiori rispetto la Spagna che ne registra 3,9 gha pro capite. In ogni caso, l’impronta italiana è più bassa della media europea.

È necessario che tale situazione migliori e per far si che ci sia una maggiore sostenibilità nel nostro pianeta servono azioni concrete in breve tempo. In effetti non possiamo aspettare ancora troppo tempo poiché il cambiamento climatico non aspetta i cambiamenti dell’uomo. Ne tantomeno la Terra cambierà i suoi tempi per favorire la popolazione mondiale.

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“Archeoplastica”: il museo virtuale sulla plastica raccolta in mare e in spiaggia.

By : Aldo |Maggio 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su “Archeoplastica”: il museo virtuale sulla plastica raccolta in mare e in spiaggia.
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Quando si parla di rifiuti è scontato che si arrivi a discutere della plastica: del suo ruolo nelle nostre vite, della sua comodità, ma anche dei problemi che sta causando al pianeta. C’è poi chi pensa che debba essere eliminata totalmente, chi è favorevole ad una graduale riduzione e chi invece non si fa problemi nell’utilizzarla in modo spropositato. Oggi però si parla di chi ha fatto della plastica, un ricordo, un cimelio storico da osservare e studiare in un museo innovativo.

Il fondatore

Enzo Suma è una guida naturalistica di Ostuni, laureato Scienze ambientali all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha sempre nutrito una forte passione per la natura, pertanto dopo la laurea ha iniziato una carriera dedita alla sua protezione. Tornato in Puglia, intraprende dei percorsi lavorativi nelle aree protette pugliesi specializzandosi nell’educazione ambientale, diventando così una guida naturalistica professionale. Successivamente, la sua attenzione viene catturata dai cosiddetti “ulivi monumentali” tipici della sua terra natia, Ostuni.

L’interesse verso questi esemplari fu tale da far nascere creare un progetto apposito chiamato “MILLENARI DI PUGLIA” volto alla valorizzazione degli ulivi monumentali pugliesi. In questo modo ha sensibilizzato la popolazione sul valore di questi alberi, che senza guida molti non avrebbero avuto modo di conoscere.

Il fondatore di Archeoplastica non si è fermato a questo; infatti, ha continuato a lavorare nell’ambito, per la protezione del fratino e della tartaruga marina. Insomma, si tratta di una persona totalmente dedicata alla salvaguardia della natura, che spazia dal settore botanico a quello zoologico. Ma dal 2018, ha investito il suo tempo anche in un’altra iniziativa che in breve tempo è diventata rilevante sotto vari punti di vista ed anche virale.

Le origini del museo

Nel 2018 decide di impegnarsi anche in un altro fronte e si attiva organizzando giornate di pulizia delle spiagge. Ed è proprio durante tali attività che si rende conto di aver raccolto dei rifiuti di plastica che risalivano addirittura alla fine degli anni ’60. Da quel momento ha fatto sì che la gente controllasse bene i rifiuti che trovava in modo da sensibilizzare “sul campo” i volontari dell’iniziativa.


Raccolta dopo raccolta, Enzo aveva tenuto da parte ben 200 reperti di questo genere ed ha avuto l’idea che lo ha reso virale in poco tempo. Si tratta del suo museo interattivo sui “cimeli” di plastica raccolti durante le pulizie delle spiagge. Così nasce Archeoplastica, un progetto che prevede la creazione di un museo virtuale e mostre fisiche mirati alla sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento marino e dell’impatto della plastica sul mondo. Questo messaggio sarà veicolato proprio grazie alla mostra degli oggetti recuperati.

Il progetto è stato ufficializzato poi nel 2021, quando, dopo aver raccolto ben 200 rifiuti “antichi”, è stato possibile creare un museo digitale. Questo vuol dire che Musa, con dei collabatori si è impegnato a ricostruire la storia di ogni oggetto, proprio come in una mostra o in un museo storico.

“Archeoplastica”

Da qualche raccolta in spiaggia al museo digitale, fino ad una vera e propria mostra; Arecheoplastica p diventata il simbolo della sensibilizzazione sul tema, soprattutto online. Partiamo dal museo virtuale, che occupa una sezione del sito dell’ente. Questa è dedicata totalmente ai reperti catalogati: ognuno riporta un’immagine, un nome (solitamente correlato al marchio che lo ha prodotto), una breve descrizione sul suo utilizzo e l’anno di riferimento. Sono anche divisi per annate dagli anni ’60 fino agli ’80. Inoltre è possibile avere un’esperienza diversa nella sezione 3D, nella quale si possono guardare a 360° solo alcuni dei reperti in mostra.


Successivamente è stata allestita una mostra itinerante, un progetto espositivo che racconta la storia senza fine della plastica accumulata nei nostri mari. Si tratta di un’esperienza educativa rivolta a cittadini, turisti e studenti che sottolinea tanti aspetti di questo tema tra cui:

  • l’importanza della sostenibilità
  • l’impatto umano
  • l’impatto della plastica e la sua durata.

Nel tempo poi sia il museo che la mostra sono sbarcati sui social tanto da rendere il progetto virale tanto da poter dire che esiste una vera e propria community sui social. Le cifre toccano il mezzo milione di follower, un numero enorme per il tema di cui si parla e per i messaggi che si diffondono.

Il lavoro di Enzo Suma è stato meticoloso e innovativo ed ha permesso la sensibilizzazione di un grandissimo bacino di persone, cosa non semplice da attuare e di grande rilevanza per il nostro futuro.

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Barriere fonoassorbenti fotovoltaiche arrivano anche nelle autostrade italiane.

By : Aldo |Maggio 13, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Barriere fonoassorbenti fotovoltaiche arrivano anche nelle autostrade italiane.
kimi lee - Unsplash

Quando si pensa alle nuove strutture, bisogna sempre tenere conto della sostenibilità di tale opera. In alcuni casi è più complesso, dispendioso in altri è semplice ed intuitivo. Tuttavia, un buon approccio alla tematica è quella di capire come un nuovo prodotto o una nuova struttura, possa ridurre il suo impatto sull’ambiente o come possa creare vantaggi in questo senso. Autostrade per l’Italia ha pensato di unire un’esigenza ad un beneficio creando delle nuove barriere.

Le strutture

Le strutture fonoassorbenti lungo le autostrade e le ferrovie giocano un ruolo fondamentale nel mitigare i livelli di rumore generati dal traffico. Secondo studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il rumore del traffico stradale può superare i 70 decibel (dB) durante il giorno, superando di gran lunga i livelli considerati sicuri per la salute umana, che si aggirano intorno ai 55 dB. Le barriere fonoassorbenti installate lungo le autostrade possono ridurre di significativamente il livello di rumore fino a circa 10-15 dB, ossia una riduzione del rumore percettibile fino al 50%.

Nel caso delle ferrovie, dove il rumore prodotto dai treni può essere ancora più elevato, le strutture fonoassorbenti possono ridurre il livello di rumore fino a 20-25 dB, garantendo un importante beneficio per le comunità circostanti. Inoltre, un rapporto della Commissione Europea indica che investire in barriere fonoassorbenti lungo le autostrade può portare a una diminuzione dei costi sanitari correlati al rumore del traffico fino al 20%, evidenziando l’importanza di tali infrastrutture per la salute pubblica e il benessere delle comunità locali.

Autostrade per l’Italia e le nuove tecnologie

Attualmente, secondo dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, circa il 40-50% della rete autostradale nazionale è dotata di barriere fonoassorbenti, mentre la copertura delle ferrovie è stimata intorno al 30-40% delle tratte principali. L’installazione e la manutenzione di queste strutture sono gestite principalmente da enti pubblici come ANAS per le autostrade e Rete Ferroviaria Italiana per le ferrovie. Per queste infrastrutture il governo italiano investe una media di circa 200-300 milioni di euro per la loro realizzazione e il loro miglioramento. Tuttavia, è importante sottolineare che l’allocazione dei fondi e l’implementazione di progetti specifici possono variare da anno a anno in base alle priorità di investimento e alle disponibilità finanziarie.

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Quest’anno però Autostrade per l’Italia vuole intraprendere un progetto innovativo, presentando le barriere fonoassorbenti fotovoltaiche. Di preciso il piano prevede l’installazione di impianti fotovoltaici integrati nelle barriere antirumore dell’autostrada, sulla A1 Milano Napoli. Il tutto è stato ideato in collaborazione con Elgea, società del Gruppo impegnata nello sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il tratto che sarà interessato da tale cambiamento riguarda l’area sud di Roma, verso lo svincolo di Valmontone.

Barriere e nuovi vantaggi

Le barriere antirumore fotovoltaiche sono una tecnologia che unisce pannelli solari e barriere fonoassorbenti per ridurre il rumore e generare energia solare. Introdotti in Svizzera nel 1989, si sono diffusi in Europa, specialmente in Germania e Svizzera, con varie configurazioni. I moduli fotovoltaici offrono diverse opzioni di installazione: possono essere posizionati inclinati sul tetto, verticalmente come prolungamento della struttura grazie alla tecnologia bifacciale, oppure integrati direttamente nel corpo dell’edificio come scandole o stringhe sulla superficie.

L’obiettivo di questa iniziativa è quello di installare 4.000 metri di nuove barriere antirumore, di cui 2.500 in direzione nord e 1.500 in direzione sud. La caratteristica e la novità del progetto sta nell’introduzione di pannelli fotovoltaici che consentiranno alle comuni barriere, di produrre energia. 300 m delle nuove barriere saranno infatti dotati di 432 moduli fotovoltaici in silicio monocristallino. Nello specifico saranno inserite ben 72 stringhe per una potenza di picco di 140 W posizionati tra i 3 e i 9,5 metri dal piano della carreggiata. Questa disposizione rappresenta consente il massimo grado di irraggiamento, con un’inclinazione di 33° ed esposizione a sud. Si stima che l’energia prodotta dalle nuove barriere sarà di circa 80MWh, contribuendo all’alimentazione del casello di Valmontone.

In questo modo una struttura usata da decenni solo per ridurre il rumore dovuto al traffico e di conseguenza il suo inquinamento acustico, garantisce un doppio beneficio dal momento in cui può produrre energia. La massimizzazione di tale opera rientra nel pensiero di un progetto innovativo sostenibile per quanto possibile. 
Magari in futuro tutte le autostrade avranno tale caratteristica.

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Pellicole e packaging a base di alghe? Grazie a “Sway” nasce una nuova circolarità.

By : Aldo |Maggio 09, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Pellicole e packaging a base di alghe? Grazie a “Sway” nasce una nuova circolarità.
Brian Yurasits - Unsplash

Quando si parla di circolarità o di economia circolare è facile imbattersi in opinioni contrastanti derivanti da esempi inesatti o comportamenti errati. C’è una cosa che però ultimamente ai giovani riesce bene, ossia la creazione di startup incentrate sulla circolarità di prodotti, cibi o strumenti. Un esempio è quello di Sway, startup californiana attiva nell’ambito del packaging sostenibile a base di alghe.

I packaging e le pellicole

Le pellicole sono materiali plastici sottili e flessibili comunemente utilizzati per una vasta gamma di scopi, dalla fotografia e il cinema alla conservazione degli alimenti e l’imballaggio. Generalmente composte da polimeri come polietilene (PE), polipropilene (PP), poliestere (PET) o PVC, offrono una combinazione unica di proprietà come trasparenza, flessibilità e resistenza alla lacerazione.

Le pellicole plastificate sono ampiamente diffuse in tutto il mondo e si stima che nel 2020 la produzione globale di pellicole in plastica abbia superato i 60 milioni di tonnellate, con un tasso di crescita annuo intorno al 4%. In particolare, il loro uso nell’imballaggio rappresenta circa il 40% di tutta la plastica utilizzata per questo scopo.

Nonostante rappresentino una grande comodità quotidiana, tali prodotti hanno un impatto significativo sull’ambiente. La loro produzione e smaltimento contribuiscono in modo significativo all’inquinamento plastico, poiché le pellicole sono spesso difficili da riciclare e possono persistere nell’ambiente per centinaia di anni. E come ogni altro prodotto di matrice polimerica, si disperdono in microparticelle che inquinano e danneggiano interi ecosistemi.

SWAY la nuova frontiera

Per affrontare questa sfida, è necessario promuovere pratiche di consumo più sostenibili, riducendo l’uso delle pellicole in plastica e investendo in alternative biodegradabili e compostabili. Senza dubbio è fondamentale migliorare i mezzi e le strutture per il riciclo e sensibilizzare le persone.

In questo senso la designer Julia Marsh ha investito il suo tempo e le sue conoscenze per poter creare una startup che offrisse una soluzione a tale problema. Per questo ha lanciato insieme a Matt Mayes (COO) e Leland Maschmeye, “Sway” una startup fondata a Berkeley che produce sostituti compostabili a base di alghe del mare al posto degli imballaggi in plastica. Il gruppo nato nel 2020, ha impiegato i primi anni nella ricerca e sviluppo di questo materiale innovativo che segue dei precisi criteri e principi della sostenibilità in ogni sua fare di produzione e sviluppo. E non si tratta dei soliti ragionamenti fatti per apparire “green”, poiché il pensiero della CEO è ben preciso:

Crediamo che i materiali di uso quotidiano debbano contribuire a rifornire il Pianeta, dal mare al suolo. Il lancio dei nostri materiali termoplastici a base di alghe rappresenta un progresso tangibile verso un futuro più circolare”.

La bio resina TPSea

La startup ha studiato una tecnologia che, per la prima volta, consentirà la sostituzione della tipica pellicola di plastica flessibile con un film composto di alghe del marine.  Il prodotto creato è una nuova resina biopolimerica di alghe termoplastiche denominata TPSea. È un ingrediente 100% biologico, compostabile e privo di microplastiche ottenuto per mezzo di una coltura oceanica rigenerativa in grado di ricostituire gli ecosistemi e sostenere le comunità costiere. Tale elemento viene usato per la produzione di sacchetti, buste per la vendita al dettaglio e packaging alimentari e non solo. Perché nel sito di SWAY si vende anche il “polimero” sfuso, per dare spazio alla fantasia del cliente.

La prima apparizione del prodotto è avvenuta a Parigi durante il Biofabricate 2024 a gennaio, dopo essersi aggiudicata il primo posto al Tom Ford Plastic Innovation Prize powered by Lonely Whale lo scorso anno. Dopodiché il progetto ha ottenuto un grande successo che gli ha permesso di ricevere un finanziamento da 5 milioni di dollari da Third Nature Investments (che include investimenti anche da parte di altri investitori allineati al settore della eco sostenibilità).

Una caratteristica fondamentale di questo programma è la sostenibilità relativa anche alla coltura delle alghe, che si basa su specifici principi quali:

  • la coltura internazionale, poiché l’azienda collabora con allevatori di tutto il mondo. Questo è importante perchè consente alla startup di restare indipendente dai fornitori e dalle aree di coltura. Inoltre, diventa un fattore di sicurezza nella produzione, poiché se una coltura subisce degli eventi estremi, non intacca l’intera società;
  • la rimozione dell’alga prevede il solo taglio in superficie e non l’eradicazione, in modo tale da non rimuovere totalmente e in modo ripetuto le alghe. Così facendo si assicurano i vantaggi tipici di questi organismi nei vari ecosistemi in cui si trovano;
  • i fornitori sono stati scelti a seconda di standard ambientali e sociali imposti dalla Aquaculture Stewardship Council.

Il futuro di SWAY sembra luminoso e pronto o in fase di preparazione ad una produzione su larga scala, mirato oltre che ai marchi di moda anche al cibo e agli articoli per la casa.

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Il nuovo grattacielo di Londra a zero emissioni di “18 Blackfriars Road”.

By : Aldo |Maggio 03, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il nuovo grattacielo di Londra a zero emissioni di “18 Blackfriars Road”.
Benjamin Davies - Unsplash

Gli skyline del mondo offrono dei paesaggi mozzafiato, soprattutto se vissuti all’interno di uno dei migliaia di grattacieli che esistono. Senza dubbio si parla di strutture straordinarie, con impieghi commerciali e forme particolari, ma sono pur sempre edifici immensi di cemento con un impatto significativo sull’ambiente circostante, per questo a Londra si mira alla sostenibilità con il nuovo progetto di “18 Blackfriars Road” .

Lo skyline di Londra

Lo skyline di Londra, si trova principalmente nella zona finanziaria conosciuta come “The City”, un’area con una vista mozzafiato. Tale paesaggio rappresenta la fusione tra l’antico e il moderno concentrando in una sola zona la finanza della Capitale.  Infatti, i grattacieli presenti sono principalmente adibiti ad uffici, rappresentando il cuore pulsante delle attività commerciali e finanziarie della città.

I primi esempi furono il “Tower 42” e il “NatWest Tower” (ora noto come “Tower 42”), costruiti negli anni ’70 e ’80, segnando l’inizio di un’epoca di crescita verticale nella skyline londinese. Attualmente, si contano più di 30 grattacieli tra cui il più alto è “The Shard”. Si tratta di un’icona architettonica di 310 metri di altezza, che offre una vista spettacolare sulla capitale britannica e oltre.

Questi edifici, con le loro forme particolari e le loro diverse funzioni, sono testimoni della prosperità, dell’innovazione e della vitalità di Londra come centro globale. Ma è proprio per la loro rilevanza che due grandi società hanno deciso di conferire un nuovo ruolo e un nuovo valore al prossimo grattacielo londinese.

La sostenibilità edilizia

Nell’ambito dell’edilizia sono ancora tanti i passi in avanti da compiere, soprattutto se ci si concentra nel tema della sostenibilità. È fondamentale, infatti, realizzare progetti e quindi costruire nuovi edifici con la consapevolezza delle nuove necessità a livello ambientale, sociale ed economico, nonché sanitario.Non a caso il complesso di Southwark “18 Blackfriars Road” progettato da Foster + Partner ha ricevuto l’ok, per poter erigere i nuovi edifici. La particolarità però non sarà l’altezza o il numero di edifici, ma la possibilità di ottenere la prima certificazione WELL Community Gold di Londra.

La promessa di tale valutazione deriva dal fatto che il piano delle società è quello di creare il grattacielo Net Zero (a zero emissioni di carbonio) che al contrario riattiverà il 150% di biodiversità. Se il progetto riuscisse nell’intento, diventerebbe il primo edificio londinese ad aggiudicarsi tale riconoscimento.

Le specifiche del progetto

La sostenibilità del piano parte dall’area scelta dalla società progettista. Per l’appunto i due edifici verranno costruiti in un terreno soggetto a riqualificazione della superficie di 2 acri, inusato per 20 anni. Il programma prevede la realizzazione di 2 blocchi residenziali da 400 unità, di cui il 40% è destinata ad alloggi con prezzi accessibili e una torre di 45 piani per uffici innovativi.

Per rispettare l’ambiente, il piano prevede la piantumazione di oltre 100 nuovi alberi e altri elementi verdi, in modo tale da riattivare addirittura il 150% della biodiversità. Mentre, la domanda di calore di uffici e alloggi sarà soddisfatta al 95% da pompe di calore geotermiche che condividono, immagazzinano e compensano l’energia. Per quanto riguarda la costruzione vera e propria, è previsto un miglioramento del 39% rispetto alle norme più recenti sull’edilizia sostenibile.

Tuttavia, è importante ricordare che una struttura è sostenibile anche se crea vantaggi e benessere alle persone che la frequentano. Ovviamente il progetto di 18 Blackfriars Road non ha lasciato nulla al caso. Il piano è quello di creare un’area di case, uffici e negozi ma anche di luoghi e strutture per la cultura e la comunità e le attività pubbliche. Così facendo, il grattacielo non è più simbolo di finanza e di un’elite inarrivabile, ma rappresenta un concetto di condivisione non solo di spazi ma anche di idee e proposte per il futuro della città.

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Giornata internazionale della Terra. Stop alla plastica e il doodle di Google.

By : Aldo |Aprile 22, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Giornata internazionale della Terra. Stop alla plastica e il doodle di Google.
Elena Mozhvilo - Unsplash

Da anni si parla di salvaguardia della natura, della protezione del nostro pianeta e di come salvare il nostro futuro. Col tempo la ricerca sul tema è avanzata, così come la consapevolezza, gli strumenti per contrastare i problemi e la nostra sensibilità. Oggi, 22 aprile 2024 si celebra la Giornata Internazionale della Terra, precisamente la 50° giornata dedicata ad un tema fondamentale, come quello della protezione e della cura del nostro Pianeta.

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La Giornata Internazionale della Terra

La Giornata della Terra, celebrata il 22 aprile di ogni anno, è un momento dedicato all’ambiente e alla protezione del pianeta. Questa iniziativa venne promossa per la prima volta dalle Nazioni Unite, dopo la pubblicazione, nel 1962, del libro manifesto ambientalista “Primavera silenziosa” della biologa statunitense Rachel Carson. Dopodiché nel 1969, in una conferenza dell’UNESCO a San Francisco, l’attivista per la pace John McConnell propose una giornata per onorare la Terra e il concetto di pace. Queta ricorrenza venne poi istituita con una proclamazione dell’attivista firmata dall’allora Segretario generale dell’ONU, U Thant.

Così, partendo da una manifestazione studentesca, è stata istituita una giornata all’insegna dell’educazione e della sensibilizzazione a tematiche oggi discusse quotidianamente. Il 22 aprile del 1970, 20 milioni di cittadini americani, rispondendo a un appello del senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono in una storica manifestazione a difesa del nostro pianeta. Di seguito venne istituito l’Earth Day Network (EDN), un’organizzazione diventata poi internazionale per coordinare le iniziative dedicate all’ambiente durante tutto l’anno.

La sfida del 2024

La tematica principale di quest’anno, comunicata dal sito ufficiale dell’Earth Day, riguarda la riduzione della plastica nel mondo. Di preciso si pone come obiettivo quello di ridurre del 60% la produzione di tutte le plastiche entro il 2040. È stato scelto questo argomento, perché effettivamente unisce tutti in un impegno rilevante, ossia quello di chiedere la fine della plastica per il bene dell’intero pianeta. La meta di una tale manifestazione è quella di un futuro sano per tutti gli ecosistemi.

Tale obiettivo può essere raggiunto, secondo la piattaforma, attraverso una serie di azioni concrete legate alla nostra quotidianità ma non solo. Si parla infatti della sensibilizzazione delle persone sul tema ma anche sui danni causati dalla plastica alla salute di tutti gli organismi viventi. In secondo luogo, si ricorda la necessità di eliminare tutte le plastiche monouso entro il 2030 per poi arrivare e per fare ciò servono delle leggi adatte. Questo è un altro punto fondamentale, poiché con le leggi, certi processi avvengono più velocemente e in maniera controllata. Senza dubbio, bisogna investire nelle nuove tecnologie e nelle innovazioni al fine di creare un modello di sviluppo o concepire una vita senza plastica.

Non solo plastica

Tuttavia, come detto precedentemente, la Giornata della Terra non affronta una sola tematica. Ossia si sensibilizza sulla protezione del Pianeta, un processo possibile grazie ad un’ampia varietà di cambiamenti, azioni concrete e tanto studio. Di certo si discute dei temi attuali e dell’impatto negativo e delle possibili rimedi; senz’altro si può citare l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, la perdita di biodiversità e la distruzione degli ecosistemi. Ed è proprio così, che Google ha voluto celebrare questo giorno, attirando l’attenzione di tutti.

Il motore di ricerca, oltre ad essere il più usato al mondo è anche molto famoso per i suoi doodle che ci accompagnano da oltre 20 anni. Tali alterazioni speciali e temporanee del logo sulla Home page di Google, vengono usate per commemorare eventi, personaggi storici e festività. Sono sempre più interattivi e spesso mirano all’informazione, semplice ma diretta.

Quest’anno Google ha deciso di creare un doodle dedicato all’impatto visivo; una serie di foto volte a  ricordare il motivo per cui oggi, si celebra Madre Terra. Infatti, possiamo notare che il nome del motore di ricerca sia scritto con lettere “naturali”, ovvero forme createsi sulla Terra che dimostrano come l’impatto dell’uomo abbia cambiato il pianeta.

In particolare:

  • la G è formata dalle Isole Turks e Caicos che ospitano importanti aree di biodiversità, minacciate dal cambiamento climatico;
  • la prima O rappresenta il Parco Nazionale di Scorpion Reef nel Messico, il quale ospita, la più grande barriera corallina nel sud del Golfo del Messico (area marina protetta e riserva della biosfera Unesco);
  • la seconda O è tratta dal Parco Nazionale di Vatnajökull, Islanda, patrimonio mondiale dell’UNESCO, protegge l’ecosistema intorno al più grande ghiacciaio d’Europa;
  • la seconda G associata al Parco Nazionale di Jaú, Brasile, la quale accoglie le riserve forestali più grandi del Sud America
  • la L descrive la Grande Muraglia Verde, in Nigeria, sito sotto osservazione e oggetto di studi contro la desertificazione;
  • e la E che mostra le Riserve Naturali delle Isole Pilbara, Australia, in cui si proteggono habitat ed ecosistemi fragili e rare con specie minacciate di estinzione.

Con lo scorrere di varie foto di possono notare i grandi cambiamenti di questi territori, spesso molto lontani da noi, ma pur sempre importanti per tutto il mondo. Non c’è da dire che il doodle abbia fatto centro, anche con i giochi interattivi riguardanti l’importanza delle api e del loro ruolo sul Pianeta. 

Ognuno di noi, può fare la differenza ogni giorno, in modi diversi ed anche con semplici cambiamenti. Oggi potrebbe essere il giorno giusto per prendere nuove abitudini, informarsi maggiormente e rispettare sempre più la nostra amata Terra. 

 

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Trec: il primo progetto contintale per il monitoraggio delle coste.

By : Aldo |Aprile 17, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Trec: il primo progetto contintale per il monitoraggio delle coste.
Atanas Malamov - Unsplash

Si sa, la ricerca è un lavoro fondamentale in qualsiasi ambito ed ha ancora più potere se portata avanti in collaborazione tra nazioni, enti ed associazioni. Che sia in campo scientifico, culturale, tecnologico o artistico, si tratta sempre di un’importante attività che ci garantisce uno migliore sviluppo e un futuro all’avanguardia. Così anche il progetto continentale Trec, il primo nel suo genere, avrà il suo ruolo nel nostro futuro, grazie al suo lavoro di monitoraggio delle coste europee.

  

La collaborazione nella ricerca

La ricerca nel campo della biologia e dell’ambiente rappresenta una pietra miliare nel nostro impegno per comprendere e preservare il mondo che ci circonda. La collaborazione europea tra nazioni, istituti di ricerca e associazioni riveste un’importanza fondamentale in questo contesto. Grazie alla condivisione di risorse, conoscenze e tecnologie, gli scienziati possono affrontare sfide complesse su una scala più ampia e con una prospettiva interdisciplinare. Tale cooperazione garantisce lo scambio di idee e la creazione di connessioni che accelerano il progresso scientifico.

   

Inoltre, la cooperazione consente la standardizzazione dei metodi di ricerca e dei protocolli, garantendo la coerenza e la riproducibilità dei risultati ottenuti. In questo modo è possibile affrontare questioni globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse naturali in modo più efficace ed efficiente. Infine, con valori condivisi e collaborazioni tra istituti, si favorisce lo sviluppo di politiche basate su evidenze scientifiche solide, che possono guidare azioni mirate per la protezione dell’ambiente e la promozione della salute pubblica.

  

Quindi la collaborazione europea nel campo della ricerca biologica e ambientale non solo favorisce la crescita della conoscenza scientifica, ma anche la salvaguardia del nostro pianeta per le generazioni future. Ed è proprio da queste esigenze che nasce il primo progetto continentale per il monitoraggio delle coste chiamato Trec.

  

Trec

Trec è il primo progetto al mondo di portata continentale con l’obiettivo di monitorare le coste europee. La spedizione partita un anno fa, intende infatti, monitorare lo stato di tutte le coste dell’Europa e ne studierà tutte e tre le sfere nelle loro diverse caratteristiche. Mare, terra, atmosfera saranno tutte esaminate attraverso metodologie diverse per poi descrivere un quadro complessivo delle coste del continente.

   

L’idea del programma è quella di studiare la salute di un’area precisa, in ogni suo elemento, organismo vivente e substrato. Di preciso le zone costiere sono spazi di transizione preziosi per la qualità delle condizioni di tutti gli ambienti che incrociano aria, acqua e suolo. Non a caso lo studio si concentra sul punto di incontro tra mare e terra, e nei 300 metri verso l’entroterra e nei mille verso il mare aperto a partire dalla battigia.

   

Lo studio prevede la collaborazione tra enti e istituti tra cui:

  • Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl), che guida il programma;
  • la Tara Ocean Foundation;
  • il consorzio Tara Oceans;
  • l’European Marine Biology Resource Centre (Embrc).

Oltre a loro sono inclusi oltre 150 gruppi di ricerca, 70 istituzioni, partner locali dei 21 Stati coinvolti.

    

Criteri, metodologie e strumenti.

Il piano prevede che una squadra di campionatori viaggi tra i paesi dell’Unione europea e replichi le stesse condizioni di recupero di campioni e di analisi. Tale lavoro serve per uniformare i dati ricavati e standardizzare la metodologia, così da consolidare e condividere le ricerche svolte.

    

Tutto questo è possibile grazie alla goletta Tara e all’Advance Mobile Laboratory dell’Embl, ossia un “camion-laboratorio” altamente specializzato. Il camion, infatti, si “apre” diventando un centro analisi da 40 m2, che consente agli studiosi di svolgere i loro studi durante le tappe più ricche e impegnative. In tal modo, i campioni possono essere analizzati in loco, evitando il (solito) processo di congelamento che può alterare alcune caratteristiche del campione.

   

Oltre a questi due mezzi, in Italia sarà coinvolta la nave oceanografica del Cnr Gaia Blu, che contribuirà allo studio della biodiversità microbica, con attenzione particolare alla biogeochimica.

   

Il viaggio di Tara.

La goletta ha già percorso le coste nord-europee e oceaniche, dal mar Baltico al mare del Nord fino all’Oceano Atlantico. Ora invece spetta al Mar Mediterraneo tutta l’attenzione di questa ricerca: si partirà dalla Spagna per arrivare fino in Grecia passando per l’Italia.

   
A tal proposito, nella nostra Penisola sono state individuate specifiche città in cui svolgere le analisi previste. Nella lista figurano Pisa e Napoli, Amendolara (Calabria), Lesina (Puglia) e Chioggia (Veneto), scelte poiché tutte diverse tra loro per avere dei campioni differenziati, quindi un’immagine più completa.

   

Il 15 aprile la goletta è arrivata a Pisa dove, per l’occasione sono state organizzate una serie di attività per bambini e ragazzi proprio per diffondere l’importanza di questo lavoro. Senza dubbio è una modalità che coinvolge i più giovani facilmente e può far accrescere in loro la curiosità e l’interesse verso questo settore.

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Economia circolare: sempre più importante, secondo il sondaggio di Conou.

By : Aldo |Aprile 15, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Economia circolare: sempre più importante, secondo il sondaggio di Conou.
Towfiqu barbhuiya - Unsplash

Conoscere e studiare le opinioni di una popolazione è fondamentale per capire le tendenze sociali, economiche dei cittadini. Questo discorso vale soprattutto se si trattano temi che comportano delle novità, poiché possono prevedere le tendenze future, le reali necessità dei cittadini e le possibili soluzioni. L’indagine presa in esame in questo articolo è quella condotta dal CONOU sull’economia circolare.

   

Il CONOU

Il CONOU,è il Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Usati. Si tratta di un ente italiano nato nel 1991 con l’obiettivo di gestire in modo efficiente e sostenibile gli oli lubrificanti esausti provenienti da motori e macchinari. La sua importanza in Italia è significativa poiché con il suo lavoro riduce l’impatto ambientale derivante dalla loro dispersione nell’ambiente. Grazie alle sue attività, il CONOU contribuisce inolre la salvaguardia della salute pubblica, garantendo che gli oli usati vengano smaltiti in modo sicuro e conforme alle normative vigenti.

   

La sua rilevanza è nota a livello europeo poiché è un modello all’avanguardia per cui si viene rigenerato circa il 99% dell’olio lubrificante usato raccolto. Questo è un processo che comporta minori emissioni di CO2, riduzione del consumo di acqua e suolo e costi inferiori nella bolletta energetica.


Ecomondo

Ecomondo invece, è una fiera italiana che si svolge annualmente ed è diventata uno dei principali eventi nel panorama europeo dedicato all’ambiente e alla sostenibilità. La sua prima edizione risale al 1997, e da allora è cresciuta costantemente in termini di dimensioni e rilevanza. La fiera rappresenta un punto di incontro per professionisti, istituzioni, aziende e esperti del settore ambientale, offrendo uno spazio per presentare le ultime innovazioni, tecnologie e soluzioni per la gestione sostenibile delle risorse e la protezione dell’ambiente.

    

Ecomondo è importante perché offre un’ampia panoramica su tematiche cruciali come il riciclo, l’energia rinnovabile, la gestione dei rifiuti, la mobilità sostenibile e molto altro ancora. Vi partecipano aziende leader nel settore, istituzioni nazionali e internazionali, associazioni, ONG e centri di ricerca, creando un ambiente ideale per lo scambio di conoscenze e per promuovere collaborazioni. La fiera solitamente dura diversi giorni e si svolge presso il quartiere fieristico di Rimini, offrendo un’esperienza completa e immersiva per i partecipanti.

   

Ed è proprio durante la 26° edizione di questa cornice “green” e innovativa che il CONOU ha deciso di presentare un sondaggio sull’importanza dell’economia circolare. Forse si tratta di un’analisi che non riguarda l’intera popolazione visto il contesto abbastanza specifico, ma riporta pur sempre dei dati interessanti per l’ambito.

 

L’indagine per il futuro

L’indagine svolta dal CONOU presenta dei dati di vario tipo che rappresentano conoscenza e la percezione dei visitatori sul tema dell’economia circolare. Quest’ultima sembra essere una materia sempre più importante nella società odierna tanto che 8 persone su 10 la ritengono indispensabile (passando dal 74% del 2022, al 79%). Quasi 9 su 10 associano, il concetto di Economia Circolare al riciclo e recupero dei rifiuti, mentre si riduce la percentuale di persone che ha ancora un pensiero tradizionale sulla questione (dal 18% al 12%).

   

A livello demografico, rispetto al 2022, è aumentata la partecipazione di:

  • Donne, passate dal 35% al 43%;
  • Adulti, poiché il 73% è maggiore di 24 anni.

Tali cambiamenti dimostrano un approccio consapevole da parte dei cittadini, evidenziando come sempre più giovani si avvicinino a certe tematiche.

Per quanto riguarda obblighi, doveri, il 55% degli intervistati attribuisce ai governi la responsabilità di doversi far carico delle urgenze ambientali. Contemporaneamente il 35% crede che il contrasto all’emergenza climatica spetti principalmente alle industrie e alle imprese. Solo il 9% delle persone invece, pensa sia compito dei cittadini e delle organizzazioni, quello di attivarsi per cambiare le cose.

   
Come descritto con questi dati, il concetto di economia circolare sembra aver cambiato connotati nell’arco di pochi mesi. Anno dopo anno infatti, prende sempre più un’accezione positiva e fondamentale per il futuro. A maggior ragione se si parla di investimenti, non a caso il 63% degli intervistati, ritiene necessario il finanziamento di progetti di economia circolare.

 

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L’impresa agricola torna di moda tra i giovani. Ecco il nuovo bonus.

By : Aldo |Aprile 11, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’impresa agricola torna di moda tra i giovani. Ecco il nuovo bonus.
Dan Meyers - Unsplash

L’Italia è un paese pieno di natura, di materie prime, di tradizioni e culture.  Senza dubbio molte di queste vengono tramandate di generazione in generazione per poterle conservare anche se i tempi sono cambiati e certe usanze non trovano un vero e proprio riscontro nel presente. Tuttavia, c’è un’attività che sta prendendo piede tra i giovani che è tutt’altro che innovativa. Il settore agricolo torna in voga grazie alle nuove tecnologie e agli investimenti.

  

L’agricoltura in Italia

L’agricoltura in Italia ha radici profonde che affondano nei tempi antichi, risalendo all’epoca dell’Impero Romano e oltre. La sua diffusione ha contribuito significativamente alla formazione dell’identità nazionale e alla diversificazione culturale delle varie regioni italiane. Oggi, l’agricoltura rimane un pilastro dell’economia italiana, anche se la sua importanza relativa è diminuita rispetto al passato. Secondo dati recenti, il settore agricolo contribuisce ancora significativamente al PIL nazionale, rappresentando circa il 2% del totale, con una produzione annua che supera i 50 miliardi di euro.

   

Dal punto di vista demografico, l’agricoltura ha subito una significativa trasformazione nel corso degli ultimi decenni. Infatti, se in passato rappresentava il principale impiego per la maggior parte della popolazione, oggi il numero di agricoltori è diminuito vertiginosamente a causa dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione. Tuttavia, l’agricoltura rimane ancora un importante datore di lavoro, soprattutto nelle aree rurali, e svolge un ruolo chiave nel mantenimento delle tradizioni culturali e della biodiversità.

   

Una tradizione da rinnovare

Per quanto riguarda l’interesse dei giovani nei confronti dell’agricoltura, ci sono segnali di un nuovo interesse verso questo settore. Nel 2024, i dati indicano che circa il 15% dei giovani italiani è coinvolto direttamente o indirettamente nelle pratiche agricole. Ossia, sono veri e propri agricoltori e contadini, oppure investono in aziende agricole o progetti correlati. Tale movimento sta registrando un aumento rispetto agli anni precedenti, indicando una crescente consapevolezza dell’importanza dell’agricoltura per l’economia e l’ambiente.

   

Tuttavia, nonostante questa crescita, i giovani rappresentano ancora una minoranza rispetto agli anziani (o persone di età intermedia) nel settore agricolo. Ciò evidenzia la necessità di incentivare ulteriormente l’interesse dei giovani verso l’agricoltura e creare opportunità per il loro coinvolgimento attivo in questo settore vitale. Proprio per tale esigenza, è stata approvata una nuova legge che possa incentivare i ragazzi italiani ad intraprendere una carriera in questo settore.

   

Bonus per i giovani agricoltori

La legge 36/2024 pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 26 marzo scorso, è entrata in vigore mercoledì 10 aprile e mira a grandi incentivi per i giovani. Tale legge prevede l’istituzione di un fondo che mette a disposizione 15 milioni di euro all’anno per il cofinanziamento di programmi regionali per favorire lo sviluppo del ricambio generazionale.

   

Si articola in vari tipi di supporto per diverse tipologie di attività, ma tutti i finanziamenti hanno l’obiettivo di integrare i ragazzi nel settore agricolo. Come scritto nel paragrafo precedente, non si tratta di un incentivo alla mansione di agricoltore, ma una serie di aiuti, finanziamenti e sviluppo di progetti che possano innovare e soprattutto rendere sostenibile l’agricoltura per via del lavoro fisico e mentale dei giovani.

    

In concreto il bonus lavora in 4 principali ambiti quali:

  • Contributi a fondo perduto per chi avvia un’impresa: un fondo annuo di 15 milioni di euro per sostenere giovani imprenditori agricoli tra i 18 e i 41 anni e le imprese agricole con soci che rispettano tali requisiti. I fondi saranno erogati per l’acquisto di terreni, strutture e beni strumentali, o di aziende già operative.
  • Sconti sulle tasse per gli atti di acquisto dei terreni: riduzione del 40% delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, con il versamento del 60% rispetto alle tariffe ordinarie. Inoltre, è valido uno sconto del 50% sugli onorari notarili per gli atti di compravendita fino a 200.000 euro. Infine ci sono ulteriori agevolazioni per l’acquisto di terreni confinanti con diritto di prelazione, privilegiando giovani agricoltori con specifiche competenze (quali diploma, laurea o corsi inerenti al settore).
  • Regime forfettario per i primi cinque anni: agevolazioni fiscali per le nuove attività gestite dai giovani (a chi non ha esercitato nei tre anni precedenti altra attività d’impresa agricola), con un’imposta forfettaria al 12,5% sull’intero reddito agricolo, sostituendo Irpef e Irap.
  • Credito d’imposta per la formazione: previsto fino all’80% delle spese per corsi di formazione in gestione e innovazione agricola, valido anche per giovani imprenditori dal 1° gennaio 2021.
  • Posti riservati ai giovani nei mercati comunali: disposizioni per agevolare la commercializzazione dei prodotti delle suddette imprese, riservando loro almeno il 50% degli spazi nei mercati per la vendita diretta di prodotti agricoli gestiti dai giovani.

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Da un borgo in Friuli arriva il sistema di illuminazione circolare.

By : Aldo |Aprile 08, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Da un borgo in Friuli arriva il sistema di illuminazione circolare.
Nikola Ristivojevi - Unsplash

Quando si dice che ognuno di noi può fare la differenza anche con semplici mosse, non si tratta di una falsità. Ogni cittadino del mondo ha il potere di cambiare l’ambiente che lo circonda sotto ogni punto di vista, con un impatto diverso a seconda di molteplici criteri. Ma proprio per questo concetto, possiamo parlare di un caso innovativo partito da un piccolo borgo italiano.

L’illuminazione

La transizione energetica riveste ad oggi, un’importanza cruciale per diversi motivi. Tra questi si possono citare la riduzione di emissioni di gas serra, la riduzione delle fonti di energia fossile e l’adozione di fonti rinnovabili. Tale transizione è applicabile in svariati ambiti come quello dell’illuminazione, settore in cui potrebbe fare una grande differenza. Questo ambito, a livello mondiale produce ben 200 miliardi di kg di CO2 ogni anno rappresentando più dello 0.5% delle emissioni globali. Soprattutto, se si tratta di sistemi tradizionali come le lampadine a incandescenza e le lampade fluorescenti.

In Italia, per esempio, si conta 1 lampione per ogni 6 abitanti, per un totale di 10 milioni di punti luce. Di questi circa 3 milioni e mezzo sono stati portati a LED, opzione che ha determinato da sola un risparmio energetico del 50%. In generale, l’investimento in sistemi di illuminazione più efficienti può portare a risparmi economici a lungo termine, oltre a contribuire alla creazione di un’economia più sostenibile e resiliente. Un esempio è il modello usato in un piccolo borgo friulano, che ha finanziato un sistema di illuminazione circolare, unico nel suo genere.

Il nuovo modello

Il progetto pilota concluso all’interno del borgo friulano di San Pier d’Isonzo rappresenta una vera svolta nonostante sia stato applicato ad un bacino di sole 2000 persone. Si tratta di un cambiamento che riguarda l’aspetto dell’illuminazione a 360 gradi e in chiave circolare.

Non a caso City Green Light una E.S.Co (Energy Service Company) ha confermato il primato del borgo che ha introdotto un’iniziativa più che sostenibile. Un programma che prevede un nuovo sistema di illuminazione creato con il 90% dei materiali provenienti dal riciclo e un risparmio energetico equivalente a quello di cinquanta famiglie. Si tratta del primo piano di illuminazione pubblica circolare ed efficace, che ha superato addirittura gli standard ambientali minimi (CAM) imposti dal governo.

Sarà proprio la compagnia City Green Light a gestire e mantenere gli impianti per i prossimi 9 anni, partendo con ottimi risultati che fanno ben sperare. Infatti, nel primo periodo è stato registrato un risparmio energetico superiore al 60%, rispetto al periodo precedente al progetto.

Il progetto in numeri

Se il piano potesse essere descritto in numeri, questi sarebbero:

  • 70% del materiale utilizzato per il nuovo sistema deriva da materie prime riciclate;
  • 1 tonnellata e mezzo è la quantità di materiale totale usato proprio grazie ad un’elevata percentuale di riciclo;
  • 407 punti luce sostituiti con altri a maggior efficienza su un totale di 503;
  • 130,54 MWh di risparmio energetico per via della sostituzione di vecchi sistemi d’illuminazione;
  • – 33,4 tonnellate di C02 non immesse nell’atmosfera.

Come ogni iniziativa di questo genere, all’avanguardia e necessaria per il futuro, quella di San Pier d’Isonzo potrebbe essere un modello al quale rifarsi. Anche perché, riducendo i consumi e le emissioni del sistema di illuminazione, se ne riduce l’impatto e quindi l’inquinamento luminoso.

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Pannelli fonoassorbenti dalle potature di ulivo. Ecco l’idea siciliana, sviluppata a Torino.

By : Aldo |Aprile 04, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Pannelli fonoassorbenti dalle potature di ulivo. Ecco l’idea siciliana, sviluppata a Torino.
Flor Saurina - Unsplash

Che la natura ci regala tutto ciò di cui abbiamo bisogno non è più un segreto. Ma proprio per questa enorme fortuna abbiamo il dovere di usare le risorse che ci dona nel migliore di modi. Ed è qui che entra in gioco la sostenibilità in ogni campo. In questo caso si parla del riuso di scarti agricoli per la creazione di pannelli fonoassorbenti.

   

L’importanza dell’ulivo

L’ulivo riveste un ruolo centrale nel Mediterraneo, non solo come pianta simbolo di tradizione e identità culturale e religiosa. È fondamentale anche a livello economico e ambientale. Pianta riconosciuta e valorizzata sin dall’antichità, l’ulivo e i suoi frutti costituiscono un elemento chiave della dieta mediterranea, celebrata per i suoi benefici per la salute. Nel 2023, l’Unione Europea ha dichiarato che la produzione di olio di oliva ha generato circa 8 milioni di tonnellate di scarti, i quali rappresentano circa il 30% del volume totale di olive lavorate.

   

Questo tema è rilevante soprattutto in Italia, il principale paese produttore di olio d’oliva in Europa che annualmente produce 3 milioni di tonnellate di scarti. Tuttavia, questi ultimi vengono sfruttati in maniera creativa ed efficiente, usando al 100% la risorsa, riducendo i rifiuti e quindi aiutando il pianeta. Per esempio, si usa la sansa come fertilizzante organico o per produrre energia attraverso processi di biomassa. O ancora le vinacce possono essere impiegate nella produzione di grappe e liquori, come materia prima per cosmetici e prodotti farmaceutici. Nei “rifiuti” di questo settore, possiamo considerare anche le potature, tema dell’articolo e dello studio in collaborazione tra Alcamo e Torino.

    

L’osservazione della tradizione

Un’osservazione semplice, ma illuminante, ha portato a un’idea innovativa nel campo dell’edilizia e delle nuove tecnologie.  Rossella Cottone, studentessa di Architettura al Politecnico di Torino, ha notato un contadino che bruciava potature di ulivo nei campi, scatenando la sua curiosità sul motivo dietro a tale pratica secolare. Ovviamente si tratta di processi che nel tempo si sono consolidati e fanno parte della tradizione contadina, che non per questo siano postivi per l’ambiente. Tuttavia, proprio grazie a tale incontro, la studentessa ha colto il grande potenziale della materia che aveva di fronte.

    

Così Louena Shtrepi, docente della studentessa, insieme a Valentina Serra, del Dipartimento Energia e Simonetta Pagliolico del Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia, hanno deciso di studiare a fondo questa tematica. Pertanto, hanno articolato uno studio sulla trasformazione di uno scarto agricolo in un nuovo materiale, utile per l’edilizia, prendendo spunto proprio dalla tesi di laurea di Rossella Cottone.

     

Dagli scarti all’edilizia

Il processo di trasformazione si basa sull’utilizzo del cippato ottenuto dagli dagli scarti delle potature di ulivo come materiale sfuso, un prodotto naturale sena altri elementi che limitano le lavorazioni. Questa è un’attenzione molto importante in processi simili, poiché consente di preservare e garantire le caratteristiche del materiale originale. Quindi una volta raccolti rami e foglie, si combina tutto con vari processi che portano alla formazione del cippato, che unito a sua volta forma un nuovo materiale. A questo punto si esegue un trattamento ignifugo poiché si parla sempre di materiale combustibile e da lì nasce la nuova “materia prima”. 

   

Il prodotto ottenuto è poroso con caratteristiche simili a quelle di altri materiali acustici, ovvero a fibre di poliestere. Questo consente il suo impiego nel campo dell’edilizia, precisamente in quello dell’isolamento acustico da rumori esterni. Infatti, può essere usato negli interni di appartamenti, come rivestimenti in uffici, scuole e studi di registrazione. Per di più, le cavità del materiale permettono valori di assorbimento superiori a 800 Hz, con i massimi a 1600 Hz e 4000 Hz, e il minimo a 3150 Hz.

   

Conclusioni

La produzione di pannelli fonoassorbenti con questa nuova materia potrebbe togliere tonnellate di scarti dall’ambiente ma non solo. Potrebbero consentire l’isolamento acustico a prezzi modici, quindi anche in questo caso la sostenibilità ci viene incontro in ambito economico e sociale. Anche perché i pannelli in questione, durano tanto quanto il legno, soprattutto se si tratta di applicazioni in spazi interni, quindi meno esposti alle varie condizioni ambientali che variano all’aperto.

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Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.

By : Aldo |Marzo 28, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Finanziamenti e vantaggi del bonus per l’agricoltura sostenibile.
Christian Dubovan - Unsplash

Ormai si sa, la sfida per la transizione ecologica è presente in qualsiasi ambito e settore produttivo (e non). Tra i tanti, l’agricoltura è uno di quelli più incisivi, su cui c’è un enorme margine di miglioramento per mezzo di politiche e finanziamenti. Ed è così che in Italia è arrivato il bonus per l’agricoltura sostenibile.

L’impatto dell’agricoltura

Le emissioni derivanti dall’agricoltura a livello mondiale rappresentano una gran parte del totale delle emissioni di gas serra. Infatti, l’agricoltura contribuisce approssimativamente al 24% delle emissioni globali di gas serra, con il metano e il biossido di carbonio tra i principali agenti. Inoltre, l’uso massiccio di fertilizzanti nell’agricoltura è un altro fattore importante. Tra questi i principali sono l’azoto, il fosforo e il potassio, i quali contribuiscono alla produzione di gas serra, come l’ossido nitroso ed influenzano negativamente la qualità del suolo e dell’acqua. Parallelamente, l’uso di carburanti nell’agricoltura, soprattutto per l’uso dei trattori e di altre macchine agricole, favorisce ulteriormente la produzione di emissioni, soprattutto di anidride carbonica.

    

La situazione italiana non è così differente da quella internazionale, calcolando che contribuisce per circa il 19% alla produzione di emissioni totali del Paese. In gran parte derivanti anche dai fertilizzanti con un forte impatto sulla qualità ambientale: in particolare sulla salubrità del suolo e delle falde acquifere. Senza dimenticare poi l’utilizzo dei carburanti usati nel settore.

Per questo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha pensato all’erogazione di fondi per la transizione ecologica in questo ambito. Si tratta di un bonus della cifra totale di 193 milioni di euro. 

 

Il bonus per l’agricoltura sostenibile

Il bonus presentato dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica prevede il finanziamento e il supporto della transizione ecologica nell’ambito agricolo. Si tratta di 193 milioni di euro che saranno investiti in impianti di biogas, trattori a biometano e biofertilizzanti. Ossia in tutti quei processi, sistemi o macchinari che sono ad oggi i più impattanti del settore.

   

Il bonus prevede un contributo in conto capitale pari a un massimo di 600 mila euro, che copre il 65% delle spese sostenute. La particolarità del bonus riguarda la sua partizione: infatti il 40% delle risorse spetterà al sud al quale saranno indirizzati 77,2 milioni di euro. Tuttavia, verranno finanziati progetti che mirino allo sviluppo di nuove tecniche, nuovi sistemi necessari alle pratiche agricole ma che riducano il loro impatto sull’ambiente. Dunque, si parla di programmi che possano salvaguardare il suolo, l’acqua ma anche l’atmosfera e la biodiversità.

   

Le categorie di intervento oggetto di incentivo sono di tre tipologie:

  • le “Pratiche ecologiche” nei campi e lo sviluppo di poli consortili per lo sfruttamento del digestato;
  • la sostituzione di trattori obsoleti con quelli alimentati a biometano;
  • interventi per l’efficienza degli impianti già esistenti per la produzione di biogas.

Gli interventi

Tra gli interventi previsti si possono citare quelli legati agli impianti a biogas. I progetti che mirano al loro sviluppo hanno la grande maggioranza delle risorse, ben 124 milioni di euro. Attualmente in Italia se ne contano circa 1.803 con una produzione di 2,5 miliardi di m3 di gas rinnovabile. Quest’ultimo è poi destinato alla produzione elettrica e termica rinnovabile e al consumo di biometano per i trasporti.

  

Per quanto riguarda i biofertilizzanti sono stati stanziati 54 milioni di euro, specificamente per la produzione e l’utilizzo di concime organico e l’adozione di macchinari più efficienti. Inoltre serviranno per la creazione di poli consortili dedicati al trattamento centralizzato del digestato. Il digestato non è altro che un materiale prodotto dal processo di digestione anaerobica di biomasse vegetali, scarti di allevamento e sottoprodotti animali. Essendo ricco di nutrienti come azoto, fosforo e potassio è un ottimo biofertilizzante.

   

E infine i trattori, per i quali sono stati devoluti 15 milioni di euro, per la sostituzione di quelli vecchi con quelli nuovi e più efficienti. Il bonus è previsto solo per mezzi alimentati a biometano e dotati di strumenti per l’agricoltura di precisione. Tecnica (quest’ultima) che permette di usare i trattori come supporto all’operatore che garantiscono maggiore sostenibilità e maggiore efficienza operativa.

 

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New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.

By : Aldo |Marzo 25, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su New York: il consigliere Gennaro propone una legge contro le capsule per il bucato.
Michael Discenza - Unsplash

Abbigliamento e fast fashion, fibre sintetiche, bassi prezzi e produzioni che hanno un elevato impatto sull’ambiente. Ormai non c’è dubbio che le microplastiche ritrovate in mare siano correlate principalmente al nostro abbigliamento e quindi al suo lavaggio. Ora però la lotta si è ampliata alle famose pods.

   

Microplastiche nel mondo

Le microplastiche derivanti dal lavaggio di tessuti rappresentano un’importante e preoccupante fonte di inquinamento ambientale su scala mondiale. Le stime affermano che, circa il 35% delle microplastiche presenti nei mari e negli oceani derivino direttamente dal rilascio di fibre plastiche durante il lavaggio dei tessuti. Questo fenomeno è particolarmente diffuso in tutto il mondo che purtoppo consente alle microplastiche di infiltrarsi nei cicli naturali dell’acqua diventando una minaccia per tutti gli esseri viventi, uomo compreso.

    

A livello europeo, non cambiano le percentuali previste per l’intero pianeta. Anche qui, il particolato correlato alle microfibre di plastica costituisce fino al 30% delle microplastiche rilevate nei sedimenti marini e costieri dell’Unione Europea. Questo problema è stato riconosciuto dall’UE, che ha adottato misure per contrastare l’inquinamento da microplastiche, tra cui normative per ridurre l’uso di microplastiche nei prodotti e per migliorare la gestione delle acque reflue contenenti microplastiche. Neanche l’Italia si sottrae a tale tendenza, poiché il 20% delle microplastiche presenti nel Mediterraneo sono costituite da fibre di tessuto.

    

Si tratta quindi di un problema che va affrontato e risolto urgentemente a livello mondiale, con politiche e nuove norme anche per le grandi aziende tessili. Quello che possiamo fare noi cittadini è semplice: prestare attenzione alle etichette dei vestiti, comprare il più possibile tessuti naturali e non solo. Una mossa importante è quella di scegliere adeguatamente i detersivi, questa è la lotta intrapresa dalla startup Blueland e dal consigliere municipale Democratico James Gennaro.

    

La proposta di legge di New York

Il consigliere municipale Democratico James Gennaro ha presentato una legge dal nome “Pods Are Plastic”. La campagna mira a portare l’attenzione su prodotti di uso comune come le pods, piccole capsule contenenti vari tipi di detersivi usate per i lavaggi in lavatrice. Con tale legge il consigliere vuole ribadire un concetto semplice a volte trascurato, ossia che anche queste pods sono composte di plastica, in particolare di PVA o PVOH (alcool polivinilico).

    

Si tratta di plastica, sintetica a base di petrolio e dunque inquinano tanto quanto gli altri tipi di plastica, come ricordato nello studio dei ricercatori dell’Arizona State University. L’analisi da loro compiuta nel 2021 ha incrementato l’attenzione su questo tema, con grande impegno per sensibilizzare sempre più cittadini. Tuttavia, a questa proposta, le aziende hanno risposto in maniera negativa o con dati riferiti ad analisi della American Cleaning Institute. Quest’ultimo si è fatto portavoce delle aziende, ribadendo che

il PVA si scompone in componenti non tossici, rendendolo un’alternativa più sostenibile alle plastiche tradizionali, quando viene esposto all’umidità e ai microrganismi”.

Tuttavia, secondo lo studio universitario, il 77% del PVA (circa 8mila tonnellate all’anno) che arriva negli impianti di trattamento delle acque reflue viene poi rilasciato intatto nell’ambiente. Questo succede perché spesso non ci sono i microrganismi giusti negli impianti. Oppure il tempo di permanenza del materiale è troppo breve, con un massimo di una settimana, quando sarebbero ideali 60 giorni, per una degradazione del 90%.

   

Le critiche

Alla proposta di legge del consigliere Gennaro, ha risposto lo stesso American Cleaning Institute, che invece lo accusa di aver supportato la sua proposta con dati non veritieri. Ed inoltre afferma che la stessa startup Blueland, abbia creato una campagna di disinformazione sul tema, servendosi proprio della ricerca dell’Arizona State University.

    

Un’altra forte opposizione arriva dall’ U.S. Environmental Protection Agency, la quale ha rigettato ogni richiesta dell’impresa, riguardante la rimozione del PVA dall’elenco delle sostanze chimiche sicure. L’ente nazionale ha affermato che le base dati sarebbero incomplete e che gli studi invece confermino la sicurezza del composto.

   

L’unica cosa su cui concordano tutti i ricercatori è che la sorgente di diffusione di microplastiche più vicina ai cittadini è la lavatrice. I dati sono certi e nel 2019 si paralava di ben 1,5 milioni di microfibre di plastica per kg di tessuto lavato. Microparticelle che poi arrivano in mare ogni anno, con un peso specifico tra i 200.000 e le 500.000 tonnellate.  Nel frattempo, Blueland si fa strada nella sostenibilità con la produzione di prodotti di detersione in compresse vegane, prive di PVA, parabeni, fosfati, ammoniaca, candeggina, ftalati e tanti altri elementi chimici nocivi per l’ambiente.  

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Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.

By : Aldo |Marzo 21, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ecopneus: il progetto sul riciclo dei PFU che premia le scuole.
Sigmund - Unsplash

La formazione dei ragazzi è la soluzione più efficace per crescere delle persone che abbiano una consapevolezza del loro ruolo nel mondo e di quello che li circonda. Per questo sono molto importanti progetti ed iniziative scolastiche che riguardino tutti gli ambiti della vita di una persona, dall’aspetto personale, sportivo a quello di educazione civica, come il progetto Ecopneus.


Il problema dei PFU

I Pneumatici Fuori Uso (PFU) rappresentano un’importante categoria di rifiuti nell’ambito dell’economia circolare. Nel mondo, si stima che vengano generati circa 1,5 miliardi di PFU ogni anno, con una percentuale significativa proveniente dall’Europa. Secondo i dati più recenti, l’Europa produce circa il 25% dei PFU mondiali, pari a circa 375 milioni di pneumatici all’anno. In Italia, invece, se ne generano approssimativamente 180.000 tonnellate annue rappresentando circa il 12% del totale europeo.

Queste cifre sottolineano la necessità di nuove ed efficaci strategie di gestione dei rifiuti, del loro riciclo e riutilizzo per uno smaltimento corretto e sostenibile dei PFU. Ad oggi ci sono varie tecniche di riciclo di questo materiale tra le quali:

  • Triturazione e granulazione, che consentono il loro impiego nell’edilizia o nel settore stradale o ancora per la produzione di tappeti per parchi giochi e pavimentazioni in gomma;
  • Riciclo del tessuto in fibra, sempre usata per tappeti, materassi o isolamento acustico;
  • Riciclo dell’acciaio e della fibra di nylon, materiali estratti dagli pneumatici, recuperati e usati in altri settori.

In particolare, la prima soluzione è stata al centro di un grande progetto nelle scuole italiane volto alla sensibilizzazione sul tema del riciclo dei PFU. Il programma è stato promosso dalla società Ecopneus che ha conferito premi “unici” alle scuole.

   

Ecopneus

Ecopneus è una società senza scopo di lucro, responsabile del rintracciamento, della raccolta, del trattamento e del recupero degli Pneumatici Fuori Uso (PFU) in Italia. Venne fondata dai principali produttori di pneumatici nel paese, ed è obbligata secondo l’articolo 228 del Decreto Legislativo 152/2006 a gestire una quantità di PFU equivalente a quella immessa nel mercato nell’anno precedente, seguendo il principio della Responsabilità Estesa del Produttore. Inoltre, si occupa del loro tracciamento e della rendicontazione verso le autorità, oltre a promuovere l’uso della gomma riciclata e sensibilizzare sul riciclo. Il suo obiettivo è quello di garantire il recupero di circa 200.000 tonnellate di PFU all’anno.

    

Attualmente, conta 50 soci, ossia aziende di produzione o importazione di pneumatici che si sono volontariamente affiliate a Ecopneus.  La società venne incaricata di questo ruolo nel 2011, poiché mancava un sistema nazionale strutturato per la gestione completa dei PFU. Quindi con questo investimento si assistì ad un grande cambiamento, visto che ogni anno in Italia circa 350.000 tonnellate di pneumatici, equivalente a oltre 38 milioni di pneumatici per auto, raggiungono la fine della loro vita utile.

    

Da quel momento la filiera è organizzata su un modello innovativo che racchiude una rete di aziende qualificate, incaricate di tutte le operazioni necessarie. Quindi dalla raccolta al trasporto dei PFU agli impianti specializzati per il trattamento e il recupero, garantendo il raggiungimento degli obiettivi ambientali al minimo costo. Ecopneus però è anche impegnata molto nella sensibilizzazione sul tema e proprio dal 2012 porta avanti questo programma anche nelle scuole per mezzo di differenti iniziative.

 

I progetti educativi nelle scuole

Ecopneus in collaborazione con Legambiente, hanno creato un programma di sensibilizzazione sul tema dei PFU diffuso in tutta Italia. Ad oggi ha coinvolto 11 regione italiane, circa 12.000 studenti e 4.200 docenti e inoltre ha donato ben 11 superfici sportive per la riqualifica delle palestre. In più ha dotato le suole di nuove infrastrutture sostenibili e performanti che rappresentano spazi sportivi e di aggregazione. I beneficiari di tali opere sono i giovani studenti e gli atleti delle associazioni sportive territoriali. Questa volta, hanno partecipato le scuole secondarie di primo e di secondo grado dell’Umbria. Gli educatori di Legambiente hanno aiutato i ragazzi ad approfondire i temi del riciclo in generale e della gomma riciclata da PFU nello specifico.

    

A vincere la XII edizione del premio sono state le classi dell’Istituto Comprensivo Pianciani-Manzoni di Spoleto con il video Nuova vita ai PFU-Ecopneus sei un eroe e quelle del Liceo Linguistico Gandhi di Narni Scalo con il video Destinazione Futuro. I lavori dei ragazzi erano incentrati sul corretto riciclo del materiale in esame e sono stati giudicati dai tecnici del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di Ecopneus e Legambiente. La società, quindi, premierà le due scuole, con un campo da basket 3×3 in gomma riciclata, per promuovere anche la legalità e la tutela ambientale.

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Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.

By : Aldo |Marzo 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con il cambiamento climatico cambiano anche i sistemi assicurativi.
Scott Graham - Unsplash

Come sottolineato più volte, il cambiamento climatico comporta delle modifiche in tantissimi ambiti. Eppure, ogni giorno si parla di un nuovo settore in cui si riscontrano nuove problematiche e/o innovazioni correlate a questo tema. Oggi si parla anche delle assicurazioni.


I danni dei fenomeni estremi

Negli ultimi anni, i danni legati ai cambiamenti climatici hanno raggiunto cifre allarmanti. Nel 2023, in particolare, si è registrato un significativo aumento rispetto agli anni precedenti incrementando esponenzialmente i costi economici ad essi correlati. I numeri da capogiro sono tali da gravare pesantemente sul bilancio delle nazioni coinvolte. In Italia, gli eventi estremi si sono moltiplicati, con un numero record di disastri naturali come alluvioni, ondate di calore, e incendi boschivi. Questi hanno causato danni devastanti alle infrastrutture, all’agricoltura e alla vita delle persone.

    

Pertanto, si rafforza la necessità di adottare misure concrete per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici, poiché il costo umano, economico e ambientale continua a crescere in modo inarrestabile. Il peso economico di tali fenomeni viene studiato ed è diventato una tematica rilevante anche nell’ambito delle assicurazioni, con non pochi dubbi, richieste e scontri di pensiero.

    

Il cambiamento delle assicurazioni

Le assicurazioni di tutto il mondo sono ormai entrate in un vortice che riguarda i risarcimenti per danni legati ai fenomeni estremi, riconducibili al cambiamento climatico. La questione risulta complicata poiché nello stesso momento le compagnie stanno aumentano le franchigie e i premi ed alcune addirittura negano le coperture, con conseguenze che ricadono su cittadini ed imprese.

   

Sebbene non si tratti di una questione semplice è ancora più complicato spiegare i movimenti finanziari e le decisioni alla base di tale mercato, tanto da coniare un termine: uninsurability crisis. Un esempio che può spiegare la situazione è quello riguardante la Florida, dove i prezzi delle assicurazioni per le case sono triplicati. A causa dell’aumento della frequenza degli uragani e della loro potenza, si è passati dai 1988 dollari del 2019 ai 6.000 dollari di oggi.  

   

Sicuramente la Penisola italiana non ha registrato gli stessi danni degli Stati Uniti, ma l’allerta è aumentata da qualche anno. Difatti, dopo le grandinate dello scorso luglio, sono arrivate tantissime segnalazioni dei cittadini che addirittura non riuscivano più ad acquistare coperture per gli eventi atmosferici, vista l’enorme domanda. Fino al 2022 si trattava di un anno stabile, mentre il 2023 ha registrato delle cifre oltre le previsioni, tanto da far dubitare gli esperti sull’eccezionalità della questione.

 

Il sistema assicurativo

Le assicurazioni funzionano poiché esiste il concetto di “mutualità”. Per tale sistema, ci si assicura per tutelarsi dall’imprevisto (che nella gran parte dei casi non si verificherà). Tuttavia, la somma dei premi raccolti consente di risarcire chi riporta il danno: si tratta di una scommessa (calcolata con modelli matematici) per le compagnie e per il singolo, che però alimentano un sistema globale. Quindi se si verifica un uragano, si registreranno perdite ingenti, che saranno compensate comunque dalla raccolta dei premi effettuata in altre aree. Così non si ci sono problemi per il riassicuratore.

   

Sebbene si tratti di un sistema consolidato, si evidenziano le lacune quando si tratta di danni legati al clima, poiché aumenta la frequenza e la potenza degli eventi nello stesso momento in tutto il mondo. In questo caso, non ci si può rifare al concetto di mutualità e per questo diventa difficile calcolare nuove polizze, nuovi premi o contratti.  Soprattutto perché gli obiettivi degli assicuratori è quello di continuare a garantire tali protezioni al cliente, senza venire meno alle logiche economiche del mercato.

   

C’è da dire però, che il rialzo dei premi non dipende solamente dal fattore climatico ma anche dall’inflazione e da tutti i fenomeni macroeconomici globali. Lo Stato italiano si è mosso in questo senso, con la nuova legge di bilancio, la quale impone che le imprese si assicurino contro i rischi catastrofali entro la fine del 2024. Così facendo il bacino dei clienti viene ampliato consentendo lo sviluppo del concetto di “mutualità”.

   

Considerazioni generali

Le perdite economiche globali (calcolate per il 2022) per danni correlati a quattro tra i fenomeni meteo principali (inondazioni, cicloni tropicali, tempeste invernali in Europa e temporali di grande intensità), ammontano a ben 200 miliardi di dollari. Dove solo gli USA ne contano 97 miliardi, mentre l’Italia è al 17° posto con 2.3 miliardi (0.11% del PIL).

   

Il trend dei fenomeni estremi aumenta, ma quelli come la grandine a luglio, sono dei rischi impliciti per chi fa assicurazione. Il caso è diverso se gli eventi sono di portata e frequenza maggiore, per cui è necessario diminuire la vulnerabilità. Per far si che si riduca la vulnerabilità c’è bisogno di investimenti nelle opere di adattamento di ogni Paese, o almeno questo è quello che alcuni gruppi affermano.

    

C’è chi invece è contrario a tale dichiarazione, che sembra quasi uno scaricabarile sugli Stati. Difatti, evidenziano come proprio le assicurazioni finanzino spesso e volentieri attività ed economie che alimentano il cambiamento climatico, come le estrazioni di combustibili fossili. Nonostante ciò, imporre alle compagnie assicurative e ai suoi clienti di ridurre le emissioni, non sembra essere una buona strategia. Questo perché l’obbligo ha portato ad un aumento delle polizze, gas e altri servizi.

   
Sicuramente è un argomento delicato, fatto di tantissime ipotesi, rischi e calcoli matematici. Non si tratta di un tema facilmente comprensibile per tutti, ma in qualche modo, parlarne può potare ad una maggiore sensibilizzazione di tutto il mondo.

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L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.

By : Aldo |Marzo 14, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su L’esempio virtuoso del biodinamico abruzzese.
Lauren Sproule - Unsplash

Si sa che l’Italia è impegnata a mantenere salde certe tradizioni, che non riguardano solo l’aspetto culinario ma anche produttivo. Il Paese che vanta secoli di storia detiene anche grandi esempi di virtuosità legati al settore sostenibile. Ecco il caso della biocantina Orsogna.

    

Il virtuoso Abruzzo

L’Abruzzo è una regione che si distingue per il suo forte impegno ambientale per mezzo di importanti progetti e politiche. Non a caso oltre il 30% del territorio è parte di riserve naturali e aree protette, tra cui

  • il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise;
  • il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
  • il Parco Nazionale della Majella.

Tale attenzione è determinata anche dall’elevata percentuale di biodiversità che presenta tra flora e fauna, che va oltre il 40%. Inoltre, la regione spicca per la sua riduzione significativa delle emissioni di CO2 del 20% negli ultimi dieci anni.  Un ulteriore settore rilevante per il territorio è quello della produzione biologica, che rappresenta oltre il 10% della produzione agricola totale. Questa specialità è talmente importante e che negli ultimi 5 anni, il 15% delle aziende agricole hanno adottato pratiche biologiche. Tale scelta influisce non solo sulla produzione e sul consumo di alimenti di qualità, ma ha un forte impatto anche nell’economia locale, favorendo inoltre il turismo ecologico. Quest’ultimo è cresciuto del 25% valorizzando la natura, le tradizioni e la produzione e favorendo sviluppo sostenibile della regione.

    

L’Abruzzo si sta rinnovando attraverso un nuovo modo di pensare il consumo del suolo e la produzione di cibo, rispettando gli ecosistemi, incrementando la sostenibilità del territorio stesso.

   

Il caso della Bio Cantina Orsogna

La virtuosità della regione è dovuta anche o principalmente alle scelte delle aziende, che decidono di approcciarsi alla produzione in maniera innovativa. Tra i tanti nomi però spicca quello della Bio Cantina Orsogna, un esempio di eccellenza nell’ambito della sostenibilità.

    

Nel 1964 35 viticoltori idearono la Cantina Sociale del paese per unire le loro produzioni agricole. Sin dall’inizio, la produzione vinicola era una delle attività principali della zona, non a caso si contavano più di 40 grandi cantine cooperative. La rilevanza della cooperativa è evidente poiché si impegna non solo nelle sue attività ma si sviluppa su un concetto complessivo di produzione. Per questo è sempre stata attiva nella salvaguardia ambientale, la conservazione delle conoscenze e la produzione di vini di qualità.

    

Nel 1995 è iniziato percorso di conversione al biologico ha coinvolto il 100% della superficie vitata nel 2022 contava 1400 ettari, mentre il 45% è dedicato all’agricoltura biodinamica (Demeter) dal 2003. Grazie a tale impegno e dal 2022 tutti i vignaioli della cooperativa sono stati certificati per la biodiversità degli agroecosistemi (Biodiversity Friend®).

    

La produzione

È chiaro che si tratti di una realtà che ha a cuore il suo territorio e non solo. Perché questo tipo di dedizione e di approccio alla produzione con una filosofia totalmente nuova è frutto di una grande attenzione anche verso le generazioni future. Precisamente la cooperativa segue la “filosofia agricola” ispirata al pensiero di Rudolf Steiner, il quale creò una visione quasi spirituale della produzione di alimenti.

    

Una filosofia che introduce nella cura della vigna, una serie di riti, attenzioni e pratiche per la creazione del miglior prodotto. Si tratta di un modello “biodinamico” che unisce pratiche per la coltivazione al concetto di energia vitale del suolo. Un nuovo modo si pensare l’agricoltura che tuttavia non si ferma alle nuove generazioni, perché la cooperativa è disposta a formare i viticoltori della zona che possano comunque portare avanti le tradizioni con la loro esperienza e la loro manodopera.

     

Un’altra eccezione di questa realtà è il suo successo, perché al contrario di quello che si possa ipotizzare, la Bio Cantina produce tra i 2 e i 2,5 milioni di bottiglie all’anno. In particolare, vende Trebbiano d’Abruzzo, Malvasia, Moscato, Passerina, Cococciola, Pecorino, Chardonnay, Montepulciano e Sangiovese. In più, lavora con fermentazioni spontanee, grandi vasche interrate o anfore d’argilla per la Malvasia.

   

Si tratta a tutti gli effetti di una produzione a ciclo chiuso, autosufficiente e sostenibile, poiché niente viene sprecato o lasciato a se. Oltre alle pratiche già note, come l’utilizzo del letame per la concimazione del suolo, la pratica del sovescio, il pascolo di ovini nei vigneti, si punta a innovare ancora di più il sistema. Infatti l’idea della cooperativa è quella di coltivare piante erbacee tra le viti, per ridurre al minimo la monocoltura intensiva (pratica diffusa e altrettanto negativa per gli ecostistemi).

   

Il tutto è pensato per produrre alimenti, vini ed altro riducendo al minimo l’impatto umano sulla terra. In questo caso, la Bio Cantina Orsogna ne è un modello impeccabile.

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La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  

By : Aldo |Marzo 11, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La UEFA introduce il “Carbon footprint calculator” per cambiare il mondo del calcio.  
David Bayliss - Unsplash

La sostenibilità è un argomento sempre più importante dei nostri giorni, dalla quotidianità dei cittadini agli investimenti delle aziende. Di recente però, questo tema ha raggiunto un grande settore nell’ambito dello sport europeo, la UEFA.

L’impatto del calcio

Il calcio ha una grandissima influenza sulla società e l’economia internazionale. È probabilmente lo sport più seguito e popolare con oltre 4 miliardi di fan in tutto il mondo, un gioco che unisce tutti ed elimina qualsiasi tipo di barriere linguistiche, culturali e socioeconomiche. In questo modo contribuisce alla coesione sociale e comunitaria (nonostante ultimamente si siano verificate situazioni spiacevoli sotto questo punto di vista).

Tale portata è riflessa, anche in modo ampliato, all’economia globale, non a caso le entrate mondiali legate a questo sport hanno toccato i 30 miliardi di dollari annui. Tale processo è definito attraverso le grandi competizioni, come le famose “Coppe” della FIFA, la UEFA, la Champions Legue, l’Europa Legue e tanto altro. Questi eventi hanno un enorme impatto sociale, mediatico, turistico e dunque economico perché i tifosi si spostano, conoscono nuovi luoghi, frequentano ristoranti e alloggiano in hotel, compreranno gadget ed altro.

Sebbene sia una macchina gigante con alle spalle un mercato infinito, non sono solo questi gli ambiti in cui ha un impatto rilevante. Infatti, il calcio, con le sue molteplici attività, iniziative ed altro ha un grande impatto anche sull’ambiente: emissioni di carbonio, consumo di risorse naturali, trasferte, sono solo alcuni dei fattori analizzati.

Il “calcio” all’ambiente

Come citato pocanzi, sono tantissime le attività correlate al calcio, che hanno degli effetti più o meno negativi sul pianeta. In primis si parla di trasferte, che rappresentano il 40% dell’inquinamento ambientale correlato alla mobilità dei tifosi, mentre una partita europea produce ben 4,2 tonnellate di emissioni di CO2 (750 ton l’anno). Senza contare quanto spazio occupano le infrastrutture degli stadi che determinano una maggiore urbanizzazione e all’uso intensivo del suolo, con conseguenti impatti sulla biodiversità e sulle risorse idriche. E poi ovviamente i consumi di energia e tutti i servizi necessari a supportare migliaia di persone ogni weekend negli spalti.

Ovviamente tutto ciò non vuol dire che il calcio abbia solo lati negativi, ma allo stesso tempo ha un’influenza talmente importante che, se potesse apportare dei cambiamenti potrebbe fare veramente la differenza. Già alcune società hanno iniziato a investire nelle energie rinnovabili per alimentare i propri stadi ma serve di più. Ed è per questo che la UEFA ha presentato il nuovo progetto, per cambiare il settore calcistico e migliorare la sua sostenibilità.

Carbon footprint calculator

Proprio il 6 marzo la UEFA ha presentato il progetto al quale lavorava da ben 2 anni: il cabron footprint calculator. Si tratta del primo calcolatore di impronta carbonica dedicato a tutte le organizzazioni calcistiche europee, uno strumento che le guiderà ad una maggiore sensibilizzazione e approccio alle innovazioni green nel settore. Il programma è stato introdotto dal direttore Social and Environmental Sustainability Michele Uva, durante una conferenza all’Emirates Stadium di Londra, che ha descritto tutte le novità e le iniziative di tale progetto.

Come prima cosa bisogna sottolineare che l’iniziativa promuove un software gratuito che permetterà a tutti i club e federazioni di seguire un metodo unico e certificato, per calcolare la propria impronta. Il programma è basato sul GHG Protocol, un metodo di calcolo certificato a livello internazionale che aiuta aziende, società, amministrazioni ed enti nel conteggio della CO2 emessa. La particolarità di questo progetto riguarda il coinvolgimento delle squadre stesse come l’Arsenal, la Roma e il Manchester City, le Federazioni calcio francese, olandese, austriaca, la Premiere League ma anche l’ONU e l’UNFCCC.

Per quanto riguarda le principali voci di emissioni di CO2 considerate, si citano:

  • la costruzione di nuovi stadi;
  • gli spostamenti di squadre e tifosi;
  • l’elettricità consumata durante gli eventi;
  • la gestione dei rifiuti.

Si tratta di poche voci ma significative, soprattutto quella legata agli spostamenti che sappiamo non essere proprio attenti all’ambiente e ai consumi di energia. Anche perché tutto questo non vale solo ed esclusivamente per i grandi club, ma anche per tutto il mondo dilettantistico o professionale ma di categoria inferiore. Infatti, si conta che ogni settimana 40 milioni di ragazzi in Europa giochino a calcio: questo significa che si spostano, muovendo famiglie e staff. Se poi ci aggiungiamo anche i 450 mila tifosi l’anno per la UEFA, il quadro della situazione è abbastanza chiaro.

In conclusione

Il progetto mira a cambiare l’impegno del calcio, per far si che la sua grande influenza possa anche portare un beneficio ambientale e quindi un miglioramento della vita di tutti. L’idea è quella di calcolare le emissioni di CO2 della finale di Champions, per poi moltiplicare quella quantità per il prezzo di una tonnellata di anidride carbonica (attualmente tra i 50 e i 60 euro, ndr). Così facendo si raccoglierebbe una somma destinata a finanziare progetti sostenibili, nelle squadre di territori più difficili o di piccole squadre, per aiutarle a migliorarsi. Quindi in occasione dei Campionati europei in Germania, è stato aperto un fondo per aiutare  i club dilettantistici che investono sull’ambiente. Un piano da 7 milioni di euro che conta già 1700 richieste.  

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Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.

By : Aldo |Marzo 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nasce il nuovo database per la neutralità climatica delle regioni italiane.
David Pupăză - Unsplash

Che l’Europa si stia muovendo per una neutralità climatica è evidente. Norme, iniziative e obblighi sono all’ordine del giorno e dovrebbero essere anche per i suoi Stati membri. In Italia, per esempio, si è palesata la volontà di monitorare maggiormente le condizioni delle regioni in questo senso. Ecco perché è nato il database CIRO.

    

Neutralità climatica

La sfida della neutralità climatica rappresenta un obiettivo cruciale per il quale, il mondo intero, considera urgente la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici. In Italia, il percorso verso la neutralità climatica è iniziato con l’adozione di diverse iniziative chiave, tra cui l’approvazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile nel 2017 e l’impegno nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) nel 2020.  Questi testi fissano obiettivi ambiziosi, sebbene la strada verso la neutralità climatica sia ancora lunga e con grandi sfide da affrontare.

    

Ad oggi, l’Italia ha fatto progressi importanti in questo senso con una riduzione delle emissioni di CO2 del 27% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi stabiliti e superare le sfide legate alla decarbonizzazione di settori dell’economia fondamentali, come l’energia, i trasporti e l’industria. Tale transizione richiederà un enorme sforzo e impegno costante da parte di tutti, dal governo ai cittadini per mezzo di nuove politiche, abitudini e adeguati finanziamenti.

    

Il database CIRO

Italy for Climate ha scelto otto “temi” per valutare le prestazioni climatiche delle Regioni italiane, tra cui emissioni, energia, rinnovabili, edifici, industria, trasporti, agricoltura e vulnerabilità. Questi ambiti sono considerati fondamentali per valutare i progressi verso la neutralità climatica dei territori ma non solo. Sono necessari per comprendere gli effetti delle azioni intraprese finora a livello locale, ma anche i rischi derivanti dal riscaldamento globale a seconda dell’area e delle comunità.

     

Per rendere questo monitoraggio possibile è stato inventato CIRO (il database delle Regioni sul clima) il quale ha identificato due o più “indicatori chiave” per ciascun tema. Così facendo è in grado di mostrare una panoramica aggiornata e dettagliata dei cambiamenti nel tempo. Italy for Climate, per questo programma si è avvalsa dei dati di istituzioni italiane autorevoli nel settore dell’ambiente, dell’energia e della mobilità, tra cui Ispra, Istat, Enea, Gse, Terna, Aci, Mims, Mipaaf. In tal modo le istituzioni sono capaci di migliorare le condizioni del proprio territorio con nuove pratiche per affrontare la sfida della neutralità climatica. Le 8 tematiche evidenziate dall’istituzione, comprendono ben 26 indicatori su cui nasce CIRO.

   

Le emissioni

Gli indicatori considerati per valutare le emissioni in una regione includono le “Emissioni pro capite di gas serra”, che considerano i livelli di consumo energetico, l’uso di fonti fossili, e le attività industriali e agricole, e gli “Assorbimenti”, che misurano le emissioni di gas serra assorbite dai sistemi naturali, soprattutto forestali, in rapporto alla superficie regionale. Valori negativi indicano che le emissioni superano l’assorbimento, come nel caso della Sicilia.

    

Per l’energia Energia e le rinnovabili

In questo caso si valutano i consumi energetici regionali considerando:

  • i consumi finali pro capite, che rappresentano il fabbisogno energetico individuale e includono contributi da tutti i settori,
  • il mix energetico primario ossia la percentuale di energia derivante da fonti, sia fossili che rinnovabili, per soddisfare il fabbisogno energetico regionale.

Secondo dei dati già 14 regioni italiane sono coal free (quindi non consumano più carbone).

Mentre per le fonti energetiche rinnovabili, l’Italia si concentra sullo sviluppo dell’eolico, del solare e dell’idroelettrico. Tra i suoi indicatori sono compresi:

  • La quota di consumi energetici da rinnovabili;
  • Nuovi impianti rinnovabili;
  • Comunità energetiche rinnovabili (attivate nel 2022). Il Veneto si distingue per la maggioranza di 13 nuove.

Per le infrastrutture e trasporti

Per gli edifici si ha una suddivisione in 4 parti quali:

  • Emissioni pro capite di gas serra degli edifici;
  • Consumi di energia degli edifici;
  • Quota di consumi elettrici negli edifici;
  • Quota di edifici in classe A.

In questo caso per mancano i dati della Campania e della Sardegna. Insieme alle infrastrutture, i trasporti rappresentano un punto cruciale della transizione. Infatti, in questo caso gli indicatori riguardano:

  • Emissioni pro capite di gas serra dei trasporti
  • Numero di automobili (ogni mille abitanti)
  • Passeggeri trasportati dal trasporto pubblico locale
  • Quota di auto elettriche nelle nuove immatricolazioni

Per il settore industriale, agricolo e la vulnerabilità 

Anche nell’industria ha il suo dovere e deve portare le sue modifiche e a tal proposito si parla si individuano i seguenti criteri:

  • Emissioni di gas serra dell’industria per valore aggiunto: tonnellate di CO2 equivalente emesse per milione di euro di valore aggiunto dei settori manifatturiero e edile:
  • Consumi di energia per valore aggiunto: tengono conto di tutte le fonti fossili e rinnovabili (come le biomasse), oltre che dei consumi elettrici.

Per concludere si cita anche il settore dell’agricoltura che come già evidenziato ha un grande impatto nell’ambito delle emissioni. Anche qui ritroviamo le emissioni pro capite seguite dai “capi bovini allevati (ogni 1000 abitanti)”, la “quota di agricoltura biologica” e “l’utilizzo di fertilizzanti” (kg di azoto per ettaro). E infine si descrive la vulnerabilità, per descrivere quali aree e regioni siano più soggette a danni ed effetti del cambiamento climatico in base al tasso di consumo del suolo e delle perdite della rete idrica e la quota di popolazione esposta al rischio alluvione.

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Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.

By : Aldo |Marzo 05, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Troppi scarti alimentari. Circular Fiber usa quelli dei carciofi per produrre farina edibile.
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Il problema dello scarto alimentare è un tema che riguarda tutti quanti in modo concreto. Tra gli scarti domestici e quelli delle aziende agricole, si contano migliaia di tonnellate di prodotto con grandi potenzialità che non vengono sfruttate. E per questo che in Italia la ricerca in questo senso sta aumentando per una maggiore circolarità.

    

Gli scarti agroalimentari

Gli scarti alimentari rappresentano un grave problema a livello globale, con importanti implicazioni ambientali, economiche e sociali. Nel mondo si stima che oltre il 33% di tutti gli alimenti prodotti vada sprecato, ossia circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno. Questi scarti contribuiscono in maniera significativa all’aumento delle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Inoltre, rappresentano un enorme spreco di risorse idriche e di terre coltivabili. In Italia la situazione non è diversa poiché stima che ogni anno vengano prodotti circa 5,1 milioni di tonnellate di scarti agroalimentari, che corrispondono a circa il 15% del totale della produzione alimentare nazionale.

   

Ridurre tali scarti è una sfida cruciale da affrontare e risolvere il prima possibile per garantire la sostenibilità del nostro sistema alimentare e preservare le risorse naturali per le generazioni future. A questo proposito sono già in azione strategie di miglioramento della gestione delle filiere alimentarie di sensibilizzazione dei consumatori. Tuttavia, queste pratiche dovrebbero essere supportate dall’implementazione di politiche pubbliche mirate possono che contribuiscono a mitigare questo problema globale.

   

Gli scarti dei carciofi

Per affrontare tale problema c’è chi si è focalizzato sugli scarti di un ortaggio specifico, il carciofo. Ma perché proprio i carciofi? In Italia, l’annuale produzione e consumo di Cynara cardunculus (dati Ismea 2020), si aggira intorno alle 378 mila tonnellate. Purtroppo, però, gli scarti derivanti da questa produzione rappresentano oltre il 60% del totale raccolto, fino ad un 75% nelle lavorazioni industriali. Tali cifre evidenziano un grave problema che necessita soluzioni efficaci e sostenibili.

   

Se si pensa poi alla totale produzione di ortaggi, si può solamente immaginare quanto materiale venga eliminato nell’industria, e quanto potenziale esiste tra gli scarti. Proprio per rimediare a tale problema sono nate startup o grandi aziende hanno investito nella ricerca per poter migliorare ed efficientare la loro produzione.

   

La farina Karshof

Circular Fiber è una startup fondata da Luca Cotecchia e Nicola Ancilotto. I due hanno deciso di lavorare la parte erbacea più dura dei carciofi per produrre la Karshof. Si tratta di una farina funzionale ad alta digeribilità, priva di glutine, a basso contenuto di zuccheri ma ricca di fibre (60%), proteine (13%) inulina e cinarina. L’idea è nata dalla tesi di laurea di 5 studenti del master MBA al MIB Trieste School of Management ed è parte del progetto Terra Next di Fondazione Cariplo. Quest’ultimo sostiene l’innovazione nell’ambito della bioeconomia e dell’agricoltura rigenerativa.

    

Il programma prevedeva la formazione di una filiera del carciofo per sfruttare tutto lo scarto possibile. Purtoppo però l’idea è stata abbandonata in poco tempo vista la deperibilità del prodotto che non consente la sua lavorazione in zone lontane dal luogo di produzione. Tale difficoltà ovviamente riguarda l’intera produzione agroalimentare, che spreca fino al 30% della materia prima nell’UE. La  situazione descritta determina enormi perdite economiche oltre ad essere responsabile del 26% delle emissioni di gas serra.

    

Produzione e investimenti

Quindi i due founder di Circular Fiber hanno pensato ad una serie di succursali vicine alle aree di coltivazione e raccolta dei carciofi. Nonostante il progetto sia conveniente e possa effettivamente cambiare il settore, esiste un problema più grande legato ai macchinari. Perché un impianto per la lavorazione degli scarti dell’ortofrutta può costare anche 1.5 milioni di euro a modulo. Questi ultimi sono fondamentali per la trasformazione dello scarto in farina o comunque per produrre altri materiali; quindi, per poter affrontare tale sfida sono necessari anche dei grandi investimenti.

    

I sistemi necessari sono costosi a causa delle caratteristiche dello scarto stesso. Infatti, per produrre la Karshof, serve arrivare ad una fibra secca al 7% di umidità, mentre il carciofo parte da un tasso dell’80%. Per raggiungere le giuste condizioni servono degli essiccatori potenti come quelli del tabacco che eliminano il 75% di umidità in pochi minuti, ma proprio questi sono molto costosi. Circular Fiber ha avuto la possibilità di integrare tali moduli grazie all’investimento di un grande trasformatori della zona, che di recente è entrato nella società. Di certo, non tutti i coltivatori e produttori d’Italia hanno questa fortuna e dunque un diverso utilizzo degli scarti resta una possibilità remota.

    

Spostamenti e sostenibilità

Come anticipato, oltre a tutte le difficoltà citate, in questo settore manca una filiera. Pertanto l’idea dei fondatori di Circular Fiber è quella di far si che la materia possa essere trasformata in zone limitrofe per evitare trasporti lunghi, costosi e inquinanti.

    

Il progetto è quello di produrre farina direttamente nei luoghi di coltivazione e lavorazione dei carciofi, creando così un consorzio di riferimento che consentirà anche di lavorare scarti di altri alimenti.  Così facendo si ridurrebbero gli spostamenti, il tempo e le emissioni di CO2 e i costi legati al carburante e all’energia.

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La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?

By : Aldo |Marzo 04, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su La riforestazione è veramente la strategia più efficace per il compensamento di carbonio?
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La riforestazione è una strategia di compensamento sempre più in voga per varie ragioni, che siano la facilità nel finanziare tali operazioni o i vantaggi ambientali, economici e sociali che ne derivano. Di certo è un sistema necessario per affrontare il cambiamento climatico, rappresenta infatti una soluzione rilevante. Tuttavia, c’è chi si domanda se si tratti ancora di un metodo efficace, che possa effettivamente determinare una riduzione delle emissioni di CO2 dall’atmosfera in modo significativo.

   

Il compensamento

Con la ricerca e lo studio dei cambiamenti climatici, sono nate tante soluzioni per limitare i loro danni e per rallentare la loro avanzata. Infatti, più si va avanti e più si hanno idee per frenare questo imponente cambiamento. Uno tra i tanti, legato alla riduzione delle emissioni di carbonio in atmosfera è il compensamento del carbonio.

   

Il compensamento del carbonio è un approccio fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. È una strategia che mira a ridurre le emissioni di gas serra per mezzo di varie procedure, tra cui la più scelta, la riforestazione. Un processo per cui si piantano alberi in specifiche zone del mondo, per assorbire CO2 dall’atmosfera, immagazzinandolo nel legno o nel suolo.

    

Sebbene sia una pratica nata per diminuire i gas serra nell’atmosfera, è un sistema che consente di apportare rilevanti benefici all’ambiente. Per esempio, promuove la biodiversità e ne preserva gli ecosistemi, mitiga gli effetti dell’erosione del suolo e contribuisce a ripristinare e proteggere gli habitat naturali.

    

La riforestazione

La riforestazione è una pratica che negli ultimi anni ha subito una crescita significativa e forse in alcuni casi è quasi diventata una moda. Tuttavia, è una strategia di cui si discute già da vari decenni, in diversi contesti scientifici ed ambientali. Di certo ha acquisito ancora più valore e risonanza con l’accentuarsi della perdita di biodiversità e con l’incremento degli effetti del cambiamento climatico. Così nel 1992, con la ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si include la riforestazione nei meccanismi di mitigazione.

  

Da lì, nell’arco di qualche anno, le aziende di tutto il mondo hanno accolto l’occasione di investire in maniera massiccia in tale strategia. Di seguito sono nate società e startup che hanno facilitato le procedure di questi investimenti e hanno fatto diventare la riforestazione una “cosa” per tutti. In altre parole, chiunque può adottare alberi in tutto il mondo favorendo la crescita di nuovi habitat e non solo. Perché spesso le aziende che si occupano di questa pratica investono anche per quanto riguarda l’ambito sociale ed economico di zone e persone che si occuperanno dei futuri alberi.

   

Insomma, la riforestazione al giorno d’oggi è un’attività alla portata di tutti, in cui si investe sempre più. Ma c’è chi crede che non sia più la strategia più efficace di compensamento per molteplici ragioni che andremo ad analizzare.

    

L’indagine di Runsheng Yin

Il professore Runsheng Yin di economia forestale presso la Michigan State University (USA), ritiene che questo modello di compensamento sia ormai sopravvalutato. Precisamente crede che alcuni meccanismi sovrastimino il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte. Il docente ha pubblicato di recente un libro in cui spiega cosa sta accadendo proprio in questo settore dal nome Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance. Con il testo curato da Taylor&Francis Group, Yin, afferma che i massicci investimenti fatti in questo senso non sono efficaci come si crede.

   

Quindi, sottolinea la necessità di modificare il metodo di calcolo del valore dei carbon credit. Un sistema che tutt’oggi insinua dubbi sulla sua efficacia e trasparenza, ma sul quale molte aziende confidano, poiché rappresenta un modo facile e veloce di investire nell’ambiente senza troppi pensieri. Infatti, come riporta uno studio pubblicato su Science, la maggior parte dei programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. Mentre quelli che effettivamente hanno un potere di riduzione delle emissioni, presentano delle percentuali molto inferiori rispetto a quella prevista e dichiarata al principio.

   

Successivamente, illustra i risultati di un suo studio sul processo di sequestro e stoccaggio del carbonio di una foresta presentando una “sopravvalutazione” del meccanismo studiato. Infatti, attraverso l’indagine ha verificato che la quantità di crediti di carbonio ottenibili da un terreno sono sovrastimati di almeno 3 volte. Questo perché non si tiene conto degli alberi che verranno tagliati perciò del tempo necessario al carbonio immagazzinato di rientrare in atmosfera ed è importante considerare la finalità di legno come prodotto. Se viene impiegato in altri oggetti o se viene bruciato può reimmettere emissioni nell’atmosfera. Perciò è necessario che il carbonio resti immagazzinato nel legno per un periodo abbastanza lungo da considerarlo “permanente”, perché il credito sia efficiente.

   

Lo studio così mette in discussione modelli non controllati che non considerano le possibili trasformazioni del legname, una volta abbattuti gli alberi. Si tratta di un nuovo concetto che potrebbe portare ad un miglioramento dei sistemi di carbon credit e dunque di un efficientamento del compensamento di CO2 nel mondo.

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UE. Approvata la Nature Restoration Law e introduce sanzioni per gli ecocidi.

By : Aldo |Febbraio 29, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su UE. Approvata la Nature Restoration Law e introduce sanzioni per gli ecocidi.
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Quando si tratta di sanzioni e leggi contro i crimini si aprono delle grandi diatribe su cosa è sensato, esagerato, giusto o irrilevante. Sebbene sia un tema molto delicato poiché spesso non si capisce a pieno il testo delle direttive, l’Europa ha deciso di affrontarlo anche nel campo ambientale.

    

I responsabili degli ecocidi

L’ecocidio è un concetto che esprime la distruzione su vasta scala degli ecosistemi naturali, causata principalmente dalle attività umane. Questa rovina può manifestarsi attraverso la deforestazione massiccia, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la perdita di biodiversità e l’alterazione irreversibile degli habitat naturali.  Non c’è dubbio che i responsabili di tali azioni siamo noi, la specie umana, ma è opportuno fare delle precisazioni. Di solito, i soggetti che possono essere giudicati come responsabili di tali scempi sono proprio le grandi aziende e le industrie. Questo perché sono loro che hanno un imponente impatto sul pianeta e che perseguono il profitto a spese dell’ambiente, sfruttando le risorse naturali senza criteri adeguati.  In secondo luogo, sono responsabili anche i governi che promuovono politiche che non tengono conto dell’ambiente e non applicano regolamentazioni efficaci contribuendo all’ecocidio.  

   

Nella storia si sono verificati numerosi ecocidi alcuni dei quali continuano a verificarsi da decenni. Tra questi la deforestazione dell’Amazzonia, la catastrofe nucleare di Chernobyl, del 1986 o l’inquinamento delle grandi città industriali. Anche nell’Unione Europea, i crimini ambientali hanno avuto un impatto significativo su diversi fronti e in varie regioni. Si possono citare, la deforestazione delle foreste primarie in Romania e Polonia, l’inquinamento dell’aria di grandi città come Londra, Parigi e Milano. E ancora le pratiche agricole intensive, principalmente in Francia, Spagna e Germania, e la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee a causa dell’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici.

   

Proprio per evitare che tali fatti avvengano con maggiore frequenza o che possano verificarsi senza sanzioni, l’Europa ha preso provvedimenti. La notizia arriva da Strasburgo, dove il 27 febbraio il Parlamento Europeo ha approvato la nuova legge contro l’ecocidio e a favore il ripristino della natura.

   

La nuova direttiva

È recente la notizia dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo della nuova direttiva contro i crimini ambientali. Per la prima volta si parla di “ecocidi” poiché nel crimine commesso sono presenti una vittima (la natura, gli esseri viventi e la loro salute) ed un colpevole (l’uomo). Con questa nuova definizione aumenta il potere e la responsabilità del diritto penale ambientale che dovrebbe essere distinto da quello amministrativo.

   

È un passo importante quello di martedì 27 febbraio poiché, la criminalità ambientale è la quarta attività criminale più grande al mondo. Per di più la sua crescita è due, tre volte più rapida rispetto a quella dell’economia mondiale ed il motivo principale di tale crescita è la malavita. Ossia, i crimini ambientali, sono tra le principali fonti di reddito per la malavita organizzata insieme al traffico di droga, armi ed esseri umani. Nonostante la direttiva 2008/99/CE avesse introdotto il principio secondo cui i reati ambientali avrebbero dovuto essere combattuti e puniti, non ha raggiunto i suoi obiettivi, dunque la nuova norma potrebbe essere la soluzione definitiva.

    

Crimini, politiche e sanzioni.

Lo scopo della nuova direttiva è quello di progredire verso l’istituzione di un codice di diritto penale dell’Unione in materia ambientale. Di preciso, è una legge sul ripristino della natura che obbliga i Paesi Ue a riportare in buone condizioni il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030, e per tutti gli ecosistemi entro il 2050.

   

Nel testo è presente la lista di tutti i reati ambientali, colpevoli di decesso o gravi danni alla salute delle persone. Tra questi:

  • gli incendi boschivi su larga scala;
  • la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e dei medicinali, tra cui i materiali radioattivi;
  • il riciclaggio delle navi e i loro scarichi di sostanze inquinanti;
  • l’installazione, l’esercizio o lo smantellamento di un impianto in cui è svolta un’attività pericolosa o in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze, preparati o inquinanti pericolosi;
  • l’estrazione e la contaminazione di acque superficiali o sotterranee;
  • l’uccisione, la distruzione, il prelievo, il possesso, la commercializzazione di uno o più esemplari delle specie animali;
  • l’immissione o la messa a disposizione sul mercato dell’Unione di legname o prodotti provenienti dalla deforestazione illegale;
  • qualsiasi azione che provochi il deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
  • la produzione, l’immissione sul mercato, l’importazione, l’esportazione, l’uso, l’emissione o il rilascio di sostanze che riducono lo strato di ozono, e di gas fluorurati a effetto serra;
  • l’estrazione, lo sfruttamento, l’esplorazione, l’uso, la trasformazione, il trasporto, il commercio o lo stoccaggio di risorse minerarie.

Mentre per quanto riguarda le sanzioni ci sarà una maggiore rigidità. Innanzitutto, saranno puniti i singoli trasgressori, inclusi i rappresentanti e i membri del consiglio di amministrazione delle aziende. Questi ultimi potranno essere condannati fino a 10 anni di reclusione a seconda della gravità del reato. Inoltre, i colpevoli dovranno ripristinare l’ambiente distrutto e risarcire i danni con ammende che potranno arrivare fino al 5% del fatturato mondiale dell’azienda (anche fino a 40 milioni di euro).

  

Per di più, nella direttiva sono stati introdotti dei punti molto importanti che riguardano obblighi e misure di protezione. Pertanto, sono state definite misure precauzionali che obbligano gli Stati membri ad adottare le azioni necessarie per ordinare la cessazione immediata di condotte illecite, senza aspettare i tempi di un processo penale. Un’importante tutela riguarda invece chi denuncia reati ambientali o assiste nelle indagini, che saranno protetti a livello Europeo. Dopo l’entrata in vigore della norma, gli stati dell’Unione Europea avranno 2 anni di tempo per recepirla.

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Pericolo PFAS: grazie ad un fascio di elettroni potremmo bonificare le aree contaminate.  

By : Aldo |Febbraio 23, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Pericolo PFAS: grazie ad un fascio di elettroni potremmo bonificare le aree contaminate.  
Marc Newberry - Unsplash

La contaminazione di aree o habitat è un problema che ci riguarda semrpe visto che dipendiamo dalla natura per tantissimi aspetti. Purtoppo però, i primi a contaminare l’ambiente siamo noi con le nostre attività, dunque dopo anni di produzioni e abitudini siamo costretti a trovare delle soluzioni ai danni che noi stessi abbiamo creato. L’esempio affrontato nell’articolo riguarda la contaminazione di PFAS delle fonti di acqua potabile e le soluzioni innovative scoperte di recente. 

    
I PFAS

I PFAS, abbreviazione di polifluoroalchiliche, sono una classe di composti chimici oggetto di crescente preoccupazione a livello globale per la loro pericolosità. Sebbene siano impiegati dagli anni ’50, in una vastissima gamma di applicazioni industriali e commerciali, sono la causa di gravi danni alla salute del pianeta. I processi naturali faticano a degradarle dunque, la loro persistenza nell’ambiente e la capacità di accumularsi nei tessuti biologici li rendono una minaccia per la salute umana e l’ambiente.

   

Di preciso, la contaminazione da PFAS è diventata un problema diffuso in tutto il mondo e riguarda principalmente l’acqua potabile, il suolo e gli alimenti. Tutto ciò è causato dagli impianti industriali che li producono dalle discariche, dai rifiuti e i roghi chimici. In Italia diverse città, soprattutto del nord Italia, hanno registrato livelli preoccupanti di PFAS nelle loro risorse idriche, sollevando seri dubbi sulla sicurezza dell’acqua potabile. Anche se ci si muove per la bonifica delle fonti di acqua potabile, resta comunque difficile la gestione efficace e duratura della contaminazione da PFAS.

   

Le tecniche di bonifica

Le tecniche impiegate per la bonifica delle fonti di acqua potabile contaminata da PFAS sono varie. Una di queste è la filtrazione, che avviene grazie all’uso di filtri a carbone attivo che intrappola i PFAS nell’acqua. I filtri funzionano con un processo di adsorbimento, catturando le molecole nocive, mentre l’acqua passa attraverso il filtro stesso. Una seconda tecnica è l’ossidazione chimica che coinvolge differenti agenti chimici e processi fisici volti alla distruzione dei PFAS nella matrice considerata. O ancora i usano ozono e perossido di idrogeno che trasformano quelle molecole in composti meno dannosi o completamente inerti. Oppure si usano membrane a nanofiltrazione e l’adsorbimento su resine ioniche, che possono rimuoverle selettivamente ed efficacemente dall’acqua.

    

Tuttavia, oggi possiamo aggiungere a questa lista, una nuova tecnologia che non prevede il filtraggio o l’utilizzo di agenti chimici. La notizia arriva dai ricercatori del Fermi National Accelerator Laboratory, che hanno usato un fascio di elettroni per distruggere i tipi più comuni di PFAS nell’acqua.

    

La soluzione elettroni

Proprio i ricercatori del Fermi National Accelerator Laboratory sono riusciti a creare con successo una nuova soluzione a questo grave problema. Di preciso, hanno usato un fascio di elettroni per distruggere i tipi più comuni di PFAS come i PFOA e i PFOS. Si tratta di un’innovazione promettente che consente anche di bonificare e mettere in sicurezza grandi volumi d’acqua ad alta concentrazione.

    

In questo caso il laboratorio ha usato campioni d’acqua contaminata forniti dalla 3M, una multinazionale produttrice di molteplici prodotti industriali. La matrice in esame era sigillata in contenitori di vetro borosilicato con un sigillo di alluminio fissato sul vetro con una guarnizione in gomma (priva di PFAS). A quel punto i ricercatori hanno irradiato i campioni con un fascio di elettroni per poi spedirli nuovamente all’azienda 3M. Quest’ultima ha poi verificato che le molecole nocive fossero state distrutte senza rilasciare altri componenti pericolosi.

     

Come annunciato in precedenza, l’esito dell’esame è stato positivo poiché il fascio di elettroni li ha eliminati del tutto. Tale risultato determina la possibilità di bonifica di grandi aree soggette alla contaminazione da PFAS. È ovvio che serva ancora del tempo per fare ulteriori test, usare altri componenti e per ampliare il lavoro, ma si tratta di un’ottima soluzione ad un grave e ingente problema.

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L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.

By : Aldo |Febbraio 22, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Europa approva il 1° schema di certificazioni per la rimozione di CO2.
Farah Almazouni - Unsplash

Negli ultimi 30 anni, l’Europa ha dimostrato un impegno significativo nella riduzione delle emissioni di CO2. In questo modo ha posto la lotta al cambiamento climatico al centro delle sue politiche ambientali che spesso risultano essere tra le più virtuose al mondo. Non a caso è recente la nuova direttiva nel settore delle emissioni.

La lotta dell’Europa

L’Europa da anni si impegna per ridurre le emissioni di CO2 e combatte il cambiamento climatico a suon di norme e nuovi progetti. Le politiche ambiziose adottate dai suoi Stati membri, vengono spesso considerate le più virtuose o le più efficienti nel settore della sostenibilità. Infatti, si è parlato più volte di promuovere l’efficienza energetica, l’uso delle energie rinnovabili e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Sebbene si parla di cambiamenti rilevanti e di grande impatto, l’Unione ha introdotto varie misure per raggiungere gli obiettivi prefissati anno per anno. Una tra queste, il sistema europeo di scambio delle emissioni (EU ETS), che limita le emissioni dei settori industriali e delle centrali elettriche. Oppure ancora il pacchetto “Energia-Clima 20-20-20” che mira a raggiungere più traguardi. Ossia ridurre del 20% le emissioni, aumentare del 20% l’efficienza energetica e portare al 20% la quota delle rinnovabili nel mix energetico entro il 2020.

È opportuno citare anche il “Piano d’Azione per l’Economia Circolare”, che mira a ridurre l’uso delle risorse, promuovere il riciclo e l’economia circolare. Senza dimenticare il contrasto al problema dei rifiuti plastici. O anche il “Pacchetto Clima” che ha lo scopo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Da poco è stata approvata una nuova norma, che porta l’Unione sulla cima del mondo, con il primo schema di certificazioni per la rimozione della CO2.

La nuova normativa

Così l’UE dà il via libera al sequestro di carbonio sostenibile attraverso un nuovo schema di certificazioni per la rimozione di CO2. È il primo al mondo nel suo genere e dovrebbe assicurare lo stoccaggio dell’anidride carbonica per periodi di tempo sufficientemente lunghi, contribuendo al contrasto della crisi climatica. Con tale norma e l’applicazione di tante altre già approvate, Bruxelles porta avanti il suo lavoro con l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. 

Lo schema di certificazione

Per far si che questa direttiva funzioni la Commissione ha definito criteri e punti da seguire, o necessari ai fini della certificazione. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di uno schema valido per più certificazioni che si distinguono a seconda del tipo di rimozione individuato.

  • la rimozione permanente del carbonio per mezzo dell’immagazzinamento del carbonio atmosferico o biogenico per diversi secoli;
  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio in prodotti durevoli (circa per 35 anni) come, per esempio, le costruzioni a base di legno, che possono essere monitorati in loco durante l’intero periodo di monitoraggio;

Dopodiché si parla di carbon farming, un settore nel quale si può applicare:

  • lo stoccaggio temporaneo del carbonio attraverso il ripristino di foreste e di suolo, la gestione delle zone umide e delle praterie di fanerogame marine;
  • la riduzione delle emissioni del suolo, quindi la diminuzione del carbonio e del N2O derivanti dalla gestione del suolo.

Queste attività sono possibili a patto che conseguano un miglioramento in ambiti quali, il bilancio del carbonio nel suolo, nella gestione delle zone umide, nell’assenza di lavorazione del terreno e nelle pratiche di colture di copertura combinate con uso ridotto di fertilizzanti.

Uno schema per una certificazione simile, potrebbe essere un grande punto di svolta, se gestito in modo trasparente, chiaro, efficiente e lineare. Forse l’unico dubbio resta sulla sua validità, per molteplici ragioni.  Ci troviamo nuovamente di fronte ad uno schema volontario, un procedimento che non viene imposto ma scelto autonomamente sulla base di un pagamento per la rimozione di CO2. Sebbene sia una legge europea, il fatto che ci siano movimenti finanziari per raggiungere un obiettivo così importante, mette in dubbio la veridicità e la trasparenza dei passaggi.  Nonostante ciò, se l’Unione ha approvato la direttiva, non ci resta che vedere questo nuovo schema in azione e sperare che sia effettivamente una nuova grande soluzione ad un grande problema.

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L’alluminio circolare: riciclato dagli aerei dismessi arriva nelle vetture elettriche.

By : Aldo |Febbraio 21, 2024 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su L’alluminio circolare: riciclato dagli aerei dismessi arriva nelle vetture elettriche.
Blaz Erzetic - Unsplash

Gli aerei sono i mezzi di trasporto che ci fanno sognare di più, anche se giorno dopo giorno inquinano l’atmosfera con i loro carburanti. Tuttavia a fine della loro vita, possono diventare fonte di materiali riciclabili e quindi possono ridurre il loro impatto sulla Terra.

    

Gli aerei dismessi

Negli ultimi decenni è aumentata la possibilità di viaggiare il mondo soprattutto in aereo. Da anni, infatti, non si tratta più di un’attività correlata ad un’élite, ma di un’esperienza accessibile a chiunque, soprattutto con la nascita delle compagnie low cost. Tale crescita ha determinato un incremento dei voli, delle aerolinee, dunque anche del lavoro e non solo.

   

Ogni giorno migliaia di aerei sorvolano i cieli di tutto il mondo inquinando l’atmosfera per mezzo della combustione dei carburanti. In questo senso, si stanno studiando tantissime tecnologie per ridurre al minimo l’impatto dell’aviazione sul pianeta, con risultati più o meno efficienti. Tuttavia, ci sono altri modi con cui il settore aeronautico può ridurre la sua impronta nel mondo e tra questi uno è legato agli aerei dismessi.

    

Proprio per la fase che stiamo vivendo è aumentato anche il numero di aerei dismessi, con il conseguente sviluppo di aree specializzate per la loro conservazione e smantellamento. Una tra queste è la Southern California Logistics Airport a Victorville, meglio conosciuta come una delle più grandi “città dei parcheggi” al mondo. Si tratta di un aeroporto dismesso che offre spazi ampi per la manutenzione, l’immagazzinamento la riparazione e lo smantellamento di aeromobili. Ma perché gli aerei vengono dismessi? Le ragioni sono molteplici e possono variare dall’obsolescenza tecnologica ai cambiamenti delle rotte aeree oppure la fine del ciclo di vita dello stesso.

   

La dismissione e la sostenibilità

Sicuramente questi “aeroporti” hanno una grande rilevanza a livello tecnico per l’aviazione ma sono importanti anche per quanto riguarda la sostenibilità. Infatti, tali spazi offrono la possibilità di smantellare i veicoli e riciclare la maggior parte delle loro componenti a favore di una nuova economia circolare. Dunque, sono considerati una risorsa preziosa per l’industria dell’aviazione contribuendo anche alla sostenibilità ambientale e alla gestione responsabile delle risorse a livello globale.

    

Le componenti riciclabili di un aeromobile dismesso offrono un’opportunità preziosa per ridurre l’impatto ambientale e sfruttare le risorse in modo sostenibile.

Tra le parti più riciclabili si trovano:

  • i materiali compositi, come la fibra di carbonio, sempre più presenti nelle moderne aeromobili;
  • parti interne degli aerei, come i sedili e i pannelli;
  • metalli come il titanio, presente in parti strutturali e nei motori.

Oppure un altro metallo fondamentale e presente in grandi quantità è l’alluminio, utilizzato per la costruzione della fusoliera e delle ali. Proprio l’alluminio è diventato il protagonista di una startup nata in Singapore, che ha investito sul recupero e il riciclo degli aerei dismessi.

    

Nandina REM

La startup Nandina REM, nasce a Singapore con l’obiettivo di riciclare alluminio, plastica ed altri componenti dagli aeromobili dismessi. Nello specifico, l’impresa vanta un sistema di riciclo dell’alluminio degli aerei di linea che agevola la produzione dei contenitori delle batterie per i veicoli elettrici. Questo perché l’alluminio è un componente fondamentale per le scocche di quel tipo di batteria; dunque, il metallo preso da un aereo può diventare il componente di una vettura sostenibile. Ecco la circolarità che fa bene al mondo.

     

Ma di preciso, questi processi di riciclo perché sono importanti? Le stime dichiarano che per produrre 1 tonnellata di alluminio servono circa 2 tonnellate di allumina estratte a loro volta da quasi 5 tonnellate di bauxite. Grazie al riciclo invece, si evita l’attivazione di ben 12 miniere di bauxite dalla capacità di 1 tonnellata all’anno. Anche perché con la crescente richiesta di auto elettriche, i ritmi sarebbero stati insostenibili. Per mezzo del sistema innovativo di Nandina REM, ci sarebbe la possibilità di produrre decine di milioni di involucri di batterie (50 milioni entro il 2035) e non solo. Si possono anche usare le plastiche per la produzione di paraurti e le fibre per altri scopi.

     

La startup si fa forza anche delle affermazioni dei principali produttori di aerei di linea, come gli Airbus e i Boeing, che prevedono la dismessa di 15mila mezzi entro il 2030. Basti pensare che con il progetto messo in campo da Nandina REM, si può recuperare il 90% del materiale in 30 giorni. L’obiettivo della società è quello di arrivare a 40 aerei entro l’anno, con grandi possibilità di riciclo, riuso. Senza dubbio consentirà di creare un’economia circolare di forte impatto, che tuttavia riduca quello ambientale, rispettando il pianeta e la società.

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L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio

By : Aldo |Febbraio 20, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Udinese sceglie il fotovoltaico per il suo stadio
Bence Balla-Schottner - Unsplash

Gli stadi sono grandissimi centri di agregazione sportiva ma anche musicale e di certo sono il teatro di tantissime esperienze ed emozioni meravigliose. Se non fosse che, per la loro grandezza e capienza, consumano elevate quantità di energia, solitamente non rinnovabile. Ma ecco che anche in Italia arriva l’innovazione.

I consumi degli stadi

Gli stadi da calcio sono grandi consumatori di energia e dunque anche fonti significative di emissioni di gas serra. Tali consumi ed emissioni sono correlati all’illuminazione degli impianti, i sistemi di riscaldamento e raffreddamento, i sistemi audio e video. Oltre a ciò, si contano le infrastrutture necessarie per gestire grandi folle che richiedono un notevole quantitativo di energia. Per di più si potrebbe tenere conto anche del trasporto dei tifosi verso e dall’impianto può contribuire ulteriormente alle emissioni di CO2. Pertanto, negli anni sono state intraprese numerose iniziative per ridurre l’impatto ambientale degli stadi, tra cui;

  • l’installazione di sistemi di illuminazione a LED,
  • l’adozione di fonti energetiche rinnovabili e
  • l’implementazione di politiche per promuovere mezzi di trasporto sostenibili.

Tuttavia, in Italia, gli stadi calcistici presentano una situazione variegata poiché alcuni impianti sono più antichi di altri, a volte quasi storici. Tutti quelli che sono stati oggetto di ristrutturazioni, hanno migliorato l’efficienza energetica per ridurre le emissioni. In questo modo hanno integrato sistemi di illuminazione a basso consumo e soluzioni di riscaldamento e raffreddamento più efficienti. Tutte modifiche accessibili ai club più facoltosi o alle strutture più innovative, al contrario di quelli piccoli o meno mderni in ambito strutturale. Questo perchè tutt’ora le sfide significative in termini di sostenibilità ambientale sono anche costose e quindi non tutti gli stadi possono permettersele. Nonostante ciò, in Italia c’è ancora un grande margine di miglioramento per rendere quel luogo pieno di anime in un posto più rispettoso dell’ambiente.

L’Udinese per l’ambiente

La squadra dell’Udinese Calcio fondata nel 1896, ed è una delle squadre più antiche e prestigiose del calcio italiano. Il club ha avuto alti e bassi nel corso della sua storia, ma negli ultimi decenni si è affermato come una presenza stabile nella Serie A italiana, con diverse partecipazioni alle competizioni europee. Oltre ad essere un club rinomato, è anche molto attento alla sostenibilità ambientale delle sue attività. Non a caso negli ultimi anni ha proposto delle iniziative per coinvolgere la comunità locale nella sensibilizzazione ambientale, organizzando eventi e programmi educativi su questi temi e su quelli della responsabilità sociale.

Tra questi progetti sono inclusi investimenti nella promozione del calcio giovanile e nell’integrazione sociale attraverso progetti rivolti ai giovani della comunità locale. Nello specifico finanzia attività a favore dello sviluppo dei giovani e a promuovere valori come il fair play e la solidarietà. In questo modo l’Udinese Calcio si distingue non solo per la sua eccellenza sul campo, ma anche a essere un’organizzazione responsabile e consapevole del suo ruolo nella società.

Lo stadio fotovoltaico

L’ultima iniziativa del club è proprio il progetto per rendere sostenibile l’Intero Stadio Friuli. In particolare, la struttura sarà coperta da pannelli fotovoltaici grazie a un progetto che mira a produrre 1,1 milioni di kilowattora all’anno. Il progetto è stato presentato insieme alla società Blueenergy, e prevede l’installazione di 2409 pannelli solari sulla copertura delle due curve e dei distinti dello stadio. La copertura totale di 4615 metri quadrati, ha l’obiettivo di coprire buona parte dei consumi energetici dello stadio, riducendo così l’impatto ambientale delle sue attività.

Il Direttore Generale di Bluenergy, Davide Villa, ha sottolineato che i pannelli fotovoltaici saranno in grado di soddisfare l’intero consumo energetico di una partita in determinati periodi dell’anno. In più, il sistema fotovoltaico sarà collegato alla rete elettrica cittadina e fornirà energia pulita quando i consumi superano la produzione. Così facendo si potranno reimmettere eventuali surplus nei giorni a basso fabbisogno, creando un vantaggio sia al club che alla cittadina, un processo alla base di un’ottica sostenibile.

Questo programma si aggiunge alla strategia presentata anni fa, quando nel 2018 la società ha iniziato ad utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili. In tal modo ha ridotto l’emissione di migliaia di tonnellate di CO2.  Grazie a queste innovazioni l’Udinese calcio si è classificato al quarto posto in Europa nel Football Sustainability Index del 2022, aggiungendosi alla alla lista degli impianti sportivi sostenibili in Europa, tra cui lo stadio del Galatasaray a Istanbul di cui abbiamo parlato in precedenza, e la Johan Cruijff Arena dell’Ajax ad Amsterdam.

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In Congo si cambia cucina con i forni solari.

By : Aldo |Febbraio 16, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su In Congo si cambia cucina con i forni solari.
Kaysha - Unsplash

Quando le risorse materiali ed economiche scarseggiano è necessario affrontare la sfida di trovare soluzioni pratiche ed accessibili. Questo accade soprattutto quando si vive in contesti più svantaggiati rispetto al resto del mondo, come in alcune regioni dell’Africa, dove spesso grazie a collaborazioni internazionali, nascono progetti per una miglior vita dei cittadini.

   

Il Congo e il legname

La Repubblica Democratica del Congo si trova nel cuore dell’Africa, ed è uno Stato ricco di storia culturale, vanta un’ampia diversità etnica e tantissime tradizioni millenarie. Tuttavia, è una Nazione che nella storia ha faticato molto, soprattutto perché dipendente dalle risorse naturali, come petrolio, legname e minerali. Materie prime spesso sfruttate anche durante le colonizzazioni che più di una volta hanno determinato una grande e instabilità politica. Tra queste, quella legata allo Stato belga nel XIX secolo, ha lasciato una grande impronta nella nazione africana, con conseguenze profonde sul suo tessuto sociale ed economico.

    

Tra le risorse è stato citato il legname poiché il Congo gode di una ricchezza naturale di legname tra le più significative al mondo. Tale ricchezza è definita dalla presenta di vaste foreste tropicali che coprono gran parte del territorio e dalle specie in esse presenti. Si parla tra l’altro di mogano, l’acajou e l’ebano, piante volute dall’intero mercato mondiale per la loro qualità e bellezza. Pertanto, di tratta di piante estratte ed esportate a livello globale per mezzo di attività che implementano la deforestazione e gli impatti negativi sull’ambiente.

   

Inoltre, il legname è ampiamente usato anche nella quotidianità dei congolesi che lo impiegano nella costruzione di abitazioni, mobili, imbarcazioni e strumenti agricoli. Ed è usato anche come fonte di combustibile per la cottura e il riscaldamento con impatti negativi anche nella loro salute. Forse proprio per questo motivo, il Belgio ha deciso di collaborare con il Congo per un’innovazione riguardante la cucina. Infatti, da poco è nata l’idea di creare dei “forni solari” da distribuire in una delle regioni più in difficoltà del paese, per migliorare la vita dei cittadini ma anche la salute dell’ambiente.


Lo sfruttamento della risorsa

La collaborazione tra Belgio e RDC è basata sull’idea di migliorare le tecniche di cottura dei congolesi meno abbienti, la loro salute e la salute del pianeta. Nello specifico, la partnership è nata per la zona di Lubumbashi, situata nell’estremo sud dello stato dove circa il 98% dei quasi due milioni di abitanti dipende ancora dal carbone per la cottura domestica.

    

Questa pratica ha un enorme impatto negativo su vari aspetti. Il primo è ovviamente quello ambientale poiché è un meccanismo che necessita di legname e quindi favorisce il processo di deforestazione massiccia. In secondo luogo, l’uso del carbone come fonte di combustibile aumenta la percentuale di emissioni di CO2, che, come sappiamo, determina il surriscaldamento terrestre. Un terzo motivo invece, riguarda la salute umana, poiché le tecniche di cottura delle popolazioni, comprendono spesso un utilizzo particolare del carbone, che rilascia fuliggine negli alimenti, che poi vengono consumati dalle persone. Dunque, non è difficile capire che l’utilizzo quotidiano di tale risorsa da parte di questi popoli determini non pochi problemi.

    

I forni solari in collaborazione

Così, la collaborazione tra lo stato africano e quello Belga ha portato alla nascita del progetto Solar Cookers for All (Sc4all). Aperto nel 2021 come un’idea fai-da-te in un capanno da giardino, oggi Sc4ll, sta sviluppando forni solari con materiali riciclati per ridurre la dipendenza dalla cucina a carbone e i suoi effetti negativi. Grazie anche alla partecipazione dell’UHasselt e l’Università di Lubumbashi (UniLu), l’idea è diventata uno spin-off dell’università con l’obiettivo di creare localmente un’impresa che produca e distribuisca forni solari economici.

   

La tecnologia si basa esclusivamente sul calore dovuto all’energia solare. Quindi l’energia diretta del sole attraverso pannelli riflettenti per riscaldare il cibo senza rilasciare tossine o abbattere alberi. L’idea è definita sostenibile anche perché questi forni vengono costruiti con materiali riciclati come lattine e filo di ferro, in modo da adattare questa tecnologia alle esigenze locali.

   

Sebbene più di 4 milioni di famiglie nel mondo utilizzano questi forni, le versioni commerciali sono ancora troppo costose. Non a caso nasce Sc4ll, affinchè anche nei paesi più poveri le popolazioni possano usufruire di una tecnologia innovativa, sostenibile e salutare a prezzi bassi.  

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Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.

By : Aldo |Febbraio 13, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Greenpeace indaga sui resi online: la non sostenibilità dei famosi fashion brand.
rupixen - Unsplash

Sappiamo che il settore tessile è uno dei più inquinanti sul pianeta perché non impiega solo tessuti, ma quantità ingenti di acqua e suolo ed emette tantissima CO2. Greenpeace ha deciso di indagare su questo problema per dimostrare i danni che il fast fashion arreca al mondo.

 

Fast fashion

Da tempo ormai si può fare shopping direttamente da casa, con qualche click, senza uscire o prendere la macchina. Sembra tutto più semplice e poi che prezzi! E se il capo non fosse della taglia giusta si potrebbe fare il reso a pochi euro, a volte anche gratuitamente: cosa c’è meglio di così?
Nulla.

Esattamente nulla perché il fast fashion, un trend in drastico aumento negli ultimi anni sta giovando ai nostri portafogli ma non al nostro pianeta. Questo perché si tratta di merce di bassa qualità, solitamente fatta di fibre plastiche, che durano poco prima di sgualcirsi e costano relativamente poco. Il fast fashion è figlio di una società consumista che non riesce (o almeno ancora non lo ha fatto) a capire che un’economia circolare sarebbe la soluzione perfetta ai grandi problemi del momento. Che siano la crisi economica o climatica.

   

Secondo le stime attuali, a livello globale la produzione e il consumo di prodotti tessili sono raddoppiati dal 2000 al 2015 e potrebbero triplicare entro il 2030. Questo determina un tasso minimo di riciclo, non a caso solo l’1% dei vestiti viene creato da abiti vecchi e il 3% è circolare. Infatti, ogni secondo un camion pieno di capi d’abbigliamento finisce in discarica o inceneritore.

   

L’indagine di Greenpeace

Per chiarire e dimostrare con dati certi l’impatto di questo settore, Greenpeace Italia in collaborazione con Report ha svolto un’indagine non solo sul consumo ma sui resi online dei vestiti. Come detto in precedenza, pochi click bastano per comprare e fare resi gratuiti ma il pianeta paga un alto prezzo per queste attività. Lo afferma una ricerca del 2020 pubblicata su Nature, in cui si parlava del crescente impatto ecologico del fast fashion:

  • quasi il 18% delle emissioni globali di CO2 prodotte dall’industria manifatturiera;
  • milioni di litri di acqua utilizzata per lavorare cotone e tessuti;
  • almeno 100 milioni di rifiuti tessili gettati via ogni anno. 

Ora invece il focus è sui resi e quindi sui viaggi infiniti che gli indumenti fanno, una volta rispediti al mittente. I risultati ottenuti dall’inchiesta sono a dir poco assurdi e sottolineano come questa pratica veloce e diffusa stia compromettendo la salute della Terra.

   

L’indagine durata 2 mesi si è basata su 24 capi acquistati online da grandi marchi quali Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, Ovs, Shein e Asos e poi rispediti. Prima di rimandarli al mittente però, sono stati inseriti dei piccoli air tag (localizzatori GPS) per tracciarne gli spostamenti. In questo modo, i due gruppi sono riusciti a creare delle vere e proprie mappe dei resi, ma soprattutto sono riusciti a calcolare con precisioni le emissioni derivate da tali movimenti.

    

Gli abiti, quindi, hanno transitato più volte lungo tutto l’asse della nostra penisola, poi alcuni sono finiti in Europa e altri sono tornati direttamente in Cina. Questo perché gli stessi 24 capi sono stati venduti e rivenduti quasi 40 volte e resi 29 volte: ancora oggi 14 dei 24 vestiti non sono stati rivenduti. Questo giro intorno al mondo è durato ben 100 mila chilometri tra 13 Paesi europei e Cina. In media ogni pacco ha viaggiato, per consegna e reso, quasi 4500 chilometri: il tragitto più breve è stato di 1.147 chilometri, il più lungo di circa 10.300. Addirittura, sette capi che in totale hanno volato complessivamente per oltre 34 mila chilometri.

     

Le emissioni

I dati raccolti in chilometri sono stati trasformati in emissioni di CO2 grazie alla startup INDACO2, la quale ha determinato l’impatto ambientale di tutti i viaggi. Ovviamente tale valutazione tiene conto anche del packaging non solo del viaggio.  Quindi l’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di CO2e, di cui il 16% di packaging. Tali dati determinano un aumento di circa il 24% delle emissioni per pacco.

     

L’indagine di Greenpeace e Report conferma come la velocità nell’effettuare i resi in questo settore determiino un elevato impatto sul Pianeta. Nello specifico in Europa, il consumo di prodotti tessili sia il:

  • 4° settore per impatti su ambiente e clima,
  • 3° settore per consumo d’acqua e di suolo.

Sarebbero necessarie quindi delle leggi o delle normative per arginare o limitare tali operazioni o per regolamentare il transito dei resi. O ancor di più la distruzione di capi ancora utilizzabili o riciclabili. Perché una pratica che incentiva il reso attraverso i bassi prezzi, favorisce anche l’aumento dei cambiamenti climatici.

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Con Acer i-Seed si monitora la salute del suolo.

By : Aldo |Febbraio 12, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Con Acer i-Seed si monitora la salute del suolo.
Francesco Gallarotti - Unplash

Sebbene l’uomo costruisca da millenni edifici e costruzioni di ogni tipo, sembra non aver chiaro il fatto che il suolo è una risorsa limitata e scarsa. È fondamentale capire come si può proteggere questa matrice che letteralmente “sorregge” l’intera umanità e con lei tutti gli esseri viventi.

    

La risorsa suolo

Il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile quindi da salvaguardare in tutti i suoi aspetti per evitare di perderla totalmente prima del dovuto. Il suolo ha delle caratteristiche uniche e delle funzioni molto importanti per ogni singolo essere vivente; dunque, è necessario proteggerne la sua salute e limitare il suo utilizzo. O almeno sarebbe opportuno conoscere il terreno che c’è sotto i nostri piedi e imparare cosa possiamo e non possiamo fare con tale risorsa.

    

Come prima cosa è fondamentale capire che si tratta di una matrice che impiega tantissimo tempo per formarsi: si parla di 1000 anni per 3 cm di terra. Già i tempi necessari per la sua crescita dimostrano le fragilità della risorsa e fanno riflettere sulla velocità umana nel depauperarla. La continua costruzione di edifici causati dalla maggiore urbanizzazione del mondo, risulta come una minaccia per il suolo e per tutte le sue funzioni. Tra le più importanti, cattura il carbonio dall’atmosfera, previene il dissesto idrogeologico, fornisce nutrienti alle piante e conserva la biodiversità. Quelli appena citati sono servizi fondamentali e indispensabili per tutti e molto vantaggiosi per il settore agricolo, che in primis dovrebbe tutelare la matrice principale delle sue attività.

   

Tuttavia, il Rapporto presentato lo scorso 30 novembre 2023 da “Re Soil Foundation” descrive un andamento poco sostenibile delle nostre attività. Nel testo, infatti, si sottolinea come solo il 30% degli agricoltori fa analisi del suolo annualmente in Italia.  Pertanto, la gestione dei terreni e delle operazioni sono approssimate e riguardano principalmente la monocultura.

    

Il monitoraggio

Le funzioni e la salute del suolo hanno un’enorme rilevanza che non possono essere trascurate. Di solito per tutelare tali processi e le condizioni di un habitat o di un ecosistema è necessario svolgere dei monitoraggi di vario tipo. Con tali operazioni si possono misurare molteplici valori ma anche individuare possibili danni alla risorsa, in modo da trovare la migliore soluzione e proteggerla.

   

Le tecniche di monitoraggio sono tante e diverse a seconda della condizione da analizzare o l’approccio scelto e con il tempo sono sempre più avanzate. Grazie all’innovazione, infatti, i monitoraggi sono sempre più precisi e specifici e si svolgono con tecnologie sofisticate e attente l’ambiente che analizzano. Un esempio in questo senso è progetto dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova che ha creato dei robot ispirati alle piante. Si tratta di un prototipo di seme artificiale in grado di rilevare e comunicare alcuni inquinanti nel suolo, per poi decomporsi a fine vita. L’invenzione si chiama Acer i-Seed ed è stata creata in collaborazione con il Bioinspired Soft Robotics Laboratory e il Leibniz Institute for New Materials.

   

Acer i-Seed

Il progetto guidato dall’IIT di Genova è una novità spettacolare che consente di monitorare il suolo attraverso modalità innovative. L’idea è di Barbara Mazzolai, biologa marina, con dottorato in ingegneria degli ecosistemi, team leader all’IIT dal 2009. L’obiettivo del programma europeo è quello di creare robot incentrati su un concetto fondamentale: il ciclo della vita. Quindi si tratta di sistemi che usano l’energia dell’ambiente, sono completamente sicuri, traggono ispirazione dagli esseri viventi e sono riutilizzabili.

    

Infatti, Acer i-Seed è infatti un sistema ispirato ai semi rilasciati da una pianta, che cambiano forma e si muovono autonomamente nel suolo. Si tratta di un robot “soffice”, idealizzato seguendo uno studio istologico dei semi, creati artificialmente. Successivamente è stato stampato il modello in 3D del seme che vola attraverso nanoparticelle sensibili alla variazione di temperatura. Quest’ultime inoltre, emettono fluorescenza quando vengono stimolati da un laser con una determinata lunghezza d’onda, nel nostro caso l’infrarosso.

   

Di seguito la fluorescenza viene letta dai sistemi di telerilevamento a bordo di un drone e a seconda dell’intensità si determinano le concentrazioni dei parametri scelti. Tra questi

  • la temperatura;
  • l’umidità;
  • il mercurio alimentare;
  • l’anidride carbonica.

Tale studio è parte di un programma continuo e a basso costo; dunque, potrebbe essere usato anche in paesi che non possono permettersi delle tecnologie tradizionali. Sebbene sia in fase sperimentale, il gruppo di ricerca ha già de nuovi obiettivi, tra cui quello di integrare anche altri tipi di semi, oltre a quelli di acero. Così facendo si avrebbe una visione più completa del suolo di un ambiente con molteplici specie vegetali per poi individuare le aree da bonificare. La meta più importante è invece la riforestazione di zone remote, per mezzo dei robot.

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Redox Flow desalinizza l’acqua producendo energia

By : Aldo |Febbraio 08, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Redox Flow desalinizza l’acqua producendo energia
Sime Basioli - Unsplash

La risorsa più preziosa al mondo è probabilmente l’acqua, di cui ha bisogno ogni singolo individuo esistente sulla Terra anche se in modalità diverse. Ma ancora più importante per noi umani è l’acqua potabile; una percentuale bassissima che non soddisfa il fabbisogno di tutti. Per questo le nuove ricerche propongono nuovi metodi per produrne maggiori quantità.

   

Cosa succede nel mondo

L’acqua come sappiamo bene è un bene di prima necessità dell’intero mondo e come tale è una risorsa preziosa. Col passare del tempo però, cresce la sua importanza e diminuisce la sua quantità nel pianeta e questo fenomeno sta allarmando tutti. Infatti, secondo l’OMS, entro il 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree sottoposte a stress idrico, per colpa della siccità che aumenta giorno dopo giorno.

   

A tal proposito, sempre più gruppi di ricerca, stanno studiando modi alternativi per desalinizzare l’acqua e quindi impiegarla nel settore agricolo o renderla potabile. Così facendo si potrebbero affrontare le sfide determinate dai cambiamenti climatici, soddisfacendo la domanda crescente della Terra. Si parla quindi di desalinizzazione poiché il 97,5% dell’acqua sulla Terra è salata, ossia 1354,8 milioni di chilometri cubi, divisa tra oceani, mari e bacini. Mentre solo il 2,5% dell’acqua sul nostro pianeta è dolce, pari a 35,2 milioni di chilometri cubi di cui solo l’1% è potabile. Pertanto, sono sempre più le iniziative di ricerca in questo settore, la maggior parte delle quali si basa sulla desalinizzazione dell’acqua di mare.

 

La desalinizzazione

Questa tecnica è in uso da anni e impiegata regolarmente in 183 Paesi nel mondo. La metà degli impianti dissalatori globali si trova nel Medio Oriente, mentre in Europa spicca la spagna che nel 2021 ne contava circa 765. È un meccanismo così importante che in Arabia Saudita ricava da questi sistemi il 50% della propria acqua potabile.

    

Di preciso, oggi esistono due principali metodi di desalinizzazione dell’acqua:

  • la distillazione solare multistadio, un processo in cui l’acqua marina entra in scomparti in sequenza ed evapora per mezzo di vari stadi rilasciando sale;
  • l’osmosi inversa, meccanismo alimentato dal calore solare, per cui il sale si accumula rapidamente all’interno del dispositivo creando cristalli. Purtoppo questo processo determina un’otturazione del sistema, dunque è più costoso a livello economico, energetico e tecnologico rispetto ad altri.
  • lo scambio ionico, processo molto complesso, basato sulla rimozione degli ioni per mezzo di speciali resine.

Nonostante ciò, la ricerca avanza e di recente è stato pubblicato uno studio di un gruppo di ricerca dei New York che sembra aver trovato un’alternativa ancora più sostenibile. Si tratta di un meccanismo che, oltre a desalinizzare l’acqua marina, produce allo stesso tempo energia elettrica immagazzinabile in batterie.

 

Redox Flow

Redox Flow è il nome del processo ideato dai ricercatori della Tandon School of Engineering, New York University. Un meccanismo più economico degli altri caratterizzato da un’elevata efficienza di desalinizzazione. Il nome deriva dalle batterie a flusso Redox, una nuova tecnica elettrochimica che consente di trasformare l’acqua salata in acqua potabile e non solo. Infatti, permette di immagazzinare l’energia rinnovabile prodotta dal flusso dell’acqua, il tutto con prezzi accessibili, quindi anche per le regioni più in difficoltà.

   

Lo studio dimostra come il meccanismo messo a punto, possa diminuire il tasso di rimozione del sale di circa il 20%, così facendo riduce la domanda di energia. Sebbene sia stato applicato solo su bassa scala, risulta una valida alternativa ai metodi in precedenza elencati. Per impiegarlo su larga scala invece sarebbe necessario ottimizzare le membrane ioniche che filtrano l’acqua salata e la forza usata per la separazione. L’innovazione si trova proprio in questa fase. Perché è possibile usare di energia elettrica come forza spingente, ma anche sfruttare l’energia chimica sprigionata in modo spontaneo dal mescolamento di due soluzioni e convertita in energia elettrica. Questa poi può essere catturata e trasferita agli elettrodi della batteria ricaricabile.

    

Il professore che guida il gruppo, André Taylor, professore di ingegneria chimica e biomolecolare, è riuscito ad ottimizzare il processo totale. Di fatti, il sistema può desalinizzare fino a 700 litro/ora m2, cifre elevatissime rispetto ai 15 litro/ora dell’osmosi inversa. Lo stesso, nello studio pubblicato su Cell Reports Physical Science, suggerisce come un sistema del genere possa essere un’importante soluzione a due domande fondamentali, ossia quella dell’energia e dell’acqua potabile.

     

Se impiegata in aree remote, in regioni povere o in stati di forte siccità, un’innovazione del genere potrebbe diventare un vero e proprio game changer. Soprattutto perché non inficia la conservazione ambientale e supporta l’integrazione energie rinnovabili, come solare ed eolico. In particolare, l’utilizzo di queste fonti intermittenti fornirebbe un’energia immagazzinata nelle batterie (sopra citate) rilasciata su richiesta. Il sistema porterebbe si, un nuovo quantitativo d’acqua potabile, ma incentiverebbe la transizione ecologia riducendo la dipendenza dalle reti elettriche convenzionali.

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Crediti di plastica: Greenwashing o azione concreta?

By : Aldo |Febbraio 06, 2024 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Crediti di plastica: Greenwashing o azione concreta?
Steve Johnson - Unsplash

La quantità di plastica nel mondo cresce in maniera spropositata e rappresenta sempre più un problema globale a cui mettere un freno. Negli anni sono stati promossi progetti di ogni tipo, investimenti per la ricerca e soluzioni per le aziende. Tuttavia, sembra che la problematica continui ad aumentare e che certe azioni non abbiano l’impatto desiderato.

 

Nuove frontiere

Ad oggi il mondo è invaso dalla plastica, che continua ad aumentare in modo spropositato senza un accenno di rallentamento. Ogni anno 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani e tra i 75 e i 199 milioni di tonnellate hanno già raggiunto i loro ecosistemi. Questo fenomeno si ripercuote anche sulla terra ferma e sulla nostra salute. Pertanto tale tendenza preoccupa tutti e soprattutto gli studiosi che hanno messo a punto, negli anni, soluzioni e progetti per limitarne la dispersione nell’ambiente. Riciclo, riuso, nuovi polimeri, la biodegradabilità, tutto è volto a ridurre la produzione e il consumo di plastica, se non fosse che certe soluzioni sono di dubbia efficienza.

   

Infatti, durante i negoziati del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente a Nairobi (svolti dal 13 al 19 novembre) è stata introdotta una nuova opzione. Quest’ultima non convince tutti anzi, crea un forte divario tra i suoi supporter e gli scettici. Si parla dei crediti di plastica, simili a quelli di carbonio, sono stati introdotti come una nuova soluzione per ridurre l’inquinamento dei polimeri onnipresenti. Ci sono molti aspetti che fanno dubitare della loro efficienza nella diminuzione dell’inquinamento o almeno della loro validità in questo campo. Tuttavia, sono state già autorizzate le società addette alla valutazione, al monitoraggio e alla certificazione di tali crediti. Tra queste Plastic Bank, Plastic Credit Exchange e Verra già già finite negli scandali per crediti di carbonio “spazzatura”.

 

I crediti di plastica

Ma cosa sono effettivamente i crediti di plastica e come funzionerà questo nuovo mercato? I crediti di plastica vengono utilizzati dalle imprese per finanziare la rimozione della plastica e contribuire a impedirne il raggiungimento dell’ambiente. Addirittura, le aziende possono unire tale attività agli impegni che attuano per ridurre l’inquinamento nella filiera, così da raggiungere la “neutralità plastica”.

    

Di preciso, le aziende possono guadagnano crediti collaborando con enti impegnati nella raccolta di plastica (per proprio conto). Tali organizzazioni, sono generalmente formate da volontari o comunque da cittadini di aree costiere, principalmente dei paesi in via di sviluppo. Seguendo tale meccanismo sarebbe più semplice monitorare i progetti finanziati e l’effettivo cambiamento, al contrario dei crediti di carbonio. Infatti, secondo Clean Hub (società di consulenza per aziende), monitoraggio, controllo e recupero della plastica sono processi tangibili e tracciabili.

   

Pro, contro e greenwashing

Come detto in precedenza, questi movimenti non sono ritenuti validi da tutti, il panorama mondiale è diviso tra i pro e i contro. Chi li promuove, afferma siano molto più tracciabili dei crediti di carbonio e che possano contribuire realmente a ridurre il rilascio in ambiente di plastica. C’è chi invece crede si tratta dell’ennesima forma di greenwashing e dunque che non siano efficienti al contrario possono rallentare il percorso di diminuzione della plastica.

   

Le prime opinioni sono rafforzate dal fatto che questa soluzione finanziaria potrebbe trovarsi al cuore del prossimo Trattato globale sulla plastica delle Nazioni Unite. La considerazione di una tale iniziativa da parte di un ente così importante a livello globale fa pensare si tratti di una vera e propria soluzione. Nonostante ciò, si riscontrano dei movimenti poco chiari e delle dinamiche particolari che fanno dubitare della loro efficacia nel mondo.

 

Per prima cosa sono attività promosse maggiormente nei paesi a basso reddito, dove non esistono programmi di gestione dei rifiuti né tutele sul lavoro. In questo modo si evitano dei punti cardine della sostenibilità che riguarda anche l’aspetto sociale e umano, al quale si devono garantire diritti fondamentali. Così facendo, la pratica potrebbe trasformarsi in un’operazione di greenwashing, soprattutto perché non esistono ancora degli standard globali. Ovvero, non sono stati definiti regolamenti che disciplinino l’uso di questi crediti plastica o ne garantiscano l’affidabilità. In tal modo, le aziende non saranno impegnate concretamente nel ridurre la produzione di plastica, poiché la soluzione riguarda solo la parte finale della filiera. Pertanto, saranno in grado di continuare a produrla coprendosi con campagne pubblicitarie illusorie.

   

Per ora le indagini non presentano una grande positività dell’iniziativa. Di certo se fossero regolamentate e monitorate nei modi opportuni, queste attività potrebbero aiutare (in parte) a risolvere il problema.

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Farina di grillo: la prima azienda italiana autorizzata alla produzione e al commercio.

By : Aldo |Febbraio 04, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Farina di grillo: la prima azienda italiana autorizzata alla produzione e al commercio.
Nathan Dumlao - Unsplash

La fame nel mondo, le nuove diete, la sostenibilità hanno portato alla ricerca di nuove soluzioni regolare la crescita demografica del pianeta. Le prime innovazioni su questo fronte stanno arrivando ma non tutte sono accolte positivamente dalle popolazioni mondiali. Una delle più discusse è legata all’utilizzo di insetti nell’alimentazione.

Le proteine del futuro

Da anni si discute di come affrontare la crescita demografica e quindi di come sfamare 8 milioni di persone sulla terra. Soprattutto, si deve ragionare in funzione di uno stock limitato di risorse e quindi con la necessità di massimizzare la resa. Per questa ragione si parla ormai da anni, di un futuro in cui i popoli si alimentano con particolari prodotti, come per esempio gli insetti.

La scelta di introdurre gli insetti non è recente per alcune popolazioni del mondo ma di certo è una novità per le popolazioni “occidentali”. A proposito, la FAO afferma che si consumano già 1900 specie diverse di insetti, quindi i passi che stiamo muovendo sono effettivamente una novità solo per alcuni.  Nonostante ciò, molti non condividono o si chiedono ancora le ragioni per cui procedere con la consumazione dei nuovi alimenti e i loro derivati.

Gli insetti possono piacere o meno, ma è scientificamente provato che siano ricchi di proteine e nutrienti e cosa più importante: sono tantissimi sul pianeta. Inoltre, il loro allevamento non produce neanche l’1% di emissioni e dunque sono un’alternativa ideale alla dieta tradizionale. La loro introduzione nel settore alimentare contribuirebbe positivamente ad un ambiente più sostenibile e sano. Precisamente, potrebbero contrastare problemi quali:

  • l’aumento del costo delle proteine animali;
  • l’insicurezza alimentare;
  • le pressioni ambientali;
  • la crescita demografica;
  • l’aumento della domanda di proteine presso le classi medie.

In Europa

In Europa è entrato in vigore il primo regolamento 258/97, relativo ai “nuovi alimenti” il 15 maggio 1997. Con tale norma si definisce qualsiasi prodotto alimentare che non sia stato consumato ampiamente nell’UE. Ma solo di recente (1° giugno 2021), la Commissione Europea ha adottato il regolamento sui “nuovi alimenti”. Tale passo è stato possibile grazie a una scrupolosa valutazione scientifica (effettuata dall’EFSA) sulla sicurezza alimentare di questi cibi. Dopodiché è stata approvata la loro introduzione sul mercato UE.

È bene ricordare che, parlando di insetti, l’UE, ha approvato l’introduzione del tenebrione mugnaio giallo. L’insetto è stato valutato dall’EFSA ed è soggetto alle norme UE che disciplinano l’etichettatura degli allergeni. Ossia di un elenco di 14 ingredienti che devono essere chiaramente segnalati sull’etichetta, come uova, latte, pesce, crostacei ed ora anche gli insetti. In particolare, è stato riconosciuto che il consumo del tenebrione mugnaio giallo può provocare reazioni allergiche specialmente a chi è allergico o intollerante ai crostacei e agli acari della polvere.

Nei mesi successivi al regolamento sono arrivate anche richieste per autorizzare anche il consumo di altre varietà, come:

  • l’Alphitobius diaperinus larve (tenebrione mugnaio minore);
  • Gryllodes sigillatus (grillo domestico tropicale);
  • l’Acheta domesticus (grillo domestico);
  • Locusta migratoria;
  • Hermetia illucens (mosca soldato nero).

Ovviamente anche per queste sarà necessaria la valutazione di sicurezza da parte dell’EFSA per l’autorizzazione al commercio. Sebbene si tratti di un tema controverso per alcuni e di una svolta per altri, l’Italia ha sorpreso tutti in questo ambito. Infatti, ha autorizzato la prima azienda italiana a produrre e vendere alimenti a base di insetti.

Nutrinsect

Nutrinsect è (per ora) la prima ed unica azienda italiana autorizzata alla produzione, trasformazione e commercializzazione della farina di grillo per alimentazione umana. La società marchigiana con sede in provincia di Macerata dopo due anni di attesa potrà distribuire la farina liofilizzata di grilli, definita “polvere sgrassata di acheta domesticus”.  La storia del gruppo racconta come cambiano le necessità nel tempo e le idee innovative che sono alla base della svolta sostenibile. Nel 2011 Jose Cianni, fondatore e ceo dell’azienda, si interessa alla questione e decide di puntare su questa nuova frontiera ancora sconosciuta. La sua scelta è coraggiosa anche perché deriva da una famiglia di allevatori tradizionali, quindi ha continuato sulla stessa linea, cambiando materia prima.

Il gruppo per avere l’approvazione ha atteso due anni, in cui ha avviato due diversi iter burocratici, uno dei quali prevedeva la collaborazione con aziende già autorizzate. Non a caso per la prima fase, la distribuzione della farina “Nutrinsect” sarà curata dalla Reire di Reggio Emilia. I destinatari sono le aziende alimentari e a tutto il settore horeca: mentre serve altro tempo per i supermercati.

Di preciso, l’allevamento della società non è considerato intensivo per via delle condizioni in cui vivono i grilli che contano un tasso di mortalità bassissimo. Inoltre, non sono usati farmaci o antibiotici, dunque il profilo nutrizionale del prodotto è di altissima qualità. Ciò è fondamentale per due principali aspetti:

  • la salute umana, poiché la farina in esame è ricca di proteine, ferro, calcio, vitamina B12 e fibre;
  • la salute ambientale, visto che per produrre 1kg di carne servono 15mila litri di acqua e solo 5 per 1kg di farina di grilli.

Ad oggi l’azienda produce 2 tonnellate di polvere di grillo liofilizzata al mese, grazie all’allevamento di 10 milioni di grilli. L’obiettivo è quello di produrne 400 tonnellate, ma c’è tempo per Nutrinsect di ampliare il proprio mercato e affinare le proprie tecnologie.

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Il Parmigiano Reggiano continua il suo percorso verso una produzione “green”.

By : Aldo |Febbraio 01, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Il Parmigiano Reggiano continua il suo percorso verso una produzione “green”.
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Caroline Roose - Unsplash

La sostenibilità come soluzione alla crisi climatica è il principio che bisogna seguire per proteggere il nostro pianeta e allo stesso tempo i nostri prodotti. Soprattutto se si parla di alimenti DOP, tipici del Made in Italy, come ad esempio, il Parmigiano Reggiano, sempre più innovativo e “green”.

I cambiamenti che preoccupano

Il Parmigiano Reggiano è un formaggio DOP, nato probabilmente tra il XII e il XIV secolo nella zona tra Parma e Reggio Emilia. Si tratta del prodotto Made in Italy più importato e famoso al mondo, una chicca tutta italiana, parte della nostra cultura e tradizione. Tuttavia, come tanti altri alimenti tradizionali, anche il Parmigiano Reggiano deve confrontarsi con i cambiamenti climatici. In particolare, allevatori ed agricoltori si stanno muovendo affinché, i loro prodotti garantiscano qualità e caratteristiche nel tempo, riducendo il loro impatto sull’ambiente.

Sebbene la ricerca di nuove tecnologie e tecniche produttive del formaggio fosse iniziata anni fa, negli ultimi mesi è cresciuta per molteplici ragioni. Una in particolare riguarda la strategia per affrontare i cambiamenti climatici in modo tale che, la produzione dell’alimento possa continuare senza ostacoli di alcun tipo. Questa attenzione è incrementata soprattutto dopo le alluvioni di maggio nella regione dell’Emilia-Romagna, che hanno portato gravi danni nell’area da essi interessata.

Inoltre, tale evento ha sottolineato quanto sia importante la protezione dell’area di produzione del Parmigiano, una zona molto ristretta ma anche molto vicina ai corsi d’acqua. Si tratta di territorio che comprende Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna alla sinistra del fiume Reno e Mantova, alla destra del fiume Po. Nello specifico l’esondazione unita alle condizioni di siccità del periodo di maggio, hanno avuto ripercussioni sulla produzione del latte. Questo processo è dovuto all’alterazione dei foraggi primaverili e quindi ad una scarsa e inadeguata alimentazione del bestiame.

I progetti e le soluzioni

Per affrontare i futuri eventi metereologici estremi e ridurre l’impatto del formaggio, il settore in questione ha applicato delle modifiche nei suoi processi produttivi. Perciò sono state attuate molteplici variazioni che consentono di incrementare la sostenibilità di ogni fase produttiva, garantendo la qualità del prodotto e la protezione del bestiame. Come in altri ambiti, anche qui, la sostenibilità non è rilegata solo ed esclusivamente alla riduzione delle emissioni, ma è un concetto generale e complessivo.

Negli anni l’intero ambito si è mosso per limitare gli impatti negativi sull’ambiente, con un occhio di riguardo per le emissioni di CO2. Questo è forse il problema più grande, della produzione, il più additato nelle varie discussioni correlate al riscaldamento globale e dunque alla scelta di diete vegetariane e vegane. Tuttavia, essendo questo un alimento simbolo dell’Italia, è difficile pensare di eliminarlo totalmente dalla nostra tradizione culinaria, o di renderlo “plant based”.

Nonostante la nuova direttiva Europea non abbia compreso soluzioni per le emissioni delle filiere zootecniche, l’Italia si muove da anni per la loro riduzione. Infatti, secondo l’ISPRA, dal 1990 al 2021 il sistema zootecnico italiano ha ridotto complessivamente le emissioni di gas serra di circa il 15%. Per precisare la zootecnia incide per il 7,8% delle emissioni. Per rimediare a tale problema agricoltori e allevatori hanno approfondito la questione del biogas. I motivi alla base di questa mossa sono principalmente due:

  • Il 45% delle emissioni del settore agricolo dipende dalla fermentazione enterica delle vacche (che dipende dall’alimentazione);
  • La gestione delle deiezioni produce il 20% delle emissioni

Pertanto, la scelta che si porta avanti da anni è quella di sviluppare impianti di biogas alimentati proprio dai reflui zootecnici. Quindi il metano viene recuperato per la produzione di energia evitando la sua dispersione in atmosfera e limitando anche le emissioni di ammoniaca (-26%).

Le innovazioni delle singole aziende

Così, le varie aziende produttrici del Parmigiano Reggiano hanno cominciato ad apportare piccole, grandi modifiche per migliorare la loro impronta sul pianeta. Tutte sono coinvolte da anni in una trasformazione tecnologica per assicurare una maggiore qualità e sostenibilità dell’alimento. Questo è stato possibile grazie ad investimenti con lo scopo di fronteggiare siccità, alluvioni e transizione energetica.

Come prima cosa, è stata ridotta la quantità di antibiotici nell’alimentazione, del 43% in 10 anni, a seguito di modifiche che hanno migliorato giorno dopo giorno le condizioni di vita del bestiame. Lo dichiara Paolo Gennari, dell’Azienda Agricola Gennari che ha investito nella tecnologia con l’obiettivo di far vivere il bestiame nel benessere. Come? Con un monitoraggio completo e specifico delle varie condizioni di vita dell’animale e della sicurezza dello stabile in cui si trovano. In questo senso è importante monitorare la temperatura e tenerla costante per tutto l’anno, in modo tale che non ci siano grandi sbalzi anche per il corpo della vacca. Tutto ciò è possibile grazie ai grandi ventilatori applicati nelle stalle, limitando lo stress da caldo, l’aumento di infezioni ed emissioni dell’animale. Altrimenti, in estate le mucche bevono di più e mangiano meno, riducendo la produzione di latte. Un’ulteriore attenzione è rivolta alla fornitura di foraggio, sottoposta ad un rigido protocollo per poter essere somministrato alle mucche. Sulla base di tale regolamento l’Azienda Gennari ha deciso di coltivare direttamente 500 ettari di terreno (vicini gli allevamenti), per un’elevata sicurezza dell’alimentazione del bestiame.

Una diversa questione è invece legata alla tutela del territorio, come spiega Nicola Bertinelli, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. L’alimento in analisi è prodotto interamente in montagna. Il 20% della produzione totale ossia 850 mila forme, si è concentrata negli 81 caseifici di montagna che coinvolgono 900 allevatori. Dal loro lavoro di producono ben 4 milioni di quintali di latte. Ciò ha reso possibile il mantenimento di un’agricoltura in zone altrimenti abbandonate, invertendo una tendenza di decrescita che aveva colpito il comparto fino al 2014.

Mentre nell’azienda Valserena si sperimenta in modo diverso. Nell’impianto che produce 16 forme al giorno, c’è una grande attenzione verso l’irrigazione e la concimazione e si segue l’intera filiera produttiva. Nei 430 ettari di terreno oltre al foraggio, si coltivano pomodori, cereali ed erbe mediche. Inoltre, è prevista l’installazione di pannelli solari e al creazione di aree umide per il riparo e la riproduzione di uccelli, anfibi e mammiferi. Senza contare la semina “su sodo”, una tecnica per la coltivazione di frumento in terreni non lavorati.

Insomma, se questi sono gli impegni e le tecnologie delle aziende produttrici del Parmigiano Reggiano, possiamo dire che il prodotto finale è un Made in Italy speciale. Perché non solo, rappresenta la nostra tradizione, la qualità e la bontà dei nostri prodotti, ma l’impegno in una maggiore sostenibilità di produzione, per proteggere il Belpaese.

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A Roma arriva la “Proposta di strategia di adattamento climatico”

By : Aldo |Gennaio 30, 2024 |Home |Commenti disabilitati su A Roma arriva la “Proposta di strategia di adattamento climatico”
Francesco Maria Achille - Unsplash

La Capitale d’Italia, secondo gli ultimi studi e i fenomeni estremi verificatesi è tra le città italiane più colpite dai cambiamenti climatici. In un capoluogo della sua portata qualsiasi modifica ad infrastrutture, spazi e dinamiche quotidiane risulta sempre una missione impossibile. Questo però non ha fermato il comune di Roma a proporre un piano per sviluppare degli adattamenti al cambiamento climatico.

    

Roma 2023

La situazione in cui si trova la città di Roma è abbastanza delicata ma allo stesso tempo descrive una vera emergenza. Le analisi degli ultimi anni affermano che a Roma l’aumento del caldo è più marcato rispetto a tutti gli altri capoluoghi di regione italiani. Nello specifico i suoi territori, dall’entroterra al mare, presentano fragilità che si intensificheranno con i cambiamenti climatici.

    

Per questo, il 23 gennaio 2024 è stato presentato al campidoglio un documento di 400 pagine, riguardante la strategia per gli adattamenti al cambio climatico. Nel testo si inquadrano scenari e si propongono soluzioni nell’ambito della rete idrica, della riforestazione urbana ed altro. Tutto ciò con l’obiettivo di mettere in sicurezza il territorio dagli impatti climatici previsti al 2050. L’approvazione da parte dell’assemblea capitolina è prevista per il 30 aprile, nel frattempo si organizzeranno incontri e workshop con stakeholders e gli enti coinvolti. Tra le realtà e gli studiosi si trovano:

  • Fondazione Cmcc (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici),
  • Ispra;
  • Cnr;
  • Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio;
  • ASL Roma 1 (DEP Lazio);
  • Enea;
  • Università La Sapienza;
  • Università Roma Tre;
  • Autorità distrettuale di Bacino dell’Italia Centrale;
  • Areti;
  • Ferrovie dello Stato;
  • Consorzio di bonifica;

La Strategia prevede di approfondire rischi e scenari per il territorio di Roma, per metterla in sicurezza e rafforzando la sua resilienza. In tal modo, la Capitale potrà mettersi al passo con le città europee che condividono gli stessi obiettivi sul clima.

    

Il documento

Il testo presentato individua l’insieme delle misure di adattamento da applicare a Roma entro il 2030 e servono per preparare il territorio agli impatti del 2050. La proposta affronta vari ambiti di intervento, tuttavia evidenzia quattro questioni prioritarie da affrontare a Roma:

  • Alluvioni ed esondazioni
  • Siccità
  • Isole di calore urbano
  • Impatti sul litorale costiero.

Gli obiettivi della fase iniziata, ovvero quella della consultazione pubblica, sono esattamente 3. Il primo è quello di promuovere la sensibilizzazione e la responsabilizzazione dei cittadini, rendendoli partecipi e consapevoli dei possibili avvenimenti. Il secondo invece, mira alla collaborazione scientifica per risolvere ed affrontare questi cambiamenti, favorendo la sperimentazione anche per quanto riguarda nuovi posti di lavoro. Infine, prevede una grande cooperazione con le realtà interessate e fondamentali per difendere e portare avanti le politiche climatiche. Nella prima parte del piano vengono presentati i dati meteoclimatici degli impatti in corso e dei rischi. In particolare, della riduzione delle precipitazioni piovose, la maggiore siccità e l’aumento delle ondate di calore. Si tratta si una fase introduttiva in cui si descrive un quadro completo degli ultimi anni e dei loro fenomeni.

      

Seconda e terza parte

La seconda parte è dedicata ai progetti di vario tipo in corso per rendere la città più resiliente agli impatti. Per esempio, si evidenzia l’importanza del corretto uso della risorsa più importante al mondo, ovvero l’acqua. In questo senso si descrivono i punti per ridurne lo spreco e gli interventi necessari. Per prima cosa si ricorda l’importanza di un efficiente sistema di monitoraggio territoriale dei bacini idrici e quindi anche della rete capitolina. Si intende addirittura digitalizzarla, massimizzando l’efficacia con nuove istallazioni e tecnologie. Mentre per una maggiore sostenibilità è stata avanzata la proposta di riusare le acque reflue in uso agricolo e industriale. 

      

Guardando ad un altro ambito viene citata la biodiversità urbana e la sua rilevanza, che può accrescerci con specifici progetti e interventi. Non a caso l’obiettivo generale è quello di rendere “la foresta urbana più resiliente, sana e diversificata, creando delle “Isole di naturalità”. Di conseguenza aumenta il benessere di tutti gli ecosistemi circostanti e quindi anche quello umano. Questi sono le operazioni “nature based” che devono necessariamente essere accompagnate dagli interventi nei contesti urbani antropizzati. Un esempio, i “tetti verdi” o le pavimentazioni di colori chiari per riflettere l’albedo.

        

Progetti avviati

Per chiudere il documento, sono riportati nella terza parte i progetti già avviati correlati agli ambiti e agli eventi elencati in precedenza. Si individuano principalmente gli obiettivi e le misure di adattamento per preparare il territorio di Roma agli impatti in corso e a quelli prevedibili. Tra i programmi in corso si citano le riforestazioni urbane, che tra il 2022 e il 2023 hanno visto crescere un totale di 448 piante vicino le scuole di quasi tutti i municipi di Roma.  Oppure la manutenzione della rete idrica, riducendone le perdite al 27,8% contro il 43% del 2007 (e una media nazionale del 42%). O ancora si parla di attività di riqualifica di piazze storiche come quella dei Cinquecento e di San Giovanni in Laterano.

       

Restando nell’ambito dei progetti avviati, bisogna ricordare che l’Assemblea Capitolina ha approvato il 19 gennaio 2023 le nuove Linee guida dei lavori pubblici di Roma Capitale. Questo è necessario anche per ridurre i livelli di inquinamento atmosferico, acustico e l’effetto isola di calore urbano e migliorare la città interamente.  Per finire, sono riportati anche i finanziamenti e gli enti finanziatori di ciascun progetto.

       

In conclusione

Con tale proposta, Roma diventa la prima città ad avvalersi di un piano strategico per l’adattamento contro i cambiamenti climatici. Che sia un merito o una necessità, vista la sua popolazione, le sue caratteristiche e l’importanza a livello nazionale, è pur sempre una mossa verso l’innovazione.
Ora bisogna attendere la fine di aprile per sapere se e come verrà messa in atto.

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Come possiamo rendere lo sci più sostenibile?

By : Aldo |Gennaio 28, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Come possiamo rendere lo sci più sostenibile?
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Gennaio quasi al termine e la neve dovrebbe essere arrivata ovunque o per meglio dire, dove dovrebbe essere presente. Ma con gli anni, si riscontrano maggiori problemi in questo settore, soprattutto per chi, fino a qualche anno fa, ha vissuto grazie a questa stagione.

L’Italia sempre meno innevata

Ancora non possiamo avere un quadro completo riguardante il periodo nevoso del 2024, ma basta analizzare i dati del 2023 per capire la tendenza del futuro. L’allarme arriva dalla Fondazione CIMA, che sulla base dei suoi monitoraggi, afferma che la situazione peggiora annualmente sulle Alpi, a discapito anche dei bacini idrici.

Per indagare sulla situazione che stiamo vivendo, bisogna prima spiegare il concetto di “accumulation day” previsto per il 4 marzo. Si tratta del giorno di massimo accumulo di neve, dopo il quale è più difficile avere fiocchi intensi e prolungati. Quindi da quel momento in poi i serbatoi d’acqua sulle montagne, si riempiranno difficilmente nelle successive settimane. Tuttavia, questa condizione non rispecchia più il corso naturale del processo, soprattutto perché viene smorzato dai lunghi periodi di siccità (non solo estiva). Solitamente si registrano tra i 10 e 13 miliardi di m3 d’acqua nei primi giorni di marzo, nel 2023 erano solo 6 miliardi. 

Un secondo fattore che preoccupa gli studiosi è la velocità con la quale la neve fonde; ultimamente in modo più repentino rispetto al passato. Tale celerità è determinata dalle temperature calde che si registrano dopo un’abbondante nevicata. Così la neve si scioglie prima di quanto sarebbe necessario per il fabbisogno irriguo, raddoppiando il fabbisogno d’acqua per l’irrigazione.

Ultimo e non per importanza bisogna tenere da conto il fattore ghiacciai. Infatti, non solo la neve li alimenta d’inverno, ma li protegge in estate dalla fusione; peccato però che il trend stia cambiando. Nel 2022 infatti la fusione glaciale è avvenuta varie settimane prima del solito; dunque, è probabile che questo fenomeno si ripresenti anno dopo anno.

    

Il settore sciistico

Ovviamente tutti i processi appena descritti sono pericolosi per tutti e non solo per gli ecosistemi montani e fluviali. Nonostante ciò, c’è chi vive letteralmente grazie al periodo nevoso e alle attività ad esso correlate, che sta soffrendo in primis i cambiamenti climatici. Forse però, sono proprio loro, che possono fare la differenza, intraprendendo un cambiamento dei loro business rendendoli più sostenibili.

Secondo i dati del 2023, in Italia ci sono 5.700 km di piste, le quali hanno registrato il picco di frequenza a metà gennaio. Quindi è opportuno trovare delle soluzioni per organizzare delle settimane bianche meno impattanti sotto ogni singolo aspetto. Senza dubbio, tutto questo è possibile solo con un cambio di mentalità, un approccio diverso all’economia di questo settore. Comunque, alla base di tutto è necessaria la volontà collettiva, di vivere in armonia e proteggere la natura.

   

Periodicità e neve artificiale

Per invertire la rotta e migliorare le prestazioni di ogni attività legata al mondo dello sci, si possono considerare nuove soluzioni per settimane bianche, più verdi. Senza dubbio la prima sarebbe quella di approfittare della neve quando c’è, quindi organizzare viaggi, e gite fuori porta ad hoc. Al contrario del pensiero comune, ossia quello di pretendere che la neve sia presente anche quando non ci sono le condizioni giuste. Tale discorso è importante da diffondere soprattutto per limitare l’impiego della neve artificiale, una pratica che aiuta le realtà locali ma non il pianeta. Più precisamente, per ottenere il quantitativo necessario di neve artificiale, servono acqua ed energia in quantità elevate e ciò determina maggiori costi per tutti.

Più precisamente, l’acqua usata per la neve viene sottratta al settore agricolo o idroelettrico. Mentre l’energia usata aumenta i costi per i gestori, quindi per gli skipass e l’ambiente a meno che quell’energia non provenga da fonti rinnovabili. Anche perché, se l’energia usata, derivasse da combustibili fossili, sarebbe un circolo in cui: per rimediare a lacune per colpa del caldo, usiamo energia che incrementa le emissioni.  Oppure sarebbero auspicabili nuove tecnologie che consentono la produzione di neve artificiale sostenibile.

Per queste ragioni si potrebbe pensare di approfittare della neve quando è presente pianificando le proprie giornate seguendo il meteo e non le feste comandate. Di certo è più complicato per noi organizzarci, ma almeno avremmo la sicurezza di trovare la neve e passare delle belle giornate. In questo modo si sfrutta la risorsa per quanto tale, limitando pratiche artificiali incompatibili con i processi della natura. Al tempo stesso tour operator, albergatori ed enti locali potrebbero investire su altre forme di intrattenimento ed altre attività. Per esempio, si potrebbero pubblicizzare maggiormente camminate, ciaspolate, discese con lo slittino, sci alpinismo, sci di fondo e molto altro.

La sostenibilità dei turisti

Allo stesso tempo anche i turisti possono fare la differenza: anche in questo caso nessuno è escluso dal cambiamento. Per prima cosa si può ridurre la quantità di vestiti che si comprano ogni anno per le stesse attività. Infatti, basterebbe comprare degli indumenti di buona qualità una volta, anche a prezzi poco più elevati della norma, ma che possano durare anni. Per quanto riguarda sci, scarponi, bastoni, casco si potrebbe parlare di noleggio, in modo da ridurre gli articoli in viaggio, risparmiare e ridurre il nostro impatto sul pianeta.

Un secondo aspetto fondamentale è quello della mobilità. Sarebbe adatto spostarsi a piedi, favorendo passeggiate in mezzo alle montagne, che fanno sempre bene anche alla nostra salute. In alternativa si possono scegliere gli skibus, quindi mezzi di trasporto comuni, tipici delle località sciistiche.

Dunque, sebbene lo sci sia uno sport impattante, con gli accorgimenti elencati e le innovazioni del secolo troveremo sicuramente il modo di renderlo sostenibile. O almeno ci proveremo.

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Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.

By : Aldo |Gennaio 17, 2024 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su Accordo di Parigi. Grazie all’accordo con la Svizzera, arrivano a Bangkok gli e-bus.
Chris Karidis - Unsplash

Si sente spesso parlare di compensazione della CO2, di riforestazioni e progetti di sviluppo oltre oceano. Sembra che questi siano gli unici modi con cui uno stato possa compensare le sue emissioni, ma un’articolo dell’Accordo di Parigi cambia tutto.

Articolo 6 Accordo di Parigi

L’articolo 6 è un punto fondamentale dell’Accordo di Parigi poiché consente le collaborazioni tra Stati per raggiungere i propri obiettivi climatici. Il punto ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS) divise in 2 sottoclassi:

  • quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi (art. 6.4);
  • quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali (art. 6.2).

Con tali premesse c’è la possibilità di creare una rete di cooperazione internazionale sul mercato del carbonio per ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, anche questi meccanismi devono seguire delle regole specifiche, affinché i progetti di compensazione non siano vani. Più precisamente, esiste una procedura obbligatoria che entrambi gli stati devono seguire per evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni. Quindi

  • un paese trasferisce unità di emissioni a un altro paese
  • il venditore sottrae tali unità di emissioni dal proprio obiettivo di emissioni
  • l’acquirente deve aggiungerle al proprio obiettivo.

Grazie a questo articolo, esiste un gran numero di operazioni possibili per la riduzione del carbonio, con lo scopo di agire contro i cambiamenti climatici.

Svizzera e Thailandia

La notizia che circola da qualche giorno riguarda proprio l’applicazione di tale articolo. In Thailandia sono arrivati gli e-bus o bus elettrici dalla Svizzera per compensare le emissioni di CO2. Un’operazione nuova, prima del suo genere che apre le porte a nuovi piani internazionali, sviluppati semrpe sulla base delle direttive dell’Accordo di Parigi.

Il programma di Energy Absolute Public Company Limited è sostenuto dalla Foundation for Climate Protection and Carbon Offset Klik (Klik Foundation). Ma anche da South Pole, società svizzera specializzata in queste specifiche operazioni. L’accordo bilaterale serve per ridurre le emissioni e l’inquinamento atmosferico di Bangkok attraverso l’introduzione di veicoli elettrici nel trasporto pubblico gestito da operatori privati. A tal proposito, il quotidiano “La Repubblica” ha intervistato Aurora D’Aprile, consulente di Carbonsink, parte di South Pole dal 2022. Nella conversazione si spiegano i motivi per cui questo, è considerato un piano unico nel suo genere.

Il primo progetto

La partnership tra Svizzera e Thailandia è considerata una novità poiché prevede lo scambio di crediti di carbonio tra Stati e non solo tra privati. La sorpresa deriva dal fatto che tale pratica è consentita dall’Articolo 6 ma nessuno ancora aveva applicato tale norma. Un fatto, questo, incomprensibile, poiché l’articolo mirava proprio alle collaborazioni tra governi. Inoltre, era chiaro che con la cooperazione si sarebbero ridotte maggiormente le emissioni, rispetto ad una pratica solitaria e privata.

Un secondo motivo per cui il progetto è ritenuto primo nel suo genere è il fatto che sia il primo in cui l’iter, legato al mercato del carbonio, sia stato completato. Più precisamente, il credito va sviluppato secondo dei criteri condivisi, dopodiché il Paese in cui il credito viene maturato deve autorizzarne l’esportazione, e questo è avvenuto.  Di certo la collaborazione tra stati rende il piano più influente e sicuro, visto che gli Stati possono dare maggiori garanzie sull’effettiva consistenza dei crediti. Soprattutto per quanto riguarda il doppio conteggio. Infatti, con l’applicazione dell’Articolo 6, rende teoricamente impossibile che la stessa riforestazione (o piano) venga usato per la compensazione di clienti diversi.

Un terzo motivo per definire il programma tra Svizzera e Thailandia è il suo oggetto: il rifornimento di bus elettrici nella metropoli di Bangkok. Effettivamente quando si parla di compensazione si punta sempre alle riforestazioni o ad impianti per energie rinnovabili. Quindi il piano in esame dimostra un nuovo settore in cui si può operare ossia il settore della mobilità elettrica.

Conclusioni

Tuttavia, non sono mancate critiche anche in questa situazione, soprattutto contro la partnership stessa. Le lamentele si basano sull’idea che he prima o poi Bangkok avrebbe dovuto comunque cambiare la sua flotta di bus obsoleti. Pertanto, non si assiste ad un’”addizionalità”, non è un’operazione che si fa in più per il clima.

Ma è pur vero che dietro tali progetti ci sono talmente tante dinamiche e questioni da seguire che criticarne lo scopo, non risulta produttivo. Soprattutto perchè si tratta di stati diversi sotto ogni punto di vista; quindi, aver trovato un accordo è già una vittoria.

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Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.

By : Aldo |Gennaio 16, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Nanoparticelle di plastica nell’acqua di bottiglia: i risultati inaspettati.
Naja Bertolt Jensen - Unsplash

Che la plastica sia arrivata ovunque non è più un segreto, né tantomeno il fatto che è arrivata anche all’interno del nostro corpo. Questo fatto però apre un discorso molto delicato che si divide in due, tra preoccupazioni e business.

     

In Italia

L’Italia è denominata come il Bel Paese proprio per le migliaia di qualità che detiene. Peccato che spesso e volentieri queste caratteristiche vengano poi sopraffatte da aspetti negativi più ingombranti. Un esempio lampante e ad hoc è quello che riguarda l’acqua potabile.

     

L’Italia gode di acqua potabile da rubinetto che proviene per l’84,8% da fonti sotterranee naturalmente protette e di qualità, che necessita di pochi altri trattamenti. Sebbene abbiamo questo vantaggio siamo sul podio mondiale dei consumatori di acqua in bottiglia: un’ambiguità inspiegabile. Infatti, secondo un dossier di Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, l’Italia ha peggiorato negli anni questa tendenza. Siamo il terzo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, con un aumento delle vendite in 10 anni (2009-2019) di +100%. In concreto sono state vendute più di 10 miliardi di bottiglie all’anno. Probabilmente questo è uno di quegli improbabili e assurdi controsensi dello Stivale, su cui dovremmo lavorare.

    

In modo analogo funziona il resto del mondo, come riportato dal “Guardian” il quale afferma che ogni minuto a livello globale viene acquistato un milione di bottiglie di plastica. È ovvio quindi che non ce ne sbarazzeremo ne velocemente, né facilmente: nel frattempo la plastica continua ad aumentare a dismisura. In soli 70 anni, siamo passati dai 2 milioni di tonnellate, alle oltre 400.

   

Nanoparticelle nell’acqua di bottiglia

Sulla base delle notizie sopracitate non è un caso né tantomeno un mistero che l’acqua in bottiglia sia piena di nanoparticelle di plastica. Da anni si studia la diffusione della plastica, le tipologie, i danni che causa agli ecosistemi e da poco se ne studiano anche gli effetti sull’uomo. Se prima si parlava della plastica ingerita attraverso l’alimentazione, si è passati a ritrovarla nel sangue e per ultimo anche nella placenta di donne incinta. Così medici e studiosi si sono allarmati perché il focus è passato dai danni che la plastica provoca agli altri ecosistemi, ai danni che determina sulla nostra salute.

    

Tuttavia, prima di analizzare la sfera sanitaria è opportuno descrivere e capire i risultati delle varie analisi e i pensieri dei ricercatori sul fatto. Iniziamo da uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), organo ufficiale della National Academy of Sciences. L’indagine mirava alla ricerca di frammenti di grandezza anche inferiore a 100 nanometri nei prodotti di 3 celebri marche, e i risultati hanno stupito tutti. Ben 240 mila frammenti di plastica in un solo litro d’acqua, si tratta di un numero 100 volte più grande rispetto ai precedenti studi e non solo. È una quantità che supera di gran lunga i livelli trovati nell’acqua di rubinetto.

     

Dopodiché l’attenzione è stata spostata sui tipi di particelle, ossia quali tipi di plastica possiamo trovare nell’acqua in bottiglia. Anche qui i risultati hanno sorpreso gli studiosi, che hanno usato strumenti di massima innovazione. Per questa fase di studio, infatti, sono stati utilizzati e puntati due laser in grado di osservare e “leggere” la risposta delle diverse molecole. Grazie a tale tecnologia hanno scoperto che esistono dalle 110 mila alle 370 mila particelle di plastica di 7 tipologie diverse quali:

  • Il PET (polietilene tereftalato) usato maggiormente per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari (a livello globale);
  • la poliammide, una classe particolare di nylon che potrebbero derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima dell’imbottigliamento;
  • polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, usati nei processi industriali.

Sebbene i ricercatori non siano riusciti a identificare il 90% delle nanoparticelle, altri hanno approfondito le ricerche sulle origini di alcune. Per esempio, Antonio Limone, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno sottolinea che l’acqua imbottigliata, possa essere contaminata in varie fasi della catena produttiva e distributiva. È semplice anche capirne il motivo, poiché durante lo stoccaggio, luce e temperatura favoriscono la migrazione dei contaminanti nell’acqua. Mentre Carola Murano, ecotossicologa del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn spiega le difficoltà riscontrate in questo tipo di analisi. Infatti, dichiara che:

    

…l’assenza di metodi standardizzati e talvolta poco sostenibili per la caratterizzazione e la manipolazione di oggetti di plastica di dimensione sub-micrometrica e nanometrica non ci consente a pieno di trarre conclusioni scientificamente chiare, soprattutto se in ballo ci sono molteplici variabili.”

Pertanto, sarebbe appropriato affrontare il problema con

 

…un approccio che includa le migliori pratiche di gestione dei rifiuti e lo sviluppo di materiali alternativi e sicuri per l’ambiente e una maggiore consapevolezza tra i consumatori”.

Un problema sanitario

Tali evidenze hanno scatenato delle discussioni attorno alla questione sanitaria. Ovvero, tutte queste nanoparticelle, le ingeriamo per mezzo dell’acqua imbottigliata che beviamo. Di conseguenza il particolato entra in circolo nel nostro corpo e dalle ultime analisi arriva ovunque. Dunque, quello che tutti si chiedono ora è: quali effetti dannosi possono determinare per la nostra salute?

    

Nonostante nel 2019, l’OMS avesse “frenato” il legame tra nano plastiche e salute umana, i ricercatori dell’ultimo studio hanno tante preoccupazioni. Difatti le particelle sono arrivate addirittura negli embrioni (studio dell’Università delle Hawaii a Manoa e del Kapi’olani Medical Center for Women & Children). Oltre alle nano plastiche, ci sono elementi come alchifenoli, ftalati che anche a basse concentrazioni, possano causare effetti tossici agendo in modo additivo.

     

Dall’altra parte c’è chi come Jill Culora, portavoce dell’International Bottled Water Association ricorda le lacune nel settore descritto. Secondo la sua opinione mancano dei metodi standard e un vero e proprio consenso scientifico sui possibili effetti sulla saluta umana. Eppure, crede che le modalità con cui vengono diffuse le notizie sulla questione, spaventino inutilmente i consumatori. Ovviamente sottolineare la pericolosità di prodotti comuni come l’acqua in bottiglia è un tema molto delicato, una faccenda da trattare con le pinze. Ma non per questo bisogna voltare pagina o andare oltre, poiché, se la plastica è arrivata nella placenta di donne in stato interessante, si deve assolutamente approfondire la ricerca.

     

Senz’altro una soluzione al problema sarebbe quello di bere più acqua del rubinetto che costa meno ed è sicura. Altrimenti, se si preferisse l’acqua frizzante o si necessita acqua a basso residuo fisso allora si potrebbe optare per sistemi di filtraggio o di gassificazione. Certo è che questi strumenti hanno un costo più elevato della bottiglia di plastica, ma non hanno un impatto elevato come le seconde.

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Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.

By : Aldo |Gennaio 13, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, Home, menoacqua |Commenti disabilitati su Dalla Svizzera arriva Water Saver: il doccino che fa risparmiare 182 milioni di litri d’acqua.
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Sappiamo tutti quanto l’acqua sia una risorsa fondamentale per la vita di tutti e non solo perché è necessaria alla nostra salute. Tuttavia, è una delle risorse più consumate e sprecate nel mondo e pertanto bisogna invertire questa tendenza prima che sia troppo tardi.

      

Acqua, consumi e sprechi

Che l’acqua sia la linfa vitale di ogni singolo essere vivente non è un segreto. L’oro blu che il pianeta ci regala da millenni è una risorsa preziosa e come tale deve essere trattata: peccato che non tutto vada come dovrebbe. Infatti, l’acqua, principalmente quella potabile, che ricordiamo essere meno dell’1 % di quella presente sulla Terra, viene consumata e sprecata in maniera smodata.  È ovvio che sia inclusa in una quantità infinita di attività quotidiane e necessarie della nostra vita, questo non lo esclude nessuno. Ma riflettendo sull’uso che ne facciamo, ci renderemmo conto di quanto siamo lontani dal preservarla, o almeno dal consumarla in modo responsabile. Basti pensare che una famiglia media usa circa 200 m3 di acqua potabile l’anno. Questo vuol dire che un italiano usa circa 200 l di acqua al giorno solo per:

  • Lavarsi i denti
  • Farsi la doccia
  • Lo sciacquone del WC
  • Lavare i panni
  • Lavare i piatti
  • Lavare auto
  • Cucinare
  • Annaffiare

È comunque curioso soffermarsi nell’ambito dell’igiene personale per ricapitolare il nostro impatto sull’ambiente. Secondo le statistiche, infatti, la doccia è una delle attività che contribuiscono maggiormente al consumo e spreco di acqua. Nello specifico, dal miscelatore escono 15-16 l d’acqua al minuto: quindi per una doccia di 5 minuti si usano 75-80 litri di acqua. Se poi si impiega anche un quarto d’ora di tempo si raggiungono anche i 225-240 litri d’acqua. Legate a questo ambito ci sono poi delle professioni esterne che usano grandi quantità d’acqua al giorno, una tra queste il parrucchiere.

       

Water Saver nei saloni

Secondo vari dati, sembra che un parrucchiere nella media possa consumare dai 50 a 200 litri d’acqua al giorno. In questo caso un professionista eguaglia con la sua attività il consumo d’acqua di un italiano. Calcolando che in Italia sono presenti 100 mila attività, possiamo solo immaginare alle quantità di acqua usate in un giorno, solo per il lavaggio dei capelli.

    

I saloni di bellezza sono centri che la gente frequenta per un cambiamento, per un’innovazione del proprio volto o del corpo. Non a caso è proprio da qui che arriva la nuova tecnologia della startup svizzera Gjosa. Questa realtà ha trovato il modo con cui anche un parrucchiere possa ridurre il suo impatto ambientale o più precisamente la sua impronta idrica. L’idea dell’impresa è diventa realtà, grazie al gruppo francese L’Oréal, che ha finanziato il progetto con i fondi BOLD (Business Opportunities for L’Oréal Development). Dalla suddetta collaborazione è nato Water Saver il doccino smart, un oggetto di uso comune, progettato con tecnologie avanzate per risparmiare litri e litri d’acqua. Un vero e proprio game changer, nominato tra le “100 migliori invenzioni dell’anno” della rivista TIME, nel 2021.

        

Tecnologia, usi e risparmio

Water saver è un soffione doccia coperto da 13 brevetti basato sulla tecnologia di frammentazione dell’acqua. Si tratta di un getto a basso flusso che usa 2,4 litri di acqua al minuto invece di 7. Il sistema accelera la velocità delle gocce, che vengono poi riutilizzate in un secondo momento, dividendole in 10 parti più piccole. Tale tecnologia consente di risparmiare 182 milioni di litri d’acqua (equivalenti a 72 piscine olimpioniche), pari ad una riduzione del 69%.

    

Più precisamente, il getto si attacca ai lavandini e dispone di tre slot per shampoo, balsamo e trattamento, che vengono distribuiti direttamente nel flusso d’acqua. Un approccio brevettato Cloud Cleansing che favorisce una migliore distribuzione e assorbimento del prodotto, nonché una migliore efficienza. Successivamente, con l’azionamento del getto si creano goccioline microionizzate che si scontrano tra loro in un flusso pressurizzato. Così facendo si riduce la quantità d’acqua per singolo lavaggio rivoluzionandolo e e migliorando l’esperienza e l’efficacia del trattamento.

        

Il risultato 

Nonostante ciò, esistono altrettante attività legate ad ambiti di produzione alimentare o tessile che usano quantità infinite d’acqua. Per questo è fondamentale la ricerca, proprio per dare luce ad altri brevetti simili che possano ridurre l’uso dell’oro blu anche in altri settori.

    

Ad ogni modo, Water Saver ha riscontrato un grandissimo successo nel primo anno di uscita. Non a caso nel 2023 è stato distribuito a più di 10mila saloni di parrucchiere professionali in tutta Europa e nel Medio Oriente. E sebbene sia un prodotto pensato per i saloni, può essere usato anche in casa. Ancora una volta l’innovazione è oggetto di salvaguardia delle risorse del mondo, in questo caso, la più importante, ovvero l’acqua.  

     

Questo prototipo è la dimostrazione di come un oggetto di uso comune, possa determinare un grande cambiamento, ma non solo. Prova il motivo per cui la sensibilizzazione su qualsiasi tematica sia fondamentale per migliorare il mondo. Con informazioni precisi e strumenti adeguati, si può cambiare la propria quotidianità, in modo da ottimizzare e ridurre il proprio impatto sul Pianeta Terra.

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Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

By : Aldo |Gennaio 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.
Scott Graham - Unsplash

Il Decreto del MASE n. 434 del 21 dicembre 2023 è stato approvato. L’Italia pubblica il suo PNACC tra perplessità e preoccupazioni per le emergenze future.

    

Il nuovo Decreto del MASE

Finalmente è arrivato. Dopo l’ultimo documento, risalente a 7 anni fa, è stato approvato il nuovo PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici). L’obiettivo del testo è quello di fornire un quadro nazionale per:

  • contrastare i rischi;
  • migliorare le capacità di adattamento;
  • trarre vantaggio dalle opportunità legate alle nuove condizioni climatiche.
    Si tratta di un piano di attuazione della strategia creata nel 2015, per


contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.

Il PNACC è fondamentale soprattutto per uno stato come quello italiano, per via delle sue caratteristiche geomorfologiche, climatiche e ambientali. L’Italia è un’area estremamente vulnerabile ed un rilevante hot-spot di biodiversità; pertanto, tale traguardo è fondamentale per affrontare le difficoltà del futuro.

   

La struttura del testo

Il documento necessario per adattarsi ai cambiamenti climatici individua 361 misure di carattere nazionale o regionale, azioni di informazione, sviluppo di processi organizzativi e partecipativi. Tali misure sono divise in 3 fasce:

  • soft: non richiedono interventi strutturali e materiali diretti;
  • green: quando necessitano di soluzioni naturali;
  • grey: se hanno bisogno di azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture.

Ma proprio tale suddivisione ha già sollevato polemiche e dubbi, poiché ben oltre 250 azioni su 361, sono classificate come soft. Pensando a tutti gli eventi estremi di quest’anno, alle grandi lacune del nostro paese, sicuramente non era quello che ci si aspettava. Gli interventi strutturali sono dunque solo 87, di cui solo 46 sono green. Per esempio, un fenomeno che oggi tiene in mano oltre il 93% dei comuni italiani, rientra nell’ambito del dissesto idrogeologico. Proprio questo problema riserva solo 29 interventi tutti catalogati come classe “soft”.
     
Forse si sperava in un piano molto più rigido, concreto che analizzasse ogni singola tematica e trovasse la soluzione adatta a ciascuna. L’insieme di queste misure dovrebbe esse in grado di incidere sui seguenti settori:

  • acquacoltura, pesca, zone costiere
  • agricoltura e foreste
  • ecosistemi acquatici e terrestri;
  • desertificazione, dissesto idrogeologico, risorse idriche;
  • energia;
  • insediamenti urbani, patrimonio culturale, turismo, trasporti, industrie.
  • salute;

In particolare, sono state evidenziate delle linee più forti per quanto riguarda le risorse idriche, forse uno dei temi più dibattuti e preoccupanti degli ultimi anni. In questo senso si punta ad incrementare la connettività delle infrastrutture idriche e la loro manutenzione, l’irrigazione e la bonifica. Dunque, una maggior cura della rete fluviale liberandola da barriere e la capacità di accumulo.  Mentre per l’agricoltura si consigliano maggiori investimenti cosicché i nostri terreni possano resistere ed adattarsi ai nuovi climi.
    
Di seguito si parla quindi di protezioni per il gelo e le grandinate (sempre più frequenti e potenti), l’efficientamento delle risorse per coltivare. E in più si citano idee per aumentare il benessere animale. Per fare un esempio, solo nel 2023, la mancanza di un piano simile ha provocato nel Paese oltre 6 miliardi di euro di danni all’agricoltura italiana.

    

La situazione in Italia

Il testo riporta tuttavia le criticità riscontrate negli ultimi anni con previsioni, studi e ipotesi per l’avvenire. Tra gli argomenti più complessi, sono stati affrontati:

  • La siccità: anomalie legate fino a -40% di piogge;
  • Innalzamento dei mari: si prevede un aumento di 19 cm entro il 2065;
  • Temperature dei mari: le analisi ipotizzano un aumento del 1,9° C nel Tirreno tra il 2036-2065, addirittura 2,3° C nell’Adriatico;
  • I ghiacciai: hanno perso il 30-40% del loro volume;
  • Copertura nevosa (fondovalle e versanti meridionali): si limiterà a 5 settimane fino ai 2000 m, a 2,3 settimane fino ai 2500 m.

Tali questioni sono concatenate l’una con l’altra e determinano maggiori e più frequenti fenomeni estremi. Questi sono a loro volta legati all’aumento delle emissioni di CO2, che non sembrano diminuire. In questo senso si presentano 3 scenari, di esito diverso, dal peggiore al migliore. Nel caso peggiore, le concentrazioni a fine secolo saranno quasi quadruplicate rispetto i livelli preindustriali; si pensa ad un range tra gli 840-1120 ppm. Precisamente questo potrebbe essere il quadro peggiore con un conseguente aumento della temperatura globale (nel 2100) di 4-5° C. il caso migliore è quello di una ipotetica e forte mitigazione delle emissioni che verrebbero dimezzate entro il 2050. Infine, l’esempio intermedio prevede la riduzione delle concentrazioni sotto il livello attuale (400 ppm) entro il 2070.

    

In conclusione

Ancora una volta, un piano necessario, fondamentale per il nostro Paese è arrivato deludendo le aspettative di molti. O forse tutti sapevano come sarebbe andata. Per di più, il testo presenta un secondo e particolare problema, ossia i finanziamenti. Infatti, oltre alle misure che danno poca affidabili, c’è una seconda questione ovvero i costi. In pratica, secondo gli autori ci sarebbero molte risorse per attuare le azioni prima citate, tuttavia solo una parte è direttamente disponibile in Italia. Ossia, i fondi europei sanno erogati solo a seguito di evidenti sforzi e la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti.

Non ci resta dunque che pensare che il futuro in questo senso sia prevedibile e già scritto, oppure sperare in una svolta vera e propria.  Sicuramente lo scopriremo solo col passare del tempo.

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La sostenibilità aiuta anche le strutture sanitarie. Il caso Global Biomedical Service.

By : Aldo |Gennaio 03, 2024 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su La sostenibilità aiuta anche le strutture sanitarie. Il caso Global Biomedical Service.
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Aggiustare e riutilizzare dei prodotti dovrebbero essere le attività alla base della nostra società, che al contrario è consumista. Si prende e si butta tutto, si consuma più del dovuto anche in settori in cui non ci sono abbastanza finanziamenti per sostenere un tenore simile. Tra quelli più in difficoltà c’è il settore sanitario che ha delle soluzioni sostenibili.

    

GBS per la sostenibilità

Parlando di sanità pubblica e privata in Italia, non si può non citare la startup nata nel 2018 Global Biomedical Service. Una realtà che offre servizi specifici per centri diagnostici privati e strutture sanitarie come l’installazione e il trasporto di apparecchiature radiologiche e simili. Sebbene sia un leader nel suo campo, sta acquisendo molta notorietà anche per i servizi circolari che propone ad aziende pubbliche e private. GBS ritira e valuta l’usato, si occupa di smaltimento, della manutenzione delle Gabbie di Farady e della fornitura di ricambi per i principali sistemi radiologici.

  

Il gruppo è nato dall’idea di Giovanni Lombardo (CEO e founder) e da Emiliana De Prisco. Una volta stabiliti a Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, iniziarono le loro attività con soli 10 membri, oggi sono in 50. Inoltre, GBS è indicata dal Politecnico di Torino tra le 22 migliori startup a significativo impatto sociale e ambientale del 2023 in Italia.

  

L’obiettivo del gruppo è quello di non buttare nulla, di riparare ciò che ha ancora possibilità di vita e di recuperare elementi da sistemi ormai obsoleti. Per esempio, se ci sono macchinari guasti e quindi irreparabili, loro si occupano di recuperare i componenti elettronici fondamentali. Mentre se si tratta di un sistema che può essere riparato o quelli già funzionanti e ritirati in permuta pensano a come “ricondizionarli e ‘aggiornarli”. Questo dal punto di vista software che hardware)

L’obiettivo finale è quello di inserirli nuovamente nel mercato: mediamente arrivano in nuovi centri diagnostici e con pochi fondi.  

   

I beneficiari

Come descritto in precedenza, i beneficiari di tali servizi sono i nuovi centri diagnostici con poche finanze ma soprattutto le cliniche veterinarie. Perché proprio queste strutture, ce lo spiega l’ultimo censimento di Anmvi, l’Associazione nazionale medici veterinari italiani. Lo studio sottolinea che in Italia sono aperte ben 8 mila cliniche, di cui 8 su 10 sono solamente piccoli laboratori. Realtà come questa hanno difficoltà ad acquistare macchinari per Tac e risonanze ed è quindi a loro che si rivolge la GBS. La startup si dedica anche alle cliniche di Paesi e aree poco coperte da servizi importanti come quelli dell’alta diagnostica.

    

I progetti di GBS

La startup recupera e rigenera le apparecchiature di diagnostica per immagini: si occupa di risonanze magnetiche, TAC, sistemi radiologici ed ecografi. Per esempio, di recente hanno recuperato una TAC multistrato 64 slice. Il sistema dismesso da un ospedale pubblico campano era destinato alla sua fine; invece, oggi funziona alla perfezione in un centro diagnostico privato nel Lazio.

   

Ancora la GBS è una delle poche aziende in Italia specializzate nella riparazione di sonde ecografiche e bobine per risonanza magnetica. Di solito queste vengono sostituite al primo difetto o malfunzionamento, mentre la riparazione evita la produzione di rifiuti speciali. Ovviamente permette all’azienda interessata un notevole risparmio economico.

    

Un ulteriore progetto è correlato alla produzione di Ghost Cage, una Gabbia di Faraday trasparente per risonanze magnetiche ad alto campo. Il meccanismo è realizzato con polimeri a basso impatto ambientale e l’attenuazione delle radiofrequenze e dell’effetto claustrofobico. Si rinnova dunque il brevetto di una tecnologia ecosostenibile, importante anche in questo settore, spesso dimenticato.

  

L’aiuto sostenibile alla sanità

Includere delle abitudini virtuose, delle collaborazioni all’ampia scala e inserire fondi per nuove tecnologie sono alcuni dei passi da fare nell’ambito sanitario. La situazione soprattutto in Italia non è delle migliori e pertanto servirebbero nuovi metodi per garantire adeguata assistenza medica ai pazienti con sistemi non obsoleti. Questo obiettivo non è impossibile da raggiungere come spesso crediamo, perché alla base di uno stato civile e avanzato si trova anche un’espressione sostenibile della vita.

    

Viviamo in un pianeta consumista che non si ferma davanti a nulla, neanche davanti alla fatiscenza di certe strutture sanitarie. Troppo spesso i macchinari con qualche difetto vengono buttati e rimpiazzati velocemente con altri molto costosi: a volte invece si resta senza.

    

Ancora una volta la sostenibilità potrebbe garantire un supporto necessario alle nostre istituzioni e alla vita di tutti, soprattutto ai servici pubblici. Riparando macchinari e recuperando i loro componenti determinerebbe un cambio di macchinari più veloce, meno costoso ed efficace, senza perdere la sicurezza del sistema “nuovo”.

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Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.

By : Aldo |Gennaio 02, 2024 |Acqua, Arte sostenibile, bastaplastica, Home |Commenti disabilitati su Startup. Jelter unisce design, innovazione e educazione ambientale.
Element5 Digital - Unsplash

Sebbene oggi esistano migliaia di corsi di laurea diversi, c’è un tema di cui si tratta in ogni singola facoltà. La sostenibilità è effettivamente un argomento che riguarda chiunque e pertanto se ne discute anche in settori non scientifici.

    

La sostenibilità di Jelter

La sostenibilità è un tema che riguarda sempre più le nostre vite. Si tratta di un’attenzione, un cambiamento, un nuovo approccio alla vita necessario per il bene di tutti, al punto che nessun settore può escluderlo. Si può definire come un connubio di materie di studio e di pratiche per uno scopo comune.

    

Un esempio diretto di tale unione è il progetto della startup Jelter, formata da 3 giovani studentesse dello IED (Istituto Europeo di Design) di Milano. Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella sono le 3 ventenni che hanno creato una startup dalla loro tesi di laurea in Product Design. Il piano delle giovani studentesse è peculiare perché nasce dall’unione del loro corso di studio e la loro attenzione e passione per l’ambiente. Questo ci fa capire come le nuove generazioni abbiano già sviluppato e fatto loro un pensiero critico sulla sostenibilità e sul rispetto del Pianeta Terra.

     

La boa medusa

La startup Jelter nasce nell’ottobre del 2022, proprio in concomitanza con la laurea delle tre fondatrici. Da quel momento le giovani hanno partecipato a convegni ed altri eventi portando il loro progetto in giro per l’Italia e non solo.  Il programma è focalizzato sulla produzione di una boa a forma di medusa pensata per frenare la proliferazione delle microplastiche nei mari. Si tratta di un sistema di filtraggio autosufficiente grazie all’installazione di pannelli solari, che all’interno ospita una pompa che consente il circolo dell’acqua. Così, passando nella boa, l’acqua viene filtrata e ne esce “pulita”.  Il primo prototipo è stato realizzato in 6 mesi, dopo i quali è stato testato nel mare di Fiumicino.

    

La peculiarità di tale prodotto è l’attenzione rivolta all’ambiente ma anche al design. Difatti, le ragazze si sono impegnate nella ricerca di un elemento adatto alla struttura che non inquinasse l’ambiente anche a livello paesaggistico. Quindi hanno pensato a forme, colori e strutture che avessero il minor impatto visivo, biologico, chimico sul mare. Non a caso hanno anche deciso di ancorare la boa al fondale per evitarne la dispersione.

    

Prototypes for Humanity 2023

Le tre studentesse hanno optato per un programma non solo incentrato sul prodotto ma anche sulla sensibilizzazione. La loro motivazione e l’interessa al cambiamento, hanno spinto Jelter a partecipare a programmi di grande calibro, come quelli legati alla COP28. Così si sono messe alla prova aderendo alla call Prototypes for Humanity 2023 rivolta ai neolaureati di tutte università per progetti innovativi ad impatto sociale. I vantaggi e le possibilità di tale iniziativa hanno spronato le ragazze a prendervi parte, puntando alla mobilitazione delle persone sul tema delle microplastiche nei mari. Sicuramente non è un’occasione di tutti i giorni poter partecipare ad una COP a vent’anni; dunque, a prescindere dal risultato possono ritenersi soddisfatte del loro operato.

    

L’educazione ambientale per il futuro

Certamente Jelter non è la prima startup pensata per proteggere il mare, per combattere la plastica o costituita da giovani menti. Tuttavia, il racconto della sua creazione, sottolinea quanto al giorno d’oggi sia importante l’educazione ambientale soprattutto se impartita già in tenera età.

    

Rebecca Raho, infatti, racconta di come sia riuscita ad unire il suo corso di studi con la passione e il rispetto per l’ambiente trasmesso dai suoi genitori. Afferma che i genitori le hanno tramandato la passione per l’arte e il design ma anche quella per il mare. È cresciuta in un ambiente in cui tali ambiti potevano essere uniti ed è questo quello che ha fatto lei una volta laureata. Poi ancora ricorda di quanto sia importante apportare dei cambiamenti anche minimi nelle proprie vite, eliminando abitudini sbagliate. Sono passi necessari per il bene del Pianeta soprattutto perché siamo tutti consapevoli di essere in pericolo, è una conoscenza all’ordine del giorno. E afferma

Il grande problema deriva dal fatto che, essendoci nati, continuiamo a darlo per scontato senza davvero renderci conto delle condizioni critiche in cui si trova.”

In conclusione

Jelter è il chiaro esempio di impegno a favore dell’ambiente delle nuove generazioni. Dimostra senza complessi ragionamenti, quanto la sostenibilità e la salvaguardia della Terra siano temi principali nella vita dei giovani. E ancora di più sottolinea quanto sia importante il lavoro di genitori ed insegnanti nell’educare i bambini e i ragazzi al rispetto di tutti e tutto.

   

Non è scontato che le tre studentesse si siano unite per proteggere i mari, poiché laureate in design potevano tentare qualsiasi altro tipo di progetto. Invece l’idea di poter fare la propria parte per salvare il mondo è sempre più sentita dai giovani e questo può essere solo un bene. D’altro canto, il futuro è in mano a loro, quindi se i più grandi (purtoppo) non si impegnano in questo senso, dovranno farlo gli adulti del futuro.

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Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.

By : Aldo |Gennaio 01, 2024 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Albero di Natale: come smaltirlo dopo le feste.
Cameron Stewart - Unsplash

Le feste natalizie sono terminate e come di consueto ci si appresta (chi più chi meno) a togliere gli addobbi in casa. Giardini e terrazzi non saranno più illuminati dalle mille lucine colorate e quel posto nel soggiorno occupato dall’albero di Natale sarà riempito da altro. Ma l’albero dove finisce dopo quel mese di lavoro?

     

Albero artificiale

Oggi abbiamo un’ampia scelta per i nostri addobbi natalizi; alberi veri, artificiali, di vari colori, con le luci incorporate, alti due metri o in miniatura. Sebbene qualsiasi modello doni un’atmosfera calorosa ed accogliente in ogni ambiente esso si trovi, sarebbe opportuno scegliere con attenzione anche in questo caso.  E bene si, anche l’acquisto del tanto amato albero può essere sostenibile a seconda del tipo, quindi se vero o artificiale e del suo smaltimento.

    

L’albero artificiale è sicuramente una scelta sicura, abbordabile, facile da gestire nella fase di allestimento, smontaggio e per tutta la durata delle feste. Ce ne sono di bianchi, blu, rossi, rosa e alcuni hanno i rami con dei piccoli led incorporati per illuminarlo senza ulteriori cavi. Come detto in precedenza le variabili sono molteplici ma tutte sono prodotte allo stesso modo.

    

Si tratta di elementi composti da plastica (pp e pvc, non riciclabile né biodegradabile) ed acciaio, risultando più leggeri di altri. Circa il 70% degli acquirenti li sceglie per la loro gestione: non devono essere annaffiati né mantenuti in condizioni particolari e non sporcano i pavimenti. Nonostante ciò, non possono essere riciclati in alcun modo e impiegano centinaia di anni per decomporsi: dove troviamo l’aspetto sostenibile?

    

Questi prodotti sono pensati per essere riusati nel tempo, almeno per 10 addirittura 20 anni per ridurre al minimo il loro impatto. Tuttavia, secondo i sondaggi, un albero artificiale viene riusato per meno del tempo minimo previsto, quindi per 5, 7 anni. Questo comportamento determina un elevato inquinamento non necessario ed evitabile.

 

Abeti veri

Se invece si sceglie l’abete vero, si favorisce la sostenibilità, soprattutto se acquistato da attività locali. L’unica decisione importante da prendere prima di pagare è la scelta tra un albero reciso oppure vivo, poiché potrebbe avere differenti seconde vite. Infatti, una volta terminate le feste, si passa alla fase dello smaltimento, per la quale si deve riporre molta attenzione per non rischiare di inquinare maggiormente. Questo è rilevante poiché nonostante si tratti di un albero naturale non significa che si possa gettare ovunque o a caso.

  

Per esempio, un albero reciso può essere impiegato per la produzione di compost o di ghirlande, accessori per la casa o sottobicchieri. Mentre l’albero non reciso può essere ripiantato. Spesso in America vengono usati per creare barriere contro l’erosione del suolo stabilizzando così coste di fiumi e laghi. Oppure ancora come rifugi e mangiatoie per i pesci sul fondo degli stagni. 

   

Considerare queste alternative è un buon metodo per rendere sostenibile lo smaltimento dei nostri addobbi. Tali accorgimenti sono importanti soprattutto perché l’albero se lasciato in discarica potrebbe inquinare più di quanto pensiamo. Jessica Davis, direttrice dell’Ufficio per la sostenibilità dell’Indiana University-Purdue spiega il motivo:

 

I materiali organici hanno bisogno di ossigeno per decomporsi, un gas scarsamente presente nei luoghi deputati allo smaltimento. Ciò implica che, quando la pianta finalmente si decomporrà, rilascerà metano, uno dei più potenti gas serra, che produce un effetto circa 25-30 volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica. Di certo è meglio evitare l’utilizzo del legno di abeti e i pini per accendere il fuoco, poiché contengono creosoto. Si tratta di un catrame altamente infiammabile, che produce fuliggine e può provocare incendi nei camini.”

 

L’impegno di Ikea

In questo ambito c’è chi è riuscito a fare la differenza e la fa da anni. Ikea, infatti, dal 2016 collabora con AzzeroCO2, società di Legambiente e Kyoto Club nell’ambito della Campagna Nazionale Mosaico Verde per riqualificare il territorio italiano. In particolare, ha intrapreso un percorso di circolarità e sostenibilità basato sulla rigenerazione di boschi e foreste.

    

Inizialmente, per ogni albero acquistato e restituito nei negozi Ikea, venivano destinati €2 alla campagna “Compostiamoci Bene”. L’iniziativa era centrata sulla riforestazione e sul recupero di aree in stato di abbandono o esposte al rischio idrogeologico. Nel 2018 con l’iniziativa Mosaico Verde, il gigante delle svedese ha piantato 3000 alberi in aree fragili o colpite da calamità. Ma il progetto non è finito qui.

     

Quest’anno Ikea, per ogni abete restituito, donerà €4 per realizzare un progetto di produzione e condivisione di energia pulita. Si tratta di un programma incluso nella campagna di Responsabilità sociale Energy Pop. Mira alla condivisione di energia prodotta da rinnovabili sui tetti di case popolari e cooperative sociali, grazie all’installazione di impianti fotovoltaici in quartieri fragili di Firenze.

 

Insomma, gli alberi di Natale sono simbolo delle festività, addobbarli a regola d’arte e postare loro foto ovunque è diventato un must. Nonostante ciò possiamo fare la differenza anche in questo caso, quindi nei prossimi giorni non portate tutto in discarica, siate creativi o lungimiranti. Lo fate per le vostre tasche e per il Pianeta.

 

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Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.

By : Aldo |Dicembre 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nel 2023 più di un evento meteorologico estremo al giorno. La situazione in Italia.
Johannes Plenio - Unsplash

Il 2023 ha portato con se avvenimenti e cambiamenti positivi e negativi, come del resto ogni anno. Tuttavia, in ambito climatico dobbiamo lavorare molto vista l’accezione negativa affidata al 2023.

 

Cosa è successo in Italia

Come nel resto del mondo anche in Italia non sono mancati eventi anomali e fenomeni estremi legati al cambiamento climatico sempre più accentuato. L’Osservatori città-clima di Legambiente in collaborazione con Unipol hanno analizzato gli avvenimenti dell’anno realizzando un quadro completo della situazione in cui versa il Belpaese. I risultati non sono dei migliori.

   

Infatti, secondo lo studio, la Penisola ha affrontato più di un evento meteorologico estremo al giorno, notando un’accelerazione della crisi climatica. Nello specifico siamo a quota 378, dunque si è registrato un aumento del 22% rispetto al 2022.

   

Tutto ciò ovviamente comporta disagi di ogni tipo e in ogni ambito possibile e quindi danni economici ingenti. Basti pensare che nel 2023 quasi 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali.  Sebbene, il nord abbia registrato 210 eventi meteorologici estremi, il centro 98, il sud 70, Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato sono le città più colpite.
   

I fenomeni estremi

Per quanto riportato dallo studio appena citato, come da tante altre analisi degli ultimi anni, i fenomeni metereologici estremi sono in forte aumento. Questi eventi hanno un’origine naturale, non si tratta di fantascienza, ma hanno delle caratteristiche che li rendono estremi o comunque anomali. Tra queste la durata, la frequenza, il periodo e il luogo in cui avvengono e la loro potenza. Con il cambiamento climatico però queste caratteristiche cambiano.

   

Secondo l’analisi, Lombardia ed Emilia-Romagna sono le regioni che più hanno sofferto questi fenomeni con rispettivamente, 62 e 59 eventi. A loro seguono la Toscana con 44, il Lazio (30), il Piemonte con 27, il Veneto (24) e la Sicilia (21). Mentre se ci spostiamo nelle province, al primo posto troviamo Roma con 25 eventi estremi, Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10.

   

Alluvioni, piogge ed esondazioni

Le alluvioni (insieme all’esondazione dei fiumi) sono aumentate del 170% rispetto al 2022. In effetti si sono verificate in tutto il Paese senza fare sconti ad alcuna regione. Le più importanti per danni arrecati, potenza e dispersione sono quelle che hanno messo in ginocchio l’Emilia-Romagna.

   

La prima tra il 2 e 3 maggio e poi la seconda che ha dato il colpo di grazia tra il 15 e il 17 maggio. Gli effetti di tale evento hanno coinvolto 44 comuni (tra Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna), apportando danni per oltre 8,8 miliardi di euro. Durante questo fenomeno sono caduti più di 300 mm d’acqua in 2 giorni, sono straripati ben 23 corsi d’acqua, e si sono verificate 280 frane. In maniera simile sono state colpite le province di Pesaro- Urbino e Ancona nelle Marche, reduci dai fenomeni del precedente anno.

    

Dei casi ancora più particolari riguardano le violente grandinate estive, che hanno colpito il nord est. Addirittura, il 19 luglio si sono registrate 52 grandinate, che hanno causato gravi danni all’agricoltura e 110 feriti. Per quanto riguarda l’esondazione dei fiumi, legata ad alluvioni e nubifragi si ricordano:

  • l’esondazione del Seveso il 31 ottobre a Milano
  • esondazioni ed allagamenti nelle città di Firenze, Prato e Pistoia con danni per 1,9 miliardi di euro e 5 vittime (11, 12 novembre).

I tipi di fenomeni sono vari e spesso concatenati, ma ogni anno toccano picchi più alti. In modo generico si contano:

  • 118 casi di allagamenti da piogge intense (+12,4%);
  • 39 casi di danni da grandinate, aumentati del 34,5%;
  • 35 da esondazioni fluviali;
  • 26 da mareggiate, aumentate del 44%;
  • 18 casi di frane causate da piogge intense (+64%).

L’estremo caldo

Sebbene film di Paolo Virzì, “Siccità” rappresentasse una visione estrema, quasi distopica dell’aumento delle temperature, ogni mese si conferma un nuovo record. È importante ricordare però, che queste temperature non sono correlate solo all’estate. Per esempio, il 1° ottobre a Firenze si sono registrati 33°C (10 in più rispetto al precedente record del 2011). Mentre a Prato si sono verificati 32°C, eguagliando il primato del 1985: complessivamente si sono verificati 20 casi di temperature estreme in città.

   

Tale incremento si è concentrato soprattutto nelle aree urbane: +150% rispetto ai casi del 2022. Inoltre, di recente, il servizio europeo sul cambiamento climatico di Copernicus ha rivelato che lo scorso novembre è stato il sesto mese consecutivo a registrare temperature record.  Questi fenomeni poi danneggiano altri processi importanti come quelli legati alla neve e ai ghiacciai: lo zero termico ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi, con i ghiacciai in ritirata.

   

Ovviamente si tratta di un problema globale che presenta una temperatura media di 14,22 gradi centigradi, superiore di 0,32°C rispetto al primato di novembre 2020.

     

Un problema legislativo

La preoccupazione da parte degli esperti cresce ma non è legata solo alla maggiore frequenza degli eventi, ma anche alla mancanza di piani nazionali. Quello che ha sottolineato l’Osservatorio è proprio questo, l’Italia infatti non ha un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, fondamentale per affrontare i prossimi anni. 

    

I cittadini e le imprese possono cambiare abitudini, ma il governo e i tecnici preposti devono muoversi in altri modi. Poiché in assenza di una valida strategia non potremmo risolvere efficientemente le emergenze che si verificheranno prossimamente e saremo costretti ad agire senza certezze.

    

L’idea avanzata per far fronte a tale lacuna è quella della creazione di una guida fondata su 3 pilastri:

  • Un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare prima possibile con adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuarlo;
  • una legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni;
  • ridurre le emergenze, focalizzandosi sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni.

Se si applicasse una normativa simile, le emergenze si affronterebbero in maniera analitica, certa e sicura. Ogni evento meteorologico estremo potrebbe recare gravi danni a cose, persone e alla nostra economia, senza un piano ben delineato, dei fondi e l’aiuto delle istituzioni. Impariamo a prevenire anche in questo senso, adattandoci al cambiamento e le anomalie non saranno più catastrofiche, come lo sono oggi.

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Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.

By : Aldo |Dicembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Cenone e pranzo di Natale sostenibili senza rinunciare alle tradizioni.
Jed Owen - Unsplash

Stare attenti all’alimentazione non significa non mangiare nulla, allo stesso modo, mangiare in modo sostenibile non vuol dire cibarsi solo di tofu. Nello specifico ogni pasto può essere più ecofriendly così come quelli di Natale, senza però rinunciare ai gusti e alle sfiziosità della nostra cucina.

     

Cambiare abitudini

Ad oggi esistono dei preconcetti che vanno analizzati e cambiati, nel modo più efficiente possibile, per esempio quelli legati all’alimentazione sostenibile. Purtroppo, ancora tante persone credono che cambiare abitudini alimentari per essere più ecofriendly significhi mangiare solo soia e verdure. Ovviamente tale pensiero non è invitante ancor di più se comparati ai deliziosi piatti della nostra tradizione.

   

Ma questo è appunto, un preconcetto. Per poter modificare delle abitudini così radicate bisogna trasformare passo dopo passo la nostra quotidianità per quanto riguarda il cibo. Tuttavia, per arrivare al piatto in tavola bisogna superare tanti steps, per poi diventare più sostenibili, senza aver trasformato totalmente la nostra dieta.

    

In questo ovviamente rientrano anche i pasti più importanti, non del giorno, ma dell’anno, come quelli delle feste natalizie. Questo è un periodo letteralmente dettato dal cibo: pranzi, cene e merende sono l’occasione per incontrare amici e parenti. Ma se fossimo più attenti a cosa compriamo, dove e in quale periodo sarebbero delle feste ancora più sostenibili.

     

La spesa e gli alimenti

La spesa è il primo gradino per cambiare le nostre abitudini, poiché è proprio in quel momento che si fanno le scelte più importanti. Si decide cosa comprare, le quantità, la provenienza dei prodotti e i loro costi; quindi, è un passo fondamentale del cambiamento.

    

Infatti, per prima cosa è opportuno optare per attività locali o i mercati rionali, dove possiamo trovare alimenti sfusi o con meno packaging. Questo è già un passo rilevante per ridurre i rifiuti derivati dal settore, che in queste settimane aumenta notevolmente. Di solito in questi contesti possiamo trovare prodotti locali, magari a “Km 0” e perché no anche biologici. Soprattutto perché è molto probabile un alimento ha tutte le caratteristiche appena riportate, sia anche un prodotto stagionale.

     

Ecco la stagionalità degli alimenti è una qualità importantissima per noi e per il pianeta. Consumare solo frutta e verdura locale e di stagione determina un consumo consapevole del cibo, ed una minor produzione di emissioni. Questi due processi sono collegati da meccanismi che fanno parte ormai delle nostre abitudini:

  • la richiesta di cibo aumenta
  • i tempi di produzione diminuiscono
  • la stagionalità non viene rispettata
  • quindi si cercano gli alimenti in altri Paesi per sopperire al fabbisogno.

Ovviamente per portarli da uno stato all’altro servono dei mezzi di trasporto che contribuiscono all’emissione di CO2 e alla produzione di rifiuti. Questo succede poiché i prodotti trasportati devono essere impacchettati e imballati, in modo più consistente rispetto ad un prodotto locale venduto al mercato.

     

Inoltre, la coltivazione di frutta e verdura non stagionale, necessita una grande quantità d’acqua e un uso intensivo del suolo. Non c’è da dire che tutte queste pratiche sono tutt’altro che sostenibili. Se fosse possibile quindi, scegliamo alimenti che provengono da una filiera corta e verificata.  

In questo link potrete trovare una lista di ortaggi di stagione
https://www.wwf.ch/it/guida-frutta-e-verdura

    

Gli avanzi e il riciclo

Quando andiamo a fare la spesa è fondamentale avere in mente le quantità che ci servono effettivamente. Quindi in questi periodi sarebbe opportuno comprare a seconda di un menù già pronto (esempio per il cenone del 24). Se pensiamo ad un menù o quantomeno abbiamo un’idea di quello che prepareremo e calcoliamo le giuste porzioni, possiamo fare una spesa più consapevole.

    

Certo è, che se si comprano abbondanti quantità di cibo che non vengono consumate il giorno stesso, possiamo sempre “riciclare”. Sarebbe meglio evitare sprechi e troppi avanzi, ma anche in questo caso ci sono varie soluzioni. La prima è quella di dividersi gli avanzi tra amici e parenti, la seconda è quella di inventare piatti con quello che è rimasto a tavola.  

   

Difatti siamo alle porte del 2024, non ci sono scuse che tengono. Si possono consultare internet e i social per sbizzarrirsi con il pandoro avanzato, la verdura del 25 oppure i resti del pesce del 24. Tutto questo fa bene sia alle nostre tasche ma anche all’ambiente.

    

In conclusione

La sostenibilità a volte è considerata qualcosa di troppo lontano dalle nostre possibilità, qualcosa di impossibile, un’entità utopica. Invece spesso e volentieri si può ridurre il proprio impatto sul pianeta attraverso piccole azioni che non richiedono uno sforzo immane.

    

Le nostre feste e i conseguenti pasti in compagnia possono essere sostenibili anche con pochi accorgimenti. Non c’è bisogno di stravolgere dicembre e le sue ricette, serve semplicemente un’attenzione maggiore alla spesa e agli sprechi.

Tutti possiamo fare la differenza e se ci riusciamo in questi giorni, doniamo un grande regalo alla nostra Terra.

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Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.

By : Aldo |Dicembre 19, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il Natale 2023 sarà “di seconda” mano per il 64% degli europei.
Rodion Kutsaiev - Unsplash

Siamo in quel periodo dell’anno in cui le persone che si affrettano tra i negozi, tra le luci e i pacchetti. I regali sono il focus della maggior parte della gente: che siano per parenti, amici e compagni sono l’impegno da portare a termine entro il 24 dicembre. Ma come procede questa maratona durante la crisi che stiamo vivendo?

    

La crisi e la sostenibilità

Spesso, nella quotidianità delle persone viene esclusa la scelta sostenibile per i prezzi elevati che comporta. Per esempio, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo potrebbe essere difficile comprare un cappotto di 300 euro solo perché è sostenibile. Si, sicuramente durerà di più rispetto ad uno che ne costa 50 ed è fatto di materiali di qualità, ma nella mente resta impressa solo la grande cifra.

     

Non è raro che questo motivo emerga durante le discussioni sull’importanza di una transizione ecologica oe verso una vita più sostenibile. Tuttavia, sorprendentemente quest’anno si sta sviluppando un trend che continua a crescere, ossia la scelta dei regali di seconda mano o “second hand”. Secondo la nuova ricerca del gruppo di annunci online Adevinta, il 64% degli europei comprerà o ha già comprato prodotti di seconda mano per Natale.E proprio per tale ragione i mercati dell’usato dovrebbero aumentare a breve.

     

Le motivazioni e i meccanismi che portano a tale crescita sono proprio quelli dettati in precedenza. Il potere d’acquisto è diminuito notevolmente a causa del caro vita e quindi dall’inflazione, dunque, le persone sono portate a risparmiare sempre più. L’azienda che ha condotto l’indagine ha intervistato 5.000 consumatori europei in Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna.

    

Tra l’idea e l’azione

Nell’analisi, le domande più specifiche poste agli intervistati  danno un prospetto di quello che potrebbe essere una prossima tendenza. Quindi partendo dalle ragioni per cui una persona opta per il regalo di seconda mano abbiamo un 47% che ricorda la necessità di risparmiare. Dopodiché, il 37% delle persone dichiarano che tale decisione è motivata dal desiderio di fare acquisti più sostenibili, una buona ragione che guarda al futuro. In particolare, si tratta di una cifra in aumento visto che solo nel 2022, il 32% degli europei ha intrapreso questa strada.

      

Per continuare sempre su questa falsa riga, si afferma che ¼ dei consumatori scelgono l’usato per regalare prodotti vintage o alternativi. Gli stessi numeri valgono per chi decide di acquistare articoli da negozi o attività locali, altro punto a favore per la sostenibilità dello shopping. Nonostante gli incrementi descritti, c’è ancora un 35% delle persone che preferisce comprare prodotti nuovi. L’idea che “nuovo è meglio” perpetua nelle nostre società consumistiche, pertanto c’è ancora molto da fare.

     

Il riciclo dei regali

Di certo, la moda delle spese folli nel periodo dal black Friday alla Vigilia di Natale, non può essere eradicata in poco tempo, ma ci sono i giusti accorgimenti per provarci. Come? Con il riciclo dei regali indesiderati. Nello specifico 2/3 dei consumatori dichiarano di aver ricevuto articoli nuovi, che nel corso del tempo non hanno mai usato perché non di loro gusto. Di questi solo il 6% però ammette di averli buttati via, una percentuale che fa ben sperare o almeno incoraggia ad un pensiero positivo e di cambiamento.

       

Il 28% invece, li ha conservati con la certezza che non li avrebbe mai usati, mentre il 33% ha aspettato che diventassero utili.  Tuttavia, il 23% delle persone intervistate li ha rivenduti online, ed un buon 30% li ha regalati a sua volta. Sicuramente è una pratica che potrebbe non convincere tutti, ma senza dubbio è una scelta fondamentale per il pianeta. In questo modo, infatti, se trovassimo un nuovo proprietario per determinati prodotti, potremmo ridurre la futile produzione di rifiuti.

         

Il mercato

Per questo motivo nascono sempre più brand e mercati di re-commerce che consentono di dare una seconda vita agli oggetti. Si può dunque parlare di un circolo che può determinare anche il recupero di denaro nel periodo successivo alle vacanze, al quale nessuno si sottrae… anzi.

     

Se prima si fossero riciclati i regali, ci si sarebbero passati i vestiti tra cugini, ora fa gola a tutti l’idea di rivenderli e di trarne un profitto. Amche questa è innovazione sostenibile. Soprattutto se ci concentriamo sui movimenti che ci sono da qualche anno, è chiaro che si tratti di una pratica legata principalmente ai giovani per molteplici motivi quali:

  • il forte apprezzamento del regalo vintage;
  • il costo inferiore (anche fino al 70% rispetto al prezzo iniziale);
  • i pezzi unici;
  • il risparmio anche di risorse, energia e materiali.

     

Conclusioni

Se a non fossimo pervasi dalla voglia irrefrenabile di comprare articoli di ogni tipo, solo perché dobbiamo fare tanti regalini, sarebbe un mondo migliore. Il flusso di acquisti senza una logica non è una carta vincente per nessuno. Sicuramente, qualcuno riesce a fare bella figura con piccoli oggetti di basso costo, ma se ci pensiamo veramente non è una pratica utile. Come invece lo è la scelta sostenibile di un prodotto: perché a Natale il pensiero, se fatto col cuore ma anche con un punto di vista oggettivo, può essere un bel ricordo, un ottimo strumento di vita quotidiana e solo alla fine, dopo varie vite, diventare un rifiuto.

Anche così possiamo virare verso un’economia sostenibile.

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L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.

By : Aldo |Dicembre 17, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su L’AI arriva nelle AMP: monitorarle sarà sempre più semplice.
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Se nella COP si è parlato poco della salvaguardia della biodiversità, in Italia arriva l’innovazione per quanto riguarda la protezione degli ambienti marini. 

    

Le AMP

Quando parliamo di Aree Marine Protette ci riferiamo all’insieme di ambienti marini acque, fondali e tratti di costa prospicenti con delle particolari caratteristiche. Quest’ultime possono essere di vario tipo quindi naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche e sono solitamente correlate alla flora e alla fauna marine e costiere. Si tratta dunque di aree di interesse scientifico, ecologico, culturale, educativo ed anche economico.

     

Solitamente sono suddivise in zone sottoposte a diverso regime di tutela ambientale a seconda delle loro caratteristiche ambientali e della situazione socio-economica. La loro gestione è affidata a enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste riconosciute, dal Ministero dell’Ambiente. Nonostante ciò, le attività di sorveglianza nelle aree marine protette per assicurare il rispetto dei vincoli previsti spettano alle Capitanerie di porto o alla Polizia locale.

   

Attualmente in Italia si contano ben 53 AMP, di cui già istituite e 19 in via di definizione, e sono localizzate maggiormente nel mar Tirreno.

    

Attività illecite

Tali aree sono fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente marino, soprattutto in vista dei cambiamenti che il pianeta sta affrontando. Purtroppo, però ci sono delle regole che non vengono rispettate sempre e queste riguardano la pesca. Infatti nelle AMP (esclusa la zona A in cui è interdetta qualsiasi attività) si può pescare secondo alcuni termini e condizioni. Questi sono definiti dalla legge e sono più restrittive nella zona B e meno rigide nella zona C (rispetto alla zona A). Dunque, è possibile che nelle aree meno regolamentate, qualche regola non venga rispettata, creando degli scenari dannosi per l’ambiente marino e le sue caratteristiche. Quindi per proteggere in modo più efficiente e duraturo i nostri ambienti marini, i tecnici studiano da anni delle nuove tecnologie. Non a caso oggi possiamo parlare di un nuovo progetto mirato al monitoraggio dei flussi di pesca nelle AMP, che può aiutarci concretamente.

   

Tra mare e AI

Arriva proprio dalla nostra Penisola il nuovo programma per controllare i flussi di pesca nelle AMP, analizzati con i satelliti. Si tratta del progetto di Axitea un Provider di Global Security che integra servizi di vigilanza con tecnologie innovative. In tal modo la società, che ha a una rilevante conoscenza nell’ambito dell’informatica, telecomunicazioni, controlli, automazione ha deciso lavorare per il bene di tutti.  Il sistema che ha sviluppato consente appunto di monitorare per mezzo di satelliti, algoritmi e AI generativa, i flussi di pesca nelle Aree Marine Protette. Grazie a tale meccanismo, si ottengono informazioni che possono aiutare con la gestione e la protezione dell’area in esame.

   

Pertanto, sarà possibile di conoscere le risorse marine e ottimizzare i flussi di pesca. Così facendo si consente la crescita dell’economia locale con il minor impatto ambientale (possibile). La caratteristica ancora più innovativa è che si tratta di una soluzione che non necessita di ulteriori sforzi, o di competenze specifiche da parte dei fruitori. Dunque, il sistema è a tutti gli effetti un vantaggio per i pescatori e l’ente gestore dell’area.

     

In aggiunta, questo modello è facilmente replicabile e per questo può essere usato in più AMP in tutta Italia a vantaggio della salvaguardia dell’oro blu. Tuttavia, la prima che godrà dei suoi benefici è l’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi in Sicilia, dove si testerà per la prima volta il sistema.

 

L’esperimento

La prima prova del progetto è stata basata sul controllo di un flusso di pesca di 12 barche e piccoli pescherecci dell’area. Così ha monitorato i loro percorsi e i punti di sosta per la pesca, dove la velocità di navigazione è compresa tra 0 e 15 Km/h. Il monitoraggio è possibile grazie ai sensori GPS di Axitea in collaborazione con l’AI generativa che ha tracciato gli spostamenti. Inoltre, li ha combinati con le barche che operano nell’area in tempo reale (ma in anonimo).

   

Alla fine del percorso, le barche sono rientrate in porto e i dati raccolti sono stati incrociati con quelli relativi alla quantità e alla qualità del pesce pescato. Tale procedura permette di avere un quadro reale dello stato delle risorse ittiche della zona.

 

Come in altre occasioni, il progetto non si è potuto sviluppare prima per mancanza di disponibilità delle tecnologie adeguate e degli alti prezzi di gestione. Sorprendentemente però, il Ministero dell’Agricoltura ha indetto un evento per presentare nuovi progetti nell’ambito della pesca sostenibile. Più precisamente ha chiamato le AMP in un colloquio legato alla programmazione europea FEAMP.

  

Si tratta di un programma eccezionale per tutte le sue peculiarità, dalle funzioni alla sua replicabilità. Avere una fotografia precisa ma soprattutto sempre aggiornata dello stato attuale dell’Area è un vantaggio per molti. In primis, per l’ambiente protetto e i suoi servizi ecosistemici. È un progetto che non ha eguali in Italia.

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L’era della pietra è finita non perché sono finite le pietre……e…..anche per le fonti fossili….si puó fareeeeee!

By : Aldo |Dicembre 14, 2023 |Emissioni |Commenti disabilitati su L’era della pietra è finita non perché sono finite le pietre……e…..anche per le fonti fossili….si puó fareeeeee!
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È finalmente terminata la 28 esima Conferenza delle parti, dopo due settimane di discussioni e polemiche, con un “accordo storico”. Ma parliamo di una vera vittoria, o di un compromesso volto alla serenità dei rapporti tra gli stati firmatari?

Il termine della COP 28

Il termine della COP di Dubai, previsto per martedì 12 dicembre è slittato di un solo giorno, dopo una notte di trattative. L’accordo è stato raggiunto sorprendentemente mercoledì 13 dicembre e tutto è stato risolto con modi poco condivisi. Infatti, dopo la presentazione del documento erano attese le dichiarazioni dei Paesi sul testo, che non sono pervenute per poter chiudere velocemente la plenaria.

Così, dopo 3 minuti dall’annuncio del presidente Sultan Al -Jaber, era tutto finito. Nessuno si aspettava una chiusura del genere, così veloce, senza opposizioni esplicite (attese e previste): non c’è stato tempo. La Conferenza è terminata dopo la stesura della terza bozza accettata dagli stati partecipanti, che tuttavia hanno espresso pareri negativi solo dopo la conclusione. Per esempio, pochi minuti dopo l’approvazione la rappresentante di Samoa che ha criticato Sultan Al-Jaber:

Signor presidente, ha fatto come se noi non fossimo nella stanza”

Luca Bergamaschi, direttore del think tank italiano Ecco sul clima, ha affermato che comunque da Riad non ci si poteva aspettare altro. Di base “Riaprire il testo avrebbe significato squilibrarlo e rischiare di non chiudere”.

Le “vittorie” di Dubai

Ovunque si legge di un accordo storico, una vittoria per il pianeta, un passo in avanti per l’ingente e necessaria transizione ecologia. Ma concretamente quali sono i veri punti positivi, di due settimane di trattative mondiali? Sicuramente è importante ricordare che per la prima volta in assoluto, nella storia delle COP, sia riportato il termine “combustibili fossili” nel testo. Sembra assurdo ma è tutto vero. Da oggi il fossile è nel documento finale della Conferenza di Dubai, peccato però che non sia accompagnato dal verbo “eliminare”. Proprio così, il phase out è sparito definitivamente già dal testo delle prime bozze. Il compromesso trovato è il termine “transizione verso l’allontanamento”, una specie di parafrasi, che non porta ad un obbligo, ma ad un invito.

Non era questa l’ambizione di circa 150 Paesi che si sono scontrati col fronte invalicabile degli stati dell’Opec che hanno trovato un “sinonimo”. In questo modo, la presidenza è riuscita ad ottenere il consenso di tutti i 224 Paesi mettendo in piedi uno scenario debole e poco chiaro. Dunque, per la prima volta, i paesi sottoscrittori prendono l’impegno a ridurre tutti i combustibili fossili entro il 2050.

Le rinnovabili

Una seconda nota positiva è il voto unanime per le rinnovabili, forse il compromesso più facile. Passo possibile anche grazie all’impegno decretato durante l’incontro del 15 novembre a Sunnylands tra Cina e USA. In questo caso si parla di 3 punti fondamentali ossia:

  • triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030;
  • accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone ’unabated’, ovvero senza tecnologia di cattura e stoccaggio;
  • accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo

Peccato che ci siano delle grandi lacune anche in questo senso e delle grossolane contraddizioni. Si parla di accelerare le tecnologie a zero e a basse emissioni, ma tra queste vengono indicate nuovamente il nucleare. Nonostante la dichiarazione, tale soluzione non rappresenta un’alternativa, secondo gli esperti, a causa degli alti costi e dei tempi lunghi. Infatti è stato stimato un minimo di 30 anni per rendere la fusione un’opzione su scala. Così come le tecnologie di “abbattimento e rimozione” delle emissioni come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio in particolare nei settori “hard to habate”.

Come anticipato, nonostante si tratti di punti positivi, non c’è nulla di chiaro e il linguaggio usato risulta molto debole. Un passaggio alle rinnovabili è fondamentale ma deve essere regolamentato sotto ogni punto di vista. Altrimenti rischia di essere una transizione traumatica che può causare scompensi socioeconomici.

Le previsioni

Per arrivare al testo finale, sono state fatte delle analisi riguardanti il picco massimo di emissioni di carbonio, previsto per il 2025. Anche in questo caso però, si lascia un margine di manovra a singoli Paesi come la Cina per raggiungere il picco più tardi. Sempre al punto 28, si riconosce la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra in linea con il percorso dell’1,5 gradi. Si invita poi le parti a contribuire agli sforzi globali, secondo modalità determinate a livello nazionale, tenendo conto dell’accordo di Parigi.

Nonostante ciò, il linguaggio resta delicato, debole, fatto ancora di inviti e non di obblighi, di possibilità non di azioni concrete. Non a caso, Jean Su, direttrice del Center for Biological Diversity per la giustizia energetica interviene. Secondo lei, i pochi dettagli creano lacune che consentono agli Stati produttori di combustibili fossili di continuare a espandere i loro affari. Nello specifico perché sarà consentito l’utilizzo di “combustibili di transizione” che non sono altro gas naturale, che emette anche carbonio.

Nel frattempo che si snocciolano tutte le seguenti questioni, la Terra sta per registrare il record come anno più caldo.

Conclusioni

In tutto ciò non abbiamo fatto passi in avanti in ambiti quali:

  • il debito dei paesi poveri e vulnerabili, che hanno bisogno di aiuti e non di prestiti;
  • la continua mancanza di un’azione che includa in maniera efficiente i diritti umani (saltata dal paragrafo relativo al fondo per compensare i Paesi poveri);
  • il loss and damage, che ha raccolto solo 700 milioni di dollari, quando solo nel 2022, gli impatti sono costati 109 miliardi.

L’unico obbligo previsto è quello dei 224 Paesi partecipanti, a presentare i nuovi piani nazionali di azione climatica – i cosiddetti Ndc – entro il 2025. Con questo si dovranno documentare anche gli impegni per i successivi cinque o dieci anni e si devono dimostrare anche i miglioramenti per i precedenti.

In conclusione si può dire che questa Conferenza sia stata un compromesso al ribasso, fatto per mantenere la pace tra tutti. Se non altro è un piano che consente di far salire a bordo anche i paesi esportatori di petrolio, che da poco sono entrati in questi accordi. Sicuramente non si tratta di una vera vittoria. Tutti potranno continuare a seguire i loro affari, i più inquinanti, mentre i più poveri continueranno ad essere le vittime di accordo fittizio.

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COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.

By : Aldo |Dicembre 12, 2023 |Efficienza energetica, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Presentato il Global Stocktake che mette in disaccordo il mondo.
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A poche ore dal termine della COP 28, è stata pubblicata l’ultima bozza della presidenza che incontra il consenso di pochi. Tra Stati petroliferi e nazioni più virtuose, il dibattito si fa sempre più acceso attorno al tema più caldo: il “phase out” dei combustibili fossili.

    

“Phase out” o “phase down”

L’accordo di questa conferenza sembra essere lontano, per quanto invece sia vicino il termine temporale. Alla base delle continue discussioni, ritroviamo sempre lo stesso tema: l’uscita dai combustibili fossili. Purtoppo di fronte a tale necessità, paesi come l’Iraq e l’Arabia stessa si oppongono, portando avanti l’idea che serva una riduzione graduale.

    

Nello specifico i membri dell’Opec hanno ribadito il proprio “no” a citare l’uscita dai combustibili fossili nel testo finale della COP28. Insieme dichiarano che non sia il momento di abbandonare le fonti fossili perché una mossa simile sarebbe un danno per l’economia mondiale. Piuttosto punterebbero sulla tecnologia e il presidente Sultan Al Jaber, ha chiesto più volte di tenere in considerazione le sue “prospettive” e “preoccupazioni”. Mentre l’Iraq ha affermato che “la riduzione” e “l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e dei sussidi, “distruggerebbero l’economia mondiale e aumenterebbero le disuguaglianze”.

    

Ovviamente il contrasto ad una richiesta globale ha generato e continua a scaturire lamentele dalla maggioranza. Tanto che una coalizione di attivisti per il clima si è riunita per chiedere ai leader mondiali tre cose fondamentali:

  • mantenere la linea per una transizione energetica giusta
  • concordare l’eliminazione rapida ed equa dei combustibili fossili
  • triplicare le energie rinnovabili entro il 2030

Il Global Stocktake

Ieri pomeriggio, il presidente emiratino Sultan Al-Jaber, ha presentato il cosiddetto Global Stocktake, che dovrà diventare la dichiarazione conclusiva del vertice. Si tratta di una bozza di 21 pagine (prima 27) che non fa gioire nessuno, o quasi.

Quest’ultima è caratterizzata da toni più sfumati, non comporta divieti ma “inviti”. Inoltre, fa sparire dal punto 39, il termine “eliminazione” riferito ai combustibili fossili; tuttavia, si parla per la prima volta di tagli. Le ore di negoziato non sono state facili ed hanno portato ad un risultato prevedibile ma non condiviso. La Proposta della presidenza viene presentata alla plenaria dei ministri e dei negoziatori dei quasi 200 Paesi presenti a Dubai. L’obiettivo condiviso da tutti è quindi arrivare al net zero entro il 2050, peccato però che i modi o i mezzi non siano accettati da tutti. Nonostante si parli di tagli sia alla produzione che dei consumi dei combustibili fossili, il «phase out» tanto atteso non compare da nessuna parte.

     

Quello che viene ribadito è invece il “phase down” (eliminazione graduale) del carbone non abbattuto (definizione ancora non accettata globalmente). In tale scenario il presidente continua a richiedere al mondo flessibilità per raggiungere il compromesso, come si augura anche il presidente dell’ONU Guterres. Un appello rivolto sia ai produttori di petrolio e gas (Arabia Saudita, Iraq e Russia) e sia a chi vorrebbe un testo molto più ambizioso.

    

Il documento proposto dalla presidenza esorta le parti ad “accelerare” nelle tecnologie a zero e basse emissioni, tra le quali è indicato anche il nucleare. Si citano anche le tecnologie di abbattimento e rimozione, comprese la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio. E infine la produzione di idrogeno a basso contenuto di carbonio, per potenziare la sostituzione delle tecnologie fossili ‘unabated’ nei sistemi energetici. Sicuramente passerà anche la proposta della triplicazione della capacità delle rinnovabili a livello globale entro il 2030. E il raddoppiamento del tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica.

     

Ultime considerazioni

Negli ultimi giorni non sono bastati gli interventi dei vari delegati o leader politici per cambiare le sorti di questa conferenza. Per esempio, il Governo olandese ha promosso una coalizione internazionale (di cui l’Italia non è parte) per porre fine ai sussidi al fossile. Poi il capo negoziatore cinese per il clima, Xie Zhenhua si è espresso a favore della sostituzione con le rinnovabili. Tuttavia, non si è impegnato a sostenere una completa eliminazione (phase out) dei combustibili fossili affermando altresì che la Cina si impegnerà per trovare un compromesso.

    

Anche John Silk, ministro delle risorse naturali delle Isole Marshall si è espresso duramente

Non siamo venuti qui a firmare la nostra condanna a morte. Non accetteremo un risultato che porterà alla devastazione per il nostro Paese e per milioni se non miliardi di persone e comunità più vulnerabili».

Come detto in precedenza, l’unico passo positivo è l’obiettivo di triplicare la capacità globale dell’energia rinnovabile. Anche se, scompare un target numerico e non si indica rispetto a quale anno serve al triplicazione, quindi ci sono delle grandi lacune anche in questo. Inoltre, molte delle tecnologie citate e supportate, sono molto costose e non efficienti, quindi poco utili ad una transizione globale.

   

Il resto, che va dalla riduzione graduale dei fossili al rilancio del nucleare diventa un masso pesantissimo, un passo indietro più che uno stallo. La COP che doveva fare la differenza ha solamente creato un buco nell’acqua, favorendo gli stati dell’Opec e i loro affari.

  

Senza contare il fatto che è stata confermata Baku come città ospite della COP 29. Attualmente l’Azerbaigian, ricava 2/3 delle sue entrate da petrolio e gas dunque, le previsioni per il prossimo anno non sono delle più floride. Forse ci resta solo sperare in nuove politiche proattive decise singolarmente dagli stati di tutto il mondo.

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Polemiche, risultati e finanziamenti; un primo bilancio della COP 28.

By : Aldo |Dicembre 08, 2023 |Arte sostenibile, Home |Commenti disabilitati su Polemiche, risultati e finanziamenti; un primo bilancio della COP 28.
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È passata una settimana dall’inizio della 28a COP e già tanti punti sono stati sviluppati, rivisti, approvati e criticati. Chiunque sia interessato direttamente o indirettamente a questo argomento è pronto ad affrontare i prossimi giorni, nella speranza dell’approvazione di documenti che possano fare la differenza.

I punti principali

La COP 28 come anche le altre, è iniziata con la determinazione di una serie di punti da chiarire e di questioni per le quali servono soluzioni concrete. Dunque, sono state stabilite quattro grandi aree di azione che includono ulteriori sottoschemi quali:

  • La campagna Fossil to Clean, avanzata da 131 aziende, coordinate da “We Mean Business Coalition” e dai suoi partner.
  • Un’alleanza per la decarbonizzazione, con l’obiettivo di trovare un accordo tra Stati per un piano di transizione energetica che punti a delineare come catturare e stoccare la CO2 che oggi è in eccesso.
  • L’impegno degli Stati per il clima.
  • Il sostegno finanziario ai Paesi emergenti.
  • L’impegno disatteso di 100 miliardi all’anno per sostenere la transizione ecologica dei Paesi emergenti.
  • L’impatto sociale, focalizzandosi sull’aspetto sociale della transizione energetica favorendo l’inclusione.
  • Adattarsi al cambiamento climatico attraverso l’Adaptation Agenda di Sharm-el-Sheikh che ha l’obiettivo di migliorare la resilienza di quattro miliardi di persone nelle regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici
  • Piani di adattamento nazionali

Iniziare col piede sbagliato

Da tempo l’apertura delle COP è preceduta da una serie di polemiche più o meno condivisibili. Queste sono dettate dal fatto che dopo 28 anni, ancora non siano stati realizzati degli impegni fondamentali e quasi sembra non esserci un risvolto positivo. Così anche quest’anno, la pioggia di critiche è arrivata ed era indirizzata su vari argomenti e scelte discutibili per la conferenza più importante del 2023.

Per prima cosa si è discusso della scelta della Presidenza ed alla presenza elevata di rappresentanti dell’industria petrolifera. Si contano ben 2.500 su 80mila partecipanti, secondo la ong Global Witness, una percentuale troppo alta per alcuni, e ambigua rispetto al contesto di sostenibilità. Tra questi si può citare per l’appunto, il presidente della conferenza Sultan Al-Jaber, amministratore delegato del colosso petrolifero Adnoc.

Come se questo non bastasse, la plenaria è iniziata in un tunnel buio, visti gli studi dell’Unfcc relativa al Global Stocktake. L’iniziativa che prevede il check della situazione attuale e delle iniziative da implementare presentava una realtà molto tetra che ha scaturito molte lamentele. I dati scientifici confermano che ci avviamo verso 2,6 gradi di riscaldamento globale e che quindi dobbiamo tagliare le emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% nel 2035. Proprio legato a questo, si è discusso molto del “phase out” dei combustibili fossili, per il quale sono favorevoli i governi occidentali.  Al contrario, i grandi produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita e la Russia si sono opposti.

Numeri e accordi raggiunti

Passando oltre le polemiche iniziali, gli interventi clamorosi del presidente, i ripensamenti e le ambiguità, si trova molto da raccontare. Una parte positiva di questa 28° conferenza è sicuramente la velocità con la quale certi fondi sono stati creati o attivati.

Primo tra tutti il fondo Loss and Damage. Esattamente il primo giorno di Cop28 è arrivato l’accordo sul fondo annunciato alla COP27, diventando così operativo sotto sotto la gestione della Banca Mondiale. Si tratta forse del risultato più importante per velocità di realizzazione e fondi: conta ben oltre 726 milioni di dollari. Soprattutto poiché a sopresa di tutti, l’Italia ha promesso 100 milioni di euro, diventando uno dei maggiori contributori insieme a Francia, Germania ed Emirati.

Successivamente si parla delle rinnovabili, con un testo firmato da 123 Paesi i quali si impegnano a triplicare le rinnovabili e aumentare l’efficienza energetica. L’obiettivo è quello di arrivare a 11.000 GW e per raggiungerlo, l’UE ha annunciato un impegno da 2,3 miliardi di euro per la transizione. Per ora sono stati impegnati ben 6,8 miliardi per l’energia. A tale argomento si può affiancare il nucleare, per il quale 22 Paesi hanno firmato un documento. In questo caso l’obiettivo è quello di triplicare la capacità di produzione nucleare nel mondo; tuttavia, resta un tema che mette in disaccordo molti. Resta a lunghissimo raggio la scommessa sulla fusione (abbracciata dall’Italia), per la quale l’orizzonte viene indicato tradizionalmente al 2040-2050.

Per il Green Climate Fund (2010), sono stati raccolti 3,5 miliardi di dollari (di cui 3 dagli USA), su un tetto di 13 miliardi. Il patto è stato sottoscritto da soli 25 Paesi. E poi ancora si parla di salute. Con tale documento, i 121 Stati firmatari si impegnano nella riduzione delle emissioni nel settore e sulla considerazione dell’impatto sulla salute delle persone della crisi climatica. 

Infine, si è trattato un settore fondamentale, quello dell’agricoltura e del cibo. Si tratta del testo firmato da più Nazioni, 134 per la precisione. L’idea è quella di integrare il settore nei propri piani climatici nazionali, avendo questo un ruolo nella cattura del carbonio e non solo. È responsabile di una grossa quota di emissioni. 

Non è tutto

Dall’inizio della COP, sono stati raggiunti 83 mld di euro di investimenti tra tutti gli impegni previsti. Oltre a quelli già riportati, sono stati raggiunti:

  • 61,8 miliardi per la finanza
  • 8,5 miliardi per le comunità
  • 1,7 miliardi per l’inclusione
  • 134 milioni per l’Adaptation fund
  • 123 milioni per i Paesi meno sviluppati
  • 31 miloni per lo Special climate change fund.

Inoltre 11 promesse e dichiarazioni sono state lanciate e hanno ricevuto un enorme sostegno. Come, per esempio, il rapporto scientifico intitolato “Global Tipping Point” redatto da più di 200 scienziati, che avverte sui “punti di non ritorno” climatici. Oppure la “Dichiarazione congiunta sull’urbanizzazione e il cambiamento climatico” sostenuta da 40 ministri. Propone un piano in 10 punti per integrare l’azione climatica a tutti i livelli di governo e incrementare i finanziamenti urbani per il clima.

Mentre continua ad essere oggetto di discussione il “phase out” dei combustibili fossili, per il quale è stato proposto un “phase down”. Tutto ciò nonostante la conferma che il 2023 sarà l’anno più caldo della storia e che a novembre sono state raggiunte temperature record. L’aggiunta del paragrafo 36, che riconosce la necessità di una giusta transizione energetica, rappresenta un passo senza precedenti verso la trasformazione equa di cui necessitiamo.

Per non parlare del Global Carbon Budget, che non prevede nulla di positivo. Anzi conferma che nel 2023 le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) raggiungeranno un nuovo record a quota 36,8 miliardi di tonnellate. Questo rappresenta un aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente e dell’1,4% in più rispetto al 2019, ultimo prima della pandemia.

Conclusioni

Dopo un anno in cui nessuno nel mondo, è sfuggito agli eventi estremi e ai pericolosi effetti dei cambiamenti climatici, questa COP deve essere decisiva. È chiaro a tutti ormai che servono mosse e azioni veloci ma concrete, decise e mirate per rimettere in piedi l’Accordo di Parigi. Dunque, per poterci salvare serve ancora molto, ma ancora è in dubbio il potere di questa Conferenza.
Ora bisogna solo aspettare i risultati finali.

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COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.

By : Aldo |Dicembre 06, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su COP 28. Incomprensioni e caverne e petrolio.
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Giovedì 30 novembre si è aperta la COP 28 a Dubai, tra vecchie speranze e dubbi per i risultati della conferenza. L’UE scende in campo decisa a raggiungere i suoi obiettivi comportandosi come un capofila e da modello per le altre nazioni. Ma a distanza di soli 6 giorni dall’inizio, avvenimenti, affermazioni ed interventi hanno già sorpreso tutti, sia in modo positivo che negativo.

L’era delle caverne

Lunedì il mondo scientifico si è bloccato per qualche secondo dopo la dichiarazione del presidente della COP28, Sultan al-Jaber. Quest’ultimo parlando dell’eliminazione dei combustibili fossili, durante un incontro online, afferma:

Non esiste alcuna scienza che indichi sia necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Anzi, la loro eliminazione – anche graduale – non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”.

Parole, le sue, che fanno rabbrividire tutti, in primis i massimi esperti mondiali, compresi gli scienziati del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Lo scalpore deriva anche dal discorso precedente, che annunciava l’impegno delle 50 principali compagnie petrolifere globali a raggiungere emissioni di metano prossime allo zero. Tra queste l’Aramco dell’Arabia Saudita, la Petrobras del Brasile e la Abu Dhabi National Oil Company di cui proprio al-Jaber è a capo.

Le prime perplessità sull’efficacia e la possibilità di un’azione concreta iniziano proprio qui. Inoltre, la “Carta globale della decarbonizzazione” non è in linea con l’obiettivo di restare sotto 1,5° Celsius. E non pone alcun vincolo allo sviluppo di nuovo petrolio e gas e prevede obiettivi di emissione volontari e non prescrittivi.

Dopodiché subentrano i giornalisti indipendenti presso il Center for Climate Reporting (in collaborazione con la BBC) che chiedono spiegazioni al presidente. L’inchiesta dimostrava che la presidenza della Cop 28 aveva programmato una serie di incontri per favorire nuovi accordi commerciali internazionali legati ai combustibili fossili.

A tali accuse al-Jaber ha assicurato di non aver mai visto questi punti, né di aver partecipato a tali incontri.  Nonostante ciò, parliamo della stessa persona che in apertura della COP ha esortato a “garantire di includere il ruolo dei combustibili fossili nel documento finale”. Gli scienziati sbigottiti hanno definito l’uscita del presidente come “Parole al limite del negazionismo”. D’accordo anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres e Bill Hare, ceo di Climate Analytics, preoccupati per il risultato delle prossime azioni.  

A sorpresa, dopo l’assurda affermazione, il sultano ha convocato una conferenza stampa per chiarire quanto detto. Innanzitutto, non si è scusato ma ha detto di essere stato “travisato” dai media, accusandoli di non riportare il suo vero messaggio. Poi ha continuato ricordando quanto la scienza sia parte della sua vita e della fiducia che ripone nelle scelte fatte in questi giorni.  

Dalla sua parte

Al contrario di quello che è appena stato descritto c’è chi ha interpretato in altro modo, le parole di Sultan Al Jaber in modo diverso. Il discorso si dirama attorno al seguente concetto: la sostenibilità della transizione. Quindi perché la transizione energetica sia sostenibile per tutti, vuol dire che nessuno può, ne deve essere lasciato indietro.

Pertanto, sulla base del fatto che l’eliminazione dei fossili sia la via sa seguire, al-Jaber dice che è necessaria un’eliminazione graduale. Questo perché eliminare una fonte così diffusa (per esempio in Europa) causerebbe una grande crisi, simile a quella vissuta con l’inizio della guerra in Ucraina. In breve, non si possono lasciare tutti a piedi perché non hanno la possibilità comprarsi l’auto elettrica: non sarebbe un cambiamento sostenibile.

Anzi, secondo l’articolo di Angelo Bruscino (HuffPost), da un simile passo, ne godrebbe solo la Cina ed il motivo è semplice. Avendo il controllo delle terre rare che servono alle batterie elettriche, incrementerebbe di gran lunga la sua economia. Oppure ne gioverebbe l’America che con l’Inflation Reduction Act ha fatto sì che i costi di transizione li pagasse la collettività e non il singolo che non può permetterselo.

Conclusioni

Tuttavia, lo sceicco Yamani (Ministro del petrolio dell’Arabia Saudita dal ’62 allo’ 86) disse:

L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. Non bisogna aspettare che finisca il petrolio per far finire l’età del petrolio”

Questo sta a significare che per quanto abbiamo bisogno ancora oggi dei combustibili fossili, la loro permanenza non assume automaticamente un’accezione positiva. Ossia, per affrettare la transizione è necessario un cambio deciso, che possa smuovere anche la burocrazia dietro certi meccanismi. Solo in questo modo potremmo effettivamente eliminare i fossili e ridurre il nostro impatto sul pianeta. 

Rispetto al tema affrontato, si possono riportare altre notizie peculiari riguardanti i primi 6 giorni della conferenza. Per esempio:

  • l’assenza inaspettata del presidente degli USA Joe Biden;
  • la presenza quadruplicata (rispetto al 2022) di lobbisti legati ai produttori di combustibili fossili;
  • la premier Meloni che parla di una la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio deve essere equilibrata e realizzabile. Inoltre, riporta l’accento sulla fusione come nuova frontiera energetica.

Di certo non è iniziata nei modi migliori la 28a Conferenza delle Nazioni unite sui Cambiamenti Climatici. C’è ancora tempo per rimediare, ma è necessario rispettare gli obiettivi prefissati e pensare ad azioni concrete e sostenibili.

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L’agroecologia può aiutarci a ridurre le emissioni di CO2.

By : Aldo |Dicembre 04, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’agroecologia può aiutarci a ridurre le emissioni di CO2.
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È sorprendente vedere come quotidianamente vengano pubblicati studi riguardanti nuove soluzioni per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Ancor più importante è scoprire costantemente quanto potere abbiamo nella lotta al cambiamento climatico.

Agroecologia

L’agroecologia non è una nuova scoperta ma un concetto presente già dal Novecento e si riferisce all’utilizzo di principi ecologici nella coltivazione. Dagli anni ’70 si è rafforzato includendo un insieme di tecniche per la coltivazione e di strumenti per la sua salvaguardia. I vantaggi di tale metodologia sono molteplici e vanno dalla conservazione e l’aumento di biodiversità, alla rigenerazione del suolo e la stagionalità delle colture.

La tecnica ha tuttavia un’accezione anche politica e sociale poiché presenta vantaggi e cambiamenti anche sotto questi aspetti. Per esempio, favorisce il cambiamento dei rapporti di potere nella società, valorizzando la dignità del lavoro. Inoltre, privilegia i mercati locali e il territorio rispetto al commercio mondiale.

Si torna a parlare dell’agroecologia poiché l’agricoltura industriale ha arrecato enormi e a volte irreversibili danni alla natura delle coltivazioni. Da anni si discute sul crollo della biodiversità, desertificazione dei suoli, inquinamento delle acque e aumento delle emissioni di gas serra. Pertanto, il concetto in questione promuove un pensiero basato su forme di agricoltura più solide a livello ecologico, biodiverse, resilienti, sostenibili e socialmente giuste.

L’intervista

In questo settore, Paolo Barberi è uno dei massimi esperti italiani. Non a caso coordina il Gruppo di Ricerca in Agroecologia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e coordina il Dottorato Internazionale in Agrobiodiversità. È co-fondatore e membro del Consiglio Direttivo di AIDA, Associazione Italiana di Agroecologia e detiene di molteplici titoli in ambito scientifico. La sua ricerca si contraddistingue dalle altre perché partecipativa, quindi si basa anche sulla relazione con gli agricoltori per comprendere domande e difficoltà del settore.  La “Repubblica” lo ha intervistato per parlare di come l’agroecologia risulti un ottimo alleato per la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso esempi, risultati e vantaggi.

Attualità e monocolture

Il punto che chiarisce subito Barberi è la situazione attuale del settore agricolo. Le tecniche di coltivazione industriale e intensiva hanno riportato negli anni delle importanti criticità che favoriscono meccanismi controproducenti sia per l’uomo che per l’ambiente.  Dunque, sarebbe opportuno puntare sull’agricoltura rigenerativa, evitando le monocolture responsabili dell’impoverimento del suolo e dell’uso smodato di pesticidi, come il glifosato. In particolare, l’uso di fertilizzanti, combustibili fossili, liquami e deiezioni dei ruminanti determina il 20% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea.

È necessario quindi un cambiamento radicale che consenta all’agricoltura, di ridare valore ai suoi prodotti, proteggendo gli ecosistemi, favorendo anche la decarbonizzazione del dell’atmosfera. Tutto ciò è possibile proprio grazie all’agroecologia e in primis all’eliminazione delle monocolture. Quest’ultime hanno monopolizzato la gran parte dei terreni dal periodo del primo colonialismo diventando anche uno strumento politico di dipendenza. Quando poi il colonialismo scemò, gli agricoltori continuarono con le monocolture soprattutto su terreni nudi, privi di altra vegetazione e questo non ha giovato alla natura.

Decarbonizzazione, stoccaggio e biodiversità

Infatti, quello che gli esperti consigliano ora è la coltivazione su suoli ricoperti di vegetazione (naturale o impiantata), per favorire due grandi processi. Il primo è il processo di decarbonizzazione e il secondo di stoccaggio di anidride carbonica. Questo è possibile perché un terreno vegetato durante tutto l’anno, consentirà un maggiore assorbimento di CO2 rispetto ad uno che resta nudo per mesi. In più, può assorbire in modo migliore l’acqua piovana, evitando allagamenti (per quanto possibile), risultando un terreno più funzionale e sano.

A riguardo, Barberi, riporta un esempio chiari dell’efficienza dell’agroecologia per quanto riguarda il secondo processo.  Il professore racconta di come abbia affiancato a Pisa un coltivatore di frumento duro e girasole ed afferma:

Nella fase intermedia tra le due colture abbiamo seminato la veccia vellutata (leguminosa) la cui biomassa favorisce lo stoccaggio di carbonio in un periodo in cui il terreno sarebbe rimasto inutilizzato, con relativo spreco della radiazione solare, fornendo in più azoto a beneficio della coltivazione che le succederà, quella del girasole. E non serve neanche più arare il terreno”.

O ancora

In due vigneti nel Chianti abbiamo misurato l’eventuale competizione per l’acqua tra vegetazione spontanea o impiantata e la vigna verificando che lo stress, che si registra solo in brevi periodi estivi, non incide sulla resa in uva e risulta addirittura vantaggioso per la qualità del vino. Questa evidenza smentisce la credenza comune che d’estate si debba lasciare il terreno nudo per evitare la competizione tra vite ed erbe spontanee.”

Senz’altro da questi esempi si evince come la diversificazione delle colture favorisca la decarbonizzazione quindi porti dei vantaggi in più ambiti. Infatti, analogamente sono importanti gli orti urbani che consentono di riqualificare aree industriali e periferiche delle nostre città, per gli stessi identici motivi.

Conclusioni

Di certo è fondamentale investire sulla consapevolezza del ruolo dei cittadini nell’indirizzare le strategie della grande distribuzione e dei produttori. Questo perché saranno loro a determinare i prezzi al dettaglio, consentendo o meno lo sviluppo sostenibile di cui abbiamo bisogno. In questo argomento è opportuno ricordare l’importanza della stagionalità dei prodotti, che sembra essere svanita nel nulla.

Alimenti fuori stagione che troviamo costantemente negli scaffali dei supermercati, aumentano i costi ambientali e le emissioni. Incrementando la concorrenza di prodotti a prezzi stracciati che tuttavia arrivano dall’altra parte del mondo.  L’agroecologia comprende tutte queste dinamiche con l’obiettivo di regolarizzare e rendere più sostenibili tutte le pratiche legate al mondo dell’agricoltura.

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Mojito Bio, la prima calzatura biodegradabile al 100%.

By : Aldo |Novembre 29, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Mojito Bio, la prima calzatura biodegradabile al 100%.
Mojtaba Fahiminia - Unsplash

Il processo del riciclo è abbastanza importante quanto delicato. Si tratta di un argomento complesso che in certi casi può essere la soluzione al problema e in altri è necessario molto più del trattamento del rifiuto.  Poi però c’è chi, con le tecnologie riesce a trovare la quadra per realizzare i propri sogni sostenibili, in armonia con l’ambiente.

   

S.c.a.r.p.a

S.C.A.R.P.A è un’azienda nata nel 1938 nel cuore delle colline trevigiane ed è leader nella produzione di calzature di montagna e outdoor. Ma soprattutto è rilevante nella sua zona: non a caso il nome della società è l’acronimo di Società Calzaturieri Asolani Riuniti Pedemontana Anonima.

   

La sua caratteristica principale è la produzione di calzature tecniche per le attività montane quali il trekking, lo sci, l’arrampicata, l’alpinismo e l’escursionismo. La seconda, non per importanza è l’attenzione verso la natura e la sua salvaguardia; da qui la motivazione di renderla una “Società Benefit”. Da anni, l’azienda aveva deciso di investire sull’autonomia energetica e la sostenibilità, ma con tale cambio ha scelto di ridurre il suo impatto sul Pianeta. Mettendolo per iscritto, la società ha dichiarato il suo impegno verso l’ambiente e le generazioni future nella maniera più trasparente e diretta possibile.

  

L’aspetto ancora più genuino e sensibile di tale cambiamento è la motivazione alla sua origine. L’amministratore Diego Bolzonello spiega che “Le montagne e la Natura in generale sono il motivo stesso dell’esistenza dell’azienda”, dunque era fondamentale la sostenibilità della produzione.

 

Il Green Lab

Ben 28 anni fa, designer e i ricercatori di S.c.a.r.p.a. hanno deciso di aprire un proprio Green Lab direttamente nella fabbrica, ad Asolo. Oggi, l’azienda ha raggiunto l’autonomia energetica ed ha intrapreso percorsi per ridurre gli scarti per mezzo del processo di riciclo e riutilizzo.

   

Soprattutto, ricorda che ogni anno nel mondo vengono prodotte oltre 24 miliardi di nuove scarpe. La gran parte di queste però arriva in discarica a fine vita, soprattutto quelle da montagna perché difficili da riciclare. Tale peculiarità deriva dal fatto che per la loro produzione vengono usati un mix di materiali difficili da separare.

   

Pertanto, S.c.a.r.p.a. oltre a riciclare le vecchie calzature, ha pensato di creare una rete di risuolatori. In tal modo, ci si può rivolgere per aumentare la vita delle proprie scarpe fino a 4-5 anni. Da questi primi esperimenti sono nati dei prototipi innovativi e totalmente sostenibili, come quelli descritti nel prossimo paragrafo.


Mojito Bio e Maestrale Re-Made

Mojito Bio la prima calzatura certificata biodegradabile al 100% con performance e durabilità che rimangono inalterate. È un prototipo creato in Italia sulla base di una filiera molto attenta e totalmente certificata. Questo vuol dire che tutti i fornitori delle materie prime applicano pratiche industriali sostenibili in termini di:

  • produzione,
  • uso di prodotti chimici,
  • rispetto della salute,
  • della sicurezza e delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti.

Inoltre, è stata certificata la biodegradabilità della scarpa, secondo lo standard ASTM D5511. Quest’ultimo misura il livello di decomposizione in assenza di ossigeno e condizioni di temperatura e umidità controllate, pari a quelle negli impianti di trattamento dei rifiuti.

Mentre Maestrale Re-Made è il primo scarpone da sci interamente realizzato con plastiche ricavate da scarti di produzione. Nello specifico, la società dal 1995 ha stoccato e catalogato ben 3 tonnellate di scarti, per poi trasformarli in una calzatura super tecnologica, solo vent’anni dopo. Il risultato è proprio questo nuovo scarpone che segue una filosofia tutta sostenibile.

    

Così facendo S.c.a.r.p.a ha ridotto del 32% le emissioni di CO2 legata alle plastiche di origine fossile usate per la produzione delle calzature. Per arrivare ad azzerarle invece, l’azienda si è affidata alle energie rinnovabili, che dovrebbero tagliare circa mille tonnellate di CO2. Tutto ciò sarà possibile grazie ad un impianto fotovoltaico da 700 megawatt installato sul tetto ad Asolo.

    

L’azienda che ha altrettanti progetti in ballo conta già 50 Re-shop tra Lombardia, Veneto e in Trentino-Alto Adige. Questi negozi accettano di raccogliere scarpe usate del modello Mojito, con l’obiettivo di arrivare a 15mila paia di scarpe. Dopo la loro raccolta verranno ne realizzate altrettante con gli stessi standard di qualità e sicurezza. Ma S.c.a.r.p.a. non si ferma solo in Italia perché ha addirittura negozi in Francia, Austria e Germania, fino a contare 250 negozi in tutta Europa.

    

È forse questo i Made in Italy che dovremmo finanziare, ovvero la filiera italiana sostenibile? Potrebbe essere questa, una possibilità di affermarci nuovamente in Europa e nel mondo?

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Roma inaugura la prima CER che ha come centro una scuola.

By : Aldo |Novembre 27, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su Roma inaugura la prima CER che ha come centro una scuola.
MChe Lee - Unsplash

Quando si parla di sensibilizzazione spesso si pensa alle scuole, o ad incontri e lezioni in aula rivolte ad un pubblico di vario tipo. La scuola è sicuramente un ente in cui si formano i ragazzi che possono essere parte attiva del cambiamento per il loro stesso futuro. Come nel caso della scuola di Roma, diventata il fulcro di una CER.

    

Le CER

Le comunità Energetiche Rinnovabili, sono una forma innovativa di produzione e condivisione di energia, per ridurre i costi e le emissioni di CO2. Tale sistema permette di coinvolgere tante realtà come i cittadini, attività commerciali, amministrazioni locali e piccole-medie imprese. Tuttavia, è importante la collaborazione tra due o più soggetti per la produzione di energia destinata all’autoconsumo, scambio e in caso di surplus, cessione alla rete.

    

La produzione condivisa, consentita tramite impianti che possono appartenere anche a terzi, comporta benefici sia economici che ambientali. Infatti, questi sistemi favoriscono nuove opportunità occupazionali per le piccole e medie imprese coinvolte nello sviluppo, gestione e manutenzione degli impianti. Proprio nella giornata di ieri, la Commissione Europea ha promosso il decreto del MASE per incentivare le comunità energetiche (Cer), sbloccando aiuti per 5,7 miliardi.

     

La CER a Roma

A Roma la prima CER è arrivata a dicembre del 2022, nel quartiere della Vittoria in viale Sant’Angelico ed è nominata “Le Vele”. L’obiettivo di tale sistema è quello di abbattere l’emissione di 41 tonnellate di CO2, equivalenti a 1.365 alberi piantati. Nello specifico la CER gode di un impianto di 90 Kw che produrrà̀ circa 120 mila kWh di energia pulita l’anno. Tutto questo grazie alla collaborazione di 3 soggetti ossia, il I municipio, Federconsumatori e l’Istituto Leonarda Vaccari.

     

Un altro record è quello che riguarda la prima CER nata intorno ad una scuola. L’Istituto Moscati di via Padre Semeria è il fulcro di questa comunità, grazie alla collaborazione tra VIII Municipio, RomaTre, Comune e associazioni di cittadini. La scuola ora rappresenta non solo un luogo di formazione ma anche un simbolo di sostenibilità e cooperazione tra cittadini, università ed altri enti.

    

La scuola nella CER

La CER dell’VIII Municipio ed approda nell’Istituto comprensivo Moscati di via Padre Semeria, sul tetto della quale sono stati installati dei pannelli fotovoltaici. L’istituzione dell’impianto garantisce un grande risultato che non riguarda solo il risparmio economico e una transizione energetica, ma un processo di partecipazione democratica.

    

Questo è solo uno il primo di una serie di progetti in fase di avvio a Roma. Il piano stato presentato nell’aula magna del Rettorato dell’università Roma Tre, con un workshop dal titolo “Comunità energetiche rinnovabili il ruolo delle amministrazioni locali”. Non a caso l’iniziativa è stata presentata come un laboratorio di interesse universitario e comunale, che può valorizzare maggiormente il patrimonio dei tetti pubblici. Inoltre l’energia prodotta può aiutare il quartiere ed è così che il programma diventa simbolo di cambiamento ambientale e sociale.

    

È importante ricordare che con tale progetto, la scuola sarà in grado di risparmiare sui costi dell’energia e di abbassare le emissioni grazie alle rinnovabili. In più, i profitti derivati dal piano, saranno investiti in attività di inclusione e di sostegno per famiglie in povertà energetica. Dunque, come detto in precedenza, l’iniziativa ha finalità educative, ambientali, economiche e sociali.

    

Iniziativa e cooperazione

La particolarità di questa idea è proprio la sua origine. Infatti il tema scuola è al centro del progetto proprio per volere dell’Associazione “ScuolaLiberaTutti” composta dai genitori degli studenti. Proprio l’associazione ha proposto all’VIII Municipio e alla scuola di costituire una Cer finanziata dall’organizzazione stessa. Il municipio che ha accolto l’idea è poi riuscito a trovare fondi pubblici per realizzare l’impianto fotovoltaico da 15 KW: ora manca solo la connessione.

   

In tutto questo vi è anche lo zampino dell’Università Roma Tre. L’ateneo ha osservando i movimenti, ha pensato di partecipare mettendo a disposizione i suoi edifici per realizzare altri impianti che serviranno per autoconsumo e produzione. Oltre ai benefici elencati precedentemente, l’università ha colto l’occasione per pensare ad ipotetici e futuri progetti didattici e master specifici. 

 

All’incontro ha partecipato anche Andrea Catarci, assessore alle Politiche del personale, al decentramento, partecipazione e servizi al territorio per la Città dei 15 minuti. L’assessore ha sicuramente portato un barlume di speranza nel tunnel della lenta burocrazia delle CER italiane e principalmente quelle romane. Catarci ha infatti dichiarato che Roma, in 3 anni, avvierà almeno una Cer in ogni municipio e coinvolgerà altre 300 scuole.

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La funivia delle mele: l’innovazione per limitare traffico e inquinamento.

By : Aldo |Novembre 22, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su La funivia delle mele: l’innovazione per limitare traffico e inquinamento.
Shelley Pauls - Unsplash

Le nuove tecnologie fanno avanzare il mondo sotto tanti punti di vista. Di certo hanno facilitato molte attività ma non per questo determinano, a priori, un danno alla cultura e alle tradizioni di una popolazione.

    

Il consorzio Melinda

L’azienda Melinda è un consorzio che produce ogni anno circa 400.000 tonnellate di mele nelle valli di Non e Sole. È composta da oltre 4.000 famiglie di soci produttori, raggruppati in 16 cooperative, che vivono e coltivano il melo nelle Valli citate.

   

Queste coltivazioni sono rappresentano non solo il grande fulcro del Trentino. Infatti, alla fine dell’Ottocento, piantare alberi di melo si è rivelata la salvezza per la comunità della Valle di Non. In quegli anni si diffusero velocemente malattie che colpiscono gelsi e vite; dunque, molte famiglie sono costrette a emigrare: tante ma non tutte. Coloro che provarono a resistere si giocarono la carta della coltivazione di mele, una scommessa che risultò vincente.

   

Da lì, l’abbondanza dei raccolti supera presto il fabbisogno della comunità, quindi si passa all’esportazione, un’altra attività trionfante. Alla fine degli anni 30 del Novecento, il 40% della frutta trentina viene dalla Valle di Non e da qui parte il 70% dell’esportazione. Successivamente negli anni 60-70 è boom: il successo delle mele della Val di Non porta lavoro per tutti, benessere, ripopolamento dei paesi. Il consorzio è una punta di diamante del Bel Paese, ma oggi è anche una grande realtà sostenibile soprattutto dopo l’ultima trovata.

   

Il progetto PNRR

Il progetto di Melinda ha vinto il bando previsto dal Pnrr dedicato alle migliori idee per lo sviluppo della logistica agroalimentare. Con questa vittoria si classifica al secondo posto su un totale di cento proposte che hanno avuto accesso ai fondi. Il piano era già stato presentato al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste e al Parlamento europeo come buona pratica di sostenibilità ambientale.

   

L’idea è quella della prima funivia in Italia, che possa trasportare le mele dell’azienda, riducendo emissioni di CO2, traffico e carburante. Il costo complessivo del programma è di 10 milioni di euro, di cui 4 arriveranno come contributo a fondo perduto dal PNRR

   

Si tratta di un impianto monofune ad agganciamento automatico a tre piloni con 11 piloni di sostegno con un dislivello di 87m. Tale sistema potrà trasportare ogni ora 460 contenitori impilabili o “bins”, alla modica velocità di 5 m/s lungo un viaggio a dir poco peculiare. Infatti, l’itinerario partirà dalla sala di lavorazione di Predaia e arriverà fino alla Miniera di Rio Maggiore; lì entrerà nelle cave estrattive di dolomia. Dopodiché prosegue per altri 430 metri all’interno di una galleria per raggiungere le celle ipogee: qui le mele entrano in un “frigorifero naturale”.

    

Impatto ambientale

Questo progetto ha degli importanti e validi sviluppi sostenibili, che apportano una rilevante innovazione nel Paese: ripartiamo proprio dalle celle. L’ambiente in esame ha una temperatura controllata nel cuore delle Dolomiti che permette di risparmiare il 30% di corrente elettrica rispetto a un magazzino tradizionale. Inoltre, elimina la necessità di dover costruire nuovi edifici in superficie.

    

Di certo, entro il 2024 in Val di Non, 40mila tonnellate di frutta non viaggeranno più lungo l’autostrada. In particolare, oggi sono necessari 10 camion che effettuano complessivamente 80 viaggi al giorno, trasportando ciascuno 36 bins. Nello specifico non si effettueranno più 6000 viaggi con i tir, togliendo dalla strada un traffico pari a 12000 km/anno, riducendo l’inquinamento in un ambiente molto delicato.

    

Nonostante ciò, Melinda è sostenibile da tempo, grazie a tanti accorgimenti che vanno a dalla riduzione delle emissioni, dell’energia e dell’acqua. Ma arriva anche alle coltivazioni biologiche, non intensive e alla salvaguardia della fauna che abita le valli del Trentino. Senza dubbio, questo nuovo programma potrà solo dare ancora più valore alla riqualificazione del centro visitatori al frutteto quale potrà partire un percorso dedicato.

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Granchio blu: dalle cucine ai laboratori di ricerca per l’estrazione di chitina.

By : Aldo |Novembre 21, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Granchio blu: dalle cucine ai laboratori di ricerca per l’estrazione di chitina.
Stephanie LeBlanc - Unsplash

Quando si verifica un’invasione di un territorio di una specie aliena (animale o vegetale che sia), ci si trova sempre in una situazione delicata. È importante valutare l’impatto di ogni passaggio, metodo di monitoraggio e riqualifica degli ambienti colonizzati ecc. Ma ci sono dei casi in cui tutto questo sembra molto più semplice di quanto sembri.

     

L’invasione del granchio blu

Sono ormai anni che si parla dell’invasione del granchio blu e della sua pericolosità per biodiversità del Mediterraneo. Avendo già esaminato questa situazione nel tempo, ci si può accorgere di come la narrazione di tale problema sia cambiata radicalmente nell’arco di un anno.

   

Se prima il granchio blu faceva preoccupava tutti, non si trovavano modi per limitare la sua riproduzione o i suoi movimenti, ora è oggetto di discussioni culinarie. Infatti, come abbiamo riportato qualche mese fa, il granchio blu è arrivato nelle pescherie italiane, proprio per ridurne la quantità in mare. Poco dopo il suo exploit, chef e cuochi amatori hanno proposto svariate ricette a base del crostaceo, rivoluzionando l’idea della specie aliena invasiva e pericolosa.

   

Tale passaggio è stato accolto così positivamente e rapidamente, che il granchio blu sembra far parte della nostra dieta da sempre. Ma nonostante si tratti di un buon metodo per limitare la colonizzazione delle nostre acque, c’è chi è andato oltre. Nello specifico l’Università Ca’ Foscari ha intrapreso un corso di ricerca per riscontrare nuovi e possibili utilizzi della specie aliena, che possano incrementare l’economia sostenibile.

    

Il team e la ricerca

L’Università Ca’ Foscari di Venezia sta sviluppando un metodo per estrarre la chitina dal carapace dei granchi blu per farne nanomateriali per futuri impieghi. Il team costituito da:

  • La professoressa di Chimica generale e inorganica, Claudia Crestini,
  • il professore di Fondamenti chimici delle tecnologie, Matteo Gigli,
  • dottorando Daniele Massari del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi,
  • la professoressa Livia Visai e la dottoressa Nora Bloise dell’Università di Pavia,

è riuscito a brevettare una tecnica per trasformare la chitina in nanomateriali intelligenti, grazie alle nuove tecnologie e alla versatilità del materiale stesso.  Tra i vari ambiti di ricerca, la squadra conta la biomedicina, i packaging sostenibili e la protezione per i materiali scrittori.

   

L’obiettivo di questi studi è quello di isolare la chitina dai gusci in una modalità efficiente e funzionale all’industria. Per ora il team è in grado di isolare e modificare chimicamente una frazione nanocristallina della chitina, creando delle nanostrutture. Quest’ultime sono state impiegate per lo sviluppo di materiali straordinariamente innovativi, attraverso processi scalabili a livello industriale.

   

Industria alimentare

La chitina determina un mercato globale di 1,8 miliardi di dollari, derivato principalmente all’industria alimentare, agrochimica e sanitaria. Non a caso il gruppo di ricerca si è specializzato in questi ambiti, primo fra tutti l’alimentare, con nuovi film e packaging sostenibili.

    

Infatti, i ricercatori stanno sviluppando film nanostrutturati che possono sostituire le plastiche tradizionali per realizzare pellicole flessibili completamente biobased. Con la seguente aggiunta di composti naturali si potrebbero ottenere anche capacità antiossidanti ed antimicrobiche. Le proprietà funzionali di tali prodotti consentono di prolungare la durata della conservazione dei cibi proteggendoli da processi che ne accelerano il deterioramento. È importante anche ricordare che si tratta di film e pellicole biodegradabili, quindi, si potrebbero creare packaging che aderiscono pienamente ai principi di circolarità.

    

In ambito sanitario

Oltre al settore alimentare, la squadra si è interessata anche a quello sanitario. Un esempio è legato ai film flessibili, che abbinati a sostanze di origine naturale possono trasformarsi in validi patch medicali, cerotti speciali. Tale operazione è possibile grazie alla loro biocompatibilità ed emocompatibilità. Inoltre, possono avere una composizione chimica diversa per ottenere film adesivi o antiadesivi con proprietà simili all’eparina. Così facendo si possono offrire soluzioni nuove e personalizzate per le esigenze mediche.

     

La chitina per la scrittura

Passando da un ambito all’altro, si può notare l’importanza e la grande versatilità della chitina, poiché può aiutare anche nella conservazione di materiale scrittorio antico.  Gli studiosi hanno sviluppato un progetto rivolto ai rivestimenti (coating) per il restauro e la conservazione di tale materiale. In più, la proteina ha la capacità di rallentare e prevenire diversi fenomeni di degradazione della carta inchiostrata: come?  Essenzialmente la chitina riesce a contrastare l’aumento di acidità della carta e contrastare la proliferazione di microrganismi. Inoltre, è capace di impedire il deterioramento delle proprietà meccaniche della carta, rinforzando le sue fibre.

     

Si può affermare che l’università abbia iniziato un processo di upcycling, col quale trasforma biomasse di scarto in prodotti sostenibili e ad alto valore aggiunto. Tutto questo rientra in un ciclo di economia circolare poiché, la chitina viene estratta dagli scarti dell’industria ittica (specialmente di granchi e gamberetti). Quindi l’emergenza per l’industria ittica del nordest, riguardante il granchio blu, rappresenta un’ottima occasione per sperimentare nuove tecniche e prodotti.

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Città sostenibili: Bressanone diventa un modello di volontà ed efficienza.

By : Aldo |Novembre 14, 2023 |Efficienza energetica, Home |Commenti disabilitati su Città sostenibili: Bressanone diventa un modello di volontà ed efficienza.
Bence Balla-Schottner - Unsplash

Per rendere una città sostenibile è necessario sviluppare programmi efficaci che includano un cambiamento graduale della quotidianità. A volte ci si dimentica di alcune attività commerciali, di certi servizi necessari, ma poco a poco, con i giusti metodi si può arrivare al risultato previsto. Ecco un esempio.

   

Il modello Bressanone

Bressanone, in provincia di Bolzano, è la città più antica del Tirolo ed è nota per le sue numerose attrazioni, storiche, artistiche, culturali e ambientali. Documentata per la prima volta nel 1901, Bressanone gode di buone temperature che alimentano il turismo in ogni stagione, anche e soprattutto quello sportivo. Si parla di comprensorio sciistico ed escursioni, trekking estivo e snowboard invernale.

    

Questa città di 23.000 abitanti situata in uno scenario dalla bellezza mozzafiato sta attirando molte attenzioni anche per altri motivi. Non si tratta solo di paesaggi, storia e arte ma anche di temi “green”. A Bressanone, infatti, è iniziata una transizione ecologica, una rivoluzione per una maggiore sostenibilità che ha scaturito grandi risultati visibili a tutti.

     

L’obiettivo è quello di ridurre l’impatto sull’ambiente della località, nell’interesse della popolazione e delle generazioni future. I programmi sono stati sviluppati proprio dalle autorità locali che si sono fatte carico dell’impegno di preservare la città con una gestione sostenibile delle risorse naturali. Tra le varie iniziative ci sono progetti per la mobilità, un consumo opportuno dell’acqua, nuovi metodi di riscaldamento e tanto altro.

      

Fontanelle, festival e riscaldamento

Le autorità di Bressanone hanno intrapreso un percorso per migliorare la distribuzione d’acqua, il suo consumo e per renderlo più sostenibile. Infatti, nel 2019 è stata avviata la campagna “Refill Your Bottle”, con l’obiettivo di eliminare la plastica dalla montagna Plose. In questo modo gli stessi rifugi hanno bandito la plastica monouso (bicchieri, cannucce, bottigliette d’acqua) offrendo al contempo delle borracce in acciaio inox. Questo piano ha incentivato il consumo d’acqua per mezzo del refill delle borracce. Successivamente, nel 2021, la campagna è stata estesa a tutta la località, grazie alle targhette “Refill” su oltre 50 fontanelle di Bressanone e dintorni. Tale iniziativa ha garantito un approvvigionamento gratuito d’acqua potabile di alta qualità.

    

Ma non è finita, perchè questa importante risorsa ha una grande rilevanza per la comunità, tanto che dal 2017 organizza il Water Light Festival. Si tratta di un evento primaverile, che invita a una consapevolezza rispettosa della natura e a un uso sostenibile delle risorse idriche. Il tutto però è sempre rapportato alla cultura, alla tradizione locale e alla storia del territorio. Un ultimo passo importante sarà quello dell’abolizione della plastica nel parco acquatico Acquarena.

    

Ultimo ma non per importanza, un altro utilizzo dell’acqua nella località in esame. Si parla di riscaldamenti: infatti gli abitanti di Bressanone hanno deciso di affidarsi al teleriscaldamento, un metodo di riscaldamento che utilizza acqua calda invece del gas. Questa novità ha migliorato enormemente la qualità dell’aria e il bilancio di CO2.

    

Biciclette e parcheggi

Anche nel settore della mobilità sostenibile sono stati fatti grandi passi in avanti. Non a caso, l’efficiente rete di trasporti pubblici è stata potenziata, determinando un aumento costante del numero di utenti. Mentre per limitare gli spostamenti con mezzi propri sono nati dei garage di design che invogliano i clienti a scendere dall’auto e dimenticarla per tutto il tempo del soggiorno.

    

Anche in questo caso, la comunità ha saputo compensare la mancanza di auto con efficienti servizi di mobilità “attiva” in bicicletta e a piedi. Quindi sono stati ampliati la rete ciclabile, il prestito di e-bike ai residenti (eBike2Work) e l’educazione alla mobilità sostenibile. Mobilità integrata con l’adozione di Bicibox, parcheggi coperti e chiusi a chiave prenotabili via app, per parcheggiare la bicicletta in sicurezza.

    

Valorizzazione materie e rifiuti

Di certo, in una transizione come questa, non manca la raccolta differenziata che ha raggiunto il 75% della raccolta dei rifiuti. Mentre il restante 25% finisce all’inceneritore di Bolzano che poi immette il calore nella rete di teleriscaldamento. Il target è stato raggiunto grazie agli innovativi contenitori elettronici seminterrati, che consentono l’apertura del portello con una tessera magnetica nominale di identificazione. Il “bidone” ha un sistema di pesatura integrato che attribuisce a ogni utilizzatore l’esatto peso dei rifiuti gettati, per la relativa fatturazione. In tal modo c’è maggior consapevolezza della quantità di rifiuti non riciclabili prodotti.

    

Infine, è attiva la raccolta degli oli alimentari esausti prodotti dai privati e dalla ristorazione per evitare che finiscano nella rete fognaria. Quanto raccolto viene rigenerato per la produzione di biodiesel.

   

Dunque si può affermare che Bressanone abbia una popolazione lungimirante, che si impegna per le generazioni future. Una comunità che fa della sostenibilità un punto focale della vita quotidiana anche e soprattutto legata al divertimento e al tempo libero. Non a caso tutte le manifestazioni organizzate o supportate dal locale ufficio del turismo sono certificate “green event”. Quindi si tratta di una città che ha carpito il vero valore della transizione godendo e condividendo i benefici da essa derivati anche con gli altri.

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L’aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci” punta al Net Zero.

By : Aldo |Novembre 13, 2023 |Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su L’aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci” punta al Net Zero.
Rocker Sta - Unsplash

Nonostante le crisi e le rilevanti questioni burocratiche, l’Italia resta una sicurezza per quanto riguarda le eccellenze. Una tra queste però non riguarda il cibo, la moda, i paesaggi o l’artigianato, per questo stupisce tutti da anni.

    

Aeroporto “Leonardo da Vinci”

L’aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci” di Fiumicino venne inaugurato nel 1961, 45 anni dopo quello di Ciampino.  Da quel momento e rispetto al primo progetto esecutivo, si svolsero interventi di ampliamento, che resero la struttura di Fiumicino, il primo aeroporto di Roma. Successivamente vennero assegnate tutte le attività a un unico gestore, la società Aeroporti di Roma. Quest’ultima divenne concessionario esclusivo per la direzione e lo sviluppo del sistema aeroportuale della Capitale. L’aeroporto è diventato nel tempo uno dei più importanti in Italia e nel 2019 ha registrato 49,4 milioni di passeggeri con oltre 240 destinazioni. Tutto questo è stato possibile anche grazie alle circa 100 compagnie aeree operanti nei due scali e a tutte le infrastrutture presenti.

    

Inoltre, negli ultimi cinque anni Aeroporti di Roma ha ricevuto numerosissimi premi, riconoscimenti e attestazioni di qualità, tra cui:

  • AIRPORT SERVICE QUALITY AWARD, assegnato da ACI World per la categoria di aeroporti europei con oltre 40 milioni di passeggeri all’anno. Questo premio è stato consegnato a ADR dal 2017 al 2021, per l’alto livello di soddisfazione dei passeggeri;
  • ACI EUROPE BEST AIRPORT AWARD, per la categoria di aeroporti con oltre 40 milioni di passeggeri all’anno. Il premio ottenuto negli anni 2018, 2019, 2020, 2022, riconosce l’eccellenza in diverse discipline. Tra queste la sicurezza, le operazioni, le infrastrutture, le relazioni con la comunità, la consapevolezza ambientale e il customer care.
       

Il piano per il Net Zero

ADR ha incrementato anche la sua attenzione verso la sostenibilità attuando anno dopo anno, nuovi piani e strategie per la salvaguardia dell’ambiente. Dal 1999 la società ottiene l’ISO 14001 che accerta un sistema di gestione adeguato nel mantenere sotto controllo gli impatti ambientali delle sue attività. Nell specifico, l’aeroporto è carbon neutral dal 2013, mentre nel 2021 risultò il primo scalo in Europa a ottenere ACA4+, la più alta certificazione sulla decarbonizzazione.

    

In più, dal 2018, il gruppo ha messo a punto una vera e propria roadmap per consentire lo sviluppo sostenibile degli aeroporti della Capitale. In tal modo sarà possibile lavorare sull’ulteriore riduzione dell’impatto delle strutture aeroportuali, che sotto vari aspetti, sostengono una vera e propria città. L’obiettivo è il target Net Zero Emission entro il 2030, con venti anni di anticipo rispetto a quanto prefissato a livello di settore aeroportuale europeo. Ovviamente per raggiungere tale meta, sono necessari progetti di vario tipo e di vari sistemi, tra cui quello energetico e idrico.

     

Sistema energetico

L’azienda ha già impostato dei cambiamenti importanti legati a questo settore. Per esempio, è già in atto, una conversione vero i veicoli elettrici usati in aeroporto, verso i biocarburanti. Senz’altro inizieranno dei percorsi per l’efficientamento energetico delle infrastrutture. Tuttavia, la società per questo settore punta tutto su due temi fondamentali. Uno riguarda la riduzione graduale dell’uso di energia elettrica derivata da fonti fossili e l’altro sono le fonti rinnovabili.

     

Per il raggiungimento di questi obiettivi, ADR ha stretto una collaborazione con Enel X, per rendere la pista 3 dell’aeroporto di Fiumicino, una solar farm. Si tratta di una superficie di 340 mila m2 di pannelli solari; quindi, del più grande impianto fotovoltaico in autoconsumo in un aeroporto europeo.Il progetto consentirà una produzione a regime di circa 32 GWh di energia pulita e ad eliminare 11mila tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera. Una quantità comparabile a quella sottratta da una foresta di 100 mila nuovi alberi. Inoltre, con un progetto parallelo, l’energia prodotta in eccesso, verrà stoccata in un sistema composto da batterie di seconda mano provenienti dal settore automobilistico.

    

Sistema idrico

Mentre per quanto riguarda il sistema idrico, sono stati sviluppati dei programmi molto minuziosi ma anche peculiari. L’aeroporto presenta una rete idrica duale che separa acqua potabile dal depuratore biologico. In questo modo la società risparmia più di 1,2 milioni di m3 di acqua l’anno, che arriva dall’acquedotto pubblico. Dopodiché, l’acqua trattata arriva in un laghetto schermato dal sole grazie a migliaia di palline blu e viene ossigenato da 3 fontane. Quest’acqua viene poi usata per alimentare gli impianti termici, la rete antincendio, il sistema di innaffiamento delle aree verdi e le cassette dei wc.

    

Per il sociale

Non manca ovviamente il terzo pilastro della sostenibilità ovvero il settore sociale. Infatti, l’aeroporto promuove la diversità e l’inclusione sia per mezzo di strutture adeguate (rampe, ascensori e percorsi per persone con disabilità) sia con iniziative ricreative. Tra queste l’intrattenimento musicale, culturale e storico grazie all’organizzazione di mostre, concerti e spettacoli in loco.

     

ADR, comunque, non si ferma a qui ed è già in moto per sviluppare un programma firmato nel 2021. Il Patto per la Decarbonizzazione del Trasporto Aereo, un’alleanza promossa dalla società con lo scopo di accelerare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità del settore.

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New Delhi soffoca nuovamente: multe per chi non rispetta le regole e scuole chiuse.

By : Aldo |Novembre 09, 2023 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su New Delhi soffoca nuovamente: multe per chi non rispetta le regole e scuole chiuse.
Laurentiu Morariu - Unsplash

Lo smog è un problema di tutte le grandi metropoli e delle città urbanizzate. Sicuramente è presente a livelli diversi di pericolosità ma resta sempre un fattore dannoso per la salute dell’uomo e della natura.

   

New Delhi

Con circa 15 milioni di abitanti New Delhi è la terza città dell’India in ordine di grandezza. È il centro politico e amministrativo dell’India unificata e meta di una immigrazione continua, che scopre un mondo fatto di contrasti e contraddizioni.  Nonostante ciò, si tratta di un paese in via di sviluppo, dove l’informatica, internet e le nuove tecnologie stanno cambiando la popolazione.  Queste sue caratteristiche determinano processi positivi ma anche negativi che si palesano nella vita quotidiana degli indiani spesse volte. Tra queste il fermo delle attività durante le giornate “grigie”.

   

Così, venerdì (3 novembre) la città si è svegliata con il livello più alto di inquinamento mai registrato. Secondo l’India Central Pollution Control Board i dati sono molto più alti del valore ritenuto sano dall’OMS. Nello specifico, lunedì l’indice ha raggiunto il valore di 450, mentre venerdì in alcune aree, il picco di 800 (secondo l’India Central Pollution Control Board). Tali livelli oltre ad essere anormali sono gravi e pericolosi per tutti (anche per la visibilità che sulle strade si è abbassata a 300 m).

   

Lo smog

Ogni anno, nel periodo autunnale, New Delhi si trova sormontata da una cappa di smog acre. Quest’ultimo però non è dato solo dall’utilizzo di veicoli, abitudini e risorse poco sostenibili. A questi fattori bisogna aggiungere gli incendi delle stoppe da parte degli agricoltori dei vicini Stati agrari, un problema rilevante e poco monitorato.  Nonostante i divieti e la minaccia di multe salate, i contadini delle zone agricole a nord e nord-ovest di Nuova Delhi continuano le loro attività.

Questo è certo grazie alle rilevazioni di satelliti e droni che hanno identificato oltre 2500 incendi. Il loro fumo viene poi trasportato dai venti verso la capitale dove finisce ristagna e si combina con gli altri inquinanti, producendo la densa nebbia. Tutto questo è possibile anche a causa delle basse temperature e la mancanza di vento nella città.

   

Dunque per ridurre ulteriori rischi, le autorità locali hanno previsto incentivi economici per chi acquista macchinari in grado di smaltire gli scarti in altro modo. Bhagwant Mann, funzionario del governo del Punjab, ha affermato che nel suo territorio queste misure hanno ridotto del 30% la quantità di scarti bruciati annualmente.

     

Pericoli sanitari

A seguito di questi fenomeni annuali, la città è regolarmente classificata come una delle più inquinate del pianeta. Inverno, il livello di PM 2,5 è spesso più di 30 volte il livello massimo stabilito dall’OMS. Quest’ultima afferma che, una buona qualità dell’aria corrisponde a un indice compreso tra zero e 100, ma Delhi registra picchi molto più elevati.

 

Mentre una seconda analisi afferma che l’esposizione prolungata a un livello superiore a 300 può portare a malattie respiratorie e problemi di salute a lungo termine. Le persone intervistate in questi giorni, infatti, confermano lo stato di affaticamento, sonnolenza, lacrimazione degli occhi e irritazione della gola che peggiora di ora in ora. Inoltre, l’inquinamento di Delhi è responsabile della morte prematura di 1,67 milioni di persone (2019) e della riduzione dell’aspettativa di vita in media di 12 anni.

 

Ripari e soluzioni

Le autorità hanno annunciato più volte piani per limitare le sostanze tossiche presenti nell’aria, senza grandi risultati quindi puntualmente passano alle misure restrittive. Per prima, la chiusura d’emergenza delle scuole per l’intera settimana, che non ha migliorato la situazione. Pertanto, il governo ha vietato anche la circolazione ai veicoli inquinanti (benzina, diesel) e i lavori di costruzione.

Nonostante il blocco dei cantieri sono stati mantenuti attivi quelli considerati essenziali, come quelli che coinvolgono metropolitane, aeroporti e condutture idriche. Nel frattempo, in molti negozi sono finiti i filtri per i depuratori d’aria, di cui molte persone stanno facendo scorta.

    

Tuttavia, quest’anno gli incentivi sono stati indirizzati in altri progetti per la risoluzione di tale problema. Per affrontare l’annosa questione dell’inquinamento atmosferico, il governo indiano ha varato a ottobre una “Green War Room”. Si tratta di un centro di coordinamento ad alta tecnologia, dove 17 esperti monitorano l’andamento dello smog in tempo reale. Questo è possibile grazie a immagini satellitari della NASA e gli aggiornamenti dell’indice della qualità dell’aria misurato dai sensori. Questa “Sala” è a tutti gli effetti una piattaforma di coordinamento collegata a 28 agenzie governative.

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Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.

By : Aldo |Novembre 05, 2023 |Arte sostenibile, Home, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gomma naturale: in crisi la sua produzione che danneggia la foresta.
Steven Kamenar - Unsplash

Non è raro che per una maggiore sostenibilità si torni alla natura. Spesso molte innovazioni si rifanno a processi e dinamiche naturali, consentendo una nuova valorizzazione di Madre Terra e i suoi sistemi. Purtoppo però, senza degli studi, delle legislazioni o dei monitoraggi opportuni, anche quello che è naturale può causare danni irreparabili.

   

La produzione di gomma

La gomma naturale (o caucciù) deriva dal lattice, estratto da piante tropicali, tra cui la più importante, la Hevea brasiliensis (o albero della gomma). Conosciuta e importata in Europa dal Sud America fin dal Settecento, oggi se ne producono circa 20 milioni di tonnellate all’anno. Si riscontra in percentuali diverse in un’ampia varietà di oggetti, tra cui pneumatici, suole di scarpe, cancelleria, elastici, guaine isolanti per i cavi, elettrodomestici. E ancora profilattici, palloni e palline da sport, guarnizioni di motori, protesi, guanti usa e getta.

   

Recentemente, per una combinazione di vari fattori, la produzione non riesce più a far fronte alla domanda globale. Questo ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di materiali simili, incrementando la produzione di una gomma sintetica, che ovviamente ha un impatto ambientale negativo. Per questo e per le sue fondamentali caratteristiche è difficile allontanarsi dalla produzione naturale, che tuttavia arreca danni al pianeta con ritmi sempre più elevati.

    

La materia prima sta finendo

L’albero della gomma, originario del Rio delle Amazzoni, oggi si trova esclusivamente in Thailandia, Indonesia, Malesia, Cina e Myanmar e in Africa occidentale. Dagli anni ’30 infatti, la sua coltivazione in America Latina si arrestò a causa di un parassita che ne ostacolò la crescita. L’infezione potrebbe arrivare anche in Asia e in Africa grazie all’intensificazione del cambiamento climatico che ha già arrecato danni in Tailandia. Infatti, lunghi periodi di siccità e gravi alluvioni hanno favorito la diffusione di patogeni e malattie delle piante, che hanno ridotto la produzione.

 

Tali meccanismi non sono poi aiutati dal mercato, che negli ultimi anni ha mantenuto basso il prezzo della gomma.  Quest’ultimo è fissato dallo Shanghai Futures Exchange (SHFE), dunque le speculazioni sul valore della gomma, sono spesso slegate dalla realtà nelle piantagioni. Così per incrementare i profitti, gli agricoltori sono indotti a sfruttare eccessivamente gli alberi, incidendo il tronco più a fondo e più volte. Così facendo, hanno esposto le piantagioni ad un progressivo indebolimento e una maggiore vulnerabilità rispetto alle malattie che determinano una minore produttività.

   

Per non parlare della tendenza di convertire le coltivazioni di Hevea in quelle più redditizie, colpevoli delle deforestazioni e perdita della biodiversità.

     

La deforestazione

Purtoppo come spesso accade, questo tipo di attività non sono seguite dalle istituzioni, o non sono regolamentate in modo opportuno. Queste falle del sistema incrementano l’abbattimento di intere foreste, causando danni globali e irreversibili. Nature ne parla nel suo nuovo studio, affermando che dal 1993 le piantagioni hanno distrutto 4 milioni di ettari di foresta del Sud-est asiatico. Nello specifico, la ricerca conferma che le coltivazioni di Hevea brasiliensis, hanno spazzato via un’area due, tre volte superiore a quanto stimato in precedenza. Pertanto, è uno dei principali rischi per gli ecosistemi della regione.

     

Nel 90-99% dei casi, la deforestazione è legata alla produzione di materie prime da esportazione, con filiere non regolamentate o controllate dagli enti predisposti. Risulta dunque fondamentale, lo sviluppo di strategie di prevenzione ad hoc che aiutino a preservare uno dei più importanti ecosistemi del Pianeta.

   

L’analisi dimostra che 1 milione di ettari di tali aree, sono importanti hot-spot di biodiversità. In particolare, le piantagioni di gomma hanno provocato la maggior deforestazione in Indonesia, seguita da Tailandia e Vietnam. Lo studio così afferma che le normative e le iniziative messe in campo dalle nazioni del Sud-Est asiatico sono poco efficienti, perché basate su dati imprecisi. O meglio, dati che sottostimano fortemente il problema.

    

In conclusione

La situazione è dunque complicata poiché, le infezioni, il mercato e il cambiamento climatico, ostacolano la produzione di gomma naturale. Quest’ultima da anni è causa di una crescente deforestazione che mette a rischio l’ambiente delle aree prima citate. Usare a gomma quella sintetica è una soluzione presa in considerazione di recente che tuttavia incrementerebbe l’impatto dell’industria sul pianeta.

    

Per questo si richiedono nuove leggi, maggiori studi e monitoraggi delle coltivazioni. Infine, sarebbe importante rendere tali filiere sostenibili, istituire organi e normative efficienti, per ridurre l’impatto ambientale della produzione descritta.

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Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.

By : Aldo |Novembre 03, 2023 |Acqua, Clima, Home |Commenti disabilitati su Olimpiadi a Tahiti: il “no” dei surfisti per proteggere la biodiversità.
Jeremy Bishop - Unsplash

Sport e ambiente sono due categorie che ultimamente vengono affiancate con una maggiore frequenza. In particolare, sono sempre più numerose le iniziative in cui gli sportivi svolgono attività di sensibilizzazione sul tema ambientale e della sostenibilità. Tuttavia, in un caso recente, questi due ambiti sono stati temi di discussione e proteste da parte di un’intera popolazione.

Teahupo’o

Teahupo’o è un villaggio che si trova nella costa sud-occidentale di Tahiti (Polinesia francese). È un noto paradiso che si divide tra terra e mare, nonostante, quest’ultimo sia artefice delle onde più pericolose al mondo. Non si tratta di onde alte (la più grande misura “solo” 3 metri) ma di tubi veloci e molto potenti, che attirano surfisti da tutto il mondo.

È superfluo dire che il turismo di questo posto è molto legato al surf. Le sue acque vennero scoperte nel 1986 e da lì in poco tempo divennero famose e uniche al mondo per la loro caratteristica. Si iniziò a diffondere il messaggio ed oggi ospita l’annuale Billabong Surf Pro Tahiti, tappa del Campionato Mondiale (WCT) della Association of Surfing Professionals. Il livello è talmente alto che durante questi campionati, la Marina francese proibisce a tutti di entrare in acqua, pena l’arresto.

 

L’arrivo delle Olimpiadi

Il surf è stato inserito il surf nel programma olimpico, solamente nella XXXII Olimpiade, quella di Tokyo 2020 (svoltasi nel 2021 causa COVID). Pertanto, nel 2024 rivedremo i surfisti di tutto il mondo competere in territorio francese molto lontano da Parigi. Proprio Teahupo’o è stata scelta come meta per lo svolgimento gli eventi del surf di Parigi 2024. La Francia non poteva scegliere luogo migliore di questo, peccato però, che la preparazione delle strutture olimpiche abbia già sollevato varie proteste.

Sicuramente, portare un evento così peculiare come le Olimpiadi, in un posto tanto distaccato dal resto del mondo non è facile. Ma ora è ancora più difficile proseguire con i lavori poiché la popolazione di Teahupo’o sta manifestando contro la realizzazione di una grande torre d’acciaio. Di cosa si tratta?

Nelle gare di surf svolte a Tahiti, i giudici sono sempre stati collocati in una piattaforma rialzata di legno in mezzo al mare. Questa posizione serve per poter osservare e giudicare adeguatamente le prestazioni degli sportivi in acqua. Ma la scelta della struttura (la sua composizione, altezza, grandezza) non è casuale ed è il motivo per il quale surfisti e cittadini di Teahupo’o hanno iniziato a protestare.

No alla torre di acciaio

La commissione olimpica e gli organizzatori delle Olimpiadi vogliono costruire una torre di 14 metri di acciaio per valutare da vicino le gare. Si tratta di una struttura necessaria come spiegato prima, che prevede una serie di standard da rispettare, per una migliore permanenza dei giudici. Nella torre ci saranno aria condizionata, internet ad alta velocità, toilette e servizi per garantire un minimo di comfort e sicurezza a giudici ed operatori. La richiesta di tali prestazioni richiede una struttura di un certo tipo, lavori di grande rilevanza e quindi un impatto maggiore sull’ambiente. Questa è la ragione alla base di proteste e manifestazioni da parte dei cittadini di Teahupo’o e dei surfisti di tutto il mondo.

Non sfidate Teahupo’o e la sua onda leggendaria. Il messaggio è chiaro ed è ovvio che non si riferisca solamente alle onde marine, ma anche ai movimenti coesi dell’intero popolo. Effettivamente la costruzione servirebbe per soli 3 giorni di competizione, ma i suoi impatti saranno molto più duraturi nel tempo. Al contrario della torre in legno usata in tutte le precedenti gare, a Teahupo’o che, veniva montata e poi successivamente smontata.

La struttura ideata dalla commissione olimpica ha bisogno di basi più solide e lavori che, impatteranno pesantemente sul reef e la barriera corallina dell’area. Potrebbe influenzare in modo particolare anche il delicato equilibrio di faglie, correnti e conformazioni sottomarine e quindi la formazione delle onde stesse. O almeno questo è quello che pensano i surfisti, le comunità di Tahiti e tutti coloro che si battono per lo stesso scopo. Una costruzione simile potrebbe modificare negativamente gli equilibri biologici di quel paradiso e disturbare sistemi ecologici rari e preziosi. La critica è rivolta anche verso le misure spropositate della nuova struttura, rispetto alla sua funzione.

Vivendo di surf (per turismo e abitudini), la comunità è conscia del fatto che una torre per i giudici servirà ma avanza una proposta. Anziché pensare a una nuova torre (di € 4 milioni) basterà utilizzare quella in legno ed eco-progettata vent’anni fa, che ha sempre funzionato. E soprattutto non arreca danni alla natura.

La controparte

Nonostante ciò, gli organizzatori spingono per la realizzazione dell’opera negando i rischi indicati finora da surfisti e dalle associazioni. Spiegano infatti che la nuova torre, la quale ospiterà giudici, medici e produzioni televisive, sarà pensata per avere un “basso” impatto sugli ecosistemi. In più, affermano che risulterà un valore aggiunto anche per le competizioni future e che possa avere altre funzioni nei prossimi anni. L’esempio usato è quello di alcune piattaforme offshore, le cui basi, nel tempo, sono diventate casa per coralli ed ecosistemi.

Purtoppo le 400 persone mobilitate non tranquillizzano i polinesiani sul futuro del loro immenso tesoro e la loro preoccupazione resta altissima. Anche se fosse a “basso impatto” come promette la commissione olimpica, il reef subirà un’influenza maggiore rispetto all’erezione della struttura in legno. È anche vero, che la torre in acciaio, comprende una serie di criteri e standard in ambito di sicurezza e salubrità dettate da un regolamento interno.

Nei prossimi mesi, vedremo se questa opposizione (pacifica) riesca a portare ad una soluzione concreta e opportuna per entrambe le parti. In ogni caso, si spera sempre che decisioni di questo tipo prendano sempre più in considerazione un punto così importante come la salvaguardia dell’ambiente.

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Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.

By : Aldo |Ottobre 26, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Gli imballaggi devono essere riutilizzati: il nuovo regolamento UE.
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Nonostante le nuove misure riguardanti i rifiuti, lo smaltimento e il riciclo, c’è ancora tanto da fare. Pertanto, l’Europa si è mossa nuovamente per proporre una nuova direttiva, che purtoppo non piace all’Italia.

Il quadro europeo

Ogni anno nell’UE si producono ben 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui più di un quarto (il 27%) è rappresentato da rifiuti urbani. Viste le cifre è abbastanza semplice affermare che i paesi più ricchi tendono a generare più rifiuti per abitante. Questo è confermato dagli studi che hanno descritto una specifica condotta dei vari paesi membri. Per esempio, tra il 2018 e il 2021 i rifiuti urbani per abitante sono diminuiti a Malta, Cipro, Spagna e Romania. Mentre sono aumentati, toccando i picchi più alti in Austria, Lussemburgo, Danimarca e Belgio. I numeri più bassi sono stati registrati in Spagna, Lettonia, Croazia e Svezia.

Se invece si restringe il campo ai soli rifiuti da imballaggio, la situazione non sembra migliorare. Secondo le statistiche, nell’ultima decade la situazione è peggiorata passando da 66 milioni di tonnellate di rifiuti da imballaggi nel 2009, a 84 milioni nel 2021. Un aumento di grande rilevanza che ha culminato appunto, con la produzione di 188,7 kg di rifiuti di imballaggio all’anno per ogni europeo. Per quanto analizzato dai ricercatori, questa tendenza non diminuirà, anzi continuerà a crescere a dismisura fino a toccare i 209 kg per abitante nel 2030.

Le nuove misure

Per questo la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha appena adottato, una nuova proposta di regolamento. Questa punta a una maggiore facilità d’uso del packaging, con lo scopo di ridurre tutti gli imballaggi inutili e i rifiuti prodotti del continente. La proposta è passata con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni; l’Italia però non l’approva.  La proposta (Packaging and Packaging Waste Regulation) passerà alla votazione dell’Assemblea plenaria per poi iniziare i negoziati finali con il Consiglio Ue tra un mese.

La normativa nasce per porre uno stop drastico a questa avanzata; dunque, l’UE propone di puntare tutto sul riuso, il recupero e il riciclo. Le idee riportate sono varie e coprono diversi aspetti:

  • vietare la vendita di determinati sacchetti di plastica leggeri (inferiori a 15 micron);
  • ridurre in generale i rifiuti in plastica degli imballaggi;

Precisamente l’obiettivo è quello di apportare una riduzione graduale: 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Arrivando anche a determinare delle percentuali minime del contenuto riciclato delle parti in plastica entro la fine del 2025. Si pensa anche alla possibilità di fissare obiettivi e criteri di sostenibilità anche per le bioplastiche. Ed infine si suggerisce di garantire un numero minimo di riutilizzo dei vari imballaggi per semplificare sempre più il processo di riuso.

Altri punti importanti della norma, riguardano ristoranti e caffè e i distributori finali di cibi e bevande d’asporto. Proprio loro dovranno garantire ai consumatori la possibilità di portarsi il proprio contenitore. Mentre si parla anche del divieto dell’uso di PFAs e delle sostanze chimiche eterne (forever chemicals), che possano essere a contatto con gli alimenti. C’è un punto anche per la raccolta differenziata: si chiede Paesi membri di differenziare al 90% dei vari materiali da imballaggio entro il 2029.

L’Italia contraria

Germania e Francia hanno accolto la proposta con grande entusiasmo poiché certi processi sono già in atto nelle loro città. Per esempio, nella prima, l’abitudine del riuso è comune e molto diffusa per prodotti quali latte, acqua e birra. Tuttavia, insieme, questi due stati hanno richiesto delle flessibilità in modo da adattarsi nel tempo e deroghe in base alle abitudini dei cittadini. Anche l’Austria esulta ma ricorda l’importanza di osservare le regole sulla sicurezza alimentare.

L’Italia invece non ci sta. Si oppone al voto, ricordando le risorse usate e gli sforzi fatti per puntare sul riciclo, di cui è leader europeo. Con le nuove norme invece, si ritroverebbe davanti a politiche di riuso che potrebbero penalizzare diversi settori, dalla ristorazione alla distribuzione. Il pensiero è condiviso dai vari ministeri a Confindustria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Confcommercio.

Confcommercio ribadisce che la nuova proposta potrebbe danneggiare la filiera alimentare perché gli imballaggi sono fondamentali per

  • protezione e conservazione degli alimenti,
  • l’informazione al consumatore e la tracciabilità,
  • l’igiene dei prodotti.

Tutti questi punti sono fondamentali perché ne consentono anche la commercializzazione e l’export. Anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ricorda che il modello vincente italiano deve essere valorizzato. Pertanto, afferma, che continuerà la lotta per difendere la filiera innovativa e virtuosa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo. Dunque, in attesa dell’Assemblea plenaria prevista dal 20 al 23 novembre, l’Italia continuerà a difendere la qualità del suo made in Italy. Così continuerà ad opporsi per valorizzare anche gli sforzi e gli impegni (anche economici) fatti in questi anni.

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Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.

By : Aldo |Ottobre 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Youth4Climate: le proposte dei giovani per combattere il cambiamento climatico.
Li-An Lim - Unsplash

La COP28 di Dubai si avvicina, ci sono dubbi e perplessità per quanto riguarda gli esiti di tale riunione, ma una cosa è certa. I giovani non stanno con le mani in mano e hanno la mente piena di idee per contrastare il cambiamento climatico.

Youth4Climate

Youth4Climate è un’iniziativa globale, guidata dall’Italia e dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). È un progetto co-modellato con giovani e altri partner quali:

  • Connect4Climate – World Bank Group,
  • la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
  • Secretariat (UN Climate Change),
  • l’Ufficio dell’Inviato del Segretario Generale per la Gioventù
  • il Gruppo Consultivo dei Giovani del Segretario Generale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
  • YOUNGO (collegio ufficiale dei bambini e dei giovani dell’UNFCCC).

Questo programma riunisce risorse, strumenti, capacità, partnership, reti e movimenti online e offline esistenti e nuovi da e per i giovani. Rivolge una grande attenzione nel sostenere l’implementazione di soluzioni per il clima guidate dai giovani con finanziamenti e altri tipi di supporto. Tutto questo con lo scopo di determinare un impatto climatico più sostenuto sul territorio.

Dal 2021, è diventato un evento annuale, forse il più atteso del settore, che riunisce attivisti, innovatori, rappresentanti governativi, agenzie ONU, organizzazioni private e non profit. La prima volta si svolse a Milano nell’ambito del Summit pre-COP. Qui i delegati dei giovani di tutto il mondo hanno condiviso la loro visione e le loro richieste in quattro aree tematiche:

  • i giovani guidano l’ambizione
  • la ripresa sostenibile
  • l’impegno degli attori non statali
  • la società attenta al clima

Nel 2022 si tenne a New York il Youth4Climate: Powering Action. Questo evento ha lanciato la collaborazione tra il governo italiano e l’UNDP per renderlo un’iniziativa a lungo termine a sostegno dei giovani leader del clima.

Roma 2023

Quest’anno lo Youth4Climate si è svolto a Roma nei giorni 17, 18 e 19 ottobre. Qui sono arrivati 130 under 30 provenienti da 63 Paesi per confrontarsi sulle azioni possibili per il clima. In questo caso, il Mase ha gestito l’iniziativa globale in collaborazione con il Centro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). Lo “Youth4Climate: Sparking Solutions 2023” è un evento che segue una prima fase avviata a New York, dove a settembre sono stati raccolti ben 1143 progetti. Di questi solo i migliori 40 sono arrivai a Roma. L’iniziativa articolata in 3 giorni, si divide tra Palazzo Rospigliosi e Casina di Macchia Madama.

L’apertura è stata affidata all’inviato speciale italiano per il Clima Francesco Corvaro e il Coordinatore del Centro UNDP di Roma Agostino Inguscio. Dopo una prima presentazione sono seguiti quattro panel di confronto tra i giovani sui temi della sostenibilità urbana, energia, alimentazione e agricoltura, educazione. Il secondo giorno, ha aperto i lavori il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Successivamente i giovani si sono messi all’opera su altri temi come: giustizia climatica, approccio unitario tra privato e pubblico nella sfida ambientale. E ancora il supporto finanziario e tecnico all’inclusione dei giovani nel processo di cambiamento, terminando con l’accensione serale del Colosseo con il logo di Youth4Climate.

L’evento si è concluso con la premiazione dei progetti, presidiata dal Ministro Pichetto Fratin e dal Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani. Per concludere in bellezza, il maestro Giovanni Allevi ha sorpreso tutti dedicando un video ai giovani della Youth4Climate, spronandoli a fare sempre di più.

I vincitori

Tra questi 40 progetti, alcuni hanno spiccato in specifici settori. Per la categoria “Energia” si riportano:

  • “Emisa Enterprise” di Isaac Chiumia dal Malawi. Ha ideato una stufa che fa risparmiare circa 4-5 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno rispetto alla cucina tradizionale. In questo modo si riducono i tempi di cottura e i costi del combustibile fino al 60%.
  • “Enable the disable action” di Sylvain Obedi Katindi della Repubblica democratica del Congo. Il progetto prevede l’inclusione di giovani e persone con disabilità nelle azioni climatiche, rafforzando la loro educazione ambientale e occupazione nell’imprenditoria ecologica.

Nel settore “Alimentazione e agricoltura:

  • “Seed of Life” di Errachid Montassir dal Marocco. L’idea è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla conservazione dell’ambiente promuovendo i benefici dell’arboricoltura attraverso la piantumazione di alberi da frutto biologici.
  • “Nabd Development and Evolution Organization (NDEO)” di Muna Alhammadi dallo Yemen. Propone la diffusione di pratiche climaticamente intelligenti. Un esempio sono le serre domestiche con sistemi di irrigazione a goccia per aiutare le famiglie ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Oltre a questi c’è un podcast per insegnare agli ucraini come ricostruire il Paese in modo green dopo la guerra. Si parla di batterie riciclate che portano l’elettricità nelle zone rurali della Colombia e del cemento per costruire aree di aggregazione ricavato dalle discariche di Delhi.

Tale iniziativa dimostra ancora una volta, quanto i giovani siano pronti a contrastare il cambiamento climatico. Non si tratta solo di attivismo, ma di ragazzi con un bakground di grandi studi e ricerche che si uniscono per un fine comune. Quello di rendere il mondo un posto migliore.

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Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.

By : Aldo |Ottobre 19, 2023 |Arte sostenibile, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Start Cup Puglia 2023: cioccolato mediterraneo e monitoraggi ambientali.
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Per il sedicesimo anno consecutivo, si è svolta la Start Cup Puglia, che ha fatto spiccare molteplici giovani realtà del territorio.

L’evento 2023

Le Start Cup regionali continuano e il 18 ottobre si è conclusa la selezione in Puglia, con un evento ospitato dalle Officine Cantelmo di Lecce. Quest’anno la ricerca, le idee e l’innovazione sono andate oltre qualsiasi aspettativa con un podio interessante e variegato. Foreverland conquista il primo posto con l’invenzione del Frecao, seguito da MyBon con la sua piattaforma nazionale per gli scontrini. Infine, troviamo Ember Laptops con il suo laptop innovativo e Preinvel che presenta la prima tecnologia di filtraggio fluidodinamico brevettato ad aria.

Oltre alla selezione principale sono stati consegnati altri due premi:

  • “Premio regionale per l’innovazione” per il vincitore assoluto della Start Cup 2023
  • “Premio speciale per il miglior progetto di impresa ad impatto sul climate change” Green&Blue offerto dal Gruppo Gedi, media partner del PNI.

A seguito di tale evento i progetti finalisti accedono alla finale del Premio Nazionale Innovazione, che si svolgerà a Milano nei giorni 30 novembre e 1 dicembre 2023.

Foreverland: primo vincitore

La startup vincitrice è costituita da quattro giovani, Massimo Sabatini, Giuseppe D’Alessandro, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta. Questi ragazzi hanno unito forze e conoscenze (di esperienze rilevanti in multinazionali) per determinare un impatto positivo nel mondo. Il loro obiettivo è quello di affrontare le criticità ambientali ed etiche legate alla produzione di cibo. Così si sono concentrati su un alimento che piace a tutto il mondo, è sempre più richiesto ed è parte della nostra quotidianità: il cioccolato. La loro ricerca è partita dalle origini del prodotto più amato al mondo, di cui pochi conoscono il vero iter di produzione.

Foreverland ha studiato le fasi di raccolta, produzione e trasporto del cioccolato e i dati estratti, sottolineano l’impatto negativo sul mondo della sua industria:

  • è responsabile del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana;
  • più di 1,5 milioni di bambini vengono sfruttati per la sua raccolta;
  • richiede circa 24.000 litri d’acqua per ogni chilogrammo prodotto;
  • è il secondo prodotto al mondo per emissioni di CO2 dovute alla logistica e allo sfruttamento delle terre.  

Per queste ragioni, i ragazzi che alle spalle hanno delle grandi esperienze nell’ambito delle multinazionali, si sono uniti per creare un cioccolato alternativo. Così nasce Freecao, un ingrediente rivoluzionario per il settore dolciario, privo di cacao, ma creato a partire dalla carruba.  Quest’ultima è un legume poco conosciuto e valorizzato che in Italia invece cresce in abbondanza rendendola il secondo produttore mondiale.

Si parla quindi di una svolta ecologica, ambientale ma anche più etica: si può definire Freecao come un’innovazione sostenibile a tutti gli effetti poiché prevede:

  • una riduzione dell’80% delle emissioni di CO2;
  • una riduzione del 90% del consumo di acqua;
  • è privo dei principali allergeni (latte e frutta a guscio);
  • non contiene glutine o caffeina;
  • ha il 50% in meno di zuccheri (rispetto ad un cioccolato al latte tradizionale);
  • non contiene ingredienti artificiali.

Dunque, siamo di fronte ad un nuovo alimento che risulta più sano per il consumatore, più sano per il pianeta e anche più etico. Questo perché sono state scelte coltivazioni locali di carrube, in cui è escluso lo sfruttamento minorile. Precisamente tra 29 giorni, sarà possibile assaggiare questo cioccolato mediterraneo, cacao free al 100%, vegano e sostenibile: chissà quale sarà la risposta dei consumatori?

Flying DEMon: premio speciale Green&Blue

Il premio speciale “Green and Blue” invece è stato consegnato a Flying DEMon, una startup legata al monitoraggio ambientale. L’impresa nasce proprio nel 2023, grazie ad un gruppo di ricercatori INFN che in breve tempo ha vinto anche il premio dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Il team registrato alla Camera di Commercio, accreditato come spinoff dell’Università di Bari ha prevalso con un programma sul monitoraggio ambientale.

La missione di Flying DEMon è quella di fornire servizi nel settore della rilevazione e nel monitoraggio ambientale di elementi radioattivi. Questo è possibile grazie all’esperienza e alle competenze del team legate ad anni di Ricerca e Sviluppo nell’ambito di esperimenti di fisica astroparticellare.

La startup barese propone un sistema per semplificare e velocizzare il monitoraggio ambientale per la ricerca di sorgenti radioattive presenti sul territorio. Come? Con un detector FHERGA – Flying High Efficiency fast-Response Gamma affiancato da sensori per immagini ottiche e iperspettrali, installati in un drone di 10 kg. In aggiunta, la squadra ha pensato alla progettazione di un’elettronica dedicata alla acquisizione e analisi di dati in tempo reale.

L’evento è stato organizzato da ARTI – Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione, in collaborazione con Regione Puglia, PNI e Comitato Promotore. Tale cooperazione ha permesso l’istituzione di grandi premi come quello del primo posto, del valore di €10 mila il diritto di accesso al PNI.

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Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.

By : Aldo |Ottobre 17, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Coradia Stream: il primo treno a idrogeno d’Italia.
Daniel Abadia - Unsplash

La transizione ecologica prevede una serie di cambiamenti all’interno della maggior parte dei settori che riguardano i servizi basilari di ogni città. E come ogni grande rivoluzione si deve partire da un punto più o meno complesso: nel nord Italia si parte dai trasporti su rotaie.

La presentazione

Arriva dopo tanta attesa l’innovazione che cercavamo. Il primo treno a idrogeno d’Italia è pronto per portare un grande cambiamento nella Valcamonica (BS) e nel territorio circostante. Il prototipo è stato presentato durante l’EXPO Ferroviaria 2023 alla quale hanno partecipato le società produttrici, le aziende di trasporti e tanti altri. Tra questi FNM e Alstom, che sono i nomi principali di questa novità italiana e che vantano anni di successi nel settore ferroviario e non solo.

L’idea riportata nell’accordo siglato a novembre 2020 è quella di far passare il treno lungo la linea Brescia-Iseo-Edolo in Valcamonica, nell’ambito di H2iseO. La linea attiva dal 2025 sarà la base per la realizzazione per la prima Hydrogen Valley italiana.

Coradia Stream

Coradia stream, è il primo treno ad idrogeno d’Italia ed è la soluzione all’obiettivo europeo di azzerare completamente le emissioni di C02 entro il 2050. La sua entrata in scena segna l’inizio di una nuova era nel trasporto ferroviario passeggeri nella Penisola. Si tratta del primo treno a zero emissioni dirette di CO2 per l’Italia, ha 260 posti a sedere e un’autonomia superiore a 600 km.

Nello specifico il mezzo presenta una carrozza intermedia chiamata “Power Car”, nella quale risiede il cuore della tecnologia ad idrogeno. L’energia è fornita dalla combinazione dell’idrogeno (immagazzinato nei serbatoi) con l’ossigeno dell’aria esterna, senza emissione di CO2 nell’atmosfera.  Mentre le batterie agli ioni di litio ad alte prestazioni immagazzinano l’energia. Quest’ultima viene successivamente sfruttata nelle fasi di accelerazione per supportare l’azione delle celle a idrogeno e garantire il risparmio di carburante.

Nonostante i cambiamenti, le società produttrici assicurano il mantenimento degli elevati standard di comfort già apprezzati dai passeggeri nella sua versione elettrica. Inoltre, garantiscono anche le stesse prestazioni operative dei treni diesel, compresa l’autonomia. Infine, il Coradia potrà operare sulle linee non elettrificate in sostituzione dei treni che utilizzano combustibili fossili.

Accordi, obiettivi e progetti

L’accordo siglato a novembre 2020 prevedeva la fornitura a Trenord di 6 treni a celle a combustibile a idrogeno con opzione per ulteriori otto. Il progetto è stato promosso da FNM, FERROVIENORD e Trenord, H2iseO, società che hanno lo stesso punto di vista sulla sostenibilità e lo stesso obiettivo. Quello di sviluppare in Valcamonica una filiera economica e industriale dell’idrogeno. Partendo dal settore della mobilità, si passerebbe alla conversione energetica del territorio per poi contribuire alla decarbonizzazione di una gran parte del trasporto pubblico locale.

Tale progetto altamente innovativo include la realizzazione di 3 impianti di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno rinnovabile senza emissioni di CO2. Oltre a questo, è prevista la messa in servizio di 40 autobus ad idrogeno in sostituzione dell’intera flotta oggi utilizzata da FNM Autoservizi.

Le società e l’attivazione

Come anticipato il treno entrerà in servizio in Valcamonica verso l’inizio del 2025, lungo la linea non elettrificata Brescia-Iseo-Edolo di FERROVIENORD (servizio viene gestito da Trenord). Nonostante ciò, il progetto è stato presentato alla fiera e creato da FNM e Alstom.

FNM è attualmente il principale Gruppo integrato nella mobilità sostenibile in Lombardia ed è uno dei principali investitori non statali italiani del settore. Alstom invece, è leader globale nella mobilità intelligente e sostenibile. Si occupa di treni ad alta velocità, metropolitane, monorotaie, tram, sistemi chiavi in mano. Ma anche di servizi, infrastrutture, segnalamento e alla mobilità digitale ed è fornitore e manutentore del Gruppo FNM da oltre 15 anni. Insieme hanno collaborato per l’ideazione del progetto, concretizzato in molteplici siti sparsi per il nord Italia.

Studi, tecnologie e ricerche hanno uno scopo comune, ovvero quello di sviluppare progettualità a tutto tondo che facciano crescere la cultura aziendale. In tal modo si caratterizzano i processi industriali e le soluzioni compatibili con la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico, tutto anche a servizio dei cittadini.

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L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.

By : Aldo |Ottobre 16, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Home |Commenti disabilitati su L’Oréal Italia: lo stabilimento è il più innovativo e sostenibile in Europa.
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Nataliya Melnychuk - Unsplash

La sostenibilità è un punto cruciale delle nostre vite da anni e lo sarà sempre di più. Sicuramente realtà come le grandi aziende hanno un potere immenso per poter limitare il loro impatto sulla Terra. Non a caso c’è chi ancora ha difficoltà ad affrontare un cambiamento del genere e chi invece ne ha fatto la caratteristica principale del brand.

L’Oréal

“La bellezza è il nostro DNA” e L’Oréal da più di 110 se ne prende cura in mille modi diversi. Il gruppo è leader mondiale nel settore della bellezza, a partire dalla prima tinta per capelli prodotta nel 1909. La sua missione? Offrire a tutte le donne e gli uomini del pianeta il meglio della bellezza in termini di qualità, efficacia, sicurezza e responsabilità.

Oggi L’Oréal è diffuso in ben 150 paesi, comprende 88.000 dipendenti, di cui 4000 scienziati e 5500 esperti in tecnologia e digitale. Gode di 6 premi per l’innovazione, è tra le 5 aziende più attraenti per gli studenti e comprende 36 brand affidati a 4 divisioni. I suoi prodotti si trovano ovunque, dai saloni di parrucchieri alle profumerie, dalle farmacie alla grande distribuzione, coprendo tutti i campi della cosmetica.

Impegni e certificazioni

Il gruppo L’Oréal vanta una serie di impegni, cambiamenti e certificazioni sostenibili che la rende una delle migliori aziende anche nella tutela dell’ambiente. Tra i molteplici riconoscimenti si possono citare:

  • Ecovadis: medaglia di platino, tra le top 1% delle migliori compagnie al mondo (per la prestazione ambientale, sociale, l’etica, i diritti e la sostenibilità);
  • Tripla A CDP (7 anni di seguito) come leader nella lotta al cambiamento climatico (per la sicurezza delle acque e la protezione delle foreste);
  • Premio Ethisphere 2022 come una delle aziende più etiche del mondo (per il tredicesimo anno);
  • Riconosciuta dal Bloomber Gender-Equality index 2023 come pioniera della parità e la diversità (per il sesto anno consecutivo).

Oltre a questi attestati, da quanto viene riportato nel sito web, il 65 % dei loro sedi produttive è “Carbon neutral”. Se l’azienda francese si è impegnata tanto per arrivare a questo livello, non c’è da stupirsi dell’innovazione e l’avanguardia del centro di Settimo Torinese.

Lo stabilimento pioniere

L’Oréal Italia ha sede a Milano e un centro produttivo a Settimo Torinese attivo dal 1960. Realizza prodotti che vengono distribuiti in 29 paesi, infatti è tra i primi 4 stabilimenti in Europa e i primi 10 nel mondo. Copre una superficie di 55 mila m2  e conta ben 340 lavoratori.  Nacque durante il boom economico e da subito intraprende un percorso per aumentare la sostenibilità della propria produzione. I primi articoli sulle emissioni di C02 e il consumo di acqua sono arrivati nel 2010 e nel 2013 sono iniziati vari progetti. L’Oréal Italia è considerata uno dei precursori della sostenibilità e non a caso il suo stabilimento è stato il primo a diventare “water loop factory”.

Il centro è improntato su una filosofia “automazione e green economy” e dal 2005 ad oggi ha raggiunto due grandi obiettivi: zero emissioni e zero rifiuti. Questo è stato possibile grazie ai passi fatti negli ultimi 20 anni, in maniera graduale, consapevole ed efficiente.

2015: l’azienda si dichiara “carbon neutral” dopo l’installazione di 14 mila pannelli solari e il passaggio a fonti alternative.

2018: l’acqua viene riutilizzata grazie a un impianto di ultrafiltrazione; nasce la waterloop factory. Con un impianto super innovativo lo stabilimento ricicla 40 milioni di litri d’acqua l’anno (una quantità pari a ottanta piscine lunghe venticinque metri). Il processo che trasforma il liquido torbido del lavaggio in acqua limpida inizia e finisce a pochi metri dalle linee di produzione. Essere waterloop factory, significa che il sito usa acqua solo nella composizione dei prodotti, mentre, per gli altri processi viene filtrata e riutilizzata. Inoltre, si usa un “superconcentratore” che aiuta a ricavare più acqua possibile dai fanghi usati, soprattutto per il mascara.  Anch’essi saranno probabilmente riusati in futuro; l’idea è quella di usarli per la composizione di una vernice ignifuga.

2020: milioni di flaconi di shampoo e balsamo nascono al 100% da Pet riciclato, assicurando un risparmio di oltre 3 mila tonnellate di plastica vergine. E poi ancora, la plastica che non diventa flacone di shampoo si trasforma in una sedia, oppure in un tavolo della mensa. Per ridurre l’inquinamento legato al trasporto dei nuovi flaconi, si è scelta una fornitura a km zero, in tutti i sensi. Questo perché arriva da un imprenditore che lavora direttamente nello stabilimento, come se si eliminassero 1000 camion all’anno.

Nonostante ciò, l’azienda ha stampanti 3D per ricreare pezzi in caso di rottura e ricicla perfino i mozziconi di sigaretta. In questo modo L’Oréal Italia abbatte ogni anno 9 mila tonnellate di CO2, una quantità paragonabile ad aver tolto dalla strada 3 mila auto a benzina.

L’automazione e i robot

Un’altra peculiarità dello stabilimento è la presenza di 18 robot che aiutano, velocizzano e automatizzano i processi produttivi.  Sono 18 carrelli automatici guidati da laser, governati da un software che cooperano con operai e tecnici nella fabbrica.  In tal modo sono stati tagliati i tempi di produzione al punto che si confezionano 200 flaconi di shampoo al minuto. 

Sicuramente la questione degli automatismi nelle fabbriche è ancora un tema caldo correlato alla perdita di lavoro per tante persone. In questo caso è dichiarato che per ogni “catena di montaggio” c’è una persona davanti al computer che controlla, coordina, gestisce.
Comunque sia, tutto questo rende efficiente la catena produttiva e determina il successo che contraddistingue L’Orél da più di 110 anni.

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Europa: stop al glitter dal 15 ottobre vietata la vendita.

By : Aldo |Ottobre 12, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Home, plasticfree |Commenti disabilitati su Europa: stop al glitter dal 15 ottobre vietata la vendita.
Tom Morel - Unsplash

Le microplastiche sono purtoppo ovunque, in grandi quantità e recano sempre più danni al pianeta, quindi è necessario limitarne la dispersione. Negli ultimi anni sono passate leggi molto specifiche per quanto riguarda la plastica ed ora ne arrivano di nuove.

Il glitter

Tutti o gran parte della popolazione mondiale ne ha fatto uso almeno una volta. Con il termine “glitter” si indica un vasto assortimento di piccolissimi frammenti delle dimensioni massime di 1 mm². Sono costituiti principalmente di copolimeri quasi impercettibili di lamine di alluminio, diossido di titanio, ossido di ferro, ossicloruro di bismuto e altri ossidi o metalli.  Questi minuscoli frammenti sono poi dipinti con colori iridescenti che riflettono la luce nello spettro visibile: da qui la magia dei brillantini.

Il periodo della sua creazione non è certo e varia tra il 1934 e il secondo dopo guerra. Non ci sono dubi invece sulla sua funzione: far brillare o rendere sfarzoso un oggetto o la propria pelle (per mezzo di cosmetici).  Nonostante ciò abbia contribuito a far “brillare” il pianeta, il glitter, come ogni altro tipo di microplastica è pericoloso per gli ecosistemi e per l’uomo.

    

I danni recati all’ambiente

Le microplastiche (categoria che include il glitter) sono arrivate ovunque. È di qualche mese fa la notizia che sono state ritrovate loro tracce anche nella placenta umana.  Inoltre, uno studio sulla rivista Aquatic Toxicology conferma la presenza di ben 8 milioni di tonnellate di glitter e altre microplastiche simili negli oceani. Una cifra assurda, che va oltre qualsiasi aspettativa e che va ridotta il prima possibile. L’Unione Europea ha deciso dunque di bloccare il commercio di glitter sfuso e/o incluso in altri prodotti, per limitarne sempre più la dispersione in acqua e quindi nel mare.

Vietato il glitter dal 15 ottobre

Pertanto, dal 15 ottobre la UE vieta il glitter contro l’inquinamento da microplastiche. Questo significa che da domenica non si potranno più commercializzare prodotti con glitter come biglietti di auguri e creme per il trucco.  La restrizione riguarda tutte le microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti e che contengono sostanze chimiche pericolose per la natura. Elementi che si trovano anche in oggetti di vario tipo e impiego, o usati per l’edilizia, soprattutto di superfici sportive artificiali.

Con tale legge, si prova a limitare la dispersione in ambiente delle microplastiche di almeno il 30% entro il 2030. Tale settore determina un giro economico del valore di quasi 1 miliardo di euro all’anno, ma che ha un impatto molto pericoloso per tutto e tutti. Si pensi che solo in Europa si stima che ogni anno vengano rilasciate 42 mila tonnellate di microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti.

Il divieto è fondato su un’attenta analisi della consulenza scientifica dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA). Quest’ultima ha consigliato il divieto di polimeri sintetici inferiori a 5 mm che resistono alla degradazione, tra cui appunto il glitter e poi:

  • specifici prodotti per le unghie,
  • una serie di cosmetici “leave-on” come fondotinta, eyeliner, mascara, rossetti e smalti (di cui sarà rivisitata la composizione).
  • microsfere per l’esfoliazione,
  • componenti di detersivi, ammorbidenti,
  • fertilizzanti
  • materiale granulare usato per le superfici sportive.

Tuttavia, restano esclusi alcuni prodotti che contengono microplastiche ma non le rilasciano in natura, come materiali da costruzione e prodotti oggi utilizzati in siti industriali. Ovviamente anche per loro sono arrivate delle raccomandazioni, indicando la necessità che le industrie trovino delle alternative “green”.

L’effetto indesiderato

La legge che entrerà in vigore da domenica 15 ottobre ha spaventato chi dei glitter ha fatto una scelta di vita. Soprattutto in Germania si è verificato un processo inverso, ovvero un boom di vendite dei prodotti “brillanti”. Addirittura, si parla di “isteria da glitter”. Nel quotidiano Bild si racconta come alcuni VIP tedeschi stiano correndo per accaparrarsi più glitter possibile prima che non sia più reperibile sul mercato.

Comunque sia, questo passaggio è parte di un disegno più ampio che mira a diminuire la continua diffusione di prodotti polimerici in natura. È un programma parallelo allo sviluppo in corso per un Trattato globale sulla plastica. Di certo non sarà facile vietare prodotti di ampio consumo ordinario, ma è un passo che va fatto per proteggere il pianeta e noi stessi.

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Smartphone e tablet: quale valore hanno una volta arrivati a fine vita?

By : Aldo |Ottobre 10, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Smartphone e tablet: quale valore hanno una volta arrivati a fine vita?
Daniel Romero - Unsplash

Il riciclo ci permette di ridurre il numero di rifiuti nelle discariche e di emissioni di CO2 nell’atmosfera. Oggi è un processo ancora più rilevante per l’ambiente e la sostenibilità, ma, nonostante ciò, non è ancora ben sviluppato in tutti i settori. Quello dei dispositivi elettronici sembra essere in difficoltà.

Smartphone e tablet

I dispositivi elettronici “smart” sono nelle nostre vite da un decennio e hanno rivoluzionato totalmente la quotidianità di tutti. Dove con l’aggettivo “smart” si intende con capacità di calcolo, memoria e connessione per l’impiego di funzioni avanzate tramite app e navigazione Internet.

Nell’arco di soli 8 anni, i numeri relativi agli smartphone sono duplicati: oggi se ne contano 6,8 miliardi, mentre nel 2016 erano “solo” 3,6 miliardi. Tuttavia, in generale, i telefoni mobili (“smart” e non) utilizzati oggi nel mondo sono 7,3 miliardi.  A questi numeri sarebbe opportuno aggiungere oltre 500 milioni di cosiddetti “feature phones”. Si tratta di telefoni cellulari di base, privi di sistemi operativi complessi che possono essere utilizzati semplicemente per l’utilizzo delle applicazioni.

Per quanto riguarda l’Italia, il 77% delle persone possiede un telefono e le stime sulle loro spese creano un ampio quadro dell’economia tecnologica.  Infatti, secondo il V Rapporto Censis-Auditel, nel 2021 nella Penisola sono stati pagati più di 7,8 miliardi di euro per l’acquisto di telefoni e apparecchiature telefoniche. Una spesa che rispetto al 2017 è aumentata del 92%: si tratta dell’incremento più elevato registrato in assoluto per le varie voci di spesa.

Tali cifre rendono l’idea sull’ importanza di questi dispositivi, che tuttavia, una volta obsoleti diventano oggetti e reperti storici nei nostri cassetti.

Il valore di uno smartphone

Attualmente abbiamo consorzi di riciclo per molteplici tipi di rifiuti come plastica, carta, vetro, alluminio. Questi sono molto sviluppati poiché correlati ad una grande quantità di prodotti che utilizziamo quotidianamente, creando un’importante mole di rifiuti. Proprio per questa ragione e viste le cifre riportate precedentemente, sarebbe opportuno promuovere maggiormente le procedure di riciclo e riuso degli smartphone. Poiché una volta esausti, non vengono valorizzati, come anche tablet e altri dispositivi elettronici.

Quello che non tutti sanno però è che quegli oggetti hanno elevato valore, soprattutto se introdotti in una realtà di economia circolare. Tale caratteristica deriva dagli elementi di cui sono composti, ossia materie prime critiche (o terre rare) come cobalto nella batteria, indio nello schermo. O ancora tantalio, gallio e metalli preziosi nel circuito stampato; sono tutti materiali che se recuperati possono essere impiegati nuovamente in altri prodotti. In questo modo si riducono i costi e le emissioni di produzione e si evita la continua estrazione mineraria. Per questo è fondamentale incentivare la riparazione e il riutilizzo di piccoli dispositivi elettronici, nonché il riciclo quando arrivano a fine vita.

Riciclo e Riuso

Attualmente gli europei potrebbero restituire smartphone usati per 700 milioni di pezzi, che oggi sono chiusi in un cassetto. Non a caso la Commissione Europa ha deciso di adottare una serie di raccomandazioni politiche per migliorare e incentivare la restituzione dei dispositivi. Tra loro sono inclusi telefoni cellulari, tablet, laptop usati e i relativi caricabatterie.

Il vademecum mira a supportare le autorità nazionali nel massimizzare riutilizzo, riparazione e recupero di questi piccoli dispositivi elettronici. Anche perché oggi il tasso di raccolta dei telefoni cellulari è oggi inferiore al 5% in Europa. Tra le raccomandazioni, Bruxelles chiede ai paesi membri di mettere proporre incentivi finanziari come sconti, buoni, sistemi di restituzione o premi monetari. In questo modo i cittadini europei sarebbero spinti a restituire i loro dispositivi usati alimentando un ciclo “green”. Senz’altro è necessario aumentare l’uso dei servizi postali per la restituzione e promuovere partnership. Per esempio, potrebbero collaborare i consorzi che si occupano della raccolta dei rifiuti e le realtà che preparano i dispositivi elettronici per il riuso.

Tutti questi consigli si concretizzano con la nascita di realtà in questo settore o con una maggiore sensibilizzazione sul tema. Dunque, ecco cosa possiamo fare con un dispositivo elettronico esausto:

  • venderlo su siti specializzati o negozi reali per prodotti elettronici di seconda mano;
  • convertirlo in una sveglia, un telecomando, una telecamera di sorveglianza, una cornice digitale e un localizzatore;
  • portarlo nei negozi di elettronica, che sono obbligati a ritirare i vecchi apparecchi;
  • rottamarlo per ricevere in cambio denaro, buoni regalo o altro;
  • donarlo durante le iniziative di beneficenza che vedono protagonisti i cellulari

Coem vediamo un telefono può avere mille funzionalità diverse, l’importante è che non venga buttato nel cestino.  Se propri vogliamo disfarci di tali prodotti è meglio portarli in un’isola ecologica che tratta i materiali RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). Altrimenti, se non conferiti negli appositi impianti di trattamento, diventano un pericolo per l’ambiente a causa dei veleni tossici che liberano.

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Il rapporto del primo Global Stocktake: cosa si richiederà alla COP28?

By : Aldo |Ottobre 09, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Il rapporto del primo Global Stocktake: cosa si richiederà alla COP28?
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Tanti paesi si sono mossi per migliorare il proprio impatto sul pianeta; eppure, c’è ancora molto da fare in questo senso. Sicuramente le varie riunioni, le assemblee globali aiutano tale cambiamento, tuttavia servono linee più rigide e molti più finanziamenti.

 

Global Stocktake

Prima di parlare della situazione in cui ci troviamo e delle linee guida proposte dall’assemblea, è necessario spiegare l’entità e la rilevanza del Global Stocktake. Si tratta di un bilancio globale, un processo per i paesi e le parti interessate (alla COP) per capire quali progressi collettivi sono in atto. Dunque, è un incontro che serve a determinare se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico, sono in fase di realizzazione o meno.

   

Considera tutto quello che riguarda la posizione del mondo sull’azione e il sostegno per il clima, per poi identificare le lacune e colmarle. Così facendo si traccia un percorso migliore per accelerare l’azione richiesta dall’assemblea e globalmente necessaria. Questo bilancio si svolge ogni cinque anni e il primo terminerà con la COP28 che si terrà dal 30 novembre a 12 dicembre a Dubai. È fondamentale ricordare che non è solo un controllo di routine, ma un un’opportunità per aumentare l’ambizione per evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico. Non è quindi la soluzione agli attuali problemi, ma la base di una risposta che faccia la differenza.

   

Secondo Stiell, nuovo segretario esecutivo dell’Unfccc, il risultato ideale di tale bilancio sarebbe una tabella di marcia. In essa dovrebbero essere inclusi dei “percorsi di soluzioni” che guidino le azioni immediate, divise per settori, regioni, attori. Il tutto per raggiungere gli obiettivi previsti entro i prossimi 7 anni.

   

Rapporto di sintesi

Per poter arrivare alla COP28 con le idee chiare, è stato creato un rapporto di sintesi. Quest’ultimo presenta una serie di misure utili a restare sotto gli 1,5°C e sarà la base dei negoziati del prossimo incontro. Il documento di 45 pagine, presenta i 17 risultati principali, i quali ci informano che non siamo sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi prefissati.

 

Attualmente siamo molto distanti dalla traiettoria giusta per rispettare la soglia di 1,5 gradi, forse l’obiettivo più ambizioso del Paris Agreement. Le analisi svolte sulla base dell’impatto collettivo di tutte le misure annunciate dagli stati nei loro Contributi Nazionali Volontari, non mostra una realtà positiva. Infatti, il calcolo afferma che nel 2100 potremmo arrivare a un aumento della temperatura di 1,7°C rispetto all’epoca pre-industriale. Tuttavia, se si considerano solo le politiche già introdotte, la traiettoria oscilla tra +2,1 e +2,9°C. Proprio per rimediare a tale situazione, il primo Global Stocktake parte dai seguenti numeri:

  • – 43% di gas serra entro il 2030,
  • – 60% entro il 2035,
  • – 84% entro il 2050, rispetto ai volumi emissivi del 2019.

Le azioni e i punti di discussione

Il rapporto tecnico (presentato dall’UNFCCC), presenta ed evidenzia le molteplici problematiche da risolvere, a seguito di vari colloqui con i Paesi partecipanti alla COP28. Di conseguenza il team di scienziati prescelto ha valutato tutte le possibili mosse per risolvere queste tematiche di interesse globale. Nella discussione ritroviamo punti e temi che sembrano non sparire mai ed altri nuovi o aggiornati (a seconda del progresso attuato in questi anni).

 

Tra questi è sempre presente e rilevante la questione dei combustibili fossili. In questo caso si chiede fermamente l’eliminazione graduale di tutte le fonti e le emissioni fossili e l’adozione di una guida per consentire tale transizione. Inoltre, si suggerisce di “accelerare l’eliminazione progressiva dei combustibili fossili unabated” (punto stabilito Cop26 di Glasgow). Per un’azione congiunta e di successo è consigliata l’eliminazione dei sussidi inefficaci ai carburanti di questo tipo nel 2025. Infine, si richiede lo stop alle esplorazioni di nuovi giacimenti fossili entro questo decennio.

   

Sul piano dei finanziamenti invece, si spinge per destinare almeno 200-400 mld $ entro il 2030 al fondo “Loss and damage”. Tale richiesta è fondamentale per garantire un equo ammontare di aiuti ai paesi vulnerabili più colpiti dalla crisi climatica. Poi ancora ci sono molteplici punti, già discussi negli anni precedenti, per i quali si richiede un maggior rigore, come nel caso del settore energetico. In tal senso si vuole fissare l’obiettivo globale di triplicare la capacità installata di rinnovabili entro il 2030 e quello di raddoppiare l’efficienza energetica.
  

È importante però ricordare che ogni punto, ogni questione va esaminata sempre tenendo conto delle differenze sociali ed economiche dei singoli paesi.

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Dal sughero alla pelle vegana: il progetto della startup Lebiu.

By : Aldo |Ottobre 03, 2023 |Arte sostenibile, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Dal sughero alla pelle vegana: il progetto della startup Lebiu.
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Il settore tessile ha bisogno di una grande innovazione legata alla sostenibilità. Negli ultimi anni sono state sviluppate le idee più disparate per poter rendere più “verde” il settore tessile, uno dei più inquinanti al mondo.  Ecco una novità.

Lebiu

La startup Lebiu nasce come una realtà sarda fondata da Fabio Molinas e Alessandro Sestini. I due soci derivano da settori diversi: il primo ha studiato industrial design e poi ha fatto esperienza in accademia in Spagna dove ha vissuto 11 anni. Il secondo invece è più specializzato nell’ambito finanziario e commerciale.

Insieme, oltre a fondare una startup, hanno creato un nuovo tessuto composto di scarti, ma non si tratta né di plastica, né di frutta. I due hanno pensato di usare gli sfridi di sughero per rivoluzionare il campo della moda. Borse, abbigliamento e accessori, sono composti da un nuovo materiale, derivato da scarti naturali e abbinato a elementi plant-based. Questa è la descrizione dei prodotti Lebiu.

Il sughero nel tessile

L’idea iniziale deriva dai ricordi d’infanzia di Molinas, originario di Caragianus in Gallura, il maggiore centro di produzione di tappi di sughero dell’isola.  In quelle terre la maggior parte delle famiglie ha lavorato nell’industria del sughero, quindi il materiale, ha determinato gran parte dell’infanzia del founder, il quale racconta:

ci sono cresciuto e fin da bambino ho sempre giocato con gli sfridi, la polvere generata da questa attività”

Nelle industrie, tonnellate di materiale di scarto viene incenerito poiché solo una piccola parte viene usata per la colmatazione dei tappi più pregiati. Pertanto, dopo 11 anni in Spagna, l’expat è tornano in Italia con un’importante formazione alle spalle, un’idea innovativa e la voglia di cambiare il mondo.

 

Il progetto e il materiale.

Il progetto nasce dalle conoscenze legate ai ricordi d’infanzia di Molinas e quelle riguardanti il settore tessile.  Infatti, afferma che gli sfridi sono in realtà una vera e propria farina che spesso veniva legata con la colla. Da qui si lavorava fino a renderla una sorta di plastilina da modellare dopo un passaggio in forno. Quindi l’idea c’era, il materiale pure e in abbondanza, mancava solo la realizzazione del nuovo prodotto che necessitava di fondi. A questo ci pensò la Commissione Europea che riconobbe un programma di incentivi dedicato alle industrie creative capaci di ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile.

Corskin

Il prodotto su cui converge tutto: una specie di simil pelle (al tocco) costituita da un alto contenuto di particelle di sughero. Queste ultime sono accompagnate da resine plant-based provenienti da coltivazioni OGM-Free e da campi non sottratti all’agricoltura per l’alimentazione. Si tratta di un tessuto resistente alla corrosione, impermeabile e personalizzabile con varie texture e finissaggi. In aggiunta, impedisce la formazione di muffe, per mezzo delle cere e dei tannini presenti nella biomassa, è durevole, non scolorisce ed è elastico. Infine, l’aumento dello spessore non incide sul suo peso, come invece avviene con altri materiali tecnici o naturali. L’unica pecca riguarda la lavorazione che attualmente elimina ogni profumo e odore ma la squadra è già alla ricerca di una soluzione.

Tale materiale nasce dalla combinazione di collanti alimentari che si impiegano per quelli conglomerati. Successivamente, grazie alla collaborazione con imprese specializzate in spalmati sintetici e tessili del nord Italia, la startup ha raggiunto il suo obiettivo, una struttura multistrato. Senza dubbio, Corskin è una valida alternativa che riduce l’impatto ambientale.

Nanocork

Attualmente è una linea secondaria dell’impresa. È un finissaggio naturale applicabile sui capi di aziende terze grazie a un processo di micronizzazione delle particelle di sughero e acqua. Questo materiale consente di risparmiare fino al 90% di acqua, prodotti chimici, ed energia e di distinguere il tessuto dagli altri. Per esempio, aumenta le prestazioni del capo in termini di isolamento termico e antistaticità ed ha un effetto naturalmente invecchiato. Quest’ultima caratteristica deriva dall’uso un pigmento naturale abbinato a sfridi, acqua e altri componenti, nebulizzato in ambiente controllato su tessuti.

Tali processi sono molto più sostenibili poiché generalmente la tintura di una maglietta comporta l’utilizzo di grandi quantità d’acqua: dai 60 ai 100 litri. Mentre con Nanocork per ogni chilo di vestiti ne basta solo un litro e mezzo.

Lebiu ha quindi creato dei prodotti che hanno un impatto ambientale è molto ridotto. Anche perchè si basa su una filiera di produzione controllata con certificazioni GRS (Global Recycled Standard) e USDA per il contenuto Bio-based. Valore che può variare a seconda dei prodotti, da un 45% a un 80%, con l’obiettivo di raggiungere il 95%. Con tali procedimenti e secondo le stime della società, per ogni metro di Corskin si evita l’immissione di 4,5 kg di CO2 in atmosfera.

Il prezzo è in linea con i tessuti di fascia medio-alta ma anche per la fascia premium degli alberghi e per l’arredamento.
Dunque, Lebiu è una realtà che ha fatto di una polvere di scarto, un tessuto di alto valore ma di basso impatto ambientale. Le vie per migliorare la nostra impronta sul pianeta sono migliaia, basta solo percorrerle nel modo e con i tempi più adeguati.

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Rendere verdi i deserti catturando la CO2: ecco il nuovo studio.

By : Aldo |Ottobre 02, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Rendere verdi i deserti catturando la CO2: ecco il nuovo studio.
Juli Kosolapova - Unsplash

La CO2 nelle vare sfere della Terra è presente in quantità elevate che bisogna ridurre. Gli studi in questo verso continuano: le idee sono tante e varie ma è necessario poterle mettere in pratica. Ecco un esempio.

La situazione odierna

Le emissioni nette di CO2 devono essere ridotte a zero entro 10 anni per raggiungere la neutralità climatica. Tale processo al momento sembra impossibile, soprattutto per le migliaia di attività che si sviluppano quotidianamente e che emettono CO2. Tuttavia, gli effetti climatici correlati all’elevata concentrazione di CO2 atmosferica rimarranno irreversibili per almeno 1000 anni.

Gli studi, le innovazioni e i progetti per ridurre le emissioni sono tantissimi, vari e di origine diversa. Per esempio, si possono migliorare o rinnovare i processi produttivi di molteplici oggetti. Si può riciclare una grande quantità di rifiuti oppure ridurre ed eliminare la produzione e il consumo di certi materiali.  O ancora sono stati ideati svariati sistemi per catturare la CO2, sia naturali che artificiali con l’obiettivo di poter ridurre la sua concentrazione nelle varie sfere.   In questo caso, lo studio parla delle terre aride dei deserti come possibili centri di stock dell’anidride carbonica nel futuro.    

L’idea della ricerca

L’idea nasce da uno specifico studio dei deserti e delle poche e particolari piante che li abitano. E chi poteva parlarne meglio di un gruppo di scienziati della King Abdullah University of Science and Technology (Arabia Saudita)? Il team guidato da Heribert Hirt, professore di scienze vegetali e membro del Centre for Desert Agriculture è pronto a mettere in pratica la loro ricerca.

Il concetto è quello di sfruttare la capacità delle piante di sequestrare il carbonio dall’atmosfera attraverso il processo di fotosintesi.  Nello specifico la ricerca si è concentrata sui deserti, in modo da non sottrarre terreno al settore agricolo (una procedura fin troppo sviluppata e dannosa). Non a caso un terzo della superficie terrestre del nostro pianeta è terra arida che non viene utilizzata per l’agricoltura ed è soggetta. In tal modo potremmo catturare la CO2, rendendo “verdi” i deserti. Lo studio e i suoi dati sono stati appena pubblicati nella forma di opinion paper sulla rivista scientifica Trends in Plant Sciences. 

Rendere verdi i deserti

Dunque, gli autori hanno pensato di non usare le aree verdi già presenti ma di creare delle piccole isole nel deserto, incrementando dei processi naturali. Per sviluppare l’esperimento, gli scienziati hanno scelto un tipo di pianta capace di sopravvivere a condizioni di temperatura elevata e di carenza idrica. Standard tipici delle aree desertiche, ai quali sopravvivono le piante “ossalogeniche”. Quest’ultime sono in grado di immagazzinare il carbonio che sequestrano dalla CO2 atmosferica sotto forma di cristalli di ossalato di calcio. Si tratta di un sale costituito da calcio, carbonio e ossigeno, che in caso di necessità può essere riconvertito in acqua e CO2.

Tali piante sono state affiancate da microrganismi che accelerano questo processo. Grazie alla loro azione, parte dei cristalli di ossalato (prodotti dalla pianta) vengono convertiti in carbonato di calcio. Questo sale è la principale forma di immagazzinamento di carbonio all’interno del suolo, quindi la soluzione perfetta per la rimozione di CO2 dall’atmosfera.  Una procedura tipica delle zone aride, dove il pH del terreno e le elevate concentrazioni di calcio sono ottimali per la formazione dei carbonati. Si tratta di un processo di trasformazione che avviene anche negli strati profondi del terreno, meno soggetti a cambiamenti di:

  • temperatura dell’aria;
  • concentrazione atmosferica di CO2;
  • l’utilizzo del suolo per scopi antropici.

Il sistema di immagazzinamento determina la formazione di enormi depositi di carbonato di calcio nel terreno che rimangono stabili anche per centinaia di anni. Ed è proprio questo il ciclo che ha interessato i ricercatori. Perchè così facendo, si può fissare stabilmente il carbonio contenuto nella CO2, riducendone ampiamente la sua concentrazione atmosferica.

Questo è l’obiettivo dello studio: tagliare la quantità di CO2 attualmente presente nell’atmosfera in tempi relativamente brevi, potenzialmente anche in meno di dieci anni.

La prova

Attualmente gli autori suggeriscono di partire da quelle che loro definiscono “piccole isole fertili”. Ossia scegliere piccole aree nelle quali far crescere le piante ossalogeniche, che nel futuro potrebbero espandersi autonomamente a formare dei grandi “tappeti verdi” nel deserto. Ovviamente l’efficienza del progetto e i suoi risultati dipenderanno anche delle strategie politiche adottate e dei fondi investiti in questo senso.

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“Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.

By : Aldo |Settembre 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare |Commenti disabilitati su “Pulci d’acqua” per migliorare per la depurazione delle acque reflue.
J K - Unsplash

Il nostro pianeta gode di un’immensa biodiversità di specie animali e vegetali, con caratteristiche pazzesce spesso straordinarie. E proprio grazie a tali qualità e alla ricerca, queste specie possono venire in nostro soccorso in molteplici ambiti e in varie modalità.

La depurazione delle acque reflue

Il processo di depurazione delle acque reflue è un’operazione complessa ma necessaria, per la salute di ogni popolazione e del territorio. É un’attività che si sviluppa per mezzo di una combinazione di trattamenti meccanici, chimici e biologici con l’obiettivo di rimuovere gli inquinanti dall’ acqua di scarico. In tal modo è possibile renderla abbastanza pulita da poter essere rilasciata nel suolo o nei corpi idrici senza danneggiare l’ambiente.

In Italia, La depurazione delle acque reflue come la intendiamo oggi si è diffusa dagli anni ’70. In quel periodo venne affrontato con particolare attenzione il tema e venne istituita la legge Merli (legge 319 del 1976). Quest’ultima, fu una mossa fondamentale, poiché vennero stabilite le concentrazioni limite dei parametri delle acque di scarico.

Solitamente distinguiamo due fondamentali tipologie di acque di scarico: gli scarichi civili e gli scarichi industriali. I primi, detti anche acque reflue urbane comprendono le acque di rifiuto domestico e le acque di ruscellamento, ossia l’acqua che finisce nei tombini stradali. Mentre i reflui industriali includono acque di scarto e la tipologia di inquinanti presenti varia a seconda del processo industriale utilizzato. Non a caso alcune attività (lavanderie industriali, cantine vinicole, industrie chimiche) sono obbligate trattare preventivamente le loro acque reflue.

La novità

È chiaro che il depuratore sia un importante mezzo per la salubrità di ogni cittadina. Tuttavia, per la sua funzione occupa ancora tanto spazio e in alcuni casi, se poco efficiente, potrebbe non filtrare alla perfezione. Pertanto, come qualsiasi tecnologia, sono ancora in corso degli studi per migliorare e rendere sempre più efficienti questi sistemi fondamentali.

Tra i vari casi, oggi si parla di una depurazione delle acque reflue, più specifica grazie all’introduzione di “pulci d’acqua”. Si parla dell’esperimento dell’Università di Birmingham, svolto da una squadra che ha dimostrato impressionanti capacità di depurazione delle acque reflue.

L’esito positivo dell’esperimento fa pensare che possano essere impiegate in tanti ambiti o semplicemente, possano essere introdotte in più depuratori. Si tratta di una soluzione più che ecologica, visto che per la loro attività non verrà consumata energia in più e non ci saranno ulteriori emissioni.

Le “pulci d’acqua”

Non si tratta pulci, ma di un gruppo di oltre 450 specie di minuscoli crostacei che vivono dentro laghi, stagni, ruscelli e fiumi. Gli individui del genere Daphnia sono organismi che filtrano il cibo, ingerendo eventuali piccole particelle di detriti, alghe o batteri nel processo. Vista la loro propensione a filtrare di tutto, sono stati selezionati per l’esame. Gli studiosi hanno pensato che probabilmente avrebbero potuto ingerire anche qualcosa di peggio, come sostanze chimiche tossiche.

L’introduzione di questa specie nel processo di trattamento deriva dalla problematica per la quale gli impianti di trattamento non siano così efficienti. Tali sistemi oggi non rimuovono tutti i contaminanti, anzi molti sfuggono ai filtri dei depuratori, e tornano nell’ambiente, danneggiando noi e la natura.

Così sono stati selezionati embrioni dormienti recuperati sul fondo dei fiumi: nello specifico ceppi dal 1900, 1960, 1980 e 2015.  Arrivati in laboratorio, hanno cresciuto le popolazioni di pulci clonando e testato il loro patrimonio genetico e le loro capacità di sopravvivenza. Successivamente hanno testato le capacità di aspirazione, prima in acquario, poi in 100 litri d’acqua, poi in un impianto da oltre 2.000 litri. I risultati strabilianti hanno portato alla scoperta di caratteristiche specifiche della specie.

I risultati

Gli inquinanti presenti nelle acque, che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari sono

  • Diclofenac, farmaco;
  • Atrazina, pesticida;
  • Arsenico, metallo pesante;
  • PFOS, prodotto chimico industriale, impermeabilizzare i vestiti.

Ricordiamo che alcuni embrioni scelti, si erano depositati in periodi in cui le sostanze inquinanti erano più diffuse. Mentre altri erano più “ingenui”, poiché originarie di periodi in cui i contaminanti erano assenti (come nel 1900).

Quindi erano possibili vari esiti, ma hanno prevalso quelli positivi, al punto che Karl Dearn co-autore dello studio afferma:

Abbiamo sviluppato il nostro bioequivalente di un aspirapolvere Dyson per le acque reflue, che è molto, molto emozionante”

Infatti le pulci d’acqua sono state in grado di assorbire il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del PFOS. L’ultima percentuale, per quanto fosse la minore rispetto alle altre, determina una scoperta rilevante e una specifica caratteristica della specie. Luisa Orsini co-autrice dello studio dichiara che tale rimozione è eccellente rispetto a ciò che esiste ora. Questo perchè perché nulla rimuove o metabolizza i PFOS in questo modo, e altri sistemi sono estremamente costosi, e producono molti sottoprodotti tossici.

La nuova tecnica è efficiente anche perchè le pulci sono autosufficienti (si riproducono per clonazione) e si autoregolano. Ossia aumentano o riducono la popolazione a seconda dei nutrienti disponibili. Inoltre, data la loro adattabilità, le pulci potrebbero essere impiegate in tanti altri tipi di sistema. Senza contare il fatto che si tratta di un agente economico e privo di emissioni di carbonio, potrebbe trattarsi di una soluzione sofisticata.  O comunque potrebbe essere usata per impianti di trattamento delle acque e nei paesi in via di sviluppo con meno infrastrutture

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Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.

By : Aldo |Settembre 26, 2023 |Arte sostenibile, Clima, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Arriva il Cinema In Verde all’Orto Botanico di Roma.
Jonas Denil - Unsplash

Temi come la cura dell’ambiente, la sostenibilità e la sensibilizzazione dei cittadini sono sempre più citati e intrapresi in vari ambiti.
Sicuramente se ne parla a scuola, in politica, sul web ed ora anche in una rassegna cinematografica.

   

Cinema In Verde

A fine settembre si svolgerà il primo festival di cinema ambientale a Roma. Un’occasione unica per raccontare la difesa dell’ambiente e della natura attraverso film e tante altre attività ad essi correlate. Il principio è proprio quello di far aprire gli occhi con storie di inchiesta, di presa di coscienza, di ecosistemi che resistono.

   

L’iniziativa avrà luogo, in posto magico quale l’Orto Botanico di Roma, (Polo Museale della Sapienza) culla di biodiversità, istruzione e sensibilizzazione. La prima Università di Roma e Silverback (agenzia di comunicazione green) si affiancheranno in questa nuova avventura all’insegna del cinema “verde”.

   

L’evento che avrà inizio venerdì 28 settembre e terminerà domenica 1° ottobre, sarà promosso dall’Assessorato all’agricoltura, all’ambiente e al ciclo dei rifiuti. Mentre sarà patrocinato dall’Assessorato alla Cultura e dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Il Cinema In Verde è organizzato in collaborazione con FilmAffair, Zen2030 e Green Influencer Club, food partner Punto Mobile.

    

La sensibilizzazione

L’evento è stato definito “carbon neutral” grazie al lavoro svolto dalla società benefit Zen2030. Infatti, durante il festival, i consumi di molteplici ambiti saranno monitorati, registrati e tradotti in emissioni di CO₂eq. Si parla di consumi legati alle categorie energia, mobilità, trasporti, ristorazione, materiali, alloggi e rifiuti.

   

Oltre al monitoraggio e alla rendicontazione saranno attuate altre forme di compensazione e attenzione nei confronti dell’ambiente:

  • l’energia usata deriverà dalla rete elettrica dell’Orto Botanico che proviene da fonti rinnovabili;
  • verrà incentivato l’uso di mezzi sostenibili per l’arrivo al festival (mezzi pubblici, bicicletta, mobilità elettrica e condivisa). E per i partecipanti internazionali è stato consigliato il treno piuttosto che l’aereo;
  • é stata adottata una politica plastic free preferendo materiali a consumo a minor impatto ambientale. Molti materiali sono stati noleggiati e sono stati scelti fornitori locali, provenienti da Roma e dal Lazio;
  • l’offerta di ristoro è prevalentemente vegetariana, con coperti lavabili o totalmente compostabili;
  • a chiusura dell’evento le emissioni residue, ovvero quelle che non sarà stato possibile evitare, saranno compensate attraverso progetti certificati legati alla transizione energetica verso fonti rinnovabili.

Il festival

Per quanto riguarda la rassegna cinematografica, si prevede la proiezione di sei pellicole d’autore, all’interno di un’arena interna e una esterna. Tali film sono destinati a un pubblico vasto ed hanno come trama principale una storia godibile e interessante con un significato ambientale. Tuttavia, l’evento non consisterà nella sola visione di film, ma anche allo sviluppo di varie attività connesse ai due temi in esame.

   

Pertanto, è prevista una rassegna di film già usciti in sala che hanno risvegliato la nostra attenzione sui temi ambientali. Successivamente si affronteranno dibattiti a cui parteciperanno personaggi dello spettacolo come Paolo Virzì, Claudia Gerini, Andrea Pennacchi e della ricerca.

     

I sei film in concorso sono:

  • GREEN TIDE, di Pierre Jolivet;
  • THE DAM, di Ali Cherri;
  • THE HORIZON, di Emilie Carpentier;
  • AND THE BIRDS RAINED DOWN, di Louise Archambault;
  • PLUTO, di Renzo Carbonera;
  • BEATING SUN, di Philippe Petit.

La giuria sarà composta da

  • Laura Delli Colli, giornalista e scrittrice;
  • Thony, attrice e cantautrice;
  • Andrea Grieco, divulgatore e attivista;
  • Rossella Muroni, Nuove Ri-Generazioni;
  • Claudia Campanelli, giornalista e autrice;

Inoltre, sono stati organizzati workshop ogni mattina per capire come si pensa e si realizza un documentario ambientale. E come alla fine di ogni festival o concorso che si rispetti, il vincitore riceverà il primo premio Ginkgo d’oro. L’iniziativa consente così di veicolare dei messaggi fondamentali, di dare varie e nuovi spunti di riflessione sul tema e incrementare la sensibilizzazione. Non a caso, la citazione del regista Ingmar Bergman, scelta per questa iniziativa racchiude tutta l’anima del festival:

  

Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”

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Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.

By : Aldo |Settembre 25, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Vittoria storica per gli indigeni del Brasile: “No al Marco Temporal”.
Agustin Diaz Gargiulo - Unsplash

Gli indigeni nel mondo combattono da anni per vedere i propri diritti rappresentati o rispettati, andando contro i governi di molteplici nazioni.

In Amazzonia, negli ultimi anni si sono battute tantissime popolazioni che, fortunatamente, sono riuscite a cambiare il corso della storia.

    

Il Marco Temporal

Il Marco Temporal (o Limite Temporale) è una proposta di legge che avrebbe favorito (secondo le popolazioni indigene) un “genocidio legalizzato”. Si tratta di un disegno che puntava tutto sulla promozione della sostenibilità occidentale per sfruttare le terre dell’Amazzonia e le sue risorse. Il tutto senza rispettare i diritti e in generale le popolazioni indigene che senza dubbio sarebbero state sterminate.

   

L’interesse era legato a materie come il “litio verde”, le terre rare, l’oro, il petrolio, il legno, la soia e la carne. L’estrazione o la produzione di queste materie danneggia da anni le riserve indigene e la legge avrebbe solamente accelerato tale devastazione. In più la legge avrebbe la cancellato le richieste in sospeso, per il riconoscimento delle riserve e autorizzato l’accesso deliberato alla foresta. E per non farsi mancare nulla avrebbe limitato il potere del Ministero dei Popoli Indigeni e del Ministero dell’Ambiente. Così facendo avrebbe messo in pericolo risorse fondamentali come l’acqua e le foreste e la vita stessa delle popolazioni indigene.

   

Pertanto una legge simile non avrebbe rispettato punti fondamentali della costituzione a favore del business, mettendo in pericolo migliaia di persone.

    

La lotta degli indigeni

Le comunità indigene, i popoli che abitano l’amazzonia si sono ribellati sin da subito a quest disegno di legge. Le novità previste da quest’ultima non erano altro che modi con cui la nazione avrebbe potuto fare quello che più le interessava con il polmone verde. Mettendo così in pericolo intere popolazioni, molte delle quali non hanno quasi alcun contatto con il mondo esterno. Potremmo dire che contrastare la sua approvazione era letteralmente questione di vita o di morte per gli abitanti della foresta.

   

La legge introduceva dei vincoli che determinavano l’impossibilità di istituire riserve protette sulle aree dove gli indigeni non erano presenti alla data del 5 ottobre 1988. Data in cui entrò in vigore l’attuale costituzione. Anche se il il giudice della Corte Suprema Edson Fachin ricorda che:

 

… i diritti territoriali indigeni sono riconosciuti dalla Costituzione, ma preesistono alla promulgazione della Costituzione stessa”.

 

Inoltre, non avrebbero potuto essere demarcate, ovvero mappate, quindi riconosciute come zone su cui insistono dei diritti dei popoli nativi. In tal modo la nazione era libera di violare i diritti dei popoli indigeni, approfittando della loro instabilità, instaurata dallo Stato stesso. Questo perchè in molti erano stati costretti a lasciare le loro terre ancestrali da politiche statali, durante la dittatura militare tra gli anni ’60 e ’80. Per tale motivo, gli indigeni si battono da anni per l’istituzione e la promozione di riserve naturali e aree protette. Sono l’unico modo con il quale riuscirebbero a bloccare lo sfruttamento delle loro terre da parte delle multinazionali dell’allevamento, del disboscamento e dell’estrazione mineraria.

   

Fortunatamente, con forza e determinazione, i popoli della foresta sono riusciti (con le loro proteste e i loro appelli) a cambiare la rotta di questo processo.

   

Verso la vittoria

Prima ancora che la legge fosse approvata alla Camera, i rappresentanti delle popolazioni indigene hanno organizzato delle manifestazioni contro il governo. Per esempio, a San Paolo hanno bloccato l’autostrada e dato fuoco a pneumatici, per poi usare archi e frecce contro la polizia.  Oppure gruppi di nativi indigeni di tutto il paese hanno programmato una settimana di proteste davanti al Congresso nella capitale Brasilia.  Mentre il cacique (cioè il capo tribale) Raoni Metuktire, ha presentato una petizione contro le restrizioni alla demarcazione delle terre dei nativi.

   

Tutto questo, il cambio di governo e forse una maggiore sensibilizzazione al tema hanno portato alla grande vittoria. Così, la legge proposta durante il governo Bolsonaro è stata bloccata e rispedita al mittente pochi giorni fa. La procedura durata due anni è finita con una vittoria netta per popoli indigeni e attivisti ambientali. Nello specifico 9 degli 11 giudici della Corte Suprema si sono dichiarati contrari ad approvare il Marco Temporal.

 

Fiona Watson di Survival International ha dichiarato:

 

È una vittoria storica, cruciale per i popoli indigeni del Brasile e una grande sconfitta per la lobby dell’agrobusiness”.

 

Il Marco Temporal era uno stratagemma pensato per legalizzare il furto di milioni di ettari di terra indigena. Se fosse stato approvato, decine di popoli ne sarebbero usciti devastati – come migliaia di Guarani e i Kawahiva incontattati”.

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L’isola di Arholma è autonoma grazie ad un sistema di accumulo energetico italiano.

By : Aldo |Settembre 22, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su L’isola di Arholma è autonoma grazie ad un sistema di accumulo energetico italiano.
American Public Power Association - Unsplash

Si sa che il Made in Italy, per quanto dimentica in certi ambiti, resta sempre una cifra di stile, bontà del prodotto e sicurezza. Quello esportato gode di una certa fama e con il passare del tempo si fa strada anche nel settore energetico, grazie a studi e innovazioni.

Il marchigiano in Svezia

In Svezia, una piccola striscia di terra nel nord-est dell’arcipelago di Stoccolma, chiamata Arholma è diventata autonoma grazie ad un sistema italiano. Arholma è oggi energeticamente autonoma, per via della collaborazione tra l’azienda marchigiana Loccioni e la società svedese “Vattenfall Eldistribución”. La prima è un’impresa nata nel 1968 come un progetto che integra idee, persone e tecnologie, che lavora per il benessere della persona e del pianeta. Nello specifico si occupa di realizzare sistemi di misura e controllo per migliorare la qualità, la sicurezza e la sostenibilità di processi e prodotti industriali.

La seconda invece è una delle maggiori società svedesi produttrice di energia elettrica, venduta anche per Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. Tale collaborazione ha reso possibile la realizzazione un prototipo che aiuti concretamente la piccola isola nei momenti di necessità.

Arholma

Si parla di una striscia di terra lunga 5 chilometri e larga 2 chilometri ed è l’isola più settentrionale dell’arcipelago prima del mare delle Åland. É caratteristica per la pittoresca combinazione di edifici tradizionali in legno, terreni agricoli, foreste e coste rocciose, motivo per cui è affollata durante l’estate. Nel 1963 Skärgårdsstiftelsen (la Fondazione Arcipelago) ha avviato un programma di conservazione della natura su Arholma. Pertanto, una vasta area comprese delle isole limitrofi sono parte di una riserva naturale, nella quale sono conservate anche metodi tradizionali si silvicultura e agricoltura.

L’istituzione di un’area protetta definisce l’importanza dell’ambiente nell’area che tuttavia in estate diventa una meta turistica gettonata. Appunto l’isola ha una popolazione di circa 70 persone che aumentano in estate toccando le 600. Proprio questa è una delle ragioni principali della costruzione del sistema. Infatti il prototipo prevede la fornitura di un sistema di accumulo energetico capace di sostenere carichi eccessivi, molto comuni durante l’estate. Oppure per interruzioni improvvise delle forniture, come durante forti temporali. La possibilità deriva dal fatto che il sistema energetico della microrete consente di interfacciarsi con la rete elettrica esistente sull’isola.

La microrete

Dunque, il sistema in esame è una smart microgrid, un sistema energetico intelligente su piccola scala per fornire energia in tutto il mondo. Nel caso specifico, la microrete dell’isola è stata realizzata ad Ancona tramite la cooperazione di entrambi gli enti. Il sistema è collegato a 2 batterie di accumulo, pronte a immagazzinare energia quando arriva quella elettrica dalla terraferma. Queste garantiscono l’approvvigionamento elettrico dell’isola per più di due ore. Ma è anche collegato ad un impianto fotovoltaico, che produce energia; di conseguenza il meccanismo ne accumulerà per via dei sistemi di accumulo. Successivamente verrà distribuita alla popolazione locale e poi la esporterà.

La CEO di Vattenfall Eldistribution AB, Annika Viklund afferma che il progetto ha lo scopo di capire come le microreti interagiscono con la rete principale. Una volta studiato tale processo, l’azienda valuterà se questi sistemi possono essere utilizzati in una circostanza più ampia, per soddisfare altre necessità della rete. Così facendo potrebbero garantire una risposta efficiente, ad una elevata richiesta della rete elettrica e una maggiore qualità dell’offerta locale.

Loccioni in Italia e in Svezia

Tuttavia non si tratta nè della prima opera dell’azienda marchigiana, nè del primo progetto in collaborazione con la Svezia. Un esempio di sistemi energetici di micro-rete mirati alla completa autonomia energetica è quello realizzato lungo il fiume Esino (Marche), nominato “Due chilometri di futuro”.

Mentre in Svezia, Loccioni, ha inaugurato la prima isola energetica della Scandinavia, precisamente a Simris (costa sud ovest). Anche in questo caso il progetto è frutto di una collaborazione con LES, Local Energy System, ed EO.N, il colosso tedesco dell’energia. Grazie a tale lavoro, l’energia che alimenterà la cittadina sul mare sarà esclusivamente prodotta in loco, rinnovabile, senza emissioni di CO2 e disponibile al bisogno. Ad oggi invece, lo smart microgrid di Arholma è considerato un progetto pilota.

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L’UE ha perso 15 mila km di binari e questo è un problema per l’ambiente.

By : Aldo |Settembre 19, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’UE ha perso 15 mila km di binari e questo è un problema per l’ambiente.
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Tante tecnologie e innovazioni ci aiutano quotidianamente per ridurre il nostro impatto sulla Terra.

Eppure, ci sono processi molto semplici che non vengono portati avanti che invece cambierebbero di gran lunga la nostra presenza nel mondo.

    

L’importanza dei trasporti pubblici

Secondo il sito per le statistiche sul cambiamento climatico, OurWorldinData, il settore dei trasporti contribuiva al 16,2% delle emissioni su scala globale nel 2016. Questa è una cifra non indifferente, non a caso il settore è considerato come una delle principali cause della crisi climatica in atto. Per quanto riportato dall’ EEA (Agenzia Europea dell’Ambiente) oggi quasi 72% delle emissioni legate a questo settore proviene dai veicoli a motore. Di seguito troviamo il trasporto aereo con il 13.9% e quello marittimo con il 13.4%, mentre quello ferroviario rappresenta solo l’1%.

   

Gli studi correlati a tale monitoraggio rivelano che le emissioni dovute ai trasporti hanno segnato un costante incremento dal 1990. Poi nel 2007 si toccò il tetto massimo mai raggiunto di 1 milione e centomila tonnellate di CO2 equivalente, per poi raggiungere il minimo nel 2013. Purtroppo le proiezioni dell’EEA, descrivono un nuovo incremento, ovvero che nel 2030 le emissioni legate ai trasporti si assesteranno alla quota del 2007.  Tuttavia, questo numero rappresenterà un aumento del 32% rispetto ai livelli registrati nel 1990 complicando la corsa alla neutralità climatica fissata dall’Unione entro il 2050.

    

Perchè non usiamo i mezzi pubblici?

Come descritto nel paragrafo precedente, il trasporto ferroviario è quello che produce meno emissioni, dunque sarebbe il più sostenibile.

In generale i mezzi di trasporto pubblici come autobus, tram e treni sono sempre la scelta giusta per ridurre la propria impronta di carbonio sul mondo. Peccato però che non sono sviluppati bene in tutto il mondo, o nello specifico in Italia. Forse è anche per questo che si preferiscono altri mezzi a quelli appena citati, anche se consapevoli di favorire un maggior inquinamento. L’altro dilemma è la mancanza di finanziamenti per la manutenzione delle strutture ferroviarie.

  

Questo è un problema europeo ed è stato studiato dal Greenpeace Europa centro-orientale (CEE) al Wuppertal Institut e al T3 Transportation Think Tank. La questione venne sollevata già nel 1995, quando vennero presi i primi impegni globali per ridurre le emissioni di gas serra. Da quell’anno, i Paesi europei hanno investito per ampliare e ripristinare la rete stradale il 66% in più di quanto abbiano speso per la rete ferroviaria. Si tratta di ben 1.500 miliardi di euro per le infrastrutture stradali e solo 930 miliardi di euro per quelle ferroviarie. Tale scelta, anche in maniera indiretta ha incentivato il trasporto privato quindi con automobili, furgoni e camion per il trasporto merci e ciclomotori. Mezzi che emettono rispettivamente 42, 68 e 72 g CO2/ Km.

     

Le ferrovie europee

Come conseguenza, dal 1995 sono stati costruiti più di 30 mila km di autostrade, mentre le ferrovie sono state ridotte del 6,5%. Tali processi hanno determinato una perdita complessiva di 15 mila km di linee ferroviarie, di cui:

  • 13 mila km di linee ferroviarie, maggiormente regionali
  • 600 fermate e stazioni di treni sono state chiuse penalizzando le comunità delle aree rurali.

Ovviamente l’Italia non presenta dati differenti da quelli europei. Secondo i dati, dal 1995 al 2018 il nostro Paese ha investito il 28% in più sulle strade che sulle ferrovie.

   

Le cifre? 151 miliardi per le prime e 118 miliardi di euro per le seconde. E per quanto riguarda le perdite? Dal 1995 sono state chiuse 40 linee ferroviarie per un totale di più di 1.800 chilometri, che sono facilmente ripristinabili perchè non smantellate. Tutte queste situazioni ovviamente fanno sì che le autostrade vengano usate maggiormente, creando i soliti ingorghi stradali che aumentano il livello di inquinamento. Contemporaneamente, le persone che vivono in aree rurali senza ferrovie, sono costrette ad usare le automobili per ogni spostamento.

   

Questa serie di azioni ha determinato un aumento delle emissioni nel settore dei trasporti, del 15% fra il 1995 e il 2019. Per tale motivo Greenpeace chiede ai governi europei, di spostare i finanziamenti dalla strada alla ferrovia. Così da migliorare le condizioni delle infrastrutture, potenziando quelle regionali e incentivare gli spostamenti con i mezzi pubblici.

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Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.

By : Aldo |Settembre 18, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Apple presenta il suo primo prodotto a emissioni zero.
Rachit Tank - Unsplash

Non è facile produrre un oggetto, un alimento o fornire un servizio senza avere un impatto sul pianeta, ma almeno ci si può provare. Apple da anni prova migliorarsi, ponendosi dei grandi obiettivi e mantenendo le sue promesse in fatto di sostenibilità, sorprendendo il mondo intero.

   

L’evento Apple

Ogni anno Apple organizza vari eventi per presentare i nuovi modelli dei suoi prodotti con tante novità in molteplici settori. Tuttavia, l’ultimo, tenutosi il 12 settembre ha segnato punto di svolta dell’azienda nel campo della sostenibilità. Durante l’evento infatti, si è parlato molto di un approccio “green” riferito non solo alla sede centrale e agli store ma anche ai nuovi modelli.

 

Il momento più alto della presentazione è stato la proiezione di un corto dove Octavia Spencer ricopriva il ruolo di una madre natura molto severa. Una figura diffidente rispetto le affermazioni dei dipendenti e del CEO Tim Cook, per quanto riguarda il loro impegno nella sostenibilità. L’attrice americana con la sua figura ha probabilmente espresso anche i dubbi di tante persone nel mondo. Questo sketch ha preceduto la comunicazione più importante dell’evento, ovvero Apple ha creato il suo primo prodotto 100% “carbon neutral”.

   

Apple Watch Series 9

Come ogni anno, sono state presentate le nuove caratteristiche del modello in questione: aggiornamenti, nuove tecnologie e funzioni. Effettivamente si tratta di un prodotto già consolidato nel mercato e quindi sarebbe potuto passare velocemente in cavalleria. Invece non è stato così, perchè Apple lo ha presentato come primo prodotto 100% “carbon neutral” dell’azienda. Un raggiungimento importante per la società di Cupertino, che da anni cerca di ridurre l’impatto delle sue attività, sul pianeta.

 

Questo è solo uno dei tanti obiettivi nell’ambito del piano Apple 2030, il quale prevede l’azzeramento totale delle emissioni per tutti i prodotti Apple.  É un programma che non riguarda la sola produzione ma l’intero ciclo di vita dei prodotti, e che dovrà concretizzarsi entro il 2030. Per tale motivo, questa volta, le iniziative ambientali non sono state delle idee marginali, quanto il tema principale della presentazione.

  

L’orologio “carbon neutral”

La domanda che ora si fanno tutti è: come fa un orologio ad essere “carbon neutral”? Apple ha spiegato tutti i processi con i quali è riuscita a eliminare le emissioni di carbonio per la produzione dell’Apple Watch Serie 9. L’azienda si è impegnata nel rendere ancora più sostenibili vari aspetti del prodotto, passando dalla moda alla meccanica, fino all’energia usata per la sua produzione.

    

La prima grande differenza sono i cinturini. Si parla di cinturini “FineWoven” composti per l’82% da fibre riciclate, eliminando completamente il cuoio (materiale ad alto impatto di CO2).  Questa scelta è stata allargata anche per le collezioni in collaborazione con Hermès, che produrrà cinturini da materiali riciclati a impatto zero.  Inoltre, anche il 100% dell’alluminio usato per la produzione è riciclato. Con tale piano, Apple è in grado di influenzare tante altre aziende e brand internazionali, non solo in un’ipotetica partnership, ma anche nelle loro attività quotidiane.

   

Un altro punto fondamentale è l’energia.

Già dal 2020 Apple ha raggiunto le emissioni zero per tutte le operazioni aziendali, dagli uffici agli Store e le altre attività che controlla direttamente. Questa volta invece si è soffermata anche nel processo di produzione del nuovo modello. Infatti, quest’anno tutta la produzione legata alla gamma è alimentata da energie rinnovabili. Bisogna specificare che questo vuol dire che il fabbisogno di potenza complessivo è completamente coperto da una fornitura equivalente di energie rinnovabili sulla rete. 

   

Nello stesso settore inseriamo anche la ricarica del dispositivo, poiché se si considerano i milioni di utenti, ha un impatto rilevante.  Pertanto, la società ha deciso di compensare tale problematica con l’immissione in rete di energia rinnovabile prodotta da impianti finanziati da Apple. Il piano è quello di immettere l’equivalente dell’elettricità necessaria per ricaricare un Watch durante tutto il ciclo di vita medio del prodotto. Per di più, nel modello esiste la funzione “Grid Forecast” che indica in quali momenti della giornata l’elettricità domestica arriva da fonti rinnovabili. (Per ora si tratta di una funzione tarata soltanto sulla rete statunitense).

  

Apple saluta gli aerei e torna al lento mondo delle navi.
L’azienda ha deciso di tornare alle navi da carico, per generare il 95% in meno di emissioni in meno rispetto al trasporto aereo. In tal modo rischia di avere dei tempi più lunghi di consegna o di stoccaggio nei magazzini, destabilizzando una grande certezza del brand. Ma sono proprio queste le scelte che fanno intendere quale sia la vera volontà della società. Pur di ridurre il proprio impatto, Apple rischia di impiegare più tempo nei trasporti, non garantendo la velocità che fino ad oggi l’ha contraddistinta. A supporto di tale scelta, è stato ottimizzato anche il packaging del prodotto. Grazie all’innovazione, la scatola sarà più compatta e leggera di un quinto a parità di peso e volume, contenendo così il 20% in più di prodotti.

   

Conclusioni

Apple sicuramente non manca di inventiva, tecnologie e finanziamenti per permettersi tali cambiamenti. Tuttavia non è scontato che un’azienda metta in discussione e cambi così tanti aspetti della propria produzione. Per quello che non può cambiare, l’azienda ha pensato di affidarsi a progetti di compensazione con enti quali:

  • Verra;
  • the Climate, Community & Biodiversity (CCB) Standard;
  • the Forest Stewardship Council (FSC).

Così facendo, Apple dovrebbe raggiungere tutti gli obiettivi del piano sviluppato nel 2015. Quest’ultimo prevede l’azzeramento di tutte le emissioni di CO2 per tutti i prodotti Apple e le attività aziendali.

È riuscita anche a convincere circa 300 fornitori, il 90% di quelli con cui lavora a utilizzare esclusivamente forniture di energia rinnovabile nei loro impianti. Questa è l’ennesima prova che con ricerca, attenzione, investimenti e il lavoro di squadra, si può cmabiare il mondo.

 

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Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.

By : Aldo |Settembre 14, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Biden cambia gli USA: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030.
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Gli Stati Uniti d’America sono una realtà capace di influenzare il mondo in modo rapido e intenso quasi in ogni settore. Un ambito in cui però non sono attenti come l’Europa è proprio quello ambientale e della sostenibilità, ma sembra stiano arrivando grandi cambiamenti anche per loro.

La scarsa sostenibilità degli USA

L’acronimo EPA sta per “Agenzia per la protezione dell’ambiente”, ovvero un ente statunitense che si occupa della protezione della salute umana e dell’ambiente. Si tratta di un’agenzia nata nel 1970 sotto il governo Nixon, guidata da un direttore che viene nominato dal presidente, poi confermato dal senato. Di certo nell’ultima decade, ha subito una serie di cambiamenti dettati dalla successione di presidenti con idee totalmente diverse. Soprattutto durante il mandato Trump, che ha creato non pochi problemi all’ambiente degli USA con nuove leggi, revoche di divieti e affermazioni poco veritiere.

Nei suoi 4 anni, il repubblicano ha intrapreso un grande percorso per ridurre precedenti regolamentazioni soprattutto ambientali. Tra queste ha sostituito il Clean Power Plan, ridefinito i termini critici ai sensi della Endangered Species Act. Inoltre, ha revocato i divieti di estrazione di petrolio e gas naturale, indebolito la Coal Ash Rule, che regola lo smaltimento dei rifiuti di carbone tossici. Per non parlare della revisione degli standard sul mercurio e sulle sostanze tossiche nell’aria. Il problema di tali mosse ricade sul fatto che il blocco o la revisione di certe leggi o regolamenti, ha fermato processi importanti (lunghi anni). Con l’arrivo di Biden, sembrava che l’America potesse proteggere seriamente la natura e la salute dei cittadini; ma è veramente così?

Inflation Reduction Act

Il cosiddetto IRA è un pacchetto di norme per stimolare l’economia e accelerare la transizione energetica. Si può descrivere come un disegno di legge che favorirà la riduzione del deficit per combattere l’inflazione, incrementando e diversificando le soluzioni climatiche.

Tenendo da parte l’economia, sembra che l’IRA possa portare a una riduzione delle emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Parliamo di un disegno di legge che dimostra l’importanza di avere un’ampia serie di soluzioni climatiche innovative per migliorare le strategie di decarbonizzazione. É fondamentale anche per raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni e per diventare un modello di politica climatica globale.  Senz’altro resta una azione strategica per mantenere e aumentare il consenso politico.

L’IRA, ormai è legge, sarà comunque seguita dal CATF (Clean Air Task Force) che collaborerà con responsabili politici, l’amministrazione presidenziale e le altre parti interessate. Questa integrazione consentirà un maggior controllo sull’implementazione, la localizzazione e la costruzione di infrastrutture per l’energia pulita e sulle nuove norme per la decarbonizzazione.

Questa legge prevede vari criteri e step quali:

  • Passi avanti trasformativi per ridurre le emissioni di metano;
  • Nuovi crediti d’imposta tecnologicamente neutri per i progetti che generano elettricità a zero emissioni di gas serra;
  • Potenziamento del credito d’imposta 45Q per incentivare la cattura, la rimozione, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio;
  • Credito d’imposta per la produzione di idrogeno per sostenere la leadership degli Stati Uniti nei carburanti a zero emissioni di carbonio;
  • Investimenti senza precedenti per la decarbonizzazione dei trasporti;
  • I crediti d’imposta specifici per l’energia nucleare e quelli neutri dal punto di vista tecnologico rafforzano il valore dell’energia nucleare;
  • Sostegno alle tecnologie geotermiche di nuova generazione, come energia superhot rock;
  • Investire in infrastrutture per l’energia pulita.

   

Gli studi dell’EPA

L’EPA (United States Environmental Protection Agency) ha quindi studiato in modo approfondito la questione, analizzando numeri e obiettivi. Secondo l’ente, l’IRA è un buon incentivo per un cambiamento sostanziale, ma non è abbastanza per er centrare gli obiettivi sul clima del decennio. Nonostante ciò, ci si avvicina molto. È stato calcolato che con tale programma si potrebbe abbattere tra il 49% e l’83% di emissioni legate alla generazione elettrica entro il 2030. Nello specifico i tagli più significativi sono correlati al settore dell’edilizia residenziale e commerciale, dell’industria e dei trasporti. Questo sarà possibile grazie agli investimenti (pari a 391 miliardi di dollari) pensati per incentivare l’utilizzo di energia pulita e delle rinnovabili.

Con tale manovra l’EPA calcola che le emissioni nazionali annue di CO2 degli Stati Uniti dovrebbero scendere, nel 2035, a 3,3 miliardi di tonnellate (Gt). Questa è una cifra sorprendente poiché segna l’equivalente di spegnere 214 centrali a carbone. Senza l’approvazione della nuova legge, non si sarebbe raggiunto lo stesso numero anzi, le emissioni avrebbero raggiunto i 4,1 Gt. Parliamo dunque di un dato che si avvicina molto agli obiettivi sul clima annunciati nel 2021, con almeno -50%, sempre rispetto ai livelli di gas serra del 2005. Tuttavia, c’è chi contesta anche questa legge, a causa di un’attenzione rivolta prevalentemente alla fascia economica e meno a quella legata alla sostenibilità.

Le contestazioni

Nonostante gli sforzi, i nuovi regolamenti e gli investimenti, c’è chi contesta le scelte del Presidente americano. Per quanto l’IRA possa essere un incentivo ai grandi cambiamenti, è legge criticata da molti e per molteplici aspetti.

Tra questi:

  • I lunghi tempi burocratici per ottenere i permessi per la costruzione degli impianti. Si parla di 5 anni per un parco solare e 7 per un parco eolico.
  • Ritardi nelle autorizzazioni con un conseguente l’abbandono dei progetti e quindi un aumento dei costi;
  • La necessità di più finanziamenti vista la rilevanza economica degli USA a livello globale;
  • La scelta delle aree per la costruzione dei parchi eolici e solari.
  • La probabile perdita di elettricità per il trasporto (per le aree sono lontane dal centro)

Inoltre, in molti ritengono che non ci sia un vero e proprio piano per difendere l’ambiente visti gli ultimi progetti approvati. Come il programma di Conocophilips, il più grande progetto di trivellazione petrolifera a Willow (Alaska) un’ampia area naturale indisturbata.

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Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.

By : Aldo |Settembre 12, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Nel futuro produrremo acqua dolce dalle fattorie verticali galleggianti.
Artiom Vallat - Unsplash

Le sfide per il futuro sono tante, diverse, ma tutte collegate, l’una con l’altra. Pertanto, è importante tenere in considerazione più ambiti nella ricerca e nello studio di nuovi prodotti o nuovi progetti.

La sfida dell’acqua dolce

La sfida dell’acqua dolce non è un concetto da correlare ad un futuro lontano, poiché c’è già chi combatte quotidianamente per averne una tanica.  Ad oggi sono 768 milioni (11%) le persone che nel mondo non ne hanno nemmeno il minimo necessario per la mera sopravvivenza. Inoltre, con il passare degli anni si prevede un continuo incremento della popolazione, quasi 10 miliardi entro il 2050, quindi aumenterà anche la domanda. Pertanto, i centri di ricerca lavorano costantemente per trovare le soluzioni più disparate per rimediare a tale problema.  

Il fatto è che l’acqua dolce non ci serve solo per bere, lavarci e lavare, ma è necessaria per l’agricoltura e migliaia processi di produzione. Tuttavia, al momento i maggiori serbatoi sono i ghiacciai, gli oceani e il sottosuolo, dai quali ne abbiamo una disponibilità diretta del 2,5%. Questo significa che, se la situazione non cambiasse ben 2,4 miliardi di persone potrebbero avere carenze idriche entro il 2050.

Per tale motivo sono stati inventati dei sistemi che facilitano la produzione di acqua dolce affiancati da ulteriori programmi legati alla sostenibilità.

Il progetto galleggiante

Per ridurre l’uso dell’acqua dolce legata all’agricoltura e rendere sostenibile ed efficiente una produzione agricola, sono stati inventati dei sistemi galleggianti. In questo caso, si può citare lo studio “An interfacial solar evaporation enabled autonomous double-layered vertical floating solar sea farm”. Si tratta di un lavoro svolto dalla University of South Australia e dalla Hubei University of Technology in China pubblicato su “Chemical Engineering Journal”.

Il progetto descritto in questo paper riguarda la cosiddetta “fattoria verticale galleggiante”. Si tratta di una struttura galleggiante nel quale si coltivano piante grazie all’acqua dolce ricavata dell’acqua di mare. Gli studiosi pensano sia un piano di enorme impatto e che possa portare soluzioni a questioni importanti quali:

  • La riduzione di emissioni di CO2 ;
  • Un minor utilizzo del suolo e quindi un minor inquinamento;
  • L’utilizzo di energie rinnovabili;
  • Una maggiore produzione di acqua dolce.

In sintesi, sarà una struttura autosufficiente, in grado di far evaporare l’acqua del mare per convertirla in acqua dolce. Così, sarà possibile organizzare delle coltivazioni “autonome”, ovvero che non hanno bisogno dell’intervento umano.

Come funziona?

In inglese “farm” in italiano “fattoria” ma non sono stati inclusi animali nel progetto di Haolan Xu e Gary Owens del Future Industries Institute.  Il loro prototipo è strutturato in 2 camere disposte in verticale, dove la superiore è una serra e in quella inferiore si raccoglie l’acqua. I due ricercatori hanno fatto degli esperimenti per provare l’efficienza della “fattoria”, coltivando 3 ortaggi sulla superficie dell’acqua di mare. La coltivazione non prevede l’aggiunta di acqua dolce e alcun tipo di manutenzione, mentre è supportata da un’alimentazione a energia solare.

Come accennato prima, i vantaggi di questa tecnologia sono molteplici e possono aiutare l’uomo come anche il pianeta. Un vantaggio rilevante è quello legato alla produzione di acqua potabile.  Infatti, la camera inferiore, consente la raccolta e l’evaporazione dell’acqua di mare, producendo acqua dolce con un processo automatizzato e a basso costo. Secondo le analisi, l’acqua riciclata prodotta dal dispositivo ha un tasso di salinità inferiore a quello prescritto per l’acqua potabile dalle linee guida sanitarie mondiali. Quindi, oltre a produrre cibo (con l’agricoltura) si potrà avere una quantità d’acqua potabile usufruibile per vari impieghi.

Simili

Senza dubbio questo non è il primo progetto che lega la coltivazione all’ambiente marino, oppure l’allevamento sul mare. Un esempio italiano è il Nemo’s Garden, delle biosfere galleggianti a 5-10 metri di profondità nella Baia di Noli, in Liguria. Ciascuna contiene 2.000 litri d’aria e sfrutta la combinazione di acqua fresca e luce calda solare, per una adeguata coltura idroponica.

Oppure a Rotterdam è stata costruita una fattoria galleggiante su una chiatta con quaranta vacche e settemila galline ovaiole. Il progetto è sostenibile per vari punti di vista come:

  • Abbeveramento: si usa l’acqua piovana, raccolta sul tetto e poi filtrata;
  • Nutrimento: vengono usati cereali provenienti da diversi birrifici, crusca dai mulini, erba dai campi sportivi e bucce di patate da un trasformatore. Tutti questi alimenti sono a “Km 0” o comunque si tratta di enti locali.
  • L’energia: è for è fornita da pannelli solari galleggianti.

Sicuramente non è facile creare delle strutture simili, per via della ricerca e lo studio che li precedono, la necessità di finanziamenti e di permessi burocratici. Ma, nonostante ciò, questi sono esperimenti che dimostrano che le soluzioni ai nostri problemi esistono, sono funzionali e non danneggiano l’ambiente.

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Nuovi reef e ostriche: rigenerare il mare con le sue stesse risorse.

By : Aldo |Settembre 11, 2023 |Arte sostenibile, Home, mare |Commenti disabilitati su Nuovi reef e ostriche: rigenerare il mare con le sue stesse risorse.
Hiroko Yoshii - Unsplash

Abbiamo già parlato di come la natura spesse volte si possa curare, rigenerare e recuperare attraverso le sue stesse risorse. Stavolta si tratta del mare e dei suoi abitanti, ma soprattutto di come possiamo sanificarlo con processi naturali e poco invasivi.

Le barriere coralline

Tutti abbiamo in mente un’immagine di una barriera corallina: solitamente si pensa ai coralli colorati, a pesci di varie specie, spugne ed altro. Effettivamente le barriere sarebbero così se non avessimo inquinato il mondo intero e quindi anche il mare, con un’azione diretta e negativa sulla loro salute. Le barriere coralline non sono solamente un elemento marino che crea un bel paesaggio. Si tratta di strutture che ospitano una biodiversità unica al mondo quindi proteggerle significa tutelare il patrimonio naturale ma anche altro. Un esempio sono le comunità che da esse dipendono sia economicamente che socialmente legate per l’appunto alla biodiversità che le abita. Precisamente ci sono centinaia di milioni di persone che grazie al coralligeno hanno un indotto economico e anche del cibo.

Le minacce e il pericolo

Nonostante abbia dei ruoli importanti come quello di nursery, di sink di carbonio e di centro di biodiversità, la barriera corallina è in grave pericolo. Il problema? Sempre lui, il cambiamento climatico (o potremmo dire l’uomo), che ha portato ad un “elevato rischio di estinzione” i coralli.  Questa situazione è scaturita da una serie di eventi correlati all’uomo, quali la pesca, la distruzione di habitat e l’inquinamento e l’innalzamento delle temperature.  

Per la velocità e l’intensità dei cambiamenti climatici è già prevista una perdita del 50% nei prossimi 30 anni.  Nello specifico, gli studi affermano che, con un aumento della temperatura di 1,5°C, potremmo perdere il 90% delle barriere coralline, con 2°C scomparirebbero totalmente.  Per comprendere bene quello che sta accadendo si può riportare un esempio pratico. Dal 2009 al 2019 le barriere hanno subito ripetuti ed estesi eventi di mortalità di massa, causando una riduzione delle aree del reef del 14%.

Si potrebbe pensare sia una cifra minima, ma in realtà rappresenta una perdita di superficie pari all’area totale coperta dalle barriere coralline australiane. Pertanto, ricercatori, biologi marini e ambientologi da anni studiano delle tecnologie per ripristinare questi habitat, la loro biodiversità, dunque le attività umane ad essi correlate.  

I nuovi reef

I progetti per cambiare rotta sono molteplici e tra i tanti possiamo descrivere uno particolare. Si tratta di un progetto di rigenerazione del mare parte dallo sviluppo di una specie di barriera corallina derivata dalle ostriche. Il piano prevede un arricchimento della biodiversità che determina importanti benefici socio-economici per il territorio in cui verrà sviluppato.  Il programma ideato dall’ENEA mira alla creazione di prototipi di reef, realizzati con scarti di allevamento dei molluschi quali gusci di militi e fibre naturali.

Ci sono invece altri programmi a livello internazionale che mirano alla rigenerazione del coralligeno per mezzo di una coltivazione di coralli. Si parla di aree sul substrato marino che accolgono delle strutture nelle quali sono disposti frammenti di coralli, che cresceranno con il tempo.

   
Le ostriche e L’ENEA

Il primo progetto citato ha come obiettivo quello di ripopolare con l’ostrica piatta europea il mare del Golfo di La Spezia. Si sviluppa in collaborazione con la Cooperativa Mitilicoltori Associati di La Spezia, rientrando anche nel progetto PNRR RAISE. Quest’ultimo (Robotics and AI for Socio-economic Empowerment) è un programma usato per consolidare l’innovazione ad alta vocazione tecnologica tra le filiere portanti dell’economia ligure.Prevede un budget di 120 milioni di euro a valere sulle risorse previste per il PNRR. In aggiunta il piano segue i principi della rete Native Oyster Network, un organo consultivo già attivo in altre nazioni come l’Irlanda e il Regno Unito.

E come se non bastasse, l’ENEA e la Cooperativa, sono parte di Smart Bay S. Teresa, un centro di ricerca specializzato negli ecosistemi calcificanti. È un laboratorio dedicato anche a tutto quello che concerne la rigenerazione dell’ambiente e delle aree portuali e la valorizzazione degli scarti dell’acquacoltura.

Perchè proprio l’ostrica piatta

La scelta di questa specie ovviamente non è casuale, anzi deriva dalla sua capacità di rigenerare gli ambienti marini e fornire altri servizi ecosistemici. Tra le varie azioni svolte dall’ostrica piatta si possono citare la regolazione del clima e il mantenimento della biodiversità. In più, essendo un filtratore aiuta a mantenere pulita l’acqua, senza dimenticare una delle sue funzioni più legata all’uomo, ossia l’essere fonte di cibo.

È un mollusco originario dell’Europa, che cresce lentamente e che può formare strutture molto simili ad una barriera corallina. Pertanto, è capace di creare un habitat adatto a pesci giovani (se non nursery), granchi, lumache di mare e spugne. Le capacità dell’ostrica erano già verso il 1900, purtroppo però Le attività costiere, l’impatto antropico e il cambiamento climatico ne hanno ridotto drasticamente la presenza.

Questo come tanti altri, sono progetti con un’ampio range di azione, proprio perchè legati all’ecologia e alla sostenibilità quindi, godono di una visione a 360°. Non a caso, si passa dall’azione di ripristino dell’habitat marino, ai vantaggi per l’intero mare, fino alle proprietà che favoriscono l’economia blu.

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Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?

By : Aldo |Settembre 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Il sughero non è una materia infinita e noi non lo ricicliamo. Perchè?
Clem Around The Corner - Unsplash

La raccolta differenziata e il corretto smaltimento dei materiali che usiamo quotidianamente, sono delle pratiche rilevanti per instaurare un’economia circolare. Eppure, sembra che non siano stati studiati metodi con cui riutilizzare delle materie prime pregiate: una di queste è il sughero.

Cos’è il sughero e come si estrae

Il sughero è un tessuto secondario che riveste il fusto e le radici delle piante fanerogame come la quercia da sughero o “sughera” (Quercus suber). Si tratta di alberi alti oltre 20 m che hanno un diametro di 1,5 m e sono diffusi in maniera limitata nel Mediterraneo occidentale.  Si trovano anche in Africa settentrionale, Portogallo, Spagna e in Italia, principalmente in Sardegna dove viene coltivata e poi in Toscana, Lazio e Sicilia.

Il processo di estrazione del sughero è diviso in 2 azioni simili, svolte a distanza di 10 anni l’una dall’altra. Infatti, la raccolta inizia quando il tronco ha una circonferenza di 30-40 cm, quindi più o meno dopo i 20 anni di età. In questa prima fase, detta “demaschiatura” (per via del nome dato al sughero vergine, “maschio” o sugherone) si praticano delle incisioni.  Queste servono per staccare con cura le strisce di scorza, senza rovinare il fellogeno, dal quale si ricava il nuovo sughero.

Dopodiché, si genererà annualmente un anello e 10 anni dopo la demaschiatura lo spessore sarà di 3cm e l’albero sarà pronto per l’estrazione del sughero. La sua asportazione procede dalla base del tronco verso l’alto, poi viene tolto ogni 9-12 anni, così l’albero resta produttivo e vive fino a 150-180 anni. Tale processo si svolge tra i primi di maggio e la fine di agosto, quando il materiale in esame si stacca più facilmente, lasciando sana la pianta.

Gli impieghi del sughero

Per le molteplici caratteristiche chimico-fisiche, il sughero può essere impiegato in vari ambiti. Tra le sue proprietà possiamo citare la resistenza al fuoco e all’usura, l’elasticità e l’isolamento (elettrico, termico e acustico). In aggiunta è inattaccabile da insetti e roditori ed è anche inodore, insapore, imputrescibile e non tossico.

Può essere usato in vari settori e in vari modi, per esempio;

  • È impiegato per la fabbricazione dei turaccioli: per la sua elasticità e di impermeabilità, grazie alle quali garantisce una chiusura ermetica delle bottiglie;
  • É utilizzato nell’industria farmaceutica e in quella cosmetica;
  • Lo troviamo ancora nella fabbricazione di solette e soprasuole per scarpe, rivestimenti isolanti, galleggianti per le reti da pesca, salvagenti, imballaggi per materiali fragili ecc;
  • Per la fabbricazione del linoleum e di agglomerati espansi, utili per l’isolamento termico e acustico degli ambienti.  

I tappi e il riciclo

I tappi di sughero sono dei prodotti di grande valore che potrebbero alimentare un grande settore dell’economia, incrementando un circolo di riciclo e riutilizzo rilevante. Solo in Italia ne vengono prodotti 1,2 miliardi all’anno e nel mondo sono almeno dieci volte tanti. Nonostante si tratti di un materiale recuperabile al 100% e non infinito, la loro vita finisce nel momento in cui viene stappata una bottiglia. In più la crescita del settore vinicolo, determina un aumento delle pressioni sui querceti, dunque, diventa necessario trovare rapidamente un sostituto a tale materia. Per questa ragione il riciclo dei tappi sarebbe necessario, se non urgente, ma come impostarlo?

Sicuramente la raccolta specifica di tappi, per il singolo cittadino e le attività ristorative sarebbe un buon inizio per cambiare il trend negativo. Già con un’attività simile, potremmo incentivare il risparmio di risorse naturali ed energia, dando nuova vita al sughero.  Per esempio, si potrebbero creare nuovi tappi, realizzare strati isolanti e fonoassorbenti che migliorano le prestazioni energetiche degli edifici o suole e tacchi per le scarpe. Un esempio è il progetto Recooper a Bologna o del Comune di Tradate (Lombardia) che dal dicembre 2022 hanno attivato un punto di raccolta pubblico.

Una seconda opzione è quella di finanziare progetti di consorzi specializzati nel recupero e nel corretto smaltimento del sughero. O ancora ci si può indirizzare verso il fai da te, come nel caso colosso del sughero Amorim Cork. L’azienda ha preso accordi con 45 onlus sul territorio nazionale per raccogliere tappi e trasformarli in oggetti di interior design.

Nel mondo

Nel mondo invece sono state sviluppate altre iniziative per il riciclo del sughero in generale. Un caso è quello di Seondong a Seoul, che ha stipulato un accordo con un’impresa di costruzione di impianti sportivi specializzata nel di riciclo del sughero. L’accordo prevede la partecipazione di ben 45 commercianti di vino che raccoglieranno i tappi inviandoli all’impresa, per la creazione di passaggi pedonali vicino all’ufficio distrettuale.

Oppure in Portogallo nel 2005 ha posizionato i primi contenitori per la raccolta differenziata dei tappi di sughero, anche presso gli esercizi commerciali. Non a caso il portogallo è il più grande produttore di sughero, seguito da Spagna, Algeria e Italia.

Il riciclo e il riutilizzo sono azioni basilari per una vita e un futuro sostenibile. Senza una buona pratica di tali processi, potrebbe essere difficile mantenere la qualità di certe materie prime o garantire le stesse quantità nei prossimi anni. Proprio per questo dovremmo basarci sempre più su un’economia circolare, perchè serve a noi tanto quanto al pianeta.

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Aumentano gli ordini di turbine eoliche nel 2023: raggiunti i 69 GW.

By : Aldo |Settembre 05, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Aumentano gli ordini di turbine eoliche nel 2023: raggiunti i 69 GW.
Thomas Reaubourg - Unsplash

Anche se siamo abituati a progetti mai portati a termine, programmi difficili da realizzare o pochi investimenti, sembra che nel mondo stia cambiando qualcosa. Un’impennata nell’eolico fa aprire gli occhi sulle sue potenzialità e sul suo potere tra le energie rinnovabili.

Il boost di ordini e di energie

Wood Mackenzie, è un gruppo globale di ricerca e consulenza che fornisce dati, analisi scritte e consulenze ai settori energetico, delle energie rinnovabili ed altro. Secondo la loro ultima analisi, gli ordini globali di aerogeneratori sono aumentati di molto nel primo semestre 2023, con una crescita del 12% su base annua. In soli sei mesi, gli ordini riguardanti i componenti delle pale eoliche sono aumentati a dismisura. Si tratta di un incremento della domanda del 12% rispetto al 2022.

Tale crescita ha consentito il raggiungimento di 69,5 gigawatt di attività, per un un valore di mercato di ben 40,5 miliardi di dollari. Questa tendenza è stata potenziata soprattutto dalla domanda della Cina e successivamente dall’attività di mercato del Nord America.

La Repubblica popolare cinese

Si può affermare con certezza che la Repubblica popolare della Cina sia la responsabile di più della metà degli ordini effettuati in sei mesi. Infatti da gennaio a giugno, la domanda di nuovi aerogeneratori è aumentata del 47%, toccando i 25 GW di attività. Così facendo, ha determinato più della metà degli ordini a livello globale.

Secondo i dati del Global Wind Energy Council di Bruxelles, resta il maggior produttore mondiale di energia eolica. Il gigante asiatico, infatti, rappresenta una quota del 60% sul mercato globale (2022), grazie al dominio delle sue aziende. Queste hanno consentito una crescita dal 37% che aveva nel 2018 all’attuale 57%. Non a caso, delle 15 maggiori compagnie al mondo impegnate nell’eolico, dieci sono cinesi, tra queste

  • Gold Wind: quota sul mercato globale pari al 13%
  • Envision (9%) quinta classificata con 9,7 GW;
  • Windey che ha toccato i 8,2 GW.
  • Mingyang Smart Energy (7%) a sesta

Il Nord America

Mentre il Nord America ha aumentato i suoi acquisti, raggiungendo un’attività di 7,7 GW, il quadruplo rispetto al primo semestre del 2022 (1,9 GW). In tal caso, questo incremento è dovuto all’Inflation Reduction Act, ossia un provvedimento statunitense che promuove il settore della transizione energetica. Tale iniziativa serve per favorire sia la produzione di auto che all’approvvigionamento dell’energia da parte di cittadini e aziende. Si tratta di un disegno di legge di spesa di grandi dimensioni che contemporaneamente attua due grandi iniziative. Una serve per combattere l’inflazione, l’altra consente di sviluppare soluzioni climatiche.

Una volta attuato, questo provvedimento dovrebbe ridurre le emissioni del 42% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Mentre per quanto riguarda l’inflazione, si potrà godere di una riduzione netta del deficit di 102 miliardi di dollari nel periodo 2022-2031. 

Questa legge prevede vari criteri e step quali:

  • Passi avanti trasformativi per ridurre le emissioni di metano;
  • Nuovi crediti d’imposta tecnologicamente neutri per i progetti che generano elettricità a zero emissioni di gas serra;
  • Potenziamento del credito d’imposta 45Q per incentivare la cattura, la rimozione, il trasporto e lo stoccaggio del carbonio;
  • Credito d’imposta per la produzione di idrogeno per sostenere la leadership degli Stati Uniti nei carburanti a zero emissioni di carbonio;
  • Investimenti senza precedenti per la decarbonizzazione dei trasporti;
  • I crediti d’imposta specifici per l’energia nucleare e quelli neutri dal punto di vista tecnologico rafforzano il valore dell’energia nucleare;
  • Sostegno alle tecnologie geotermiche di nuova generazione, come energia superhot rock;
  • Investire in infrastrutture per l’energia pulita.

L’eolico offshore

Oltre a questo, è aumentato anche il sotto-segmento dell’eolico offshore, dunque dell’eolico in mare. Anche per questo ambito sono aumentati gli ordini del 26% su base annua, sempre nel primo semestre dell’anno, decretando il record di 12 GW di attività.

Il mercato americano ha aumentato i suoi ordini che variano tra i 2,6 GW e 1,2 GW, favorendo in modo significante il mercato delle rinnovabili.  Tali investimenti sono fondamentali anche perchè nell’ultimo periodo molti accordi sono stati cancellati per mancanza di investimenti. In questo ambito, Siemens Gamesa ha ottenuto il primo posto nella capacità di nuovi ordini di turbine eoliche (5,9 GW) nel secondo trimestre.

In generale giro d’affari globale è stato di 25,3 miliardi dollari, nel secondo quadrimestre e di 40,5 miliardi di dollari (37 miliardi di euro) nei primi sei mesi. Il boost di domanda del Nord America e della Cina risolleva il mercato e favorisce la promozione dell’utilizzo di fonti rinnovabili. Tale situazione è fondamentale per cambiare l’andamento del mercato energetico in futuro; dunque, è un ottimo passo avanti per il settore “Green”

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Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.

By : Aldo |Agosto 31, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Google Maps si attiva per incrementare lo sviluppo del solare nel mondo.
henry perks - Unsplash

Lo sviluppo di nuovi strumenti, la ricerca di nuove tecnologie e la loro applicazione è spesso frutto di una collaborazione tra enti. Che si tratti di università, centri di sperimentazione, grandi brand o istituzioni, quando c’è cooperazione si arriva sicuramente ad un risultato migliore.

Google e le nuove API

Il gigante del web fa un altro passo in avanti per la società e per il mondo. L’azienda informatica statunitense nata nel 1998, continua i suoi studi e soprattutto resta aperta alle nuove sfide della sostenibilità. Google si muove per trovare il modo più opportuno di migliorare la vita delle persone e quella di Madre Terra con i mezzi che ha a disposizione. In questo caso, il colosso ha deciso di usare le tecnologie più avanzate del momento per poter creare delle mappe, molto importanti per l’uomo.

Si tratta delle nuove API di Google Maps Platform, che consentiranno agli sviluppatori di mappare facilmente le informazioni su energia solare, qualità dell’aria e pollini. Dove API sta per Application Programming Interface, ossia un insieme di procedure atte a risolvere uno specifico problema di comunicazione tra diversi computer o software. Dunque, Maps sarà in grado di comunicare con altri software per facilitare la localizzazione di determinate aree, utili ad ulteriori studi o a nuovi investimenti.

API Solar

L’attenzione alla mappatura solare inizia nel 2015 con il lancio di Project Sunroof, ideato per aiutare i cittadini a capire il “potenziale fotovoltaico” locale. Questo ovviamente è stato possibile alle immagini di Google Earth che danno una visione ampia e precisa di ogni zona del mondo richiesta. Il nuovo progetto si chiama API Solar e si basa proprio su questo primo programma, di cui sono state ampliate le funzionalità grazie all’intelligenza artificiale. L’IA è servita principalmente per fornire informazioni e approfondimenti più precisi rispetto a quelli pubblici o ai modelli 3D del satellite.

Il progetto funzionerà per via di un modello IA addestrato per estrapolare informazioni 3D sulla geometria di tetti e coperture. Tali informazioni saranno ricavate dalle immagini aeree di oltre 320 milioni di edifici in 40 Paesi, tra cui è presente anche l’Italia.

La sicurezza dei dati, pubblicati successivamente, è data anche dal fatto che lo strumento tiene conto anche di dati meteo storici o di costi energetici.

Il progetto, quindi, offre una serie di servizi e vantaggi divisibili in due fasce:

  • la prima consente di ottenere informazioni rapide sulla fattibilità solare (Building Insights): quantità di luce ricevuta, sistema di pannelli più efficiente;
  • la seconda invece fornisce maggiori dettagli per la progettazione dei sistemi solari (Data Layer): l’ombreggiatura presente nell’area o modelli digitali della superficie dei tetti.

Air Quality API

Oltre al progetto dedicato al fotovoltaico, Google promuoverà anche API Air Quality, un programma basato sul monitoraggio dell’aria. Si tratta di un sistema pensato specialmente per le aziende che possono comprendere in maniera più chiara i cambiamenti climatici e ambientali.  Con questo strumento, si possono effettuare analisi sulla qualità dell’aria con un indice su scala da 1 a 100. Il lancio in general availability comprende informazioni per oltre 100 Paesi.

Pollen API

Allo stesso modo, Pollen API rilascia previsioni giornaliere dei pollini con allegata una mappa di calore per le successive 96 ore. In questo caso le informazioni sui pollini sono molto specifiche: i dati riguardano pollini di vari tipi di vegetazione. Mostra informazioni riguardo ai pollini di alberi, e tiene conto di 15 diverse specie di piante, tra cui le graminacee, l’ontano, il frassino. Poi ancora la betulla, la cotonosa, l’olmo, il nocciolo, il cedro e cipresso giapponese, il ginepro, l’acero, la quercia, l’ulivo, il pino e l’ambrosia. Sarà lanciato in general availability nei prossimi mesi in 65 Paesi.

Google e le mappature

Grazie a tali tecnologie, Google venderà data set API sulle mappature solari, dell’aria e dei pollini alle aziende per valutare varie questioni.
Tra queste il loro potenziale fotovoltaico, l’inquinamento dell’aria, la sua temperatura e i movimenti dei pollini, fondamentali per la vita di tutti. Il database si costituirà su una base di oltre 320 milioni di edifici in oltre 40 paesi, per via dell’utilizzo dell’IA e del machine learning con dati ambientali.

Giorno dopo giorno diventa sempre più rilevante la cooperazione tra enti, la collaborazione tra centri di ricerca e imprenditori. Perchè se si uniscono le forze, si incontrano soluzioni che possono aiutare tante persone o almeno altri enti di studio per favorire lo sviluppo del mondo.

La sostenibilità è un melting pot di macroaree ed è proprio per questo che abbiamo bisogno di un melting pot anche nella fase di studio. Per migliorare il nostro impatto sulla Terra.  

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Il risparmio energetico non è mai stato così colorato: ecco le nuove vernici isolanti.

By : Aldo |Agosto 29, 2023 |Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Il risparmio energetico non è mai stato così colorato: ecco le nuove vernici isolanti.
micheile henderson - Unsplash

Chi ha detto che per risparmiare energia nel nostro condominio, bisogna rinunciare ai colori? Ma soprattutto, perchè possiamo usare solo il grigio per isolare termicamente degli ambienti? L’Università di Stanford ha trovato la risposta a tali quesiti e una soluzione per una sostenibilità a colori.

 

La ricerca di Stanford

Un gruppo di ingegneri della Stanford University dopo molteplici prove e ricerche è arrivato alla scoperta di una tecnologia che può migliorare i nostri edifici. Parliamo ancora una volta di risparmio energetico nell’ambito dell’edilizia, nello specifico, di prodotti di isolamento termico come le vernici. In particolare, la ricerca svolta nell’università americana, ha riscosso un grande successo, non solo per la tecnologia scoperta, ma anche per la qualità del prodotto.

Infatti, si tratta di nuove vernici isolanti, che differiscono da quelle esistenti per caratteristiche fisiche e visive. In concreto sono state introdotte delle pigmentazioni, in modo da isolare la superficie su cui vengono applicate le vernici, senza rinunciare ai colori.

Rivestimenti “Low-E”

Seppur le vernici isolanti siano un prodotto facile da usare e sono diffuse sul mercato dell’edilizia, vengono create per via di processi minuziosi e innovativi. Solitamente il materiale si compone di 2 strati che si applicano separatamente. Il primo, quello inferiore, riflettente gli IR (raggi infrarossi) grazie alle scaglie di alluminio che contiene. Mentre il secondo, il superiore, è uno strato più sottile e trasparente all’infrarosso che utilizza nanoparticelle inorganiche (che comprendono il colore). Una volta applicato il prodotto, i raggi infrarossi raggiungono lo strato inferiore e tornano indietro senza però arrivare ai materiali edilizi.

Per questo se si vuole isolare una stanza dal calore, la vernice isolante va applicata su facciate e tetti degli edifici. In tal modo si riduce di quasi il 21% l’energia necessaria per raffreddare gli interni in condizioni di caldo artificiale. Con le nuove vernici si può inoltre mantenere il calore all’interno, con la capacità di ridurre del 36% l’energia utilizzata per il riscaldamento degli ambienti. Tutto questo è possibile semplicemente applicando la vernice sulle pareti.

L’innovazione dei pigmenti aggiunti, consente di isolare termicamente un intero appartamento, senza dover rinunciare alla bellezza di una casa colorata. Si tiene a sottolineare questo punto perchè fino ad oggi, l’unico colore disponibile era il grigio scuro, oggi invece sono disponibili altre tonalità quali:

  • Bianco,
  • blu,
  • rosso,
  • giallo,
  • verde,
  • arancione,
  • viola
  • grigio scuro.    

Isolamento termico

Le caratteristiche di queste tinte sono molteplici, ma la più importante è la loro bassa emissività o elevata riflettanza. Tale proprietà consente l’assorbimento delle radiazioni termiche infrarosse, diventando un prodotto “Low-E”. Così, il materiale è capace di riflettere l’80% della luce del medio infrarosso insieme ad una piccola porzione del vicino infrarosso. Inoltre, le nuove vernici possono essere applicate anche su altre superfici non correlate all’edilizia. Infatti, secondo Mark Golden (uno degli studiosi), il prodotto potrebbe rivestire camion e vagoni ferroviari utilizzati per il trasporto refrigerato. Così facendo si ridurrebbero i costi di energia per i frigoriferi, i consumi e le emissioni di CO2.  O ancora potrebbero rivestire le pareti di ambienti umidi, vista la proprietà idrorepellente di entrambi gli strati.

L’Università ha già svolto delle simulazioni in condomini di media altezza e in diverse zone climatiche degli USA, rivestendo tetti, pareti interne ed esterne. Il risultato? I palazzi hanno consumato il 7,4% in meno di energia per riscaldamento, ventilazione e aria condizionata, durante l’anno. Una tale innovazione dimostra come, il mondo della ricerca sia sempre a lavoro per poter migliorare la vita dell’uomo e il suo impatto sulla Terra. Il cambiamento in esame sembra maggiormente una miglioria estetica, che tuttavia non è da sottovalutare. Perchè un palazzo colorato ha sicuramente più valore del solito condominio grigio o beige, soprattutto se quei colori sono la ragione di un ottimo di isolamento termico.

Infine, rendere semplice, un procedimento importante come questo, consente a molte più persone di optare per una soluzione green per la propria abitazione.

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E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?

By : Aldo |Agosto 28, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?
Marat Mazitov - UNsplash

La mobilità elettrica sta crescendo negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie ma anche per via di bonus e investimenti da parte dello Stato. Comunque nella “mobilità elettrica” sono inclusi oltre alle macchine, biciclette e monopattini elettrici che prendono sempre più consensi tra i cittadini.

Mukuta

Mukuta è il nome di un progetto all’avanguardia che unisce due ambiti rilevanti della sostenibilità, ossia l’energia e la mobilità.  Si tratta di un prototipo della società di e-moblity Splach, che ha da tempo altri prodotti sul mercato, tra cui e-scooter ed e-bike. Un monopattino elettrico unico nel suo genere grazie ad una considerevole innovazione e pensato per massimizzare la sua efficienza.

Il nuovo prodotto infatti è un mezzo di locomozione elettrico che può trasformarsi in una fonte di energia portatile per la ricarica di altri dispositivi. Il piano è quello di realizzare un sistema con batteria estraibile e “riutilizzabile”, come un power bank che possa alimentare eventualmente anche il veicolo stesso.   

Il monopattino in dettaglio

La società SPLACH, fondata tra Los Angeles e Taiwan, è impegnata nella ricerca di materiali, tecnologie e design che soddisfino le esigenze dei clienti.

Pertanto, il mezzo ha una serie di caratteristiche che descrivono l’alta qualità del prodotto:

  • telaio in lega di alluminio 6082-T6;
  • sopporta fino a 120 kg di peso;
  • robusti pneumatici airless;
  • doppia sospensione regolabile;
  • sistema di luci a LED (sia sul manubrio, sia ai lati della pedana per illuminare in sicurezza la strada e aumentare la visibilità);
  • freni a doppio disco;
  • E-ABS.

Presenta un doppio motore, che si combina per una potenza pari a 2.208 watt, che consente di raggiungere i 45 km/h in 5,9 secondi. Può essere guidato su strada o fuori strada ed affrontare pendenze del 40%.

Tuttavia, la parte più innovativa, il punto di forza di questo prodotto è la batteria (il sistema d’accumulo) da 748,8 Wh. Questa può fornire a Mukuta un’autonomia di 62km ad ogni ricarica, ma durante l’inattività del veicolo può essere utile per altro. Infatti, c’è la possibilità di rimuoverla ed usarla per ricaricare dispositivi e piccoli elettrodomestici, grazie al convertitore con 2 porte USB e una tipo C. Gli inventori hanno portato degli esempi concreti della potenza di tale batteria e delle due capacità. Per esempio, se fosse piena al 100%, potrebbe alimentare 11 volte un laptop, 56 uno smartphone e 14 un frullatore.

Investimenti

Un’altra particolarità alle spalle di Mukuta è la modalità con la quale hanno messo alla luce tale progetto. Si tratta della campagna Indiegogo, che la società ha attivato per finanziare la produzione del mezzo, che ora parte da un prezzo di 921 euro. Trattandosi di una società e non di un grande brand, il crowdfunding serve per poter raggiungere il miglior risultato possibile. Non a caso, nella descrizione vengono ringraziati i donatori e i clienti per la fiducia ma anche per l’attesa.

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Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?

By : Aldo |Agosto 21, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?
Kelli McClintoc - Unsplash

La sostenibilità dei packaging sembra migliorare giorno dopo giorno soprattutto grazie ai materiali scelti per la loro produzione. In questo caso, il concetto di sostenibilità non riguarda solo la materia di cui è composto l’imballaggio, ma anche il suo possibile riciclo.

Riciclo e sostenibilità

Riciclare è un’azione fondamentale nell’ambito della sostenibilità e quindi dell’economia circolare; pertanto, un occhio di riguardo al tema è sempre ben accetto. Dunque, parlando di packaging, si intende sostenibile un imballaggio monomateriale, poiché composto da una sola materia e quindi più facile da riciclare. Nonostante ciò, con i nuovi impianti e l’innovazione degli ultimi anni, anche dei prodotti multimateriali possono essere sostenibili.

Questo è possibile grazie allo studio di un prodotto (LCA), alle varie possibilità di riutilizzo e riciclo, ancor prima della sua produzione. Tale procedimento concerno lo studio dei materiali coinvolti, le loro combinazioni e i sistemi presenti per il loro riciclo.

Imballaggi monomateriale

Si definisce un imballaggio monomateriale, quando è composto da una sola materia. Questo tipo di prodotti si scompongono facilmente, pertanto sono si riciclano in modo semplice. Solitamente gli imballaggi sono fatti di 3 materiali quali carta o cartone, vetro e plastica (di vario tipo). Tali materie sono usate in molteplici modi , ma una volta arrivati nel centro di riciclo, subiscono delle modifiche e dei processi diversi.

La carta: è composta da pasta di legno (cellulosa), per cui si tratta di un materiale facilmente riciclabile. Tuttavia, questa affermazione sarà vera solo nel caso in cui non venga trattata con certi prodotti quali rivestimenti, laminati, vernici o inchiostri particolari. In questo caso la carta non sarà riciclabile anche se monomateriale, poiché per riportarla allo stato naturale sono necessari processi chimici specifici o troppo dispendiosi.

Il vetro: è costituito totalmente da silice, ricavata dalla sabbia. Per questo è facile da riciclare e non a caso ha uno dei più alti tassi di riciclo tra gli imballaggi. Attraverso processi semplici, si consente la creazione di nuovi prodotti, senza perdere qualità o purezza del materiale. In questo modo il vetro risulta un tipo di imballaggio altamente sostenibile.

 

La plastica: essendo un polimero, può essere di vari tipi, con caratteristiche chimico-fisiche diverse che determinano un utilizzo differente. Tra i monomateriali correlati alla plastica abbiamo:

  • polipropilene (PP) un polimero termoplastico, dotato di grande durabilità, resistenza al calore e all’umidità oltre ad essere un materiale duttile. È diffuso come packaging per yogurt, tappi per bottiglie per bevande, flaconi per medicinali e pellicole.
  • polietilene (PE) è una resina termoplastica, non polare, parzialmente cristallina usata per prodotti leggeri ma resistenti. Per esempio, con il PE si creano sacchetti per la spesa e per il congelatore, pellicole termoretraibili, pluriball e bottiglie di plastica.
  • polietilene tereftalato (PET) è un materiale riciclabile al 100%, adatto al contatto alimentare. È il terzo esempio di monomateriale che può essere riciclato e trasformato in nuovi prodotti come abbigliamento, moquette o anche nuove bottiglie. Purtoppo però, scarseggiano le infrastrutture adeguate al suo riciclo che presenta un basso tasso.

Imballaggi multimateriale

Gli imballaggi multimateriale invece, sono tutti quei prodotti che sono composti da più di un materiale. In genere la scelta di un multimateriale ricade sulle caratteristiche del packaging, ossia una maggiore sicurezza alimentare, delle migliori caratteristiche fisiche ecc.

Infatti, un imballaggio di questo tipo spesso offre una maggiore resistenza, durata o funzionalità come quella dei poliaccoppiati. Un secondo tipo di multimateriale potrebbe essere una bottiglia di vetro con tappo in plastica ed etichetta di carta. In questo caso il riciclo avviene in maniera corretta se tutti i componenti vengono divisi in modo adeguato.

Nonostante ciò, a volte i multimateriali sono difficili da riciclare, poiché risulta complesso il processo di separazione dei loro componenti. Spesso risultano anche poco sostenibili visto che necessitano di processi chimici per tali procedure e per il riciclo.

Un packaging sostenibile

Come precisato nei paragrafi precedenti però, anche i prodotti multimateriali possono essere sostenibili, se creati con opportuni materiali e con tecniche all’avanguardia. Per esempio, ci sono tipi di cartone realizzati in combinazione con carta, plastica e alluminio che possono essere riciclate con processi specifici. Il processo prevede la separazione e il recupero di ogni materiale presente nel prodotto. O ancora si possono usare dei materiali biodegradabili o compostabili che abbiano tutte le caratteristiche necessarie all’imballaggio, sostituendo così le classiche plastiche.

Infine, esistono nuove tecnologie che supportano il riciclo meccanico (il più sostenibile perchè privo di processi chimici), in un processo definito riciclaggio avanzato. Quest’ultimo se usato in modo complementare permette di dare una seconda vita agli imballaggi multimateriale, scomponendoli in materie prime. In tal caso questa tecnologia consente il riuso di materie ancora in ottimo stato, quasi come materie vergini. Di conseguenza si riducono i rifiuti, le emissioni e si incrementa il mercato del riciclo, quindi l’economia circolare.

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Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.
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L’Unione Europea spesso è nominata come una delle realtà più virtuose al mondo in termini di sostenibilità. Sicuramente questa qualità è dettata da fondi e bandi pubblicati per nuovi progetti volti alla salvaguardia del pianeta e al miglioramento della vita di tutti.

Intelligent Cities Challenge

Quando la transizione ecologica chiama, l’Europa, di solito risponde con bandi e finanziamenti per migliorare la vita su questo pianeta. Negli ultimi anni sono state indette molteplici gare e bandi per investimenti volti al miglioramento delle azioni ritenute necessarie per contrastare il cambiamento climatico. Tra le decine di programmi pensati per le città europee e la loro trasformazione verde, si nomina anche l’ Intelligent Cities Challenge.

Si tratta, come riportato nel nome, di una sfida che vede come protagonisti, le migliori tecnologie per la formazione di smart cities e tanto altro. Il bando scaduto il 31 maggio 2023, sostiene le città europee selezionate, nella transizione verde e digitale grazie a strumenti e conoscenze all’avanguardia.

Edizione 2023-2025

Per l’edizione 2023-2025 hanno partecipato 64 città europee, selezionate per favorire la crescita dell’ecosistema smart city e applicare sui luoghi e le città i principi del Local Green Deals. Il piano prevede che ogni territorio scelto, potrà usufruire di due anni di consulenza strategica da esperti internazionali su vari filoni tematici classificabili in 3 punti:

  • costruzioni e ambiente edificato
  • energia e rinnovabili;
  • mobilità e trasporti.

Questi sono i settori chiave delle città che hanno un alto grado di influenza locale, mentre quelli secondari sono

  • turismo;
  • piccole e locali vendite al dettaglio;
  • agroalimentare;
  • tessile;
  • settore creativo culturale.

O ancora, ambiti come economia verde, digitalizzazione della pubblica amministrazione, transizione verde e digitale del turismo, resilienza delle catene di approvvigionamento locale, riqualificazione dei territori. A ciascuna città partecipante sarà chiesto di attuare un Green Deal locale e una serie di azioni concrete per adottare economie più resilienti e sostenibili.

Le scelte dell’Italia

Il bando ha selezionato ben 9 centri urbani italiani, che si troveranno in prima linea per la transizione digitale e verde. Catania, Firenze, Busto Arsizio, Campobasso, Legnano, Mantova, Pescara, Rete Svezia Emilia-Romagna e l’Unione dei Comuni della Grecia Salentina sono le città scelte dalla Comunità europea.

Queste dovranno lavorare efficacemente di modo da attuare azioni per rendere le città sempre più intelligenti, sicure e sostenibili. In concreto, l’obiettivo è quello di sfruttare a pieno le potenzialità che le tecnologie possono avere sui centri urbani. Tutto questo per migliorare la qualità di vita dei cittadini, la competitività economica e la resilienza sociale.

Tra le 9 città italiane spicca il progetto di Mantova, considerato ambizioso per i suoi obiettivi e la situazione da cui parte.

Il calcolatore di emissioni

Mantova ha presentato un progetto basato sul monitoraggio delle concentrazioni di CO2, per mezzo dell’intelligenza artificiale. É un piano che riguarderà tutti i settori economici e amministrativi del centro urbano, così da poterlo trasformare in una smart city. Il progetto però parte dall’EUCityCalc, un programma europeo che ha visto Mantova tra le 10 città pilota per implementare il primo European City Calcolator. Si tratta di un software open source che fornisce una visione completa (o ampia) dei livelli di inquinamento settore per settore.  In tal modo si possono studiare misure che possono essere impiegate per neutralizzare le emissioni e risanare la salubrità dell’atmosfera.

Non a caso, il piano è stato proposto da quello che è considerato come uno tra i più inquinati d’Europa. Inoltre, l’obiettivo prefissato è quello di diventare carbon neutral entro il 2030; dunque Mantova si presenta all’Unione Europea come una città super ambiziosa. Il super calcolatore di emissioni, è supportato dalla tecnologia open source. In questo modo può raccogliere in autonomia e in tempo reale i dati sulle concentrazioni di anidride carbonica che arrivano va vari settori rilevanti. Tra questi citiamo ovviamente trasporti, industria, agricoltura, edilizia, che creano un’immagine completa del livello di inquinamento del territorio.

In questo caso, il progetto è supportato dall’Alleanza territoriale Carbon Neutrality, una rete composta da soggetti pubblici e privati impegnati nell’abbattimento delle emissioni. Si occupano anche della creazione di comunità energetiche, dell’incremento della forestazione e del verde urbano, dell’efficientamento energetico degli edifici anche del centro storico. Questo non è il primo e non sarà l’ultimo caso, in cui si parla della centralità delle tecnologie per un futuro migliore. Attualmente il potere del mondo digitale è talmente forte che, se usato bene può essere una delle nostre migliori risorse per contrastare il cambiamento climatico. Senza dubbio servono finanziamenti adeguati a sviluppare certi sistemi e impianti, ma di sicuro non mancano le idee e gli studi.  

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È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare |Commenti disabilitati su È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?
Federico Beccari - UNsplash

Le energie rinnovabili non sono più un tabù, ce ne sono molteplici e si sviluppano in vari ambiti. Spesso si parla anche dell’energia idroelettrica e dell’offshore, ma in pochi ricordano l’esistenza dell’energia termica oceanica.

Energia talassotermica

È una fonte affidabile e costante di energia rinnovabile, più rispettosa dell’ambiente rispetto alle fonti energetiche tradizionali. Nasce come una risorsa di energia che non distruggesse l’ambiente che la produce o la possiede ed è legata al mare e agli oceani del mondo.

Energia termica oceanica, talassotermica o mareotermica, questi sono i termini che la definiscono, oltre alla sigla OTEC che sta per Ocean Thermal Eneegy Conversion. Quest’ultima comprende l’apparato inerente, l’impianto dedicato alla produzione di energia.  Tale fonte usufruisce delle diverse temperature misurabili tra i vari livelli di mari e oceani (ossia tra la superficie e le profondità). Questa è la sua più importante caratteristica, una peculiarità che la rende completamente differente dalle altre rinnovabili. 

Il primo a studiarla fu l’ingegnere francese Jacques Arsene d’Arsonval, mentre il suo allievo George Claude costruì la prima stazione. Questo discreto successo risale al 1881, dopodiché non si sentì più parlare di tale tecnologia, fino agli anni ’70.  Il Giappone in quel periodo costruì degli impianti con una potenza di circa 120 kW nelle isole Hawaii, dove ancora oggi è utilizzato questo meccanismo.

Come funziona

La tecnologia alla base dell’energia talassotermica è sviluppata sulla differenza delle temperature che esistono tra i diversi livelli di oceani e mari. Si tratta di un prototipo che può generare elettricità 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, senza emissioni di CO2. Tale variazione (o “gradiente termico”) determina la produzione di una buona quantità di energia. Per esempio, per 60 Km2 di mare esposto al sole, si può produrre tanta energia quanto quella fornita da 250 miliardi di barili di petrolio. * 

Ma come funziona un OTEC? Un impianto per l’energia talassotermica è attivo grazie ad un ciclo chiuso, aperto o ibrido a seconda della tecnologia scelta.

  • Ciclo chiuso: l’acqua calda consente l’evaporazione di un liquido interno, creando un aumento di pressione che fa girare una turbina collegata ad un generatore. Successivamente l’acqua fredda permette di ricominciare il ciclo da capo, quando l’ammoniaca (il liquido interno) torna allo stato liquido.
  • Ciclo aperto: in questo caso, il liquido utilizzato è la stessa acqua calda, che viene espulsa una volta desalinizzata e raffreddata alla fine del processo.
  • Ciclo ibrido: mescola i due cicli in modo efficace; pertanto, risulta il più complesso.

In generale sia l’acqua calda raffreddata, che l’acqua fredda riscaldata, vengono scaricate nell’oceano dopo essere passate attraverso gli scambiatori di calore. Per far sì che un OTEC funzioni è necessario un gap di temperatura di almeno 20°C tra le profondità delle acque e la loro superficie. Tra i vantaggi di tale tecnologia, si riscontra la capacità di poter contribuire all’alimentazione elettrica di base grazie ad una disponibilità stabile e costante. Questo perchè il suo potenziale è molto più elevato di altre forme di energia oceanica. Addirittura, si potrebbero produrre fino 10.000 TWh /anno di elettricità con l’OTEC, senza danneggiare la struttura dell’oceano. Di certo, questo valore è raggiungibile solamente in alcune aree, come per esempio quelle tropicali, dove il gradiente termico è maggiore di 20°C durante tutto l’anno.

Un secondo ed importante vantaggio è la sua multifunzionalità: un OTEC può essere integrato nella dissalazione dell’acqua, nella sua produzione o in quella dell’aria fredda.

*(Stime del National renewable energy laboratory – Nrel)

La situazione odierna

Oggi nel mondo esistono vari impianti in attività, alcuni dei quali sono esclusivamente delle installazioni dimostrative. Come è stato già riportato, il Giappone possiede degli impianti; attualmente conta due OTEC sperimentali da 30 e 100 kW. Tuttavia, ne sta ultimando un terzo da 1 MW di potenza. 

Altre installazioni attive si trovano nell’isola della Reunion (da 15 kW) e nelle Hawaii (da 105 kW) connesse alla rete elettrica. I progetti però non sono finiti qui perchè ne sono stati pianificati altri in India, Bahamas, Filippine, Maldive e Sri Lanka.

Tra questi è presente anche il progetto di ricerca europeo denominato PLOTEC, finanziato con oltre 1 milione di euro dall’Unione Europea. Il programma prevede la pianificazione di una piattaforma in grado di resistere agli effetti meteorologici estremi degli oceani tropicali.  Tale progetto ha l’obiettivo di definire un modello di costo accessibile per quei luoghi e una convalida del sistema in scala reale.

Sicuramente delle strutture simili avranno bisogno di maggiori manutenzioni a causa dell’azione dell’acqua e del sale disciolto in essa. Pertanto l’Università delle Hawaii e dal Pacific International Center for High Technology Research ha rilasciato dei dati per quanto riguardano i costi dell’impianto. La stima per un OTEC di 5MW va dagli 80 ai 100 milioni di dollari in cinque anni.

Ovviamente sono installazioni esposte a molti rischi ed è per questo che finora gli investimenti sono stati indirizzati altrove. Purtroppo, non c’è un ampio margine di manovra, d’altro canto si possono migliorare quotidianamente le caratteristiche di un OTEC, soprattutto se possono portare ulteriori benefici.

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WAFX 2023: smart building, innovazione e sostenibilità.

By : Aldo |Agosto 10, 2023 |Emissioni |Commenti disabilitati su WAFX 2023: smart building, innovazione e sostenibilità.
Marc-Olivier Jodoin - Unsplash

Gli anni passano e le tecnologie migliorano sempre più, tanto da istituire premi per le nuove invenzioni, architetture o nuovi strumenti. Tutto ciò aumenta il proprio valore soprattutto quando tali innovazioni vengono applicate all’ambito della sostenibilità.  

World Architecture Festival

Il WAFX (World Architecture Festival) è nato per premiare tutti quei progetti che utilizzano nel modo migliore design e archittettura per affrontare grandi tematiche.  Tra queste, la salute, i cambiamenti climatici, la tecnologia, l’etica e i valori: tutti settori specifici che accolgono progetti super innovativi. I vincitori sono scelti tra la grande lista di candidati del WAF Future Projects, per via del giudizio di una giuria qualificata.  Saranno votati più vincitori per categoria e poi durante l’evento finale verrà decretato il primo premio in assoluto, scelto tra i capifila di ogni settore. Dunque, il premio “edificio più innovativo del 2023” sarà eletto durante il WAFX di Singapore, in programma dal 29 novembre al 1° dicembre.

Le proposte dei candidati sono tra le più varie e innovative. Si tratta di idee internazionali che cercano di risolvere solo alcune delle grandi sfide urgenti a livello mondiale.  Non a caso il direttore del World Architecture Festival, Paul Finch dichiara:

Pensare a futuri migliori è parte integrante del programma del World Architecture Festival. Siamo lieti della quantità e della qualità dei progetti che affrontano i maggiori problemi del mondo e li affrontano in modo davvero costruttivo.

Le categorie

Le categorie che differenziano i progetti sono molteplici, tra queste si indicano:

  • invecchiamento e salute,
  • tecnologia degli edifici,
  • carbonio clima ed energia,
  • identità culturale,
  • etica e valori,
  • riutilizzo,
  • smart city e acqua.

DI seguito analizziamo alcune delle proposte vincenti dell’anno 2023.

Invecchiamento e salute

Dubai Healthcare City di Kalbod Studio.

L’idea è nata guardando al futuro, con l’obiettivo di fornire un complesso multifunzionale centrato sui servizi medici. Si tratta di una struttura sviluppata con un approccio digitale, un’architettura sostenibile attenta alle esigenze future della città di Dubai. É a tutti gli effetti un complesso sanitario galleggiante multifunzionale che fonde tecnologia all’avanguardia e design sostenibile.

Tecnologia di costruzione

The Bamboo Leaf – Chongzhou Bamboo Weaving Intangible Cultural Heritage Exhibition Hall.

Questo progetto situato a Chongzhou (in Cina) si trova all’incrocio tra la strada turistica del lago Bai Ta e la zona panoramica del fiume Qimu. Dunque, nell’area a nord si trova la Chongzhou Bamboo Weaving Intangible Cultural Heritage Exhibition Hall, a sud la pista ciclabile lungo il fiume Qimu. L’intera struttura si fonde perfettamente con l’ambiente naturale circostante vista la sua forma, ossia quella di una foglia di bambù che cade. Il tutto è costruito con bambù coltivato e raccolto localmente e lavorato con le migliori tecnologie per l’accertarne la sicurezza dello stabile.

Il bambù rappresenta il patrimonio culturale di Chongzhou, quindi con il progetto si raggiunge una certa armonia tra spirito interiore e forma esterna. Così si offre una piattaforma per mostrare le possibilità e la bellezza della campagna locale. 

Carbonio clima ed energia

The Probiotic Tower, Cairo by Design and More International.

In questo caso, l’idea nasce al Cairo, dove si riutilizzano le torri d’acqua in disuso per affrontare positivamente il cambiamento climatico. La proposta è quella di usare il loro grande bioreattore di alghe che assorbe CO2 da fonti locali nel quartiere ospitante e quindi ridurre le emissioni. Inoltre, grazie all’assorbimento, forma biocarburante per gli abitanti. Tutto ciò è possibile anche grazie alla piantagione di bambù in loco e pannelli di facciata con alghe per assorbire CO2.

Riutilizzo 

Rethinking Oil Rigs – Offshore Data Centres

Con tale progetto, si ripensano le piattaforme petrolifere e si trasformano in data center offshore grazie ad Arup. La proposta è coerente con l’andamento della sostenibilità: se in un futuro non servirà più petrolio, alora le petrolifere potrebbero servire ad altro. I cavi in fibra di telecomunicazione che scorrono lungo il fondo del Mare del Nord, consentono il loro riutilizzo. L’idea è quella di centri alimentati da rinnovabili quali eolico, onde di marea e impianti energetici basati sul moto marino. Solo il Mare del Nord ha oltre 500 piattaforme, da smantellare entro il 2050, al costo di 51 miliardi di sterline. Tuttavia, il 15% potrebbe essere riutilizzato per la cattura del carbonio

Insomma, il  WAFX offre infiniti progetti straordinari consultabili nel sito web dell’iniziativa. E proprio grazie a tali idee e proposte si capisce che di certo, al mondo non mancano tecnologie e menti  capaci di salvarci e salvare la nostra Terra.

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Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

By : Aldo |Agosto 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi |Commenti disabilitati su Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?
Natalya Letunova - Unsplash

Dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, una transizione energetica è la cosa più importante da attuare. Tuttavia, nuovi sistemi, tecnologie e legislazioni devono essere introdotti e utilizzati per poter portare ad una nuova stabilità energetica il Paese.

La flessibilità energetica

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia con il termine flessibilità energetica si intende:

la capacità di un sistema elettrico di gestire in modo affidabile, economico la variabilità e l’incertezza di domanda e offerta in tutte le scale temporali rilevanti.

Ossia dal breve termine alla scala stagionale.

É la capacità di una risorsa di modificare il livello di immissione e /o consumo di energia ad un valore scelto. Che sia di un singolo impianto o di un aggregato, ha lo scopo di fornire il servizio richiesto dall’operatore del sistema elettrico.  

Di norma, i sistemi energetici sono programmati per gestire in maniera efficace, le modifiche per via di incertezza e variabilità. La flessibilità esiste dal momento in cui è necessario regolare quotidianamente l’elettricità immessa nel sistema, per far combaciare sempre offerta e domanda. Questo sarà possibile con la modifica della programmazione produttiva richiesta alle centrali termoelettriche convenzionali e idroelettriche.

Il problema della “non programmabili”

Il problema della flessibilità è che crescerà il suo bisogno quindi la domanda, ma diminuirà la sua offerta: vediamo come. La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità. Peccato che proprio per le loro caratteristiche, la disponibilità di flessibilità sarà ridotto ampiamente.  Perchè questo tipo di sistemi sono discontinui e dunque rendono difficile il lavoro dell’operatore, di assicurare in ogni istante il bilanciamento tra produzione e consumi. La loro rigidità però non dipende esclusivamente da vincoli tecnici, ma anche economici.

Infatti, in casi come le centrali nucleari, sono presenti sistemi che non possono modulare velocemente la loro produzione in base al fabbisogno. E spesso, gli alti costi previsti, non rendono conveniente farli funzionare in maniera discontinua.

Perciò, in futuro sarà necessario un aumento dei requisiti di flessibilità del sistema elettrico, in modo da bilanciare domanda e offerta, grazie a delle soluzioni.

Le risposte alla domanda

A tal quesito, non vi è una sola soluzione, bensì sono favorite 4 classi di risorse divise in base alla posizione nella filiera elettrica. Quindi per mantenere l’equilibrio della rete servono:

  • lato domanda: comprende mezzi che influenzano modelli e entità dei consumi finali. Si chiamano programmi di demand response, i quali consentono di ridurre/aumentare i propri consumi rispetto le esigenze del mercato. Inoltre, in cambio di questa disponibilità, si può ricevere una remunerazione; azione attuabile anche dai cittadini. È consentita con la programmazione di ricarica di veicoli elettrici, carichi spostabili, pompe di calore e impianti di climatizzazione.
    Rilevante in questo settore è anche il V2X, (vehicle-to-everything), ossia le moderne tecnologie che permettono alle batterie dei veicoli elettrici, di funzionare in modo bidirezionale;
  • lato offerta: con misure e tecnologie si può modulare l’offerta delle unità di produzione elettrica. In questo ambito rientrano le centrali elettriche dispacciabili (turbine a gas, centrali elettriche a carbone/biomasse, impianti a gas a ciclo combinato, centrali idroelettriche);
  • lato rete: comprende interventi come la digitalizzazione o l’abilitazione di linee dinamiche o di interconnector;
  • altre fonti di flessibilità: includono lo stoccaggio stazionario (idroelettrico a pompaggi, volani, accumulo elettrochimico, accumulo a idrogeno). Le UVAM, Unità Virtuali Abilitate Miste.

Il futuro delle rinnovabili

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità, secondo i nuovi studi. Il rapporto indicato è il “Flexibility requirements and the role of storage in future European power systems”, e dimostra le analisi svolte nel campo. Lo studio manifesta che il primo grande problema di tale requisito sono proprio le energie rinnovabili non programmabili. Queste sono destinate a crescere in maniera esponenziale, ma la loro natura intermittente e il carico residuo, determinano un’esigenza di flessibilità, in aumento.

Analogamente cambia la domanda poiché gli utenti stessi saranno attivi al mercato dell’energia grazie a veicoli elettrici, batterie su piccola scala, comunità rinnovabili e autoconsumo diffuso. E il fabbisogno cambierà giorno per giorno. Inoltre, il Centro comune di Ricerca della Commissione Europea ha condotto uno studio per valutare i requisiti e le soluzioni di flessibilità nel sistema energetico. Il periodo di riferimento usato, per cui si necessita tale caratteristica è il ventennio 2030-2050.  

L’analisi sviluppata è stata pubblicata nel rapporto “Requisiti di flessibilità e ruolo dello stoccaggio nei futuri sistemi energetici europei”. Questa dimostra una grande crescita per la rete europea: nel 2030 l’esigenza di flessibilità sarà raddoppiata, nel 2050 sarà 7 volte quella attuale. I requisiti invece saliranno al 25% nel 2030, e raggiungeranno l’80% nel 2050.

È fondamentale anche ripartire i risultati a livello temporale, collegandoli alla produzione. Il risultato descrive la correlazione di una maggiore esigenza flessibilità giornaliera e la quota di produzione fotovoltaica. Al contrario i requisiti settimanali e mensili sono legati alla quota di produzione eolica (onshore e offshore).

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PNACC e PNRR: come l’Italia affronta il cambiamento climatico?

By : Aldo |Agosto 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su PNACC e PNRR: come l’Italia affronta il cambiamento climatico?
Michele Bitetto - Unsplash

Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici. In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.

Il PNACC

PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi. Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.

Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.

Il PNRR

Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU). Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:

  • rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
  • favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.

Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;

Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.

Cosa sta succedendo?

Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro. Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?

Critiche

Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai. Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:

  • 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
  • 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
  • 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli). Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.  

Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé. Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica).


Quando in realtà servivano per altro come:

  • lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
  • Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
  • Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
  • Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
  • Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
  • Impianti di rinnovabili (675 milioni);
  • Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
  • Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).

     

Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato. È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.

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Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

By : Aldo |Agosto 03, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.
Mathieu Stern - Unsplash

Ambiente, salute, economia, politica sono macroaree che spesso non possono essere divise l’una dall’altra. Soprattutto in questi ultimi anni, in cui crisi economica e climatica influenzano sempre più le nostre vite e il nostro futuro.

I fenomeni degli ultimi giorni

Nelle ultime settimane l’Italia è stata colpita da eventi estremi quali grandine sparata a 150km/h (grande come palline da tennis) e ampi incendi al sud. Tali fenomeni hanno destato non poche preoccupazioni tra chi ha vissuto in prima persona quelle anomalie e chi le ha seguite da lontano. Gli effetti di eventi straordinari, così intensi ma soprattutto così diversi in un territorio che si estende per 1200 km, lasciano tutti (o almeno molti) a bocca aperta.   Tuttavia, l’Italia non è l’unico stato colpito da tali fenomeni in questi ultimi mesi, vedi la Grecia, l’India, il Giappone. Pertanto, è fondamentale ricordare che tal fenomeni recano danni non solo all’ambiente ma anche alle nostre vite. Ma di recente è aumentata la loro l’influenza anche nel settore economico.

L’influenza silenziosa nell’economia

L’economia troppe volte viene considerata come una realtà lontana e distaccata da tutte le altre macroaree che regolano il mondo. Così facendo, ci dimentichiamo di vivere in un pianeta completamente connesso sotto ogni punto di vista. Trattare i soldi senza tener conto dei cambiamenti climatici, nel 2023, rappresenta solo l’ennesima azione errata dell’uomo.

Questo perchè tutto quello che succede impatta per forza di cose anche l’economia. Per esempio, con l’alluvione in Emilia-Romagna, sono andati persi gran parte dei raccolti, sono state danneggiate industrie, edifici, intere città. Così è stata colpita l’economia poiché, il costo di un prodotto aumenta a causa di una minore disponibilità di produzione causata dal cambiamento climatico negativo.  Senza contare poi i danni fisici degli immobili che determinano ulteriori spese per società ed industrie. Tale situazione è stata analizzata dall’ l’associazione Consumerismo No Profit che ha studiato l’inflazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi. Quest’ultima non deriva solo dalla guerra ma anche da tutti i fenomeni che stanno modificando la nostra Terra.

Secondo il rapporto, dalla crisi climatica è scaturito un aumento di 4,7 miliardi di euro l’anno per la spesa degli italiani. Quindi l’inflazione climatica costa 246 € l’anno ad una famiglia con 2 figli solo per cibi e bevande (+3,2% dei prezzi al dettaglio). A questi si aggiungono 110€ annui per i costi del raffrescamento dettati dalle ondate di calore e aumentando le bollette (già care da 2 anni).Senza dimenticare poi, l’inflazione legata al ciclo economico che nel 2021 toccava +1,9%, mentre a giugno del 2023 era del +6,4%. Dunque, gli impatti comportano un aumento dei costi generali influenzando a loro volta i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico.

L’impatto nascosto

Nonostante quello che è accaduto negli ultimi mesi e i cambiamenti degli ultimi anni, c’è ancora una grande parte di popolazione che volta lo sguardo altrove. La risposta si trova osservando i grandi avvenimenti degli ultimi 10, 20 anni che hanno determinato rilevanti modifiche del sistema. Le guerre, la pandemia, le crisi economiche, sono eventi che recano gravi danni ad elevate quantità di persone (o a tutto il mondo). Per di più avvengono in una linea temporale simile per tutti; dunque, sono eventi tangibili che allarmano tutti nello stesso momento.

Al contrario i cambiamenti climatici si sviluppano nel tempo, determinando “piccole” modifiche dell’ambiente, anno dopo anno.  Di conseguenza, consente di estraniarsi in modo facile e veloce da quello che accade intorno a noi, pensando al maltempo, oppure delle disgrazie della vita. Inoltre, non viene preso così tanto in considerazione perchè non si bada al quadro completo dei danni che crea. Infatti, i pericoli ambientali, che ci riguarderanno sempre in prima persona, non sono gli unici che dobbiamo tenere sotto controllo.  

In conclusione, per affrontare questa “inflazione climatica”, è fondamentale scegliere delle politiche opportune (per ogni settore) di mitigazione e adattamento. Questo è possibile con investimenti nella ricerca, nelle nuove tecnologie e nella sostenibilità, nella formazione e sensibilizzazione dei cittadini del mondo.

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Treviso in finale per l’European Green Capital e Green Leaf Award.

By : Aldo |Agosto 01, 2023 |Emissioni |Commenti disabilitati su Treviso in finale per l’European Green Capital e Green Leaf Award.
Leonhard Niederwimmer - Unsplash

Le pratiche sostenibili attuate nelle città sono sempre di più e derivano da una grande volontà di aiutare il pianeta e noi stessi. Spesso migliorano la nostra vita e tuttavia possono essere degli importanti requisiti per la partecipazione a bandi, gare e per la vincita di importanti premi.

   

European Green Capital Award

L’ European Green Capital Award o anche (premio Capitale verde europea) nasce nel 2006 durante un incontro dell’Unione europea a Tallinn. L’obiettivo è quello di premiare una città europea che si è impegnata nel realizzare ambiziosi obiettivi per la salvaguardia ambientale e lo sviluppo economico sostenibile. L’idea nasce dal sindaco di Tallinn Jüri Ratas e da un gruppo di 15 città europee che insieme hanno firmato un memorandum per l’istituzione del premio.

Quest’ultimo è rivolto alle città dell’Unione europea, di uno stato candidato all’ingresso nell’UE, oppure di Norvegia, Svizzera, Liechtenstein e Islanda.  Si tratta di centri urbani con almeno 100.000 abitanti e che abbiano sviluppato delle capacità precise nell’ambito “green”. Pertanto, la città candidata deve dimostrare:

  • Capacità di raggiungere obiettivi notevoli in fatto di tutela ambientale;
  • Impegno nel raggiungere obiettivi permanenti e ambiziosi per migliorare l’ambiente e incentivare lo sviluppo sostenibile;
  • Saper fungere da modello per altre città che vogliano intraprendere buone pratiche ambientali.

Successivamente, una giuria internazionale, valuta i candidati sulla base dei seguenti indicatori:

  • Gestione delle acque,
  • Gestione dei rifiuti ed economia circolare,
  • Qualità dell’aria,
  • Biodiversità, aree verdi e uso sostenibile del suolo,
  • Mitigazione del cambiamento climatico,
  • Adattamento ai cambiamenti climatici,
  • Mobilità urbana sostenibile,
  • Inquinamento acustico,
  • Crescita verde e innovazione tecnologica sostenibile,
  • Prestazioni energetiche.

European Green Leaf Award

L’ European Green Leaf Award non è altro che una versione simile al primo premio, ed è stato istituito nel 2015 dalla Commissione europea.  Dato il successo della gara originaria, la secodna venne creata per premiare tutte le città europee tra i 20.000 e i 100.000 abitanti. Nonostante ciò, come il Capital Award, si premiano i centri urbani che si distinguono per buone pratiche di sostenibilità ambientale. In questo caso i 3 obiettivi del premio sono:

  • Riconoscere le città che dimostrano una buona reputazione ambientale e l’impegno a generare crescita verde;
  • Incoraggiare le città a sviluppare attivamente la consapevolezza e il coinvolgimento ambientale dei cittadini;
  • Identificare le città in grado di agire come un “ambasciatore verde” e incoraggiare altre città a progredire verso risultati di sostenibilità migliori.   

Il premio 2023 e 2025

Il prossimo appuntamento sarà a Tallinn, l’attuale European Green Capital 2023, il 5 ottobre, per la premiazione finale e l’elezione della Capitale Verde del 2025. Mentre Valencia si è aggiudicata il premio 2024. Delle 10 città selezionate per partecipare alla gara del 2025, sono arrivate in finale solo Graz (Austria), Guimarães (Portogallo) e Vilnius (Lituania).  Tuttavia, l’Italia riesce a conquistare la finale dell’European Green Leaf Award grazie a Treviso, in sfida con la città spagnola Viladecans.

Nonostante ciò, il Belpaese aveva partecipato con 2 capoluoghi di provincia quali Brescia, Novara e il capoluogo sardo Cagliari, che non hanno passato il turno. Il premio riguarda una somma del valore di 600.000 euro ed include ulteriori benefici che escludono il denaro in sé.  Infatti i vincitori godranno di una grande visibilità che permetterà di incrementare il turismo e i servizi, efficientando i sistemi urbani.

Senz’altro tutti i progressi sviluppati a livello ambientale energetico e sociale migliorano la qualità della vita dei cittadini. Questo permette l’aumento di produttività che favorisce anche l’accesso privilegiato ai Fondi europei, nazionali o regionali, alle città vincitrici.

L’istituzione di questi premi accentua l’attenzione sulle possibili soluzioni urbane necessarie per la cura dell’ambiente e anche per una pianificazione urbana lungimirante. Soprattutto si valutano le possibilità di adattamento ai cambiamenti climatici, una capacità fondamentale per il futuro ma troppo spesso dimenticata.

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Lidl previene lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.

By : Aldo |Luglio 31, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Lidl previene lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.
Jas Min - Unsplash

Sono tante le realtà nel mondo che promuovo iniziative per ridurre la produzione di rifiuti, con l’obiettivo di dare un nuovo valore a tali prodotti. Purtoppo il settore alimentare, resta un ambito nel quale si scartano tonnellate di cibo solamente perchè non rispetta gli standard estetici del mercato. Proprio per tale ragione si parla di nuove attività per far fronte a questo problema.

Il “sacchetto antispreco”

Negli ultimi anni sono stati messi in atto molteplici programmi per la riduzione dello spreco alimentare anche in Italia. I metodi scelti sono di vario tipo, tra cui si possono elencare applicazioni, offerte dei supermercati o collaborazione con enti sociali del territorio. Proprio la catena di supermercati Lidl ha sviluppato un ottimo progetto a riguardo.

Il “sacchetto antispreco” è il piano attivo da luglio 2023 che mira al recupero di frutta e verdura invendute. Questi pezzi restano solitamente in negozio perchè non belli oppure per difetti del loro packaging, ma ancora freschi e buoni per la consumazione. Gli obiettivi di tale programma sono molteplici ma rispettano i criteri di sostenibilità che sono fondamentali ora più che mai nella nostra società.

 

I vantaggi sostenibili

Sicuramente grazie a questa idea, si riduce la mole di rifiuti della catena, si rispetta l’ambiente e si creano vantaggi economici per tutti. I “sacchetti” sono preparati quotidianamente dal personale del punto vendita, a seconda disponibilità giornaliera di prodotti ortofrutticoli brutti ma buoni.  Di solito, queste buste di ortaggi sono posizionate nello spazio che si trova dietro le casse, in modo da invogliare i consumatori ad acquistarli.

Quindi nei negozi della Lidl sono disponibili sacchi da 4 kg di frutta e verdura, al prezzo fisso di 3 euro. In questo modo guadagna sia il supermercato che il cliente, come? Il primo crea guadagno da prodotti che solitamente avrebbe buttato, mentre il consumatore, prende ad un prezzo irrisorio una grande quantità di prodotti risparmiando.

Tale programma rientra nel progetto Too Good To Waste, lanciato sempre da Lidl nel 2019, che prevede sconti su prodotti vicini alla data di scadenza.  Anche grazie a questi affari si incentiva la vendita di alimenti che andrebbero buttati, abbattendo così lo spreco alimentare.

Insieme alla Fondazione Banco Alimentare

Non si ferma qui la lotta allo spreco alimentare della grande catena; infatti, già da tempo vanta una solida collaborazione con un importante ONLUS italiana. “Oltre il carrello – Lidl contro lo spreco” è il nome della collaborazione tra Lidl e la Fondazione Banco Alimentare. Grazie a tale iniziativa sono state recuperate più di 31mila tonnellate di cibo, diventate 62 milioni di pasti donati a persone bisognose.

Nel 2017 è stato creato un team di lavoro interfunzionale per sviluppare un processo idoneo alla donazione delle eccedenze alimentari a Banco Alimentare. Nel 2018 è stata avviata la cooperazione che prevede un ritiro praticamente giornaliero degli alimenti da distribuire nel territorio. Così facendo si aiuta anche il settore sociale, poiché i pasti creati con tali alimenti, vengono distribuiti nei centri caritativi in tutta Italia. Questo è un impegno tangibile che rafforza ulteriormente il legame del brand con il territorio.

La sostenibilità di Lidl

La catena di supermercati tedesca, ora diffusa in tutta Europa, sembra essere molto attenta alla sostenibilità.  La sua ottica antispreco ha reso possibile una grande ottimizzazione dei processi di ordine, stoccaggio e rotazione della merce.

In aggiunta all’impegno nei programmi appena descritti, la società si occupa anche di sensibilizzare i suoi clienti sui temi della cura dell’ambiente. Infine partecipa ad iniziative e collaborazioni con REset Plastic, Science Based Target, UN Global Impact, ABIO, PizzAut, la fondazione Umberto Veronesi e la Croce Rossa Italiana.

Dall’alimentare al sociale, dall’acqua al tessile, fino alla ricerca, la catena di supermercati, è molto attenta all’ambiente. Con ben 730 punti vendita in Italia punta a migliorarsi sempre più, rendendo positivo il suo impatto nel mondo giorno dopo giorno.

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OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.

By : Aldo |Luglio 23, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su OVS si riconferma leadear nel Fashion Transparency Index.
Alyssa Strohmann - Unsplash

Spesso si parla dei brand legati alla moda e ci si domanda quali siano i loro impegni nel campo della sostenibilità. Tali quesiti sono cresciuti soprattutto con il passare degli anni e in relazione alle nuove inchieste nel campo tessile.

OVS primeggia nella moda

OVS la società d’abbigliamento italiana (dall’acronimo Organizzazione Vendite Speciali), primeggia per il terzo anno di fila nel Fashion Transparency Index. Il brand si trova al primo posto, tra i 250 principali brand e retailer di moda al mondo, per la terza volta consecutiva. Il premio rappresenta in toto l’impegno della società nel campo della sostenibilità e quindi il suo investimento in un futuro migliore.

OVS si occupa dell’industria tessile e di tutto quello che concerne la loro produzione, sviluppando al contempo progetti anche nel sociale. Perciò ha raggiunto un grande risultato, valutato sulla base di molteplici criteri che spaziano dall’amministrazione alla produzione, fino alla comunicazione delle loro azioni.

Fashion Transparency Index 2023

Per quanto si parli di fast fashion, grandi merche e alta moda, bisogna soffermarsi sulla definizione del Fashion Transparency Index. È un’indagine condotta annualmente su 250 fra i più grandi brand o rivenditori di moda e lusso, classificati in base alla loro trasparenza in vari temi. Tra questi i diritti umani, le politiche ambientali, l’impatto delle loro attività a partire dalla filiera, includenco 2 dei pilastri della sostenibilità: ambiente società.

Inoltre, si guarda anche alle pratiche di acquisto e al monitoraggio delle attività produttive per l’attivazione di azioni di miglioramento. Nel 2023 OVS si posiziona al primo posto del Fashion Transparency Index con un punteggio dell’83% grazie ai miglioramenti in quattro dei cinque ambiti analizzati. Ovvero Policy and Commitments, riguardanti l’accessibilità delle policy aziendali rispetto la sostenibilità e la descrizione dei processi aziendali a supporto.

Mentre Governance, Know, show and fix, Spotlight issues valutano la chiarezza nel raccontare le azioni attivate in risposta ai fattori di rischio ambientali e sociali. Inoltre, il gruppo ha incluso dati correlati alle emissioni di CO2 e all’utilizzo di acqua dei fornitori e dichiarato obiettivi destinati a supportare i lavoratori. Ha per giunta condiviso i piani di intervento con cui ha affrontato alcune criticità nella catena di fornitura. L’indice descritto è un’idea del movimento Fashion Revolution di cui abbiamo già parlato nell’articolo sul “Bonus riparazione tessile”.

OVS e i suoi impegni

OVS è comunque molto impegnata nel campo sostenibile per via di molteplici progetti volti al miglioramento dell’azienda stessa e degli effetti che comporta all’ambiente. Non a caso da anni monitora tutti gli aspetti del suo business attraverso strumenti di tracciabilità e processi di controllo.

Per esempio, nel 2021 il gruppo ha pubblicato il piano di decarbonizzazione che prevede un’ulteriore riduzione del 46,2% di emissioni di CO2 entro il 2030. In aggiunta ha comunicato tutti i dati relativi alla performance ambientale e sociale della catena di fornitura. É comprensibile quanto la trasparenza sia una un concetto fondamentale nella strategia di sostenibilità del gruppo, per accelerare il miglioramento anche dei suoi impatti. Se non altro è importante anche nei confronti della responsabilità che ha nei confronti degli stakeholder, visto anche la posizione da leader del mercato.

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Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.

By : Aldo |Luglio 22, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Comieco: aumenta la differenziata e calano i consumi di carta e cartone.
Nareeta Martin - Unsplash

La raccolta differenziata resta uno dei temi principali se si parla di sostenibilità ed economia circolare. In Italia continua ad essere un problema in alcune città e una virtù per altre, ma sicuramente negli anni, la situazione sta migliorando.

Il Rapporto Comieco

Il Comieco ha presentato recentemente il 28° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone, annunciando notizie positive per il settore. Infatti, sembra che la raccolta differenziata della carta in Italia, stia migliorando sempre più anche se a piccoli passi.  Stando ai dati dell’analisi, la differenziazione dei rifiuti cartacei ammonta a 3 milioni 600 mila tonnellate, con una media nazionale pro-capite di oltre 61 kg.

Tale risultato descrive senza dubbio un miglioramento delle abitudini dei cittadini e anche ad una maggiore attenzione dei produttori agli imballaggi. Atteggiamenti virtuosi che possono effettivamente portare ad un cambiamento, pratico ma anche ideologico e d’immagine del Belpaese. Non a caso proprio grazie alla sensibilizzazione dei cittadini e ai loro comportamenti, gli imballaggi in carta e cartone che hanno superato l’81% di riciclo. Questa una cifra importante poiché conferma il superamento degli obiettivi europei al 2025 e il progressivo avvicinamento ai target fissati per il 2030.

La crescita nelle regioni

Il Comieco detiene 972 convenzioni con 6.840 Comuni o loro gestori all’interno dell’Accordo Quadro Anci-Conai, pertanto, presenta studi complessivi della situazione italiana da 25 anni. Così è stato redatto un rapporto con cifre specifiche per ogni regione, descrivendo una situazione più o meno omogenea del Paese. Ovviamente non mancano eccezioni positive e negative, ma di certo si registra una tendenza crescente.

I dati riportano un +0,4% al Nord, ossia 8 mila tonnellate in più rispetto al 2021, con Valle d’Aosta, Lombardia ed Emilia-Romagna in crescita. Il loro ottimo lavoro compensa però il calo di Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige, mentre Friuli-Venezia Giulia e Liguria restano stabili. Meglio il centro, che con +0,5% determina un aumento di 4 mila tonnellate per merito di Toscana e Umbria che portano a +12 mila tonnellate. Anche qui, Marche e Lazio non sono riuscite a migliorare anche a causa dei gravi problemi presenti a Roma.

Il sud invece sovrasta tutti con il suo +0,8% registra un aumento di quasi 8 mila tonnellate: la Campania resta stabile. Calano invece Sardegna e Abruzzo al contrario delle altre regioni che crescono ad un ottimo ritmo. Tuttavia, il caso meridionale, rappresenta una grande possibilità di sviluppo e di grande crescita del settore. Questo perchè proprio nel sud è disponibile oltre il 50% delle 800 mila tonnellate di carta e cartone che si stima finiscano ancora nell’indifferenziato.

C’è da dire anche, che spesso sono le grandi città ad ampliare le dinamiche nazionali, visti i numeri di abitanti che le contraddistinguono. Si pensi che solo i grandi agglomerati urbani rappresentano il 13% di tutti gli italiani e producono 4 milioni circa di tonnellate di rifiuti annui. Di questi vengono raccolti 1 milione e 800 mila tonnellate, di cui 500 mila sono di carta e cartone (esattamente il 14%).

Il contesto storico

La crescita positiva del campo è determinata anche da vari fattori dipesi da eventi che ultimamente hanno cambiato l’assetto del pianeta. Dapprima la pandemia, seguita dalla guerra in Ucraina e l’intensificazione del cambiamento climatico. Sono questi gli eventi che hanno modificato in modo diverso il nostro mondo e che continueranno a farlo. Perciò i loro effetti sono stati tenuti in considerazione anche nella redazione del 28° Rapporto Comieco, proprio per spiegare meglio le differenze con gli anni precedenti.

In primo luogo, stiamo vivendo una crisi economica per cui sono calati gli acquisti e di conseguenza anche la produzione di rifiuti. Nonostante ciò, tale fenomeno non ha inciso sui volumi di raccolta differenziata della carta e del cartone.  È più probabile che la cosiddetta “policrisi”, abbia ridotto la produzione di rifiuti di un milione di tonnellate. Precisamente sembra che calo degli acquisti alimentari abbia inciso sulle vendite di imballaggi in carta e cartone.

Il Comieco, parte integrante dell’ente Conai, ha descritto con il suo studio annuale, una nuova realtà. L’Italia in questo settore, riesce a raggiungere gli obiettivi europei grazie ai comportamenti sostenibili dei cittadini e una migliore amministrazione.   Sicuramente con controlli precisi e una continua formazione degli abitanti di ogni città, le cose potranno solo migliorare. Tuttavia, è fondamentale che a capo della gestione dei rifiuti ci sia un’organizzazione adeguata ed efficiente. In questo modo da non vanificare tutti gli sforzi e le azioni positive della popolazione.

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Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.

By : Aldo |Luglio 20, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Gardaland è il primo parco divertimenti in Italia certificato “Rifiuti Zero”.
Matt Bowden - Unsplash

Come noto, l’economia circolare non si limita ad un solo settore o ad un solo tipo di ente. La circolarità è una caratteristica applicabile in ogni ambito e per la prima volta se ne parla in relazione ad un parco divertimenti.

Gardaland a Rifiuti Zero

Gardaland Resort di recente è diventato il primo parco divertimenti italiano a ottenere la certificazione “Rifiuti Zero”.  Una grande realtà con 200 dipendenti fissi e i 1.500 stagionali che non delude mai le aspettative di grandi e bambini.

Il parco situato in provincia di Verona è la seconda attrazione turistica dell’Italia per numero di biglietti venduti, superata solo dal Colosseo. È a tutti gli effetti è il sesto parco europeo per numero di visitatori: 2.950.000 nel 2022.

La sua rilevanza nel territorio italiano è indiscutibile e pertanto, la sua certificazione “Rifiuti Zero” determina un ottimo progresso verso un futuro sostenibile. Se non altro, rappresenta un modello per gli altri parchi tematici, divertimenti, che possono prendere spunto per migliorarsi.

La sostenibilità del Resort

Gardaland è stato certificato come primo parco divertimenti italiano a “Rifiuti Zero” grazie al lavoro dell’intera azienda e della scrupolosa indagine di AENOR. Già dal 2019, il Parco era riuscito nell’impresa di azzerare la plastica monouso a favore di materiali compostabili e biodegradabili all’interno dei punti ristorazione. Un cambio rilevante poiché la plastica monouso è diffusa per la sua comodità, quindi più agevole anche con i bambini che frequentano il parco. Ma non si parla solo della plastica: l’azienda ha puntato molto sulla raccolta differenziata, all’interno di tutto il Resort potenziando i processi circolari. In più, l’ente si è occupato di investire in una loro gestione virtuosa.

La determinazione dell’azienda è stata possibile grazie al coinvolgimento di tutto l’entourage che con piccole azioni ha cambiato totalmente abitudini quotidiane o automatiche. Pertanto, nel 2022, il parco ha raggiunto il traguardo del 93,4% di rifiuti valorizzati sul totale dei rifiuti prodotti. In questo modo, il gruppo ha contribuito allo sviluppo di nuove iniziative sostenibili, con operazioni di recupero e di economia circolare.

Inoltre, ha adottato un approccio ottimizzato nella gestione dei rifiuti indifferenziati, destinandoli a impianti di selezione e cernita. Ovvero, con tale procedimento si massimizza il recupero delle risorse. Questa iniziativa mira a massimizzare l’ammontare di rifiuti, riducendo quasi completamente la quantità di materiale destinato alle discariche. In aggiunta, l’attività descritta ha permesso anche la collaborazione con una Cooperativa Sociale. Grazie al suo coinvolgimento è nato un progetto per il riutilizzo delle divise dismesse e la loro integrazione nel mercato equo solidale.

AENOR e la certificazione

La certificazione del Gardaland Resort è arrivata per mezzo di un’attenta e scrupolosa analisi di AENOR. Tale azienda è tra i 10 dieci enti certificatori internazionali più importanti al mondo ed è riconosciuta in ben 90 paesi. L’ente si occupa principalmente di individuare e certificare le aziende capaci di gestire in modo virtuoso i rifiuti, massimizzando le azioni di prevenzione e recupero.

Nel caso specifico, l’organizzazione ha valutato ogni documento per qualsiasi passaggio della filiera correlata alla gestione dei rifiuti, comprendendo ciascun settore e attività del parco. Tra questi i rifiuti derivanti da negozi e uffici, che comprendevano scarti alimentari indumenti, scarti dei negozi come giocattoli rotti, pile, carta e cartone. Senza dubbio una valutazione così importante, per un parco divertimenti, attira l’attenzione su un nuovo ambito. Gardaland così diventa un modello per tutte le aziende del settore sia italiano che europeo.

Soprattutto perchè un parco di quel genere è a tutti gli effetti una piccola città. Include edifici abitabili, bagni, ristoranti, veicoli, negozi e uffici amministrativi. Dunque, non sarebbe assurdo pensare che anche tali realtà si impegnino (per quanto possibile) nel raggiungimento di obiettivi sostenibili di vario tipo.

La riduzione delle loro emissioni potrebbe essere la prossima meta?

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Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e i primi dati.

By : Aldo |Luglio 19, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Decreto Aree Idonee Rinnovabili: arriva la bozza e i primi dati.
Mikhail Pavstyuk - Unsplash

La transizione ecologica non è un’ipotesi, ma la soluzione, una delle più importanti per poter (almeno) rallentare il cambiamento climatico. Al suo interno, la transizione energetica è ugualmente fondamentale, proprio per poter ridurre le emissioni di CO2 dall’atmosfera.

Il decreto

Giovedì 13 luglio è stato trasmesso il decreto alla valutazione della Conferenza Unificata. Si parla di un decreto atteso da più di un anno, necessario per portare avanti la transizione energetica italiana. L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante il Question Time alla Camera.

Il testo è rilevante per la determinazione di criteri e obiettivi in merito all’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile. Inoltre, serve per quantificare l’ipotetica potenza che l’Italia potrebbe raggiungere grazie a maggiori fonti “green” attivando pratiche ferme da anni.

La bozza presenta anche il cosiddetto “burden sharing” ossia gli obiettivi minimi da raggiungere nel rispetto dell’obiettivo nazionale al 2030. Con l’impegno di tutti e l’aiuto delle nuove tecnologie si compiranno impegni fissati dal PNIEC derivanti dall’attuazione del pacchetto “Fit for 55”. Senz’altro si risponde anche ai requisiti del pacchetto “Repower UE”.

Pratiche e potenza

È previsto che le 19 regioni e le due Province autonome di Trento e Bolzano dovranno spartirsi gli 80 GW di nuova capacità rinnovabile. Questa è attesa per la fine del decennio e sarà ripartita in porzioni diverse a seconda delle caratteristiche di ogni regione. Così facendo il piano aiuterà a velocizzare e semplificare la realizzazione dei grandi impianti fotovoltaici ed eolici in Italia. Per fare ciò, serve appunto un testo che spieghi come un’area possa essere considerata o meno “idonea” all’installazione di FER.

Per quanto riportato nel decreto ad ogni territorio è stata assegnata una potenza minima da raggiungere ogni anno dal 2023 al 2030. Precisamente la Sicilia dovrà installare 10,3 GW di rinnovabili, la Lombardia 8,6 GW, la Puglia 7,2 GW. Mentre l’Emilia-Romagna la Sardegna circa 6,2 GW a testa.

Nel conteggio annuale verranno presi in considerazione tutti i nuovi impianti a terra entrati in esercizio a partire dal 1° gennaio 2022.  In più si tiene conto della potenza nominale aggiuntiva derivante da interventi di rifacimento o ricostruzione integrale.  In caso dei nuovi impianti rinnovabili offshore si tiene conto invece solo del 40% della potenza nominale delle installazioni. Sarà il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica insieme al Gestore dei Servizi Energetici a monitorare tutte le operazioni del caso.

Termini e condizioni

Per il raggiungimento degli obiettivi, Regioni e Province autonome dovranno identificare aree idonee entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. Tale procedimento dovrà necessariamente rispettare dei principi di minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio. Tutto ciò sarà possibile grazie all’adozione o integrazione di strumenti opportuni del governo del territorio.

Nel caso in cui questo non accadesse entro i limiti delle leggi, l’ente predisposto proporrà al Presidente del Consiglio, schemi di atti normativi di natura sostitutiva. Le aree classificate idonee hanno dei requisiti che si  differenziano sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto, scelto dall’amministrazione. Nonostante ciò, per individuare le aree adeguate, gli enti burocratici possono usare la piattaforma digitale, integrata dai dati sull’uso del suolo agricolo desumibili dal SIAN.

Lo schema del decreto presenta una classificazione delle aree: superfici e aree idonee, superfici e aree non idonee, e aree soggette alla disciplina ordinaria. Di certo una zona definita idonea per il fotovoltaico potrebbe non esserlo per l’eolico, per il quale ci sono altri criteri di scelta.

Di seguito sono riportate quelle che sono considerate superfici e aree idonee secondo il DM:

  • siti dove risultano già installati impianti rinnovabili che sfruttano la stessa fonte e i cui lavori di riqualifica, ristrutturazione, potenziamento ecc. Inoltre, non che devono comportare una variazione dell’area occupata superiore al 20% (fotovoltaico escluso);
  • aree oggetto di bonifica individuate ai sensi del Titolo V;
  • cave e miniere abbandonate o in condizioni di degrado ambientale o porzioni delle stesse non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
  • siti e gli impianti del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, dei gestori di infrastrutture ferroviarie e delle società concessionarie autostradali. Analogamente a quelli delle società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuali;
  • aree non ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela e che non ricadono nella fascia di rispetto. Quindi 3 km dal perimetro dei beni sottoposti, 500 metri per gli impianti fotovoltaici;
  • esclusivamente per gli impianti fotovoltaici e di produzione di biometano, le aree classificate agricole, racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi SIN, cave e miniere. Le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e quelle classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distano non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento; le aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri;
  • i beni del demanio militare in uso al Ministero della Difesa, dell’Interno, della Giustizia (e uffici giudiziari), e da quello dell’Economia e delle Finanze;
  • le superfici degli edifici, delle strutture e dei manufatti su cui vengono realizzati impianti fotovoltaici rientranti nel regime di manutenzione ordinaria.

Sarà questo il passo che serve all’Italia per cambiare rotta? Sicuramente è un programma di grande spessore che deve entrare in vigore il prima possibile per iniziare un nuovo percorso verso un futuro migliore.

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Giovani, Minecraft e smart cities: quando la scuola forma a 360° gli adulti di domani.

By : Aldo |Luglio 18, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Giovani, Minecraft e smart cities: quando la scuola forma a 360° gli adulti di domani.
Nina Rivas - Unsplash

Troppe volte i videogiochi dei ragazzi sono stati giudicati poco opportuni o diseducativi. Oggi però esistono delle nicchie per le quali il videogame può incrementare la crescita e la formazione del giocatore e non solo.

Minecraft per il futuro

È curioso pensare che nel 2023 si cerchino giocatori di Minecraft per progettare le città del mondo. No, non si tratta di un film ma della realtà. Il progetto Schools Reinventing cities (di C40) è un’iniziativa in collaborazione con Minecraft Education, il famoso videogioco d’avventura.

L’iniziativa prevede che gli studenti delle scuole medie e superiori di tutto il mondo, ridisegnino in modo “sostenibile” le proprie città. In questo modo, i ragazzi, gli adulti del futuro, potranno modificare i centri urbani che abitano, a prova di futuro. Il programma nato a Londra è approdato anche a New York, Buenos Aires e Calgary, con la speranza di farlo arrivare in tanti altri Stati.

L’obiettivo più grande è proprio quello di coinvolgere le nuove generazioni nella gestione cittadina sostenibile. A tal proposito, gli studenti saranno protagonisti dei cambiamenti necessari per un futuro migliore, ovvero il loro. In breve, rappresenta una vera e propria sfida alla pianificazione urbana delle proprie città.

Schools Reinventing Cities

É importante che i giovani studenti delle scuole medie e superiori, abbiano la possibilità di ideare e creare una città diversa da quella che conoscono. È rilevante per molteplici motivi che in alcuni casi vanno oltre il “semplice” studio della sostenibilità. Sicuramente è un sistema che aiuta i ragazzi a conoscere sotto vari aspetti, magari anche sconosciuti il luogo in cui vivono. Tale conoscenza li rende consapevoli di tutti i servizi che il centro abitato offre, o in altri casi non presenta. Proprio così gli studenti potranno avere una panoramica della situazione per poi studiare quali modifiche apportare nel loro modello digitale.

 

Vista l’entità del piano, i cambiamenti da proporre riguardano il settore della sostenibilità dunque, i ragazzi dovranno studiare bene le loro mosse. Sicuramente si potrebbe mirare sull’ aggiunta di aree verdi, spazi collettivi e di mobilità sostenibile, oppure sulla riduzione delle isole di calore. Così facendo i giovani si avvicinano anche alle nuove tecnologie utili per la transizione ecologica quindi per le modifiche che proporranno.

Tuttavia, la collaborazione tra il videogioco più in voga negli ultimi anni e un progetto per le smart cities offre anche un altro beneficio. Quello della formazione degli adulti del futuro. Infatti la scuola non dovrebbe anche aiutare i ragazzi a formarsi come cittadini del mondo, con obiettivi e sogni da raggiungere e realizzare. Perciò è fondamentale la possibilità di far conoscere loro, nuove passioni, gli impieghi del futuro, dimostrargli studi e carriere che potranno intraprendere dopo le scuole superiori.

Questo importante punto è centrato pienamente dal progetto, poichè gli studenti interpretano il ruolo dei professionisti quotidianamente incaricati di gestire l’ambiente costruito anche per un solo giorno. Quindi capiranno di cosa si occupa un architetto, un pianificatore, un direttore delle costruzioni piuttosto che un ingegnere o un designer. Dunque saranno in grado di avvicinarsi a determinate professioni, o ad allontanarsi nel caso capissero che quel tipo di impiego non fa per loro. In entrambi i casi si tratta di formazione di un certo tipo, che raramente si trova negli istituti italiani, nei quali, inoltre, il progetto non è ancora arrivato.

L’entità C40

C40 è l’ente all’origine di questo grande progetto. È una rete globale di circa 100 sindaci delle principali città del mondo, che insieme vogliono affrontare la crisi legata al cambiamento climatico. Il piano intende creare una collaborazione basata su un approccio inclusivo e scientifico. L’obiettivo è quello di dimezzare le emissioni di ogni città, entro il 2030, e di costruire comunità sane, eque e resilienti attraverso una diplomazia internazionale. Inoltre, si punta a facilitare investimenti in lavori verdi e progetti che migliorano la resilienza nelle città.   

La partecipazione all’iniziativa non si basa sulle tasse ma sulle prestazioni di ogni città che a tal proposito ha dei doveri da rispettare.

Come già detto deve presentare un piano d’azione per il clima resiliente e inclusivo in linea con l’ambizione di 1.5 °C dell’accordo di Parigi. In questo senso servirà poi un regolare aggiornamento di tale piano, anche in virtù del fatto che l’impegno deve essere portato avanti fino al 2024. Successivamente sarà rinnovato per il 2030.

Tali modifiche avverranno grazie a strumenti di vario tipo per affrontare la crisi climatica, integrando i propri obiettivi climatici nei processi decisionali maggior impatto. Senza dubbio servono innovazioni e iniziative inclusive e resilienti per affrontare le emissioni al di fuori del controllo diretto del governo della città.

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Economia circolare: in Francia nasce il bonus riparazione tessile.

By : Aldo |Luglio 16, 2023 |Emissioni, Home, obiettivomeno emissioni, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su Economia circolare: in Francia nasce il bonus riparazione tessile.
Anthony Choren - Unsplash

L’economia circolare si basa su vari principi tra i quali il riciclo e il riuso, due concetti validi in qualsiasi ambito e per qualsiasi prodotto. Tuttavia, la riparazione è un’azione basilare per poter sviluppare tante altre attività: per questo la Francia sta dando una grande lezione a tutti.

Fonds réparation textile

Questo il nome in francese di quello che noi definiamo il “Bonus riparazione”, la nuova iniziativa francese per il settore tessile. Il fondo in questione è stato creato sulla base di due azioni principali con l’obiettivo di migliorare l’economia circolare del paese. Il primo punto è il “bonus”, ovvero uno sconto applicato in fattura, per coloro che portano a riparare i propri capi d’abbigliamento o le calzature. Tale sconto sarà diverso in funzione del lavoro da svolgere, per un minimo di €6 ad un massimo di €25. Per esempio, sostituire la pelle consumata di un paio di scarpe fino a €25 o incollare una scuola staccata a €8.

Il secondo invece è un’iniziativa che indica le azioni complementari al bonus, si tratta di campagne di sensibilizzazione sul servizio, pubblicizzazione e formazione degli operatori. L’obiettivo è quello di sostenere gli artigiani del settore, aumentando i posti di lavoro, ma anche quello di ridurre sprechi ed inquinamento dell’industria tessile.

Così si mira a prolungare la durata dei beni di consumo, ridurre i rifiuti e cambiare l’approccio culturale agli sprechi. Inoltre, si vuole aumentare il volume di capi d’abbigliamento e scarpe riparati in Francia del 35% entro il 2028. Con questo nuovo sistema, si crea un grande incentivo per i cittadini francesi, i quali potrebbero pian piano cambiare abitudini, aiutando il pianeta.

La collaborazione con Refashion

Lo stato ha collaborato con l’organizzazione per la moda sostenibile Refashion. Questa si  occuperà della piattaforma online per l’iniziativa e si impegnerà nella verifica dei requisiti necessari dei negozi, per ricevere i fondi per la riparazione. Il programma sarà lanciato quando il governo avrà incluso almeno 500 realtà nella nazione entro la fine dell’estate. Così facendo il servizio verrà attivato da ottobre 2023 e sarti e calzolai registrati saranno “etichettati” come partecipanti.

Questa rete consentirà di comprendere gli artigiani senza limitazioni relative alle dimensioni dell’azienda o ai loro rapporti con i grandi brand della moda. Pertanto, i negozi registrati, non potranno rifiutarsi di aggiustare prodotti di firme diverse da quelle con cui hanno collaborazioni. Al momento ben 250 esercenti hanno mandato la loro domanda di adesione.

La legge anti-spreco

Il progetto conta finanziamenti per i prossimi 5 anni grazie al fondo dedicato da 154 milioni di euro, raccolti per lo scopo dal 2020. È un piano che si aggiunge ad una serie di provvedimenti per ridurre i rifiuti, grazie alla cosiddetta legge anti-spreco del 2020. Grazie ad essa sono state vietate varie pratiche abitudinarie che producono grandi quantità di rifiuti inutili.

Quindi sono stati vietati i sacchetti di plastica nei supermercati e le confezioni monouso nei fast food. In più è stato introdotto bonus riparazione per elettrodomestici, giocattoli e altri prodotti e costruito fontanelle negli spazi pubblici. Un ulteriore incentivo è l’eco-score, una certificazione (volontaria) dei prodotti con la quale si indica il loro impatto ambientale e la riparabilità (attiva dal 2024). Queste pratiche favoriscono sempre più i processi circolari che creano benefici sia per l’ambiente che per l’economia del paese.

Il contesto ambientale e il fast fashion

Tutte queste attenzioni, soprattutto verso il settore tessile, dipendono da una situazione ben precisa e abbastanza critica. Per l’ONU, il settore tessile rappresenta attualmente una delle attività umane con l’impatto ambientale più alto a livello mondiale. L’industria è causa di acque reflue piene di componenti chimici, elevate emissioni di CO2, dispersione di microplastiche e una grande quantità di rifiuti. Di preciso annualmente in Francia vengono buttate via 700 mila tonnellate di vestiti, di cui sono 1/3 viene riutilizzato.

A questo si aggiungono i problemi correlati al fast fashion, i quali incrementano e velocizzano i danni sopra elencati.  Secondo la Banca Mondiale, il totale di rifiuti a livello globale sarà di 3,4 miliardi tonnellate all’anno entro il 2050. Questa moda mette in pericolo l’intera industria tessile, danneggiando non solo l’ambiente ma anche e i piccoli artigiani.

Da qui la scelta del nuovo fondo.

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L’Europa approva la Nature Restoration Law: obiettivi, target e disaccordi.

By : Aldo |Luglio 14, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su L’Europa approva la Nature Restoration Law: obiettivi, target e disaccordi.
Christian Lue - Unsplash

L’Unione Europea è una delle comunità più virtuose per quanto riguarda la sostenibilità e l’ambiente. A volte però in Parlamento, non sono tutti d’accordo e degli obiettivi importanti faticano ad essere raggiunti.

L’atteso “SI”

Finalmente dopo vari tentativi, è stata approvata la legge per il ripristino della natura (Nature Restoration Law). La norma è passata al voto più volte ma mercoledì 12 luglio il parlamento europeo l’ha approvata con ben 366 voti favorevoli. Questa vittoria, raggiunta con fatica, determina un punto di svolta per la salvaguardia della natura, dei suoi habitat e non solo. 

Già a maggio 2020 venne pubblicata la strategia europea per la biodiversità (per il 2030). Durante il 2021 ci sono stati vari incontri per definire i punti della nuova norma proposta poi a giugno 2022. La legge è stata approvata con 366 voti favorevoli e 300 contrari. Purtoppo questo risultato dimostra come ancora molti governi non abbiano capito l’importanza della proposta, che porterebbe benefici sia al pianeta che all’uomo.

Cosa prevede la legge

Gli obiettivi della legge mirano al ripristino degli ecosistemi, degli habitat e delle specie delle terre e dei mari dell’unione europea. Questo per consentire il recupero duraturo e sostenibile della biodiversità e della natura resiliente. In più è necessaria per contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di mitigazione e clima adattamento al clima. Un ulteriore motivo per il quale era opportuno approvare questa legge è quello di rispettare gli impegni internazionali. Questi obiettivi saranno supportati da svariati target che determinano la riuscita di tale “sfida” con il cambiamento climatico.

I target

Lo scopo generale è quello di proteggere almeno il 20% delle aree marine e terrestri dell’UE entro il 2030. Con esse tutti gli ecosistemi che hanno bisogno di un ripristino entro il 2050. Questo sarà possibile per mezzo di tante azioni specifiche sviluppate in ogni paese dell’Unione, descritte di seguito. Un primo ambito è quello legato alla legislazione esistente, (per zone umide, foreste, praterie, fiumi e laghi, brughiera e macchia, habitat rocciosi e dune). Si intende migliorare e ripristinare gli habitat su larga scala e le popolazioni di specie migliorando e ampliando i loro habitat.

Nello specifico verranno sviluppati progetti di salvaguardia di habitat e specie, tra questi programmi per:

  • gli insetti impollinatori, fondamentali per l’agricoltura e quindi anche per l’uomo. Per questo, servirà un’inversione del declino delle loro popolazioni entro il 2030, anche grazie alla riduzione dei pesticidi chimici del 50% entro il 2030;
  • il settore agricolo, per il quale la legge la legge mira all’aumento delle farfalle dei pascoli e degli uccelli dei terreni agricoli. Si parla inoltre di un aumento dello stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati e di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche di elevata diversità. Infine, si punta alla riumidificazione delle torbiere prosciugate per un maggiore assorbimento di carbonio;
  • gli ecosistemi forestali, per i quali si ripristineranno la connettività forestale, l’abbondanza di uccelli forestali comuni e non solo. Saranno inclusi progetti per lo stock di carbonio organico e il ripristino di foreste irregolari e invecchiate.
  • gli ecosistemi urbani, che non dovranno subire alcun tipo di perdita netta di spazio urbano verde entro il 2030. In più si richiede un aumento (minimo del 10%) della superficie totale coperta da spazio urbano verde entro il 2040 e il 2050.

Passando invece all’ambito marino e acquatico, sono previsti altri piani (più o meno simili a quelli della terra ferma. Si parla quindi di:

  • ripristino di habitat marini. Tra questi fondali marini o fondali sedimentari che definiscono grandi benefici anche per mitigare il cambiamento climatico. Tuttavia, c’è una maggiore attenzione per le specie marine ioniche come delfini e focene, squali e uccelli marini.
  • connettività fluviale. In questo campo, si vuole identificare e rimuovere le barriere che impediscono la connettività delle acque di superficie. Questo serve affinché almeno 25 000 km di fiumi siano ripristinati in uno stato di flusso libero entro il 2030.

La legge fondamentale per il recupero di biodiversità, garantendo una maggiore sicurezza alimentare e che porterà benefici anche economici…. Non poteva non essere approvata. Si stima infatti che gli investimenti in tali progetti porteranno fra gli 8 e i 38 euro in benefici, per ogni euro speso. È una vittoria che dimostra anche quanto si sia ampliata la consapevolezza delle persone. Infatti, oltre alle associazioni ambientaliste d’Europa, i giovani dei movimenti verdi si sono schierati 6000 scienziati europei. Oltre a loro numerosi accademici e oltre 1 milione di cittadini che hanno firmato un appello per il “sì”.

Gli investimenti dell’UE ammontano a 10 milioni di euro. A questi si aggiungeranno i cofinanziamenti di 16 Paesi europei, che metteranno a disposizione i propri mezzi per le attività di ricostruzione del capitale naturale.

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Bando “Parco Agrisolare”: 1 miliardo di euro per rendere rinnovabili le campagne.

By : Aldo |Luglio 12, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Bando “Parco Agrisolare”: 1 miliardo di euro per rendere rinnovabili le campagne.
Raquel Pedrotti - Unsplash

I centri urbani si stanno evolvendo per abbracciare la sostenibilità nel miglior ed efficiente modo possibile, determinando un trend che aumenta ogni giorno di più. Ma questo avanzamento tecnologico si sta verificando anche nelle campagne, in modo da renderle ancora più “green” di quanto già lo siano.

Nuovo bando PNRR

Il nuovo bando “Parco Agrisolare” mette a disposizione ben un miliardo di euro del PNRR per efficientare il consumo di energia delle aziende agricole. Si tratta di un investimento per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti dei fabbricati agricoli, per produrre e vendere energia. Un bando del genere era già uscito ma non prevedeva tante delle nuove caratteristiche per migliorare le prestazioni nei terreni coltivati.

Le principali novità vertono sul consumo e la produzione di energia, ma anche sull’incremento dei contributi a fondo perduto. Ovviamente le imprese che avranno la possibilità di godere di questo bando sono quelle correlate al settore. Parliamo di imprese e cooperative agricole, agroindustriali, consorzi, associazioni temporanee e raggruppamenti temporanei di impresa e infine all’agriturismo.

Nuovi finanziamenti

La nuova pubblicazione prevede la divisione dei finanziamenti per molteplici attività legate ad imprese di produzione e trasformazione di prodotti agricoli. Il primo cambiamento fondamentale è l’incremento del contributo a fondo perduto, che con l’ultimo aggiornamento coprirà l’80% della spesa. Successivamente si riscontra un raddoppio della spesa massima ammissibile per i sistemi di accumulo e ricarica.

Si tratta di un aumento delle spese, che ammonta a 100.000 euro (prima pari a 50.000 euro), eventualmente integrabile ad un’ulteriore quota. È prevista una spesa fino a 30.000 euro, se si installano dei dispositivi di ricarica elettrica per la mobilità e le macchine agricole. Ma non è tutto.

Nella stesura della gara è stato introdotto un nuovo concetto di autoconsumo condiviso. In pratica ci sarà la possibilità di installare impianti di autoconsumo condiviso, per aziende che svolgono lo stesso tipo di attività. Per l’installazione degli impianti sono stati stanziati 700 milioni di euro (per la produzione) e 150 milioni di euro per le aziende di trasformazione. Mentre una quota maggiore sarà destinata alle PMI, soprattutto se in aree svantaggiate.

Novità energetiche

Nel campo energetico invece, si riportano delle novità che possono cambiare a tutti gli effetti il settore agricolo (sia di produzione che di trasformazione). Senza dubbio, un passo in avanti è stato definito dall’eliminazione (in alcuni casi) del vincolo di autoconsumo. Pertanto, sarà possibile per la prima volta, ricevere dei contributi designati per la vendita dell’energia prodotta. Mai prima d’ora i bandi si erano spinti così oltre ed oggi si promuove l’installazione di impianti per la vendita sul mercato di energia prodotta.

La novità sta nel fatto che non ci saranno limiti nell’autoconsumo, l’unico criterio imposto riguarda il posizionamento dei sistemi. Questi devono essere installati esclusivamente sulle coperture. I beneficiari sono ancora le imprese di produzione primaria e quelle di trasformazione, che potranno attingere ad un contributo di 75 milioni di euro. Mentre se si parla di tecnicismi è importante ricordare i nuovi target per la potenza installabile. Infatti, i nuovi impianti ammessi, devono avere una potenza maggiore uguale a 6kWp ma non superiore a 1000 kWp. Si tratta di cifre raddoppiate rispetto all’ultima pubblicazione.

In aggiunta saranno possibili interventi per la sostituzione delle coperture di amianto dei fabbricati agricoli (totale o parziale) per mezzo dei nuovi impianti. Dunque, sono inclusi interventi mirati al loro efficientamento energetico. Con bandi e iniziative simili, si potrà trasformare un settore primario fondamentale soprattutto per l’Italia, rendendolo più sostenibile.

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CDP: solo il 3% delle aziende è veramente impegnato nella lotta alla desertificazione.

By : Aldo |Luglio 11, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su CDP: solo il 3% delle aziende è veramente impegnato nella lotta alla desertificazione.
Louise Viallesoubranne - Unsplash

Gli impegni a favore dell’ambiente sono tanti e vari e le aziende sono le prime a dover rispettarli a pieno. Tuttavia, in alcuni settori si notano ancora troppi pochi sforzi e in alcuni casi poca trasparenza nelle azioni sviluppate.

 

Carbon Discolure Project

Carbon Discolure Project è un’organizzazione no-profit che amministra il sistema di divulgazione globale per specifici settori. In pratica investitori, aziende, città, stati e regioni vi si affidano per gestire i propri impatti ambientali. L’organizzazione è leader mondiale (definito anche gold standard) del reporting ambientale, poichè possiede il data set più ricco e completo sull’azione aziendale e urbana.

L’obiettivo è quello di costruire un’economia sostenibile che funzioni a lungo termine, per mezzo di azioni concrete e trasparenti, per un successo collettivo. Nello specifico, il CDP misura e gestisce rischi e opportunità sul cambiamento climatico, la sicurezza idrica e la deforestazione dei suoi membri. Attualmente conta più di 5.800 aziende europee, 18.700 a livello globale; più di 150 governi locali europei e 1.100 in tutto il mondo. Inoltre, il ministero francese, tedesco ed italiano sono partner governativi di CDP Europe.

   

L’ultimo report CDP

Nell’ultimo report riguardo la deforestazione, il CDP riporta dati che sottolineano l’importanza di una modifica dell’approccio nei confronti della deforestazione. Lo studio dichiara che solo il 3% delle aziende traccia il rischio di deforestazione lungo la filiera, ossia garantiscono la piena tracciabilità dei propri movimenti. Quindi tali realtà sono le uniche ad effettuare valutazioni di rischi delle foreste, includendo la mappatura e la segnalazione dell’ubicazione delle operazioni e dei fornitori.

Ancora, il 60% delle imprese campionate ha delle misure anti-disboscamento, tuttavia sono poche quelle veramente virtuose.  Concretamente significa che 6 imprese su 10 sono trasparenti sull’impatto delle loro attività nelle foreste del mondo. Mentre il 10% ha dei programmi saldi e validi per ridurre la deforestazione a zero nell’arco di 2 anni. Ed infine, esclusivamente l’1% oltre alla deforestazione zero, si impegna nella tutela sociale ed economica per i lavoratori.

Deforestazione nel 2023

Quello della deforestazione sfortunatamente resta uno dei principali argomenti trattati se si parla di cambiamento climatico. In genere si discute della situazione in cui versano le foreste amazzoniche che sono state distrutte come mai prima d’ora. Attualmente i dati a riguardo sono controversi poiché, nei primi 6 mesi del 2023, il tasso di deforestazione è calato del 34% rispetto al 2022.  Purtroppo, però, determinate attività sono continuate in tutta tranquillità e nello stesso periodo sono stati rasi al suolo 2650 km2 di foresta tropicale.

Anche per quanto registrato dal CDP si può osservare una grande ripresa o crescita, accompagnata da dati meno positivi. Per esempio, dal 2017 le aziende che comunicano alcuni dei rischi del proprio business, legate alla deforestazione, sono cresciute del 300%. Nonostante ciò, azioni e piani validi per la salvaguardia delle foreste risultano pochi e poco efficaci. In breve, ci sono tante parole e pochi fatti.

Economia

Come detto nel paragrafo precedente, il CDP si occupa anche di economia dimostrando nei suoi report cifre legate ad attività nell’ambito del “polmone verde”. Quello che si legge nell’ultima analisi, afferma che gli investimenti per mitigare i rischi della deforestazione convengono più della noncuranza di un’azienda.

Il totale delle perdite potenziali, ossia perdite legate alla compensazione de danni provocati è di 330 milioni di dollari per azienda. Quando per le misure di mitigazione servono appena 17 milioni di euro. Anche in questo caso la prevenzione conviene sotto tutti i punti di vista.

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I contenziosi climatici possono effettivamente contrastare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Luglio 06, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su I contenziosi climatici possono effettivamente contrastare il cambiamento climatico?
Ma Ti - Unsplash

Negli ultimi anni l’attenzione verso la questione climatica è cresciuta per via di una maggiore informazione, nuovi studi e corsi universitari. Contemporaneamente si è ampliato il campo dell’attivismo che cerca quotidianamente di cambiare le cose… Ma gli attivisti riusciranno davvero a fare la differenza?

Gli esiti positivi

Secondo il monitoraggio annuale della London School of Economics, i casi positivi di processi per il clima contro governi e imprese sono in crescita. L’analisi presenta cifre rilevanti di cui però si parla poco. Questi dati dovrebbero essere resi noti ad una maggior parte della popolazione, di modo che tutti capiscano quanto sia importante l’attivismo al giorno d’oggi. Infatti, lo studio afferma che in tribunale gli esiti positivi sono più del 50% e di solito le aziende sono gli enti più accusati.

Nonostante ciò, a prescindere dall’esito del contenzioso, portare in tribunale un’impresa o un governo, ha sempre un grande impatto nel mondo. L’analisi, infatti, riporta che le cause sul clima hanno comunque degli effetti indiretti significativi, anche per chi viene accusato. Questo perchè, un contenzioso, anche se climatico, può diventare un precedente per processi futuri. A quel punto l’accusato è obbligato a correggere il tiro delle sue azioni, per non incappare nuovamente in un caso simile, partendo però svantaggiato.

I numeri dell’attivismo

La crescita di tali pratiche ha registrato un picco di 2.341 casi totali nel 2021: di questi 1.557 (ossia i 2/3) risalgono a dopo il 2015.   Nell’arco di un anno, tra maggio del 2022 e maggio del 2023 sono stati avviati altri 190 contenziosi, di cui 7 in paesi ancora “intonsi”.  Tra questi Bulgaria, Cina, Finlandia, Romania, Russia, Thailandia e Turchia. Seppur le cause contro i governi sono diminuite dal 70% al 54%, le imprese continuano ad essere condannate maggiormente per quanto riguarda il climate washing.

Le aziende nel mirino

Le cifre parlano chiaro: negli ultimi 7 anni sono state intentate 81 cause di cui 27 nel 2021 e 26 nel 2022. Solitamente le aziende vengono chiamate in giudizio proprio per le loro pubblicità ingannevoli (che si tratti di climate o green washing). Precisamente vengono contestati i contenuti, la comunicazione e la veridicità degli impegni climatici delle aziende, poiché spesso sono falsi o si basano su programmi inappropriati.

Un ulteriore dissenso riguarda l’enorme potere che tali realtà hanno, con il quale influenzano il mondo, ma in maniera negativa. Se invece tale potere venisse usato opportunamente, si potrebbe contrastare il cambiamento climatico più facilmente e rapidamente. Ma la poca trasparenza e coerenza delle azioni delle imprese non consentono tale opposizione ed è per questo che le aziende vengono portate in tribunale.

Gli accusatori sono generalmente enti amministrativi o grandi associazioni di attivismo e non dei singoli. Così facendo si è più sicuri che la causa venga presa in considerazione vista l’importanza di chi si espone in primo luogo. Dallo studio si percepisce quanto sia importante la collettività e la collaborazione tra enti, associazioni e cittadini per dare una svolta al futuro. Nuovamente si ripresenta l’idea che il singolo ha un potere ben specifico che, se unito a quello di tanti altri individui, può effettivamente fare la differenza.

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La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.

By : Aldo |Luglio 04, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |Commenti disabilitati su La Convenzione di Honk Kong entra in vigore: al via il riciclo delle navi.
Andrew Jephson - Unsplash

L’economia circolare si basa su un ciclo continuo che considera i rifiuti come risorse e materie con le quali dar vita a nuovi prodotti. Al giorno d’oggi possiamo approssimativamente riciclare tutto quello che creiamo e dal 27 giugno anche le navi attraverso un nuovo regolamento.

La convenzione di Hong Kong

La Convenzione di Hong Kong venne approvata nel 2009 con la descrizione di obiettivi e criteri ben precisi. Lo scopo della convenzione era quello di garantire che il riciclo delle navi non presentasse più rischi inutili per la salute e la sicurezza umana e ambientale. Si tratta dunque di un regolamento volto alla sostenibilità che  abbraccia il concetto del ciclo “dalla culla alla tomba”, senza arrecare ulteriori danni al pianeta.

Tuttavia, la norma è entrata in vigore solo dopo 16 anni, poiché sono stati raggiunti tutti e tre i requisiti richiesti dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale):

  • non meno di 15 Stati;
  • non meno del 40% del trasporto mercantile mondiale per stazza lorda;
  • capacità di riciclaggio delle navi non inferiore al 3% del tonnellaggio lordo della marina mercantile combinata degli Stati summenzionati.

L’entrata in vigore e i cambiamenti

Il 27 giugno 2023, la convenzione ha raggiunto il numero minimo di adesioni grazie alla firma di Liberia e Bangladesh. Oltre a loro avevano già approvato la convenzione Belgio, Repubblica del Congo, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Ghana, India, Giappone, Regno dei Paesi Bassi, Norvegia. E ancora Panama, Portogallo, São Tomé e Principe, Serbia, Spagna, Türkiye, Lussemburgo e Malta. Con le ultime due firme, il settore di riciclo delle navi è cambiato per sempre; sarà più regolamentato quindi sicuro a livello ambientale e umano.

Oggi gli stati contraenti sono 22, rappresentando circa il 45,81% del tonnellaggio lordo, mentre il volume annuale combinato di riciclo ammonta a 23.848.453 tonnellate.Tale cifra è pari al 3,31% del volume richiesto, quindi si prospetta un’ottima partenza, prevista 24 mesi dopo la firma degli ultimi due stati. La convenzione attribuisce responsabilità e obblighi a tutte le nazioni contraenti e nello specifico a molteplici figure e settori del campo navale. Tra questi gli armatori, i cantieri navali, gli impianti di riciclo delle navi, gli stati di bandiera, quelli di approdo e quelli dove avviene il riciclo.

A questo punto le navi una volta finita la loro vita operativa, dovranno presentare a bordo un inventario dei materiali pericolosi contenuti in essa.

Gli impianti autorizzati, dovranno fornire un piano di riciclo specifico per ogni imbarcazione e i governi dovranno rispettare l’accordo sugli impatti sotto la loro giurisdizione. La normativa entrerà in vigore concretamente il 26 giugno 2025.

Bangladesh

Il Bangladesh è uno dei paesi con la maggiore capacità di riciclo, poiché è lo stato in cui vengono portate più navi a fine vita. Solo nel 2019 sono arrivate a rottamazione ben 674 navi commerciali oceaniche e unità offshore. Di queste, ben 469 sono state demolite solamente su tre spiagge tra il Bangladesh, l’India e il Pakistan. Per questo il Bangladesh è parte del progetto SENSREC dell’IMO (finanziato dalla Norvegia per 4 milioni di dollari dal 2015).

Il programma ha lo scopo di coltivare un forte senso di proprietà nel riciclaggio ecologico delle navi in Banglades. Sono stati inclusi i lavoratori, i proprietari di cantieri e parti interessate, per sviluppare una comprensione completa delle sfide e delle opportunità all’interno del settore. Di questo passo, con iniziative, norme, obblighi e finanziamenti, anche i paesi in via di sviluppo possono trovare il loro posto nella transizione ecologica. 

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Mini fotovoltaico da balcone: le soluzioni per l’accumulo di energia domestica.

By : Aldo |Luglio 03, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Mini fotovoltaico da balcone: le soluzioni per l’accumulo di energia domestica.
Evgeniy Alyoshin - Unsplash

L’aumento dei prezzi degli ultimi mesi ha consentito una crescita di richieste del fotovoltaico in vari ambiti. Di conseguenza sono incrementate anche le ricerche per agevolarne l’utilizzo domestico, in modo tale che anche nei condomini, le persone potessero scegliere un’alternativa sostenibile.

Mini fotovoltaico da balcone

I pannelli fotovoltaici non sono più una sorpresa: possono essere installati ovunque se sono presenti le opportune condizioni e possono creare tanti vantaggi. Ad oggi è possibile installarli nei condomini e nei balconi, affinché ognuno abbia la possibilità di scegliere la fonte di energia che più preferisce. Per questo sono stati creati ed è cresciuta l’attenzione verso i mini-fotovoltaici da balcone, piccoli sistemi di produzione energetica pulita ad uso domestico.

Si tratta di una soluzione contenuta che garantisce dei vantaggi diversi rispetto al solito fotovoltaico installato sul tetto. Tra questi possiamo elencare subito la facilità di installazione tramite dei ganci da montare sulla ringhiera o sulla muratura. Questo sistema definito “plug-and-play” rende possibile la rimozione del dispositivo in caso fosse necessario, poichè dotato di struttura autoportanti.

Questione energetica

Un secondo vantaggio riguarda la possibilità di impiegare direttamente l’energia generata nella rete domestica, grazie ad un micro-invertitore. Anche se si tratta di una potenza contenuta, il dispositivo permette l’uso immediato dell’energia rinnovabile grazie all’inserimento della spina. Nello specifico il kit venduto prevede moduli da 300-400 watt (a testa). Inoltre, è semplice anche il procedimento burocratico e autorizzativo, poiché bastano 2 passaggi che coinvolgono due enti. Bisogna comunicare preventivamente la modifica al condominio e inviare la Comunicazione unica al distributore elettrico di zona.

La ricerca per la batteria

Il sistema è sicuramente efficiente per un utilizzo immediato dell’energia ma al momento non è previsto un metodo di accumulo di energia dal dispositivo. Per questo un gruppo di scienziati dell’Offenburg University of Applied Sciences in Germania ha iniziato una ricerca per integrare una batteria d’accumulo.

La squadra ha ideato 2 strategie per riservare l’energia prodotta dal pannello in una batteria a litio di medie dimensioni, simile a quella delle biciclette elettriche. I due piani puntano ad ottimizzare l’autoconsumo e la copertura del carico di base per raggiungere l’obiettivo finale. Nello specifico, lo studio cerca di far lavorare la batteria e il pannello insieme, senza modificare il sistema o aumentarne il costo.

Tuttavia, si tratta di un’operazione difficile a livello tecnico, dunque, sarà necessario impiegare delle misure di accoppiamento tra i 3 moduli (fotovoltaico, micro-inverter e batteria). La prima misura, l’ibridazione passiva, definita “diretta” vista la connessione parallela tra pannello e batteria. La seconda invece, l’ibridazione attiva, è detta attiva perchè prevede un controller tra la batteria e il dispositivo fotovoltaico.

Le prove

Attualmente questi sistemi sono stati testati per un arco temporale continuo di 3 giorni, in condizioni reali di irraggiamento solare. I risultati dimostrano un funzionamento stabile che prevede il passaggio dell’energia fotovoltaica dal giorno alla notte.   La ricerca può continuare per far sì che, anche gli appartamenti che godono di un’ottima condizione di irraggiamento durante l’anno, possano usufruire di tale tecnologia.

Inoltre, un dispositivo del genere potrebbe essere un ulteriore incentivo per il miglioramento delle prestazioni di un appartamento. Di conseguenza non solo i proprietari delle ville, ma anche chi vive in condomini e appartamenti potrà servirsi di nuovi sistemi e vantaggi economici.

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Risparmiare acqua con l’irrigazione a goccia, l’innovazione sostenibile.

By : Aldo |Giugno 29, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare, menoacqua, plasticfree |Commenti disabilitati su Risparmiare acqua con l’irrigazione a goccia, l’innovazione sostenibile.
Luis Tosta - Unsplash

É arrivata l’estate e il caldo non tarda a manifestarsi e con lui purtoppo la siccità. Pertanto, c’è chi ha pensato di focalizzare i propri studi su innovativi metodi di irrigazione, per far sì che in agricoltura non si sprechi troppa acqua.

La situazione irrigua in Europa

Da anni purtoppo la siccità è parte delle nostre estati se non anche delle primavere. Non è una novità che l’acqua dolce scarseggia sempre più e che la colpa sia dei cambiamenti climatici e della scarsa manutenzione delle reti idriche.Ma se certe cose sono difficili da ripristinare è comunque vantaggioso scegliere nuovi metodi per l’uso dell’acqua; in primis quello dell’irrigazione.

In tal senso, l’Europa cerca costantemente di migliorare le sue prestazioni anche se presenta casi diversi a seconda della posizione geografica. Per esempio, l’Italia è uno dei paesi con più propensione all’irrigazione a livello europeo. Si posiziona al quarto posto dopo Malta, Grecia e Cipro, tra i paesi in cui più del 20% della superficie agricola utilizzata viene sottoposta a irrigazione.

Poiché nel Belpaese più della metà del volume idrico è impiegato per scopi irrigui, è necessario un efficientamento degli strumenti per ridurre gli sprechi. Di solito l’irrigazione considerata è quella a spruzzo, a rotore o a pioggia con un’efficienza tra il 35% e il 50%; per questo si parla di irrigazione a goccia (efficienza al 90%).

L’innovazione è usata principalmente per gli alberi da frutto, viti e pomodori e di certo è il metodo più efficiente e considerato per le serre. Inoltre, a Piacenza l’80% dei suoli utilizza tale metodo garantendo un’efficienza idrica dell’95% e un risparmio d’acqua variabile dal 35% al 55%.

L’irrigazione a goccia di Stanford

Per quanto possa esser un sistema di irrigazione avanzato, efficiente, attento agli sprechi e quindi anche ai costi, c’è ancora margine di miglioramento. Così che i ricercatori dell’Università di Stanford hanno deciso di ottimizzare ulteriormente l’irrigazione a goccia, riducendo nuovamente l’uso dell’acqua. La studio si basa su un sistema intelligente che possa rilasciare acqua solo quando e dove necessario determinando un risparmio doppio dell’oro blu.

Infatti, la tecnologia permette di stimare la perdita d’acqua per via dellevapotraspirazione, in modo che la pianta riassorba quella evaporata. Si tratta di un sistema con alti livelli di precisione e di velocità, la quale cambia tanti aspetti di una possibile coltivazione. Perchè se combinata con varie tecnologie si potrebbe adattare l’irrigazione a seconda del bisogno della pianta ma anche alle condizioni meteorologiche.

La tecnologia

È proprio la velocità dettata dall’informatica a rendere più efficiente il sistema di Stanford. Infatti, sono stati selezionati 2 algoritmi che lavorano con dati misurati disponibili (umidità del suolo e assorbimento di acqua delle radici) e misurazioni successive. Dopo vengono elaborati dei risultati nell’arco di 10 minuti, rendendo il sistema 100 volte più veloce di uno convenzionale. A tal punto i vantaggi sono molteplici e non riguardano solo l’uso dell’acqua ma anche un efficientamento nell’uso della risorsa suolo e quindi dell’agricoltura. Nello specifico si pensa che l’applicazione di questo nuovo modello potrebbe nutrire la popolazione mondiale in crescita senza danneggiare ulteriormente l’ambiente. Quindi preservandolo per le generazioni future.

Come in tanti altri casi, serviranno altri test in campo per valutare qualsiasi variabile, miglioramento o chiarire ogni dubbio. Il vantaggio di risparmio idrico si lega al risparmio economico derivante dall’efficienza del sistema. Ulteriori benefici sono dati dal fatto che riduce la lisciviazione di acqua e nutrienti al di sotto della zona radicale.

In cosa consiste l’irrigazione a goccia.

Tale tecnica consiste nel posizionamento di una rete di tubi con degli erogatori che si trovano ad una distanza fissa l’uno con l’altro. O comunque sono disposti in corrispondenza delle piante che devono ricevere l’acqua. Questi consentono un’applicazione uniforme, misurata e controllata di acqua e nutrienti necessarie alla crescita, direttamente nella zona radicale.

Così facendo, la pianta reintegra quasi immediatamente l’umidità e i nutrienti, senza mai arrivare ad uno stato di stress idrico. La pianta, quindi, avrà la possibilità di crescere in maniera ottimale e la piantagione sarà caratterizzata da una resa elevata. In particolare, il 21,3% della superficie irrigua nazionale è legato alla tecnica della micro-irrigazione, in modo rilevante in Liguria, Puglia, Sicilia e Basilicata.

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Le cozze potranno aiutarci nella riduzione delle microplastiche in acqua.

By : Aldo |Giugno 26, 2023 |Clima, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Le cozze potranno aiutarci nella riduzione delle microplastiche in acqua.
Gil Ndjouwou - Unsplash

Spesso la natura che noi stessi dovremmo proteggere, ci regala delle soluzioni a problemi da noi creati. Proprio per queste capacità sarebbe importante studiarla sempre meglio, usufruendone nel migliore dei modi possibili.

La scoperta della “natura”

È recente lo studio pubblicato nel Journal of Hazardous Materials che spiega come le cozze possono aiutarci nel ridurre le microplastiche in acqua. L’analisi condotta dal Plymouth Marine Laboratory afferma che i filtratori, possano intrappolare le microplastiche, concentrandole nelle loro feci. Nello specifico si tratta della cozza azzurra (Mytilus edulis), un mollusco filtrante e verace caratterizzato da un un guscio blu-nero. In questo momento, la ricerca svolta ha dato ottimi risultati che tuttavia non sono la soluzione a questo grande problema, ma sicuramente un grande aiuto.

Gli step dell’analisi

I ricercatori hanno scelto queste cozze da un allevamento in Cornovaglia e le hanno sottoposte a vari test. Nella prima prova i bivalvi vengono situati in un contenitore d’acciaio, nel quale viene pompata l’acqua carica di microplastiche. Con questo primo test, gli studiosi hanno visto che i filtratori consumano circa due terzi delle microplastiche presenti nel serbatoio. Successivamente le secernono dal loro corpo attraverso le loro feci.

Dopo un primo successo, si è attuata una seconda prova in un porto locale, precisamente in un’insenatura soggetta ad inquinamento da imbarcazioni. Dunque, l’ambiente risulta altamente inquinato anche per le fuoriuscite di inquinanti o materiali legate a scarichi delle stesse imbarcazioni.

300 esemplari sono stati riposti in cestini disposti in vasche calate in acqua: ognuno di questi contenitori ha un setaccio per catturarne le feci. Intanto uno sbocco in un altro serbatorio permette all’acqua di ritornare nell’ambiente originale. A quel punto, gli scienziati hanno confermato il fatto il che le feci con le microplastiche affondano rapidamente nel mare. Pertanto, risulta più facile raccoglierle, al contrario delle particelle sospese in acqua.

Le cifre della ricerca

È stato calcolato che 5 kg di cozze in un porto urbano possono raccogliere circa 240 (±145) microplastiche, ma è importante la loro localizzazione. Perchè si, le cozze filtrano l’acqua dai contaminanti, ma allo stesso tempo le loro concentrazioni non possono eccedere nel piccol corpo dell’esemplare. Tale attenzione è fondamentale per non rovinare l’habitat e permettere una vita sana al bivalve. In concreto con circa 3 miliardi di cozze, poste in prossimità di un estuario si potrebbe estrarre il 4% delle microplastiche che arrivano dai fiumi.

L’incertezza dello studio

I test hanno portato ad un risultato sorprendente: i bivalvi in esame sembrerebbero capaci di rimuovere circa un quarto di un milione di particelle all’ora. Nonostante tale scoperta sia un passo in avanti, non risulta essere una soluzione definitiva, ma un processo da affiancare ad attività di maggiore impatto. Questo perchè per fare la differenza serve una quantità immensa di individui in tante aree diverse.

Si tratta più o meno di 2 milioni o più di cozze che filtrano 24 ore al giorno (costantemente) per trattare una baia del New Jersey.  Tale situazione è abbastanza irreale poiché le condizioni descritte non sono compatibili con la natura. D’altra parte, instaurando una grande quantità di bivalvi in una determinata area, si romperebbero gli equilibri dell’ecosistema scelto.

Le conclusioni

Questo studio dimostra come dei piccoli esseri, possano aiutarci nella lotta contro la plastica, dannosa per l’ambiente e per noi. Sembra addirittura che da queste microplastiche si possa creare biofilm, così da rimuovere l’inquinante per trarne dei benefici, attuando anche in questo caso un’economia circolare. Sicuramente serviranno ulteriori studi e test per poter dichiarare questa pratica come efficiente. Nell’attesa è importante ricordare che la prima azione di grande impatto resta sempre il cambio delle nostre abitudini nell’uso e consumo della plastica.

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Svizzera carbon neutral entro il 2050: sì al referendum.

By : Aldo |Giugno 26, 2023 |Arte sostenibile, Clima, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Svizzera carbon neutral entro il 2050: sì al referendum.
Marco Pregnolato - Unsplash

Quando si pensa ad una rivoluzione, molti pensano che il singolo non possa fare molto o che le sue azioni non avranno mai peso nel mondo. Al contrario la Svizzera ha provato come gli ideali dei singoli, se uniti, posso cambiare le cose in positivo per un intero stato. 

Il primo caso in Europa

Domenica 18 giugno in Svizzera si è fatta la storia.

Il 42% degli aventi diritto ha partecipato al referendum per la carbon neutrality, diventando il primo caso in Europa. Il 60% dei cittadini ha votato a favore della nuova legge che prevede la riduzione del fossile e l’incremento della transizione con rinnovabili. Nonostante la percentuale di affluenza fosse bassa, è bastata per promuovere e approvare la legge per la salvaguardia dell’ambiente. Nello specifico, il 59,1% ha votato a favore con una grande spinta dai cantoni di Ginevra (74,5%) e Basilea (73,3%). Solo il 40,9% si è espresso contrario, una percentuale composta da 7 cantoni su 26 e il Partito popolare svizzero SVP (dunque l’opposizione di destra).

Come nasce il referendum

La vittoria di questo referendum dimostra quanto i cittadini svizzeri abbiano colto a pieno l’importanza del cambiamento necessario ad oggi. Non a caso, con la coalizione di gruppi, attivisti e accademici venne proposta una legge sul clima, inizialmente bocciata perchè valutata troppo estremista. Mentre la nuova legge punta a ridurre l’uso dei combustibili fossili quindi ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2050.

L’idea è quella di ridurre l’importazione di petrolio e gas, ed incentivare le rinnovabili e tutti quei comportamenti opportuni per raggiungere l’obiettivo prefissato.

 

Il disegno di legge presenta

  • un primo finanziamento di circa 2 miliardi di franchi svizzeri (per 10 anni). Serviranno a promuovere nuove pompe di calore e sistemi basati sulle rinnovabili per sostituire il riscaldamento a gas.
  • un secondo finanziamento di 1,2 miliardi di franchi svizzeri. Ppensati per le imprese impegnate verso una innovazione verde.

In questo caso, il disegno è diventato una legge federale e pertanto rende giuridicamente vincolanti i suoi obiettivi. Quindi nel concreto si mira ad un miglior isolamento degli edifici o la sostituzione dei loro impianti di riscaldamento. In poche parole, da qui al 2033 gli stabili privati dovranno arrivare a coprire almeno la classe D.

Invece per il settore agricolo e degli inceneritori si promuovono tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2. Senz’altro servono ulteriori studi per efficientare le loro prestazioni, ma sono sempre un aiuto per il clima.

 

Difficoltà e dubbi

I cittadini della Svizzera sembrano quindi pronti ad impegnarsi in questo viaggio verso la neutralità da carbonio; tuttavia, sono usciti subito dubbi e perplessità. I primi problemi sono associati all’approvvigionamento di elettricità da fonti rinnovabili soprattutto con l’aumento dei consumi (entro il 2050) di 30 terawattora. Infatti, dalle ultime analisi, si stima che la capacità di solare ed eolico sia troppo bassa per coprire la mancanza necessaria in futuro.

Oltretutto, come in Italia, la burocrazia e la pianificazione rallentano qualsiasi tipo di lavoro correlato alle rinnovabili. Fortunatamente, ci sono stati dei passi in avanti e nel 2024, la Svizzera ospiterà il nuovo parco solare Ovra Solara Magriel.

Il motivo alla base del “SI”

Obiettivamente si può affermare che questa presa di coscienza degli svizzeri sia un grande salto di qualità. Un’analisi attenta e precisa del cambiamento climatico al quale sono sottoposti i cittadini e li preoccupa ha reso possibile questo grande ed importante incentivo legislativo.

Al momento, la Svizzera ha vissuto una primavera troppo calda che ha sciolto i ghiacciai a ritmi allarmanti. Negli ultimi 20 anni hanno perso 1/3 del loro volume a causa di temperature che sono aumentate più del 1,5° (limite IPCC). Proprio per questo pericolo incombente, per la sensibilizzazione di tutti e il raggiungimento dei vari obiettivi, è stata istituita un’altra tassa. Si tratta di una minima del 15% per le multinazionali, con fondi da destinare alla transizione.

L’augurio dopo questo referendum è che la Svizzera possa essere un modello da seguire dagli altri stati europei e perchè no anche dal resto del mondo. Rappresenta alla perfezione come i cittadini contano e possono stravolgere il corso degli eventi se uniti e migliorare il futuro di tutti.

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Nuove cassette per la vendita di pesce: il WWF sarà portavoce dell’iniziativa.

By : Aldo |Giugno 22, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Nuove cassette per la vendita di pesce: il WWF sarà portavoce dell’iniziativa.
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L’inquinamento marino è una tematica tanto grane quanto delicata e la plastica è la sua principale protagonista. L’obiettivo è quello di ridurre la quantità di plastica e cambiarne la composizione, per risanare le acque di tutto il mondo. 

Il polistirolo in mare

Le cassette di polistirolo, una volta in mare possono produrre oltre un milione di microplastiche che, come sappiamo, entrano facilmente nella catena alimentare. Gli studi condotti nel 2021 affermano che ogni anno vengono consumati 10 milioni di cassette di polistirolo, in modalità “usa e getta”. E solo tra Ancona e San Benedetto se ne usano almeno 750.000 (secondo Marevivo). 

Per tali impieghi il polistirolo presenta delle caratteristiche e delle qualità strategiche che lo rendono il materiale migliore in questo ambito. È un materiale espanso rigido, economico, molto resistente con ottime proprietà meccaniche, molto leggero e quindi facilmente trasportabile, forse anche troppo. Inoltre, ha un’enorme capacità di isolamento termico grazie all’espansione che permette di inglobare tanta aria da poter isolare il contenuto.

Tuttavia, per quanto possa essere vantaggioso, resta comunque uno dei principali inquinanti del mare e perciò da anni si cercano soluzioni alternative e meno dannose.

L’iniziativa

Il programma nominato “Lotta all’inquinamento marino da cassette per il pesce in Italia” intende contrastare l’inquinamento dalla pesca e della plastica. Per risolvere il problema gli studiosi hanno pensato a delle variabili del polistirolo che possano essere ecocompatibili, sicure per l’ambiente e per la salute umana. Nello specifico si parla delle cassette del pesce: usate in quantità industriali, col modello “usa e getta”. Spesso ne sono pieni i pescherecci in modo da confezionare il pescato, ancora in mare aperto, portandolo al molo in ottime condizioni (soprattutto igienico-sanitarie). Essendo una delle prime cause di inquinamento del mare, gli studi si sono concentrati proprio sulla sostituzione del polistirolo espanso (EPS), per tale impiego.

Il nuovo prototipo

Dunque, sono state create delle cassette per il pesce con 2 componenti separabili dividendo il prodotto tra una parte interna e una esterna. La parte interna è composta da un vassoio di polistirolo monouso estruso riciclato (al 50%) e riciclabile. Invece, la parte esterna è fatta da legno FSC (un componente riutilizzabile), perciò il prodotto può essere separato in 2 componenti, consentendone il riciclo.

Il prototipo gode di un ottimo ecodesign pensato dopo un’attenta analisi di LCA di oggetti simili per l’imballaggio di pane fresco in Europa. Il prodotto sarà utilizzato da parte di vari attori della filiera ittica: dai pescatori alle PMI, dai laboratori di ricerca ai centri di raccolta rifiuti. Nello specifico l’esperimento inizierà in Sicilia, dai pescatori di Spadafora con il supporto WWF Italia (catalizzatore della prova) che valuterà la validità del prodotto.

A fine sperimentazione, il progetto verrà presentato alla conferenza internazionale “Sustainability in Packaging Europe” (Barcellona, 16-18 ottobre 2023).

I molteplici obiettivi

Sicuramente il sostegno del WWF consente di mettere in pratica (e nel migliore dei modi) un’economia circolare mirata alla salute dei mari. Nonostante si tratti dell’ambiente marino, la creazione di nuovi prodotti coinvolge molteplici professionisti anche del design, delle imprese e amministrazioni volte alla conservazione dell’ambiente.

Con tale proposta di mira anche all’idea di un prodotto net-zero che comporti una ridefinizione dell’intera filiera e dei vari stakeholders. Tutte queste pratiche, se unite e poi amplificate possono effettivamente creare un movimento che favorisca la salvaguardia del mare e dell’ambiente.

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CircularCity Innovation Lab, l’iniziativa di Deloitte.

By : Aldo |Giugno 20, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su CircularCity Innovation Lab, l’iniziativa di Deloitte.
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Ogni giorno è buono per incentivare il cambiamento, ogni azione può fare la differenza soprattutto in questo periodo. Passo dopo passo sempre più persone sono attente al settore sostenibile e pertanto sono coinvolte nel processo di transizione green.

Deloitte

Deloitte è un’azienda che offre servizi di revisione e consulenza in più di 150 paesi del mondo. É riconosciuta come una delle 4 aziende di revisione più grandi e importanti del mondo. Anche in Italia è un’impresa rilevante non solo nel suo campo ma anche per quanto riguarda l’impegno nella transizione ecologica. Non a caso l’azienda (di recente) ha dato vita alla Deloitte Climate & Sustainability (DCS), una società Benefit italiana dedicata alla sostenibilità. Da tale realtà saranno incentivati progetti volti alla rivoluzione green grazie alle migliori tecnologie seguite e controllate da massimi esperti della materia.

CircularCity Innovation Lab

Questo è uno tra i molteplici progetti dell’impresa, nato per accelerare il percorso delle città italiane verso una vita più sostenibile. Il programma è nato dalla collaborazione con Officine Innovazione e mira a trovare le migliori soluzioni per una stabile economia circolare nei centri urbani.

Questa iniziativa offre la possibilità di ripensare ai modelli di produzione e consumo, dei servizi e delle infrastrutture con una strategia innovativa. Dunque, i temi scelti per questo progetto spaziano tra il ciclo dei materiali, dell’acqua, delle risorse e della mobilità. Così facendo si analizzano ostacoli e possibili soluzioni a processi, abitudini e consumi non sostenibili ma diffusi in Italia, che devono essere cambiati o almeno regolamentati.

Ciclo dei materiali

Tale ambito ha bisogno di una grande innovazione, poichè passano gli anni ma non aumenta l’utilizzo di materiali riciclati o di materie prime seconde. Questo andamento negativo è dato soprattutto dai movimenti degli ultimi anni. Successivamente alla pandemia sono cresciuti i bonus per la ristrutturazione e l’edilizia, i quali hanno ridotto del 2,2% l’utilizzo di materiali riciclati rispetto al 2020. Nonostante ciò, proprio Deloitte ricorda come può cambiare questo trend se si opta per una costruzione efficiente. E non si tratta solo delle materie scelte, ma della loro gestione e del loro riciclo a fine vita degli edifici.

Ciclo delle risorse

Sempre sullo stesso piano del riciclo di parla di rifiuti urbani. L’Italia sta operando nel miglior modo affinché possa raggiungere l’obiettivo della Commissione europea, ma c’è ancora molto da fare. Il goal è quello di limitare al 10% la quantità di rifiuti solidi in discarica entro il 2035. Tuttavia in Italia (nel 2021) il 19% dei rifiuti ha raggiunto la discarica.

Questo vuol dire che servono nuove tecnologie ed incentivi in modo tale da dimezzare i rifiuti urbani, attraverso il riuso e il riciclo. Un esempio fondamentale è quello di ridurre gli sprechi, in qualsiasi ambito.

Ciclo dell’acqua

L’Italia attualmente al primo posto o per meglio dire, detiene un record tutt’altro che positivo. Tra i 27 paesi dell’UE è il primo stato per il totale delle acque dolci prelevate per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei. La cifra? 161 metri cubi di acqua per abitante.

Tale situazione è riconducibile alla grande problematica della rete idrica nazionale che presenta delle perdite pari al 42,2% del volume totale di approvvigionamento. Anche in questo caso, delle tecnologie avanzate per riparare le tubature oppure dei meccanismi per sfruttare in maniera sostenibile l’acqua sarebbero un’importante soluzione.

Ciclo di trasporti e mobilità

Una tendenza diversa è quella presentata dal settore dei trasporti, che in Italia cresce positivamente.  Si parla di mobilità condivisa che è aumentata del 20% nel 2022, decretando l’Italia come secondo Paese europeo (12 servizi di mobilità condivisa per città). Questo podio si riferisce a tutto quello che concerne carsharing, bike sharing, scooter sharing, carpooling e aggregatori, monitorati da enti quali:

  • Osservatorio Nazionale Sharing Mobility
  • Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e dei Trasporti
  • Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile     

L’obiettivo dell’iniziativa è quello di rendere le città come hub di soluzioni da poter estendere in tutto il territorio italiano e renderlo uno stato all’avanguardia. In questo modo, le istituzioni sarebbero più facilitate a cambiare rotta o a prendere provvedimenti tecnologici e finanziari per sostenere la transizione, poichè si rifarebbero su meccanismi e nuovi concetti messi alla prova da nuclei più piccoli quali i centri abitati.

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Greenhushing: quando le aziende più virtuose si nascondono.

By : Aldo |Giugno 19, 2023 |Arte sostenibile, Clima, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Greenhushing: quando le aziende più virtuose si nascondono.
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La sostenibilità è un concetto che appartiene sempre di più alla quotidianità, al quale non si possono voltare le spalle. Analogamente a tanti altri processi non sono mancate le truffe come quelle del greenwashing, ma ultimamente sta emergendo un comportamento opposto, abbastanza peculiare.

Greenhushing

Con il termine greenhushing si intende una forma di omissione (da parte di aziende, enti o società) delle buone pratiche sostenibili svolte da essa svolte. Concretamente si tratta di aziende che sono realmente sostenibili, probabilmente anche tra le più virtuose, che decidono di non comunicare questo loro impegno.

Tale comportamento definito “silenzio verde” si sviluppa dal timore che la loro comunicazione possa essere fraintesa. Ossia, la paura è basata sul fatto che i clienti possano percepire la comunicazione del loro impegno nella sostenibilità, come greenwashing, perdendo quindi credibilità.

 

Sicuramente le truffe e le attività di facciata degli ultimi anni hanno reso i clienti molto più sensibili e attenti alla questione. I consumatori sono molto più preparati e critici sul tema, dunque, aumentano sempre più le loro aspettative in tal senso.

Stime e sondaggi

Il centro di ricerca Up2You Insight, che aiuta le aziende a decarbonizzarsi ha svolto uno studio proprio su questo nuovo fenomeno. Dalle analisi si evince che il 50% dei consumatori crede di poter fare la differenza anche singolarmente. Mentre l’80% si aspetta che siano le aziende cambino in virtù di una maggiore sostenibilità. Invece il dato che preoccupa di più è quello dei consumatori che sospettano che le aziende facciano greenwashing che ammonta al 60%.

In altro modo, il Global Sustainable Investment Review 2020 ha analizzato i cambiamenti relativi agli investimenti verdi e all’attenzione dei consumatori. Lo studio ha riportato che gli investimenti tra il 2018-2020 sia cresciuto del 18% toccando i 35.300 miliardi di dollari in tutto il mondo). Tuttavia, il report del 2022 spiega come solo il 19% degli acquirenti di prodotti di largo consumo sappia quali aziende siano concretamente impegnate nella sostenibilità.

Altre informazioni sono raccolte nello studio South Pole Net Zero and Beyond: A Deep-dive on Climate Leaders and What’s Driving Them. L’analisi dichiara che nell’ultimo anno ¾ delle aziende intervistate hanno implementato i finanziamenti per azzerare le emissioni. Oltretutto la maggior parte è rappresentata da aziende che non sono sulla retta via, ma hanno comunque ampliato il proprio team di sostenibilità.

Nonostante ciò, molte imprese non comunicano o pubblicano questo impegno. Precisamente quasi ¼, del 76% delle realtà con obiettivi net zero, ha deciso di non pubblicare i propri traguardi.

L’effetto negativo

Questo processo di omissione di informazioni, obiettivi e impegni delle varie realtà determina comunque un effetto negativo sul progresso di tale settore. Infatti, come il greenwashing ha portato ad una maggiore diffidenza o ad una maggiore selettività dei clienti, anche il greenhushing rallenta la transizione verde. Così facendo si creano dei problemi nel confronto fra obiettivi imposti, quelli raggiunti, i vari impegni e attività volti al cambiamento, tra aziende.

Pertanto, nascondendo un punto di forza nel settore, non emergono le aziende sane e realmente sostenibili. In tal modo è più difficile monitorare la sostenibilità delle filiere produttive e dei consumi, impedendo una sana comparazione tra le aziende.  Inoltre non si incentiva la transizione necessaria, nè tantomeno gli obiettivi giusti da perseguire.

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Comunità energetiche rinnovabili: la sfida da €100 mln di Ener2Crowd.

By : Aldo |Giugno 15, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Comunità energetiche rinnovabili: la sfida da €100 mln di Ener2Crowd.
Hannah Busing - Unsplash

La transizione ecologica e quella energetica sono nominate quotidianamente da più enti, associazioni e istituzioni. Sono due macro-argomenti che si diramano in tanti settori più piccoli che a breve tutti dovranno conoscere, almeno in maniera generica. Per questo oggi parliamo di CER.

CER

Con l’acronimo CER si intendono le Comunità Energetiche Rinnovabili. Si tratta di un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e PMI che si uniscono con un obiettivo preciso. Tutti insieme mirano alla produzione, allo scambio e al consumo di energia da fonti rinnovabili su scala locale.

Inizialmente si costituisce l’entità legale tra i futuri soci della comunità che per legge, non può ricavare un profitto da tali attività. Quindi una volta istituita l’associazione si procede con l’istallazione dell’impianto di produzione che deve necessariamente trovarsi in prossimità dei consumatori. Per esempio, una pubblica amministrazione potrebbe installare un impianto fotovoltaico direttamente in una scuola per poi produrre e distribuire l’energia ai soci.

In questo modo, la comunità può richiedere gli incentivi previsti dalla legge per l’energia condivisa, al Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Gli incentivi sono riconosciuti solo per l’energia condivisa, inoltre qualora ci fosse un eccesso di energia, si può raccogliere ed usare in un secondo momento.

    
Vantaggi e benefici

L’energia prodotta viene ripartita secondo le regole della comunità (ognuna definisce le proprie con un contratto di diritto privato). Quindi la suddivisione specifica dei benefici varia per ogni caso. Di norma però, ogni socio, paga le solite bollette ricevendo dalla stessa un importo per la condivisione dei benefici garantiti alla comunità.

Dunque, si può affermare che il cittadino socio, gode di una riduzione della propria bolletta. Pertanto, i benefici di una CER sono economici (produzione di un “reddito energetico”), ambientali (per la scelta del rinnovabile) e sociali. Questi ultimi comprendono l’aggregazione della cittadinanza, una sensibilizzazione e formazione alla sostenibilità urbana e alla cultura della transizione.

La sfida di Ener2Crowd

Visti gli obiettivi e i benefici di questa innovazione, Ener2Crowd ha deciso di puntare tutto sulle CER con il progetto «Generazione CER». Si tratta più di una sfida, ovvero quella di raccogliere €100 milioni entro il 2024 a sostegno della transizione energetica e non solo. L’idea è proprio quella di istruire la popolazione sull’importanza di una CER e sull’innovazione tecnologica del settore “green”.

Per questo Ener2Crowd ospiterà la nuova piattaforma dedicata agli investimenti condividendo un documento di consultazione pubblica, con i principali stakeholder del mondo della transizione energetica.  Questo è legato al modello di finanza alternativa dell’ente che vuole lanciare per un equo e opportuno sviluppo di CER in Italia.

Ulteriori sviluppi

L’impresa non parla solo di sostenibilità a livello economico ed ambientale ma anche sociale (come riportato nel paragrafo precedente). Infatti, uno dei vari obiettivi imposti è quello di rendere le CER uno strumento che mitiga le disuguaglianze di progresso e sviluppo nei territori italiani. 

 

Poiché il divario tecnologico tra nord e sud Italia, o quello tra centro e periferia, che noi consideriamo la normalità, non dovrebbe essere tale. Così Ener2Crowd, sviluppa i propri progetti secondo dei programmi sostenibili al 100%, perchè si rivolgono a tutti seguendo i 3 pilastri del concetto “green”. Quindi si persegue il fine ambientale, economico e sociale per far abbracciare a più persone possibili questo grande e necessario cambiamento.

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Samsung lancia il nuovo filtro, per salvare gli oceani dalle microplastiche.

By : Aldo |Giugno 13, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Samsung lancia il nuovo filtro, per salvare gli oceani dalle microplastiche.
Naja Bertolt Jensen - Unsplash

Nell’ultimo articolo abbiamo parlato del forte impatto che ha il settore tessile sull’ambiente e della crescente richiesta di una moda sostenibile. Ma anche la fase successiva all’acquisto di un capo deve essere più green e per questo i grandi brand innovativi.

L’innovazione Samsung

L’azienda multinazionale sudcoreana è sinonimo di certezze nel campo della tecnologia da ben 85 anni: dai telefoni alle fotocamere, dai televisori alle lavatrici. Il colosso porta avanti la ricerca nel campo delle innovazioni tecnologiche e digitali creando ogni anno nuovi prototipi da offrire al mondo.
Che si tratti di elettrodomestici, dispositivi elettronici, accessori o altro, è sempre al top e ora anche nel campo della sostenibilità. Per questo il 7 giugno 2023 ha lanciato il suo innovativo filtro per lavatrici che cattura le microfibre rilasciate dai vestiti durante i lavaggi.

Less Microfiber™

Less Microfiber™ è il nome del nuovo filtro Samsung Electronics, creato in collaborazione con collaborazione con l’organizzazione mondiale Ocean Wise e Patagonia. L’idea nasce come risposta al quesito che il mondo si fa da anni: “come possiamo salvare gli oceani dalla plastica?”. Senza dubbio la domanda include una serie infinita di risposte e soluzioni, tra le quali anche quella considerata in questo caso.

Infatti, i 3 enti hanno inquadrato il problema delle microplastiche o microfibre di plastica che vengono rilasciate dagli abiti durante un lavaggio. Il loro progetto si basa su un filtro esterno per lavatrici che riduce fino al 98% la dispersione di microfibre sintetiche durante i cicli di detersione. Questo processo eviterà che una grande quantità di microplastici arrivi nel mare, aiutando quindi a preservare la salute dei mari e quella umana. 

Come funziona?

Il filtro è un piccolo dispositivo che viene collegato allo scarico della lavatrice ed è dotato di una scocca di plastica riciclata. All’interno si compone di una trama che cattura le microfibre con una maglia larga 65-70 micrometri, comprimendole su una parete del dispositivo. Inoltre, è importante sottolineare che il filtro è stato studiato con grande attenzione all’ecodesign al fine di garantire una lunga vita e una facile manutenzione. Questa è una caratteristica di grande valore e attenzione verso la sostenibilità, al contrario dell’ormai ovvia obsolescenza programmata. Un processo legato al consumismo e una delle cause dell’aumento di rifiuti nel mondo.

Un’altra qualità del Less Microfiber™ è la sua connessione alla piattaforma Samsung SmartThings, con la quale il dispositivo segnala problemi o la sua saturazione. Infinte è un prototipo adatto ad ogni lavatrice, da pulire una sola volta al mese, secondo gli studi svolti. Al momento è in vendita in Corea del Sud e nel Regno Unito ma entrerà a breve anche in altri mercati.

Ecobubble™

Non è la prima volta che Samsung si concentri sull’efficienza dei suoi prodotti per una maggiore sostenibilità. Non a caso, da tempo le sue lavatrici hanno varie opzioni di lavaggio, tra le quali “Ecobubble” ossia un ciclo “generatore di bolle”. Il processo prevede un’introduzione di aria nella soluzione di acqua e detersivo che consenta una completa detersine dei panni anche a basse temperature.

In tal modo, si riduce l’abrasione dei vestiti e la dispersione di microfibre del 54%, si consuma meno energia e si salvano gli oceani. Che i grandi brand internazionali abbiano un enorme potere nell’intero mondo non è una novità, ma proprio grazie a queste azioni possono avere un impatto positivo. La scelta di materiali e programmi duraturi, di puntare alla salvaguardia dell’ambiente e non solo al fatturato, dimostra che le cose stanno cambiando.

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Apulia Regenerative Cotton Project: la moda italiana diventa più sostenibile.

By : Aldo |Giugno 11, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Apulia Regenerative Cotton Project: la moda italiana diventa più sostenibile.
Marianne Krohn - Unsplash

Il settore della moda e quindi quello tessile sono tra gli ambiti con un impatto maggiore sulle risorse del pianeta. Pertanto, negli ultimi anni è cresciuta la richiesta di materie e processi sostenibili da parte dei consumatori.

Partnership

Il 5 giugno si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Ambiente e l’EFI ha colto al balzo l’occasione per lanciare un innovativo progetto green. É nata una collaborazione con la Circular Bioeconomy Alliance (CBA) il Gruppo Armani e la Sustainable Markets Initiative’s Fashion Task Force.

Questo programma si chiama Apulia Regenerative Cotton Project e i suoi lavori sono coordinati dall’EFI*, il CREA** e PRETATERRA. Tale attività è parte dell’iniziativa Biocities dell’EFI di Roma con la quale si promuovono pratiche sostenibili applicate all’ambiente e la vita urbana.

*Istituto Forestale Europeo
**Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e per l’analisi dell’Economia Agraria

L’etica del manifesto

Il progetto è incluso nel Regenerative Fashion Manifesto, una realtà che garantisce un impegno dei brand associati, verso la moda rigenerativa. Questa è un’industria biobased e “climate and nature positive” ossia basata su un cambiamento concettuale a monte della filiera del prodotto. Dunque, le marche che aderiscono al Manifesto si impegnano nella scelta di materiali provenienti da territori precedentemente degenerati.

Così facendo riqualificano l’armonia delle popolazioni locali e la loro natura. In altri casi si parla di pratiche di bioeconomia per potenziare le comunità locali sostenendone la prosperità. Pertanto, il Gruppo Armani integrerà e rafforzerà la sua strategia di sostenibilità basata su tre pilastri principali “Persone, Pianeta, Prosperità”.

   
Il programma pilota

Il programma si basa sullo sviluppo della produzione di cotone agroforestale e sarà un piano pilota in questo settore. L’obiettivo è quello di sviluppare il primo sito di cotone rigenerativo agroforestale sperimentale (in Europa), per aumentare la sostenibilità della moda italiana. Di certo non si tratta di semplice moda ma di tecnologie e metodi scientifici che garantiscono valori tracciabili, resilienti e la sicurezza delle risorse. 

In pratica si vuole dimostrare come la sostenibilità possa portare svariati vantaggi nei suoi 3 punti cardine. Dunque, con tale progetto si possono migliorare i servizi ecosistemici, migliorando in primo luogo diversità del paesaggio, il risparmio idrico e la fertilità del suolo. Di conseguenza si riduce l’impronta di carbonio del processo in esame, quindi il suo impatto ambientale.

Fasi di sviluppo

Il piano si sviluppa in più fasi, intraprese a maggio (2023) con la creazione di una piantagione iniziale di 1 ettaro.  Successivamente, dal 2024, è prevista l’espansione graduale che mira alla copertura complessiva di 5 ettari. Di seguito, i primi 5 anni del progetto saranno seguiti per mezzo di monitoraggi scientifici con i quali saranno valutate le proprietà del cotone.

Ovviamente si verificherà con regolarità l’impatto ambientale di tale produzione, tenendo conto che si tratta di un primo esperimento europeo. Infine, si può affermare che non sia casuale la scelta dei territori pugliesi per un progetto simile. Infatti, la regione gode di un clima mite, di terreni che ospitano più varietà di colture agricole e di importante storia nel settore. Inoltre, è opportuno ricordare che il cotone sarà reintrodotto, perchè la Puglia vanta una lunga tradizione risalente al XII secolo, abbandonata negli ultimi 50 anni.

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Giornata mondiale degli oceani 2023: condizioni attuali e obiettivi per il futuro.

By : Aldo |Giugno 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare, plasticfree |Commenti disabilitati su Giornata mondiale degli oceani 2023: condizioni attuali e obiettivi per il futuro.
Ant Rozetsky - Unsplash

Le così dette “giornate mondiali” sono giornate intente a celebrare, ricordare e sensibilizzare gli abitanti di tutto il mondo ad un determinato tema. Per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente ne sono state istituite varie tra cui quella di oggi.

Giornata mondiale degli oceani

L’idea di celebrare una giornata dedicata agli oceani venne proposta durante il Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992. Venne presentata per la prima volta dal Centro Internazionale Canadese per lo Sviluppo Oceanico (ICOD) e l’Ocean Institute of Canada (OIC).

Purtoppo però, ci vollero ben 16 anni prima del suo riconoscimento e della sua approvazione da parte dell’ONU che avvenne nel 2008. Oltre ad essere l’anniversario del Summit, è un’occasione per riflettere sull’importanza degli oceani, la loro salvaguardia e sul potere che abbiamo per cambiare l’attuale situazione. Per questo motivo si organizzano eventi di attivismo dediti alle azioni concrete e alla sensibilizzazione delle persone su questo tema.

2023

Lo slogan di quest’anno è “Le maree stanno cambiando”, una frase concisa che tuttavia descrive il grande cambiamento che sta avvenendo o quello di cui avremmo bisogno. Per oggi l’ONU ha organizzato degli eventi online con grandi ospiti, esperti, istituzioni internazionali e ovviamente Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite.

Inoltre, l’ente ha messo a disposizione del materiale digitale per partecipare alla campagna di sensibilizzazione creata per l’occasione. Le minacce per gli oceani vanno dall’aumento delle temperature alla pesca, dall’estrazione mineraria alla scomparsa della barriera corallina, l’inquinamento generico e la plastica.

La pesca

Al momento la situazione non è delle migliori e tutti conosciamo il responsabile dei danni recati agli oceani. Il sovrasfruttamento delle risorse (qualsiasi esse siano) risulta sempre un’azione negativa per l’ambiente e per il nostro futuro.  
Per questo serve un cambio di rotta dell’industria ittica, specialmente della pesca intensiva, industriale e illegale (bycacth o catture accessorie). Infatti, a causa di tali attività oggi consumiamo 19kg di pesce a testa, il doppio rispetto a 50 anni.

In aggiunta, cresce il numero di specie a rischio di estinzione o in pericolo; attualmente il numero di specie minacciate è raddoppiato dal 2014.  Mentre le specie in pericolo sono triplicate: 3 sono “probabilmente estinte” (secondo la classifica IUCN).

L’estrazione mineraria

L’altra grande minaccia è il Deep Sea Mining, ovvero l’estrazione mineraria in mare aperto: un’attività in aumento che crea ulteriori danni all’ecosistema marino. La scelta del mare aperto conviene alle grandi industri per molteplici motivi, tra i quali il grande e crescente mercato delle materie prime. Un altro vantaggio è quello di evitare denunce e inchieste correlate alle condizioni dei lavoratori e il rispetto dei diritti umani delle miniere su terra. Scegliere il mare come pozzo di minerali preziosi per la nostra quotidianità, quali cobalto e manganese potrebbe avere un impatto irreversibile sul mondo.

Cosa possiamo fare?

Proprio in virtù di queste attività che crescono a vista d’occhio sulla base delle nostre necessità, siamo sempre noi che possiamo fare la differenza. Senz’altro ci deve essere un supporto o una spinta iniziale dagli enti governativi che a tal proposito hanno deciso di apportare delle migliorie burocratiche. Infatti, durante la COP 15 dello scorso dicembre, è stato approvato l’obiettivo “30×30, con il quale si punta a proteggere il 30% del pianeta entro il 2030.

Di conseguenza tutto ciò che riguarda quelle aree sarà sorvegliato attentamente e pertanto si pongono le basi per una maggior cura degli habitat. Questo vuol dire che in quelle aree potrebbe essere vietata la pesca e in alcuni casi anche il passaggio di imbarcazioni di vari tipi.

Inoltre, si fortifica la prevenzione contro l’inquinamento da parte delle città adiacenti a tali aree, proprio per creare un contesto che possa proteggere effettivamente l’ambiente.

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EMB3Rs: l’Uber che consente il recupero di energia termica.

By : Aldo |Giugno 06, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su EMB3Rs: l’Uber che consente il recupero di energia termica.
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Il mondo delle rinnovabili cresce ogni giorno, cambiano piani e si sviluppano nuovi programmi. Ma c’è una situazione che viene affrontata di rado ovvero quella del surplus di energia. Un ambito tanto particolare quanto proficuo su cui investire maggiormente.

EMB3Rs

Si chiama così la prima piattaforma digitale (open-source) che permette di gestire in maniera efficiente e sostenibile il surplus energetico di industrie e aziende. Inizialmente si trattava di un progetto finanziato dall’Unione Europea (del 2019) per il quale hanno collaborato ben 16 compagnie e istituti europei. Lo scopo del programma era quello di dare maggiore valore all’eccesso di energia termica e di usare in maniera efficiente le risorse di energie rinnovabili.

Il via libera è arrivato dopo lo sviluppo di 7 casi studio che hanno fornito al team di ricerca, dati, informazioni e feedback. Tra gli enti che hanno permesso lo studio, un produttore di cemento, una società di fusione di metalli, un parco industriale e supermercati nelle reti di teleriscaldamento. Una volta analizzate le varie opzioni, la squadra ha ideato uno strumento che consentisse proprio di riusare il surplus di caldo e freddo.

La piattaforma

Dunque, grazie alla collaborazione di più enti, il progetto è stato concretizzato ed è stata realizzata la piattaforma online in funzione proprio da maggio 2023. Questa consente alle industrie ad alta intensità energetica o ad altre sorgenti di caldo o freddo, di riusare questo eccesso nel miglior modo possibile. Tale processo è utile per molteplici punti e caratteristiche, in primis la sua sostenibilità. Infatti, con la piattaforma si affronta il tema del riuso o della riduzione degli sprechi, migliorando le prestazioni energetiche dell’ente in discussione.   

La piattaforma prevede che l’utente (es. industria) inserisca i dati essenziali quali la sua sede e l’eccesso di energia termica disponibile. A quel punto l’algoritmo calcola le capacità, la mappa della domanda e dell’offerta identificando le soluzioni più conveniente per lo scambio tra fornitore e consumatore. Gli utenti finali, quali aziende, comunità energetiche, altre industrie o famiglie determineranno i costi e i benefici, definendo anche delle soluzioni più promettenti. Quindi, grazie a questa nuovo scambio nascono partnership che recano vantaggi ad entrambe le parti e benefici per il pianeta.

Benefici e vantaggi

Il programma non soddisfa solo i bisogni delle industrie ma garantisce benefici e vantaggi in più ambiti. In primo luogo, alle industrie è consentito recuperare, trasportare e riutilizzare l’energia termica con delle soluzioni innovative. Questo gli permette di raggiungere anche obiettivi sostenibili, di ridurre gli sprechi e ridurre i costi di approvvigionamento.

Di conseguenza, se le industrie ad alta intensità energetica migliorano in tale settore, cambiano anche il loro impatto sull’ambiente e sulla salute umana. 

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Edifici Net Zero: le nuove soluzioni dalla Korea agli USA

By : Aldo |Giugno 05, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Edifici Net Zero: le nuove soluzioni dalla Korea agli USA
Alice Donovan Rouse - Unsplash

Ogni settimana si scopre una nuova tecnologia, una particolare soluzione ai problemi quotidiani nel campo della sostenibilità. In ambito edilizio abbiamo già parlato di coibentazione, mattonelle compostabili ed edifici di basso impatto ambientale. Oggi parliamo di una nuova curiosità.

La Korea Net Zero

Il Korea Institute of Civil Engineering and Building Technology (KICT) ha studiato un sistema costruttivo con 13 elementi chiavi puntando al target Net Zero. Si tratta di vari principi e tecnologie con le quali realizzare un edificio che elimina le emissioni di creazione e quelle legate al suo utilizzo. In pratica le emissioni incorporate ed operative.

Il Net Zero Carbon Building (NZCB) System è il primo in cui si considerano le emissioni e il consumo di energia anche del processo costruttivo. Queste ultime ammontano al 40% delle emissioni totali prodotte poiché includono il rifornimento di materia prima, il trasporto fino allo smaltimento dei materiali.

Soluzioni

Il prototipo in scala reale si trova all’interno del campus di Jinju City e tra le 13 innovazioni si possono citare:

  • la scelta cemento ecologico;
  • l’utilizzo di un polimero termoplastico per esterni.

Nel primo caso, il dipartimento di ricerca ha identificato come soluzione l’High Sulfated Calcium Silicate Cement, un materiale più sostenibile del comune cemento portland. Grazie a tale innovazione si risparmia oltre il 90% di emissioni minimizzando l’impatto ambientale dell’edificio (si tratta di solo 0,07 kg di carbonio per kg). Mentre per quanto riguarda il polimero, si tratta della prima applicazione mondiale del Cellulose X-linked Polymer (CXP), costituito da legno e resina naturale.

Monitoraggio

Ovviamente per valutare concretamente l’impatto di tali tecnologie e strutture nell’ambiente è necessario un monitoraggio costante. Pertanto, è stata scelta la guida europea Product Environmental Footprint (PEF) per confrontare le prestazioni del nuovo prototipo con quelle di uno stabile tradizionale.

E sulla base di 16 categorie di impatto è stato confermato il successo del Net Zero Carbon Building System. La sua compatibilità ambientale è superiore alle comuni costruzioni e il carbonio incorporato è inferiore del 56,3% rispetto alla norma. Si tratta di ben 25 tonnellate di CO2 risparmiate! Analogamente il consumo di energia è dimezzato con un risparmio di circa 2,2 tonnellate.

 

New York

Una situazione simile si riscontrerà a New York, dove grazie a 2 mesi di raccolta fondi, si realizzerà il “Brooklyn, 28 Herber”. Si tratta di un edificio prevalentemente residenziale e in piccola parte commerciale che si svilupperà su ben 2.600 mq La struttura sarà dotata di tecnologia e materiali scelti proprio per rispettare l’obiettivo di azzerare le emissioni e ridurre drasticamente i consumi energetici. Il termine dei lavori e la vendita degli appartamenti sono previsti per il 2025.

L’attività è anche un’innovazione sul fronte economico e gode di un investimento pari a € 5.092.700. Attualmente è un piano finanziato per il 53% dal gruppo italiano Maskenada e al 46% dal crowdfunding immobiliare. Inoltre, sarà il primo progetto della metropoli ad avere la certificazione Carbon Neutral. Tale certificato sarà rilasciato anche agli acquirenti come NFT (in modo da essere protetto e legato dall’unità immobiliare).

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Primato CONOU : raccolte 181 mila tonnellate di olio.

By : Aldo |Giugno 01, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Primato CONOU : raccolte 181 mila tonnellate di olio.

Nel 2023 i rifiuti o i materiali di scarto non dovrebbero essere più considerati come tali ma dovrebbero avere un’altra importanza. Pertanto, le nuove tecnologie permettono di convertire tanti dei nostri rifiuti in materie pronte al riutilizzo, quindi consentono lo sviluppo di una grande economia circolare.

Forest Simon - Unsplash

Il primato

Di recente è stato pubblicato il Rapporto Sostenibilità 2022 di CONOU ossia il Consorzio degli Oli Usati, il quale ha riportato un nuovo primato italiano. Nel 2022 infatti, sono state raccolte 181mila tonnellate di olio lubrificante usato di cui più del 98% è stato rigenerato e quindi reintrodotto nell’economia. Tali cifre rappresentano un record italiano che accresce nuovamente il valore e la virtuosità dell’economia circolare italiana.

Il consorzio resta quindi un ente di rilievo; attivo dal 1984 è proprio il primo ente italiano di raccolta e riciclo di oli minerali usati. La nostra eccellenza nel settore circolare è una caratteristica che si riconduce alla realtà dell’Italia; un Paese povero di materie prime. Quindi nella storia i suoi cittadini hanno sempre trovato il modo di risparmiare, riciclare e ricreare nuovi prodotti con dei materiali di scarto.

Olio lubrificante e rigenerazione

L’olio trattato dal CONOU, una volta usato diventa un rifiuto altamente inquinante che se disperso nell’ambiente può causare gravi danni. Mentre con raccolta e smaltimento adeguato, può diventare una risorsa di alto valore, con effetti positivi per la natura e per la salute dell’uomo. Perciò è fondamentale il processo di rigenerazione: un processo che dallo scarto crea un nuovo prodotto di qualità. Come descritto nel report sono state prodotte 118mila tonnellate di nuove basi lubrificanti, oltre a più di 38mila tonnellate di bitumi e gasoli.

Come funziona il consorzio

Il CONOU è presente in tutta la Penisola ed è strutturato come una rete capillare. Prima di tutto è importate ricordare che l’ente raccoglie gratuitamente l’olio direttamente da chi deve smaltirlo, instaurando un vero rapporto con le persone affiliate. Si tratta di meccanici, concessionari, officine che entrano in contatto personalmente con l’autista che svolge il ruolo di consulente.

Il suo compito è quello di informare il cliente su tutte le pratiche necessarie, anche per evitare di compromettere l’intera filiera di raccolta. Per quanto riguarda la composizione, il consorzio conta 103mila siti tra officine e industrie (arrivando ovunque nel territorio nazionale) e due aziende di rigenerazione.

La sostenibilità del settore

Inoltre, la nostra filiera non solo supera la media europea (si ricicla solo il 61% dell’olio usato) ma rappresenta anche un ottimo modello di sostenibilità. Questa qualità però è determinata dalle richieste dei cittadini; infatti, l’88% delle domande di raccolta arriva dalle officine, seguita dal 12% dell’industria. Numeri elevati se pensiamo che la media di accumulo è pari a 3kg per abitante (registrati maggiormente al Nord).

Tale attività rappresenta anche un vantaggio economico, come in tutti i casi di economia circolare. Infatti, secondo i dati riportati del documento, si risparmiano 130 milioni di euro sulla bolletta per le mancate importazioni di greggio.

Mentre a livello ambientale determina una serie di riduzioni rilevanti in vari ambiti:

  • -86% di utilizzo dei combustibili fossili,
  • -29% di consumo di acqua,
  • -77% di sfruttamento del suolo,
  • -78% di eutrofizzazione,
  • -84% di emissione di anidride solforosa,
  • -90% di emissioni di clorofluorocarburo11 (il gas responsabile dei danni allo strato di ozono),
  • -84% di unità tossiche con effetti cancerogeni,
  • -93% di unità tossiche con effetti non cancerogeni,
  • – 64 mila tonnellate di CO2 in atmosfera.

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Startup “greentech”: crescono in Italia ma più lentamente di altri paesi.

By : Aldo |Maggio 30, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Startup “greentech”: crescono in Italia ma più lentamente di altri paesi.

Nel settore della sostenibilità sono incluse ogni tipo di innovazioni che possano migliorare la vita e il nostro impatto sul pianeta. Spesso in questo ambito gli attori principali sono i progetti delle startup che pongono le basi per nuovi passi in avanti.

Alex Kotliarskyi - Unsplash

B-PlanNow

Si tratta di un acceleratore di startup adatto a tutti i progetti in fase si avvio con un potenziale successo. Aiuta gli imprenditori a gestire problemi di management e a coesistere nel mare competitivo delle startup. Questo è possibile grazie all’offerta di tutoraggio, formazione e di finanziamenti iniziali per far partire le attività e seguirle in questa scalata.

Di recente il gruppo ha svolto una ricerca per quanto riguarda il mondo delle startup “greentech”, le sue potenzialità e i miglioramenti da apportare. Lo studio concerne la situazione italiana concentrandosi sulla crescita, le aree più virtuose e i temi sviluppati.

In Italia

Partendo dal primo punto, sappiamo che a fine del 2022, secondi i dati InfoCamere, le startup innovative erano 14.262.   Le aziende “greentech” si trovano principalmente in Lombardia (22%), nel Lazio (12%) e in Piemonte (11%) (prevalentemente nei capoluoghi). Per quanto riguarda le aree tematiche, attualmente si contano circa 370 startup green divisi in vari rami. In fondo alla classifica abbiamo imprese per il Real Estate e Climate Monitoring, alle quali seguono il riciclo (11%) e la mobilità sostenibile (12%).

Nel podio invece si trovano “Agritech & Food” (20%), “Energia” (19%) e industria (15%): non sorprende il primo posto vista la cultura italiana. Queste cifre rispecchiano non solo lo stile di vita, la cultura e le necessità della penisola, ma soprattutto coincidono con i finanziamenti stanziati.

Come si vede infatti, negli ultimi anni sono stati raccolti €700 milioni, di cui il 29% per l’Agritech e il 23% per rinnovabili. Infine, e il 15% per la mobilità sostenibile. Tali finanziamenti hanno consentito una rapida crescita rispetto al 2021, pari al +42%, tuttavia la vocazione sostenibile non arriva al 3% del totale.

Economia e finanziamenti

Le nostre startup “greentech” oltre ad essere ben improntate su determinati ambiti, sono decise sul campo di reinvestimento. Non a caso, la maggior parte finanzia la ricerca e lo sviluppo (58%) ossia, le basi sui cui esse stesse si sorreggono. In secondo piano ma sempre con un’alta percentuale, troviamo il Marketing (21%).

Senza dubbio, questa nuova ondata di finanziamenti è dovuta anche alle nuove regole delle banche legate agli ESG. Molte rilasciano finanziamenti ai richiedenti, solo se rispettano i criteri di sostenibilità, gli ESG, di modo che ci sia un cambiamento più rapido e sicuro.

A rafforzare tale concetto, si riscontrano le richieste del 69% degli investitori. Questi ultimi, nel 2022 hanno chiesto specificamente i dettagli sulla sostenibilità delle imprese in cui avrebbero investito. Nonostante ciò, generalmente i fondi arrivano da risorse nazionali per l’87%, mentre sono ancora pochi i capitali stranieri.

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Mosaico verde: la riqualifica delle regioni comincia nelle aree verdi.

By : Aldo |Maggio 29, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Mosaico verde: la riqualifica delle regioni comincia nelle aree verdi.
Nerea Martí Sesarino - Unsplash

Il verde sempre stato il colore della speranza, ma da tempo è associato alla terminologia legata alla sostenibilità, forse nella speranza di un futuro migliore.

 

Riqualifica per l’avvenire

Da anni si parla di riforestazione, di cura del territorio e sensibilizzazione e vari enti pubblici e privati si sono impegnati in questo senso. Chi lo fa per compensare le attività della propria azienda, chi per amore della natura o con il solo scopo di affrontare la crisi climatica. I progetti di riqualifica del territorio (che sia di provincia, regionale o nazionale) comprendono varie iniziative ed aree naturali.

Mosaico Verde

Tra i vari progetti, la Campagna Mosaico Verde promossa da AzzeroCO2 e Legambiente ha spiccato sul territorio italiano. Per ora ben 40 aziende sostengono il programma, per migliorare i territori in cui operano o nei quali vivono i propri dipendenti o stakeholder. Il 25 maggio durante l’evento “I grandi cambiamenti cominciano da piccoli alberi” sono stati mostrati i risultati di 5 anni di lavoro (2018-2023). Le due realtà hanno piantato oltre 322.000 alberi, con i quali si dovrebbero assorbire circa 226.000 tonnellate di CO2*.

Riqualificato più di 3 milioni di m2 di aree verdi, comprendendo più di 100 Comuni, 20 Enti Parco in quasi tutta Italia (17 regioni). (*Valore calcolato considerando il potere di assorbimento medio di un albero nel suo ciclo di vita di 100 anni).

Obiettivi e risultati

I due enti sono riusciti a rendere più verdi e resilienti le città, ripristinando le aree verdi urbane e quelle naturali in abbandono. Inoltre, hanno ricreato delle oasi naturali mirate ad ospitare e nutrire gli insetti impollinatori e le api, attori protagonisti del ciclo della vita.

È anche opportuno ricordare che il progetto si è evoluto durante i 5 anni con adeguamenti e aggiunte a seconda delle necessità del pianeta. L’investimento del quinquennio è finalizzato a:

  • promozione della biodiversità vegetale
  • creazione di habitat per animali e insetti
  • messa in sicurezza di aree colpite da calamità
  • creazione di spazi di aggregazione sociale

Pertanto, il progetto è sostenibile non solo per quanto riguarda l’ambiente ma anche il settore sociale.

Completezza

Un progetto simile ha degli aspetti fondamentali che non tutti colgono all’istante. La presenza di aree verdi bonificate comporta lo sviluppo di habitat sani, la fruibilità di patrimoni ambientali e culturali. Quindi si tratta di un miglioramento della vita naturale e dell’uomo, della sua salute fisica, mentale ma anche di una protezione nei confronti di disastri ambientali. Le piante riducono eventi di dissesto idrogeologico, consolidano terreni e ne evitano l’allagamento, purificano l’aria e fungono da climatizzatori naturali.

Analogamente sono fondamentali le api e gli insetti impollinatori. Da loro dipende il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali esistenti, ossia la maggior parte del cibo. Perciò è importante salvaguardare questo gruppo, poiché attualmente in Europa 1 specie su 10 è a rischio di estinzione. Dunque, riqualificare le aree verdi con piante aromatiche e mellifere risulta la combinazione migliore per raggiungere gli obiettivi sopra citati.

Questo patrimonio naturale ha anche un alto valore economico. Basti pensare che un bosco sano genera beni e servizi ecosistemici. Proprio AzzeroCO2 ha creato un sistema di calcolo per verificare il valore delle sue opere ed ha pubblicato i suoi dati. Le attività dal 2018 ad oggi hanno un valore stimato tra 1 milione,  1 milione e 700 mila euro l’anno, per un totale di €8.5 milioni.

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Coibentare gli edifici: le nanotecnologie superano i classici interventi.

By : Aldo |Maggio 24, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Coibentare gli edifici: le nanotecnologie superano i classici interventi.

Tra mini-case, edifici autonomi, nuovi programmi energetici, anche nel campo dell’edilizia si fanno passi avanti. La sostenibilità in questo settore riserba tante eccezioni che potrebbero accelerare la transizione ecologica nel nostro paese.

Yury Strukau - Unsplash

La norma europea.

La richiesta dell’ultima direttiva europea è chiara e mira all’azzeramento delle emissioni in tale settore, entro il 2050. Gli edifici devono raggiungere la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Tutto sarebbe perfetto se solo il 60% degli edifici non arrivasse a malapena alla classe F o addirittura G. Questo risulta essere un grave problema che non favorisce un cambiamento necessario e rapido. Senza dubbio non si può mettere in discussione la necessità di tali lavori, ma gli ostacoli ci sono e sono abbastanza rilevanti. Rispetto ad altri ambiti, è uno dei più difficili da affrontare a seguito dei costi e delle difficoltà degli interventi.

Coibentazioni classiche

Le tecniche di coibentazione degli edifici sono varie e consentono di rendere efficienti a livello energetico case e uffici. Ad oggi però, i tetti coibentati in modo scarso aumentano la dispersione di energia del 30%, mentre un condominio può raggiungere anche il 65%. Molte sono tecniche che prevedono mesi di lavori, impalcature, accordi di interi condomini e normative molto restrittive.

Tuttavia, sono stati sviluppati interventi senza cappotto, che hanno lo stesso fine.

  • Intonaco termico interno: solitamente se lo stabile si trova in un centro storico, quindi è difficile rifare la facciata. Non è efficace come un vero cappotto ma ha i suoi vantaggi, tra i quali anche la prevenzione di muffe e condense sulle pareti
  • Insufflaggio in intercapedine: valida tecnica che prevede l’iniezione dell’isolante all’interno di tetti, muri e facciate. Di norma vengono usati i fiocchi di cellulosa o la lana di vetro e isolano anche a livello acustico.
  • Pannelli isolanti a basso spessore: sia per interni che per esterni. Sono pannelli spessi meno di 15 mm.
  • Mattoni in laterizio termoisolanti: che garantiscono un’ottima conducibilità termica in poco spazio. Dotati di un alveolo formato da intercapedini sottili, riducono gli strati di malta tra i mattoni, eliminando i ponti termici.

SWISS THERMO

L’idea di un metodo di coibentazione alternativo nasce in Polonia ma viene perfezionato nella nostra penisola. Si tratta di un prodotto isolante liquido che serve per migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Protegge dal caldo e dal freddo e può essere usato nelle pareti interne e in quelle esterne.

Il prototipo si basa su nanotecnologie messe a punto da Tecnoindustries Srl (brevettate dalla NASA), attualmente il rivenditore esclusivo del prodotto. Infatti, al contrario dei classici metodi è molto più comodo da applicare ed è più semplice il suo utilizzo in termini burocratici.

In breve, viene applicato con un macchinario spray su una superficie, che viene coibentata senza costi eccessivi e in pochissimo tempo. Questo è possibile grazie all’ampia possibilità d’intervento: non c’è bisogno di impalcature o ponteggi e si può spruzzare ovunque. Pertanto, è possibile mettere mano anche nei palazzi storici, nelle “tower” con vetrate o edifici con vincoli urbanistici (edifici solitamente difficili da trattare).

Risparmi e benefici

Le solite tecnologie proposte per questo tipo di interventi comportano un risparmio energetico intorno al 25%. Al contrario con il nuovo prodotto si va oltre il 50% e si risparmia anche in tempo. Infatti, se di solito, per la realizzazione di un cappotto si necessitano almeno 6 mesi, con lo SWISS THERMO si parla di massimo 30 giorni. A tutti, offre anche una possibilità più concreta di cambiare rotta: questo metodo permette a chiunque di fare il suo passo verso la sostenibilità.

Quindi se in un condominio non tutti fossero d’accordo per procedere con la coibentazione, un singolo potrebbe scegliere rendere efficiente la propria casa ugualmente. Sarà possibile semplicemente perchè si lavora dall’interno dell’appartamento, lungo i muri perimetrali.

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Idrogeno e carburante prodotto dalle foglie artificiali: la nuova sfida.

By : Aldo |Maggio 23, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |Commenti disabilitati su Idrogeno e carburante prodotto dalle foglie artificiali: la nuova sfida.
Aaron Burden - Unsplash

Gli obiettivi degli ultimi anni legati alla sostenibilità sono considerati delle vere e proprie sfide all’ultima tecnologia. Abbiamo visto brevetti di tanti tipi ma evidentemente c’è tanto altro da scoprire e ancora tanti progetti da sviluppare.

Le “foglie” artificiali

L’Europa definisce la cosiddetta A-LEAF, come un dispositivo in grado di replicare a fotosintesi in modo da produrre combustibili solari, senza sostanze chimiche. Al momento il prototipo assomiglia ad una bibita in lattina, che funziona come una foglia di un albero qualunque. La differenza si incontra nell’aggiunta di acqua e CO2, grazie alle quali il dispositivo produce formiato, composto utilizzabile come combustibile solare.

Tale tecnologia potrebbe essere utile per stoccare l’energia solare in eccesso oppure per sostituire gradualmente i combustibili fossili. Trattandosi poi di fotosintesi, si ridurrebbe anche la CO2 o comunque si può immaginare un processo carbon neutral. Inoltre i materiali usati non sono esattamente i migliori nel campo, ma in questo modo la tecnologia può essere distribuita più facilmente in aiuto alla società.

 

La produzione di idrogeno

Il primo passo in tale campo è stato fatto per la produzione di idrogeno. Il programma sviluppato da un gruppo di scienziati del Politecnico Federale di Losanna ha visto la realizzazione di un nuovo elettrodo per celle fotoelettrochimiche. Questo dispositivo, trasparente e poroso sfrutta il sole e l’umidità atmosferica per generare idrogeno. Il tutto avviene in celle solari che uniscono la raccolta di fotoni (nei semiconduttori) all’elettrolisi dell’acqua nell’aria.  Le celle fotochimiche (PEC) sono una grande risorsa per la scienza, poiché consentono di perseguire, migliorare ed incrementare gli studi nell’ambito descritto. Al principio però le celle utilizzavano semiconduttori immersi in liquidi; quindi, erano necessari passaggi più complessi per il loro riscaldamento.

Pertanto, il team di Losanna ha pensato bene si sostituire i liquidi con i gas, nello specifico con l’aria e quindi hanno modificato gli elettrodi. Solitamente sono composti in carbonio grafitico o materiali opachi che limitano la raccolta della luce, al contrario di quelli nuovi. Si chiamano elettrodi a diffusione di gas, sono trasparenti e porosi, assorbono più luce solare e massimizzano il contatto con le molecole d’acqua contenute nell’aria.

 

Il combustibile solare

Analogamente l’Università di Cambridge ha portato avanti la sua ricerca fino al raggiungimento dell’obiettivo: creare combustibili liquidi dalla luce solare. Come riportato nel primo paragrafo, si tratta di un processo che non include composti chimici tra gli “ingredienti”: solo acqua, luce del sole e CO2.

Loro, gli attori per la realizzazione di etanolo puro da aggiungere alla benzina per un pieno delle auto: è la prima generazione di combustioni solari. La peculiarità di questo progetto sta nella produzione di carburanti liquidi multi-carbonio, saltando la fase intermedia in cui si crea syngas. Questo salto è possibile grazie al catalizzatore a base di rame e palladio, in modo che la foglia produca sostanze più complesse. Tra queste, etanolo e n-propanolo.

In conclusione

Entrambi i processi devono essere messi alla prova in altre condizioni, soprattutto se si pensa ad un processo impiegato a livello industriale. Non è semplice diffondere su larga scala dei dispositivi e delle procedure simili, ma sono sicuramente la prova che c’è ancora tanto da studiare.

Intanto, questo come tanti altri è un passo in avanti per un mondo più verde.

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Mico materiali: quando la natura è una soluzione per il futuro.

By : Aldo |Maggio 22, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Mico materiali: quando la natura è una soluzione per il futuro.

Studi, ricerche, finanziamenti e speranze per trovare le migliori soluzioni per il pianeta sono tantissime. Ma come spesso accade, l’uomo non si rende conto che la scelta migliore, il luogo più adatto e meno pericoloso in cui cercare è proprio la natura.

Phoenix Han - Unsplash

Funghi per il futuro

I funghi sono i protagonisti di un mondo peculiare, pieno di curiosità, insidie ma anche di ottime qualità. Sono un alimento ma possono essere usati in medicina, sono allucinogeni ma anche un buon rimedio per l’ambiente. E bene si, secondo vari studi e applicazioni messe in atto da alcune aziende, i funghi possono aiutarci nella lotta contro l’inquinamento da plastica. Aziende americane e l’Università di Sydney hanno trovato il modo più sostenibile di usare delle caratteristiche della natura, proprio per salvaguardarla.

La nuova sostenibilità

È bastato studiare il ciclo vitale dei funghi per carpire dei dettagli che avrebbero potuto fare la differenza in questo mondo. Infatti, aziende come Ecovative o l’Università di Sydney hanno osservato la riproduzione e le qualità dell’organismo per ricavarne un rimedio. L’apparato vegetativo dei funghi, il micelio, si compone di un intreccio di cellule filamentose (le ife) che creano una rete nel suolo. Quest’ultima ha la capacità di legarsi alla materia organica presente nel substrato e viene usata per accrescere il proprio corpo vegetativo.

Seguendo questo processo, gli studiosi hanno dedotto che la materia organica del suolo poteva essere sostituita da altre matrici, pertanto si sono sbizzarriti. Ci sono molteplici scelte come materiale organico su cui far crescere il micelio: fondi di caffè, frammenti di cartone, trucioli e gusci d’uovo. Tale scoperta rappresenta un grande traguardo, poiché in questo modo si possono generare materiali 100% biodegradabili, resistenti e duraturi.

       

Natura e tecnologia

Si parla di biomateriali compostabili, oppure di “mico materiali” (quindi derivati dai funghi) che rendono la materia prima sostenibile, un concetto alla portata di tutti. Rappresentano una risorsa per i paesi più poveri, visto che possono essere impiegati in vari settori e sono efficienti anche dal punto di vista energetico. Per ora ci sono due programmi noti, che riguardano tale innovazione.

L’università australiana ha puntato tutto sull’utilizzo dei funghi su calchi stampati in 3D con la materia organica. Si tratta di un metodo che comprende anche le applicazioni in strutture con componenti elettroniche. Per esempio, è stato inventato un vaso, che monitora le condizioni del suolo (tramite un dispositivo), che si decompone quando la pianta deve essere travasata.

Mentre l’azienda Ecovative fondata nel 2007 è riuscita a convertire il micelio in una sorta di polistirolo naturale. L’impresa ha già avviato collaborazioni con Ikea, Dell e Biomason per rendere le grandi catene più sostenibili. Il loro composto si chiama Mycosomposite, e comprende un mix di micelio e sostanza organica che viene inserito in uno stampo.

Al suo interno il micelio cresce, formando una colla attorno alla forma; di seguito viene inserito in forno per uccidere le spore ed è pronto. È dunque composto dal 95% di substrato e 5% di micelio. Mentre il Mycoflex è fatto interamente di micelio ed è impiegato in prodotti morbidi, non a caso potrebbe sostituire la gomma piuma.

Altri prodotti

Nello specifico Ecovative produce allo stesso modo packaging, componenti per mobili, schiuma modellabile, tavole da surf e altri oggetti. Inoltre, l’azienda produce materiali da cantiere (pannelli, blocchi, mattoni) e tessuti di lusso. Perciò si può affermare che la natura comprende risorse di ogni tipo, basta studiarla attentamente, per usufruirne nel modo più adeguato e sostenibile.

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La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

By : Aldo |Maggio 18, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su La filiera italiana dell’idrogeno: gli investimenti dell’innovazione.

Il cambiamento verso il futuro, l’innovazione e la sostenibilità condividono un obiettivo comune, quello di migliorare la vita di tutti. Le risorse e le vie per attuare dei processi di transizione ci sono, ma ci vuole la mentalità giusta per cambiare concretamente il presente. 

Eelco Böhtlingk - Unsplash

L’idrogeno in Italia

Il settore dell’idrogeno viene considerato con un crescente interesse dall’Italia e pertanto rientra nei vettori energetici che rappresenta un modello di energia pulita. Al momento è l’unico combustibile che brucia producendo vapore acqueo, perciò è definito “green” e sarà uno dei principali protagonisti della transizione energetica.   

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In primo luogo, l’Unione Europea ha deciso di puntare su questo elemento per ridurre le emissioni di CO2 entro il 2050. Di seguito anche l’Italia ha accelerato gli studi su tale risorsa per poi avviare finanziamenti importanti per sviluppare una filiera tutta sua. Si tratta di un investimento di ben 3.64 miliardi di euro.

Lo studio H2IT

L’osservatorio H2IT ha pubblicato i nuovi dati riguardanti i movimenti di questo nuovo settore italiano, confermando la sua crescita positiva. L’analisi è stata sviluppata in collaborazione con Associazione italiana idrogeno, la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Alla base 55 imprese, maggiormente PMI tra le quali spiccano anche grandi nomi. Lo studio riporta che la filiera è abbastanza eterogenea per quanto riguarda le dimensioni delle imprese coinvolte.

Tra queste spicca un gruppo con una mission dalle alte potenzialità di innovazione in grado di collaborare in molteplici settori anche a livello internazionale. La situazione è simile anche per quanto riguarda i brevetti: la metà delle nostre aziende è pronta per l’industrializzazione dei loro progetti.

Settori

Come anticipato, i settori in cui l’idrogeno è stato considerato come risorsa verde sono vari, alla pari delle collaborazioni che risultano una tecnica vincente.

In Italia l’idrogeno spazia tra:

  • produzione (campo in cui è attivo il 53% del campione);
  • servizi (49%);
  • mobilità (45%);
  • utilizzo (31%),
  • integrazione dei sistemi (29%);
  • Energy Company (29%),
  • trasporto e stoccaggio (25%);
  • sicurezza e certificazione (15%).

Inoltre, per il 71% di tali realtà, un centro di ricerca interno per l’idrogeno è praticamente necessario per l’innovazione; ovviamente si tratta maggiormente di privati. Negli ultimi 5 anni, 1 azienda su 3 ha ottenuto il brevetto e si è registrato un aumento di occupazione nelle tecnologie produttive dell’H2 all’85%.

Collaborazioni

In questo sistema la collaborazione tra 2 o più realtà sembra essere il punto vincente per spingere il più possibile la filiera. Lo studio infatti dichiara che per il 64% delle imprese, questo modello ha funzionato; ottima anche la partnership con le Università (60%). Per chi va oltre e sceglie collaborazioni con tavoli di lavoro nazionali / internazionali ha avuto un successo del 49%.  Come ogni nuovo settore in crescita, si prospetta anche un aumento dei posti di lavoro altamente specializzati e di una nuova formazione per i giovani.

Per concludere, è lecito ricordare che il nord Italia registra la gran parte dei brevetti, delle aziende e dell’occupazione nel settore.  Ma non per questo, è esclusa la crescita di tali tecnologie anche al sud nei prossimi anni.

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Vaporetti e battelli ibridi o elettrici: la transizione ecologica di Venezia.

By : Aldo |Maggio 16, 2023 |Clima, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Vaporetti e battelli ibridi o elettrici: la transizione ecologica di Venezia.

In un precedente articolo abbiamo parlato delle iniziative della città di Venezia per quanto riguarda la cura dell’ambiente. Oggi torniamo nello stesso comune, perchè oltre ai gondolieri subacquei che puliscono i canali, a Venezia arriva la transizione elettrica.

Danijel Durkovic - Unsplash

Il contorno di Venezia

La città sospesa sull’acqua è unica al mondo e con lei, lo stile di vita intrapreso dai suoi abitanti durante la storia. Ovviamente con gli anni, passano le mode e aumentano le tecnologie ma Venezia sembra sempre rimasta in un mondo diverso. Questa è forse una delle tante caratteristiche che la rende autentica e fortunatamente gli studiosi sono riusciti a non modificarla per mezzo dell’innovazione. Dunque, privati, aziende pubbliche e poli universitari hanno collaborato per limitare i danni legati all’attività più diffusa a tra i canali: gli spostamenti.

L’elettrico, l’ibrido e il green

In una città qualsiasi, gli spostamenti emettono tonnellate di CO2, inquinando l’ambiente e creando traffico. Analogamente succede nella città di Piazza San Marco, dove battelli e vaporetti con motori desueti, continuano le loro attività senza alcun freno. Quotidianamente circolano 160 battelli molto pesanti, di cui la maggior parte presenta ancora un motore poco avanzato a livello tecnologico.

Le analisi degli ultimi anni confermano che inquinano ed emettono oltre a tonnellate di CO2, anche ossido di azoto, idrocarburi e pm10. Pertanto il trasporto pubblico Actv ha un piano di investimenti per dotare di motori ibridi ben 50 mezzi della propria flotta. Di pari passo sono stati brevettati motori elettrici anche per le imbarcazioni per il trasporto merci, come nel caso del nuovo mezzo Coop.

“Emilio” impatto zero

Si chiama così la nuova imbarcazione targata Coop Alleanza 3.0 che trasporterà le merci della grande catena in 2 punti vendita nel centro storico. L’azienda bolognese ha annunciato il progetto Coop per le consegne fossil-free la settimana scorsa e ha mostrato “Emilio”. Progettato e studiato da S.ca Snc Trasporti Marittimi Veneziani, si tratta di un battello a propulsione completamente elettrica (alimentata da un pacco di batterie).

Bastano solo 30/ 40 minuti per una carica completa ed un’autonomia di 3 ore, poi una volta scariche recuperano energia grazie al motore endotermico. Quindi il mezzo autocaricabile al 100% potrebbe essere il primo di una lunga serie di cambiamenti della laguna veneta.

Innanzitutto, perchè con tale tecnologia la catena di supermercati, sarà in grado di risparmiare circa 40 tonnellate di CO2 all’anno. Ma l’obiettivo quello di risparmiare totalmente 200 tonnellate di emissioni, con almeno 5 mezzi. Detto ciò, è necessario ricordare che “Emilio” trasporterebbe ben 50 tonnellate di merce ed è grande al punto poter passare solo nei canali più larghi.

Altre innovazioni 

Questa è solo la prima di tante innovazioni di Venezia che si prepara anche alle colonnine per la ricarica elettrica. Forse una mossa azzardata per le scarse imbarcazioni (specialmente private) dotate di motore elettrico, ma sempre un incentivo al cambiamento. Si prospettano addirittura delle “paline” ovvero delle colonnine uguali per forma e colori ai pali di legno tipici della città. Per ogni movimento o transizione serviranno sempre dei piccoli o grandi passi per ingranare il processo di cambiamento. Venezia ha fatto il suo.

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La Spagna investe 2,2 miliardi di euro per affrontare l’emergenza climatica.

By : Aldo |Maggio 15, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su La Spagna investe 2,2 miliardi di euro per affrontare l’emergenza climatica.
Ma Ti - Unsplash

La primavera è iniziata da tempo e con essa sono arrivati anche cambi repentini del tempo, soprattutto le precoci ondate di caldo. Quest’ultime hanno già creato problemi e sono solo le prime avvisaglie della siccità di cui tanto si parlerà nei prossimi mesi.

Il Pacchetto della Spagna

La Spagna dopo il primo mese di primavera ha già registrato delle temperature elevate che fanno preoccupare tutti. In primis il governo che ha scelto di firmare e attivare una strategia da 2,2 miliardi di euro per affrontare l’emergenza siccità. Tale pacchetto è stato studiato dopo aver seguito i cambiamenti climatici nel tempo e i loro effetti.

Infatti, dal 1° ottobre 2022 alla seconda settimana di maggio, le precipitazioni nella penisola iberica sono state inferiori alla media del 27,5%. Questo, un dato allarmante che preoccupa il governo ma soprattutto i settori primari che ne risentono maggiormente e l’intera economia.

Siccità precoce

I cittadini spagnoli sono già abituati alle alte temperature estive, soprattutto chi abita nel sud del Paese, ma non a questi livelli. A marzo il deficit era del 36% e il mese successivo si è aggravato, raggiungendo il record come “aprile” più caldo della storia della nazione. Oggi le riserve idriche del territorio sono in rosso (-48,9%) e non è ancora arrivata l’estate; si tratta di livelli più bassi dell’anno scorso.

Come riportato dalla ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera, la Spagna si sta preparando ad effetti sempre più forti legati ai cambiamenti climatici. Pertanto, si è pensato ad un piano d’azione che possa essere attivato velocemente con aiuti diretti e concreti senza precedenti. Oltre agli aiuti finanziari saranno sviluppati veri e propri interventi come l’installazione di dissalatori o altri lavori più leggeri e di rapida attuazione.

I finanziamenti

Il ministero dell’Ambiente ha quindi messo a disposizione ben 1,4 miliardi di euro, che verranno divisi e impiegati in vari settori. 636 milioni saranno impiegati nel settore dell’agricoltura e dell’allevamento, secondo il piano del ministro dell’agricoltura, allevamento e pesca Luis Planas. Questi aiuteranno anche il finanziamento delle polizze assicurative, fondamentali per coprire le contingenze di siccità. Quindi saranno divisi 355 milioni per gli allevatori e 276,7 per il settore agricolo. in modo da finanziare le misure previste in funzione delle incidenze atmosferiche. In più 5 milioni andranno agli apicoltori.

Dissalatori

Come anticipato prima, l’investimento riguarda anche infrastrutture e installazioni. Tra questi impianti di desalinizzazione, impianti per raddoppiare il riutilizzo delle acque urbane e ridurre tasse e costi delle aziende agricole interessate. L’impianto di desalinizzazione verrà costruito a Blanes (foce del fiume Tordera), come lavoro fondamentale per migliorare l’approvvigionamento nella regione di Barcellona e Girona.

Altre strutture verranno instituite nei bacini colpiti dalla penuria di riserve, seguite da interventi come pompaggi di emergenza. Il bilancio stimato è di 35,5 milioni. Ulteriori dissalatori saranno costruiti nella costa mediterranea a Malaga e Almeria e con altri 224 milioni di euro si intensificherà il riutilizzo ad Alicante. 

Altre misure

Il governo è pronto a promuovere l’utilizzo delle acque urbane per passare dagli attuali 400 hm3 all’anno a circa 1.000 Hm3 nel 2027. Questi coprirebbero il 20% del volume delle risorse idriche destinate all’approvvigionamento delle popolazioni. Infine, si riportano nuove misure e finanziamenti correlati al Guadalquivir, per gli acquiferi del Parco Nazionale di Doñana e per la sicurezza dei lavoratori.

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Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

By : Aldo |Maggio 11, 2023 |Efficienza energetica, Home, menomissioni, menorifiuti, Rifiuti |Commenti disabilitati su Da rifiuto a materia prima: pneumatici esausti e scorie d’acciaio creano una nuova gomma.

Un mondo basato sull’economia circolare dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere in tempi più o meno brevi. La transizione ad un sistema simile non è semplice, ma come sempre ci sono dei piccoli passi che ci aiutano ad ottenere un buon risultato.

Robert Laursoo - Unsplash

Una nuova gomma

Un progetto sviluppato dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Brescia propone lo sviluppo di una nuova gomma riciclata adatta alle produzioni industriali. Si tratta di un prodotto creato per via dell’unione di pneumatici fuori uso e scorie di acciaio: un nuovo esempio di economia circolare. Nello specifico la gomma derivata dal connubio di questi scarti è adeguata alla creazione di tappetini per l’isolamento acustico o antivibranti. Dai PFU (pneumatici fuori uso) si può ricavare gomma, acciaio e fibra tessile che possono essere utilizzati nel settore delle infrastrutture, strade ed edilizia.

Lavorazione

Il processo pensato per ottenere questo nuovo materiale è costituito da passaggi specifici che garantiscono alla gomma delle caratteristiche uniche. Per prima cosa, si tratta di una lavorazione a freddo che non prevede l’aggiunta di additivi. I PFU vengono ridotti in polvere, che viene integrata con quantità crescenti di scorie di acciaio.

Così aumenta il coefficiente di rigidità, garantendo una buona compattezza e coesione del prodotto che ottiene anche una maggiore conducibilità termica e buone proprietà magnetiche. In tal modo si rende utile il materiale per applicazioni in cui è necessaria la dissipazione di calore.

Vantaggi ambientali e salutari

Questi fogli di gomma con spessore di 1 millimetro possono migliorare le condizioni dell’ambiente che ci circonda e della nostra salute. Infatti, oltre ad unire due settori lontani, aiuta il riciclo delle scorie soprattutto in Lombardia, dove coesistono molteplici industrie di acciaio per forno elettrico. Questo è un settore che ogni anno produce 20.4 milioni di tonnellate di acciaio, di cui il 10-15% è composto da scorie nere. Quindi grazie a tale progetto si riduce il rilascio di metalli pesanti e potenzialmente tossici per l’uomo come il cromo, il molibdeno e il vanadio. In aggiunta si rende sostenibile il settore degli pneumatici, che produce 435 mila tonnellate di rifiuti l’anno, di cui solo il 20% viene rigenerato.

Un problema all’orizzonte

Il riciclo di pneumatici è una delle eccellenze dell’economia circolare italiana che porta alla creazione di gomma per impianti sportivi, strade, infrastrutture ed altro. Purtroppo, l’Europa ha votato per il bando dell’intaso polimerico nelle superfici sportive quindi, gli impieghi prima citati potrebbero venire meno. Tale decisione deriva dal fatto che il 90% dei campi da calcio in Europa sono stabilizzati con questa gomma.

Tuttavia, Ecopnenus (consorzio che trasforma 200 mila tonnellate di pfu) dichiara che una legge simile potrebbe creare un grande problema, ambientale economico e sociale. Pertanto, richiede, insieme a Legambiente di rivedere la normativa approvata, poichè il non utilizzo del prodotto, porterebbe ad una maggiore dispersione di pfu nell’ambiente.

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Il riciclo meccanico non basta, ma quello chimico è davvero sostenibile?

By : Aldo |Maggio 09, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il riciclo meccanico non basta, ma quello chimico è davvero sostenibile?

La raccolta differenziata serve per il riciclo e la creazione di nuovi prodotti. La circolarità del sistema non è difficile da capire, ma forse complessa da portare a termine. In questo campo infatti, la plastica resta uno dei punti interrogativi più grandi del settore.

Jas Min - Unsplash

Il Green Deal europeo

Dopo aver dichiarato l’emergenza climatica (nel 2019) il Parlamento europeo presenta il “Green deal” come un piano d’azione per attenuare l’impatto ambientale dell’Unione. Tale strategia, vista come l’ultima e una delle più importanti iniziative dell’UE sul clima ha come obiettivo la neutralità climatica.   Il programma è basato sui punti cardine dell’agenda 2030, elevando la propria missione con obiettivi più ambiziosi. Un esempio, quello di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).

Per quanto riguarda la plastica invece, si punta ad una riduzione complessiva di rifiuti del 37% attraverso il riutilizzo e il riciclaggio. Ci sarà un cambio di rotta obbligatorio delle imprese che dovranno offrire un’etichettatura degli imballaggi riutilizzabili se non una loro riduzione (per quanto possibile).

L’obiettivo è quello di eliminare imballaggi monouso per gli alimenti, soprattutto nel campo della ristorazione e di altri prodotti nell’hotellerie. Un ulteriore passo importante riguarda i tassi vincolanti di contenuto riciclato che le aziende dovranno includere negli imballaggi di plastica. Aumentando in tale modo il valore del materiale riciclato.

Il parere di Zero Waste

Nonostante ciò, secondo la rete Zero Waste Europe il riciclo della plastica non è esattamente sostenibile come si pensa. Ovvero esistono due tecniche di riciclo per i polimeri: quello meccanico e quello chimico. Di norma si predilige il primo ma spesso non è efficace come il secondo, o non è adatto a tutti i tipi di rifiuti. Questo rappresenta un problema poiché il metodo chimico prevede una maggiore emissione di CO2 legata ai vari step, soprattutto quelli termici. Per rispettare le linee imposte dal patto europeo, il metodo meccanico sembra non bastare quindi si tratta di una situazione contraddittoria se considerata la sua sostenibilità.

Metodo chimico

Riguarda la decomposizione dei polimeri di cui è fatto il prodotto in questione. Si procede alla divisione per mezzo di calore, catalizzatori o agenti chimici. Grazie a tali meccanismi si ottiene una grande quantità di materie prime che possono essere impiegate nuovamente, con le stesse caratteristiche della materia prima vergine. Tale sistema detto anche di “riciclo avanzato” ed è attualmente l’unico metodo efficace per il trattamento dei rifiuti di plastica. Tuttavia, le analisi svolte su questa metodologia di riciclo hanno sollevato dei grandi dubbi, poiché contraddicono la sostenibilità tanto proclamata del sistema.

Il report di Zero Waste Europe, afferma che il riciclo chimico serve solo in casi particolari e dovrebbe essere scelto esclusivamente dopo quello meccanico. Unicamente i prodotti con materiali durevoli e degradati che non possono essere decomposti in altri modi, dovrebbero passare al riciclo avanzato. Inoltre, l’intero processo richiede grandi quantità di acqua ed energia e immette nell’ambiente grandi quantità di sostanze chimiche, che inquinano l’ambiente.

Cosa fare?

Questo non vuol dire che si tratti di un sistema non sicuro o da evitare, ma da scegliere in maniera appropriata. Per far si che ciò accada serve un’ampia campagna di prevenzione e precauzione, in primo luogo delle aziende, in modo da cambiare il problema all’origine. Si ipotizza una maggiore attenzione al design e alla qualità del prodotto, per renderlo riciclabile con il metodo meccanico. Oppure sarebbe auspicabile un miglior consumo delle risorse, tra le quali l’energia, se non altro prendere in considerazione il taglio netto della plastica.

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Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.

By : Aldo |Maggio 08, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Ridurre l’impatto ambientale degli impianti frigoriferi in poche e semplici mosse.

Ogni giorno si scoprono nuove vie per ridurre l’impatto ambientale delle nostre attività e i relativi costi. Senza dubbio la continua capacità di innovarsi è una qualità positiva per il mondo, la salute e l’economia di tutti.

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Bitzer Italia

Il leader mondiale per la produzione di compressori (cuore degli impianti di refrigerazione) si interroga da tempo su come essere più green. Sicuramente, essendo il maggior produttore di compressori nel settore, può migliorare le tecnologie e efficienza dei suoi prodotti ma può fare molto di più. Per questo, Piero Trevisan, Direttore generale di Bitzer Italia ha da poco diffuso un’infrastruttura digitale per i suoi partner che li aiuti a tal proposito.

L’azienda ha condiviso con il BITZER Digital Network (BDN), una piattaforma che consente ai soci di verificare le condizioni ottimali dei prodotti. Dunque, la piattaforma offre una soluzione semplice per monitorare gli impianti grazie ai Moduli IQ, gestendo ed archiviando le loro informazioni e applicazioni. Inoltre, per mezzo di questo servizio si possono organizzare interventi di manutenzione veloci, dato che certificazioni, specifiche tecniche e altri dati sono nel sito.

Impianti più green

L’idea di un portale per aiutare i partener ad essere più in equilibrio con l’ambiente deriva da un’attenta analisi di Trevisan. Quest’ultimo crede che il momento storico che stiamo vivendo sia così delicato ma allo stesso tempo proficuo al punto che non si possa perdere tempo. Non a caso, afferma l’importanza in tale periodo, di ridurre i consumi in modo da diminuire i costi massimizzando però l’efficienza dei propri impianti.

Solitamente i costi più alti sono correlati alle spese energetiche, per questo motivo di consiglia di andare oltre i soliti parametri di valutazione, in caso innovamento. Quindi, se un’azienda volesse cambiare e ridurre il suo impatto dovrebbe prima analizzare il carico termico per individuare le soluzioni. Di questo passo si possono ridurre le dispersioni termiche, minimizzando il carico stesso.

In un secondo momento si procede con la massimizzazione dell’efficienza energetica della macchina, che produrrà solamente il freddo necessario. Tali procedure sono più che fondamentali, se non altro perchè il costo dell’energia è un multiplo di qualche mese fa. Infatti, gli investimenti che riducono il consumo energetico hanno un ritorno particolarmente breve, di conseguenza è il momento migliore per investire nelle nuove tecnologie.

Le soluzioni

É importante ribadire che senz’altro ci sono delle linee guida per poter rendere l’industria e il prodotto più sostenibili. Di norma di procede con la riduzione del fabbisogno frigorifero, modificando carichi termici e le dispersioni, isolando in modo ottimale l’impianto. Si passa poi alla minimizzazione delle possibili emissioni dirette e si sceglie il refrigerante migliore per il caso (controllando anche il GWP). Infine, si minimizzano le emissioni indirette e dunque si ottimizza il consumo energetico dell’impianto.

Tuttavia, ci sono delle soluzioni che saranno individuali e specifiche caso per caso, che possono essere riscontrate dopo un’attenta analisi del problema. É comunque auspicabile che ogni industria a prescindere dal settore in cui opera, faccia dei controlli periodici dei propri macchinari. In tal modo, si possono risanare più facilmente e velocemente delle situazioni di minor efficienza o di mal funzionamento.

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Gli italiani sostengono il cambio di vita per risolvere la questione climatica.

By : Aldo |Maggio 04, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, plasticfree |Commenti disabilitati su Gli italiani sostengono il cambio di vita per risolvere la questione climatica.
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Ogni giorno nel mondo vengono vagliate leggi, nuove misure e direttive per poter cambiare rotta rispetto alla crisi climatica.

Senza dubbio si tratta di iter spesso lenti e non del tutto pratici, ma risultano sempre più necessari col passare del tempo.

 

YouGov

YouGov, la società britannica internazionale di ricerche di mercato e analisi dati ha svolto uno studio ben preciso per determinare le idee vari paesi.

Il sondaggio riguardava la crisi climatica e mirava a determinare quanto le persone siano favorevoli a cambiare la loro vita per risolvere la questione climatica.

Per questo studio sono state intervistate oltre 1000 persone per ciascuno dei 7 stati coinvolti, quali Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Spagna, Danimarca e Svezia.

I risultati dell’analisi (svolta tra il 5 e il 24 aprile) dimostrano come gli italiani siano i più propensi a cambiare le proprie abitudini.

Gli italiani

Dopo aver elaborato i dati, è stato pubblicato il sondaggio in esclusiva sul “The Guardian”: le informazioni parlano chiaro e gli italiani sembrano pronti.

Innanzitutto, risultano i più preoccupati per la crisi climatica e i suoi effetti, probabilmente anche per la conformazione della penisola stessa.

Abbiamo una moltitudine di paesaggi, ambienti e caratteristiche uniche al mondo. La salvaguardia dell’ambiente e un’attenta vita sostenibile, proteggerebbero non solo la natura, ma anche la nostra economia e i tesori della storia che conserviamo.

Tale pensiero tocca l’81% degli intervistati italiani, mentre gli altri paesi arrivano a cifre inferiori fino alla Svezia che conta solo il 60%.

Siamo i più favorevoli a passare ai veicoli elettrici (+40%), a rinunciare a carne e latticini nelle nostre diete (anche con una legge, al 48%). Occupiamo il primo posto anche per la scelta di avere meno figli.

Inoltre, dopo gli spagnoli siamo i più propensi ad evitare l’automobile, scegliendo biciclette, trasporti pubblici e le camminate.  

Contemporaneamente siamo i meno inclini a pagare di più i voli per compensare le emissioni.

 

L’insieme

In generale tra 75% e l’85% degli intervistati è d’accordo sulla necessità di un lavoro di gruppo per poter cambiare effettivamente il futuro.

Allo stesso tempo però non sono tutti convinti sulle pratiche da mettere in atto per poter concretizzare tale trasformazione. In pratica si vuole risolvere attenuare la crisi climatica ma più una misura cambia lo stile di vita e meno viene sostenuta.

Per quanto riguarda la plastica il 40% (Danimarca) e il 56% (Regno Unito, Spagna e Italia) non acquisterebbe più prodotti monouso. Mentre tra il 63% (Svezia) e il 75% (Spagna) la vieterebbero

Di certo i sussidi dei governi per l’efficientamento delle abitazioni sono ben accetti da tutti (fino all’86% in Spagna). Tuttavia, gli spagnoli sarebbero favorevoli al 40% nel coprire tali costi personalmente.

La Germania accetterebbe per il 28% un cambio di abitudini alimentari mentre, il Regno Unito (24%) approverebbe una legge in tal senso.

Parlando invece dei trasporti ci sono delle opinioni contrastanti.

La possibilità di passare all’auto elettrica prende un massimo del 32% (Danimarca), mentre il 40% (Spagna) sarebbe disposto a rinunciare al veicolo.

Altri stati invece dichiarano di aver già considerato e applicato tale misura, dal minimo del 21% di svedesi al massimo del 28% dei tedeschi.

Una grande opposizione si è registrata per l’aumento obbligatorio dell’imposta sul carburante e il divieto di produzione e vendita di auto a benzina e diesel.

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Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

By : Aldo |Maggio 02, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Flatburn: quando i veicoli diventano supporti per il monitoraggio ambientale.

In precedenti articoli si è trattato il tema del monitoraggio dell’aria e di come siano importanti i progetti ad esso legati. Altrettanto rilevanti sono i programmi che includono il cittadino rendendolo parte del processo di ricerca e di raccolta dati: di seguito un nuovo esempio.

Nik Shuliahin 💛💙 - Unsplash

Flatburn

Il dispositivo figlio della collaborazione tra il Senseable City Lab dell’Mit di Boston e l’azienda italiana Fae Technology è attivo. Si tratta di uno strumento adibito al monitoraggio ambientale, in grado di rilevare e condividere dati sensibili per quanto riguarda l’ambiente. La caratteristica di tale sistema è quella di essere uno dei nuovi tipi di rilevatori drive-by, dunque ospitato in un veicolo stradale (automobile e autobus). 

Tale qualità rende possibile la raccolta di dati di varia natura anche grazie ai molteplici sensori integrati nel sistema e gli effettivi campi da controllare. Pertanto, Flatburn permette di monitorare la qualità dell’aria, l’umidità, le isole di calore nei centri urbani, quindi l’efficienza energetica e l’impatto acustico.

Come funziona

L’impianto è posizionato sul tetto del veicolo per via di un magnete ed è auto-alimentato da energia solare. Questo è possibile grazie al pannello solare integrato che garantisce di accumulare energia in situazioni di scarsa luminosità. È composto di parti meccaniche prodotte con stampa 3D, facilmente reperibili o da creare per via delle informazioni rilasciate dallo stesso. Infatti, le istruzioni su come costruirlo e usarlo sono pubbliche.

Nello specifico, per valutare l’efficienza energetica degli uffici usa le immagini termiche; per l’analisi degli inquinanti nell’aria predilige il laser. Inoltre, può anche mappare la qualità delle strade tenendo conto delle vibrazioni del veicolo.

Il dialogo

Flatburn è incluso nella piattaforma per il monitoraggio ambientale City Scanner, la quale trasforma i veicoli in sentinelle per i rilevamenti. Il dialogo è rilasciato obbligatoriamente con licenza open source in modo tale da diffondere dati e sviluppare più velocemente le sue tecnologie contribuendo alla sostenibilità. Tali caratteristiche regalano una nuova e accurata visione dell’ambiente urbano, fondamentale non solo per il cittadino che ci vive.

Infatti, anche sindaci, enti e amministrazioni usufruendo di tali dati possono prendere decisioni politiche e ambientali più specifiche e produttive. Al momento, la Fae Technology (società benefit bergamasca) ha sottoscritto un accordo biennale come “consortium member” con l’ente americano per continuare questo tipo di ricerca. In più il dispositivo è già attivo in 6 città del mondo, come New York, Boston, Stoccolma e Amsterdam.Di certo arriverà anche negli altri centri urbani, in questo modo sarà più semplice applicare norme e sanzioni, supportando la sostenibilità. E perchè no anche al salute umana.

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Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.

By : Aldo |Aprile 27, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Goldman Environmental Prize 2023: ecco i 6 vincitori e le loro imprese.
Markus Spiske - Unsplash

Tra iniziative locali e mondiali, piccoli e grandi cambiamenti nella produzione e una nuova consapevolezza, ci si interessa sempre più all’ambiente. Ma c’è chi ha combattuto da singolo contro grandi imperi ed è riuscito a vincere per il bene del Pianeta.

Goldman Environmental Prize

Il Goldman Environmental Prize rende onore ai raggiungimenti e alla leadership dell’attivismo ambientale nel mondo, ispirando tutti quanti ad essere parte del cambiamento. È stato ideato per sostenere e riconoscere gli sforzi e le azioni dei singoli per proteggere l’ambiente a loro rischio e pericolo. Nello specifico, vengono premiati coloro che difendono la Terra coinvolgendo le comunità locali, creando un movimento positivo e propositivo.

Il titolo nasce dall’idea del filantropo Richard e sua moglie Rhoda Goldman nel 1989, per dimostrare pubblicamente la natura dei problemi ambientali. I vincitori vengono annunciati durante una cerimonia che si svolge proprio durante la giornata della Terra, nella Opera House di San Francisco.

Oggi

Certamente sono cambiate tante cose dalla prima premiazione nel 1990: dopo 33 anni abbiamo risolto e creato tanti problemi. La cosa chiara a tutti è che bisogna proteggere il pianeta come proteggiamo le persone o i beni più preziosi nella nostra vita. Di conseguenza c’è chi ha preso a cuore quest’idea rendendola la missione della propria vita, andando anche contro le più grandi realtà del mondo. Pertanto, con la cerimonia si premiano le “persone di origini ordinarie che fanno cose straordinarie per salvare la nostra Terra”.

I vincitori del 2023

  • Zafer Kizilkaya ha collaborato con le cooperative pescherecce turche per espandere la rete di AMP in Turchia per 800 km2 nelle coste Mediterranee.
    Queste aree approvate dal governo turco nel 2020, proteggono interi ecosistemi marini, danneggiati dalla pesca illegale e intensiva e dall’eccessivo turismo. Grazie a tale iniziativa il numero di pesci per m2 è decuplicato mentre i redditi dei pescatori sono aumentati del 400%.
  • Chilekwa Mumba in Zambia, ha denunciato la Konkola Copper Mines per danni ambientali causati nella provincia di Copperbelt, stabilendo un importante precedente legale.
    Per la prima volta, un’azienda viene ritenuta responsabile per i danni ambientali per via dalle operazioni gestite da una filiale in un altro paese.
    Mumba ha vinto contro la Vedanta Resources davanti la Corte Suprema del Regno Unito: di seguito venne accusata la Shell Global per l’inquinamento in Nigeria.
  • Diane Wilson ha seguito lo stesso cammino di Mumba, battendosi contro la multinazionale Formosa Plastics. Ha accusato l’azienda di aver scaricato ingenti quantità di rifiuti tossici plastici nella costa del Golfo del Texas.
    Dopo 34 anni, ha vinto la causa e 50 milioni di dollari registrando un grande record. Ha ottenuto il più grande premio in una causa di un cittadino contro un inquinatore industriale nella storia del Clean Water Act degli USA.
  • Alessandra Korap Munduruku allo stesso modo si è scontrata con la società mineraria britannica Anglo American. Quest’ultima stava rovinando un pozzo di biodiversità importantissimo nella foresta pluviale del Brasile.
    L’azienda nel 2021 ha ritirato 27 domande di esplorazione e ricerca nei territori indigeni, anche se già approvate. La protezione venne estese anche al territorio di Sawré Muybu, il più ricco di risorse minerarie della zona.
  • Mentre Delima Silalahi ha intrapreso un progetto burocratico in Indonesia. Si è battuta affinché 17.824 acri di foresta tropicale venissero affidati legalmente a delle comunità indigene di Sumatra.
    Questo perchè la gestione alloctona di tali aree aveva portato ad una monocoltura di eucalipto mettendo in pericolo la biodiversità autoctona.
  • Infine, Tero Mustonen è riuscito ad essere a capo del ripristino di 62 ex siti minerari e forestali in Finlandia. In tal modo ha potuto trasformare delle zone abbandonate in zone umide e habitat ricchi di biodiversità e di materia organica delle torbiere.

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Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

By : Aldo |Aprile 24, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, menomissioni, Rifiuti |Commenti disabilitati su Relicta: la bioplastica creata con gli scarti della produzione ittica

L’economia circolare non ha segreti, ma solo tanto potenziale da scoprire soprattutto per proteggere il nostro futuro. Spesso, in questo settore, il mare è una base esemplare per molteplici progetti di sostenibilità e salvaguardia della natura.

Dai laboratori universitari

Ancora una volta le startup fondate da giovani studenti hanno la meglio.  Nello specifico Relicta è formata da 5 studenti sardi legati dall’amore per il mare e da competenze acquisite nei loro percorsi di studio. Si sono conosciuti nel 2017, durante il concorso universitario Contamination Lab, dopo il quale hanno unito idee e studi per il grande risultato. Successivamente nel 2020 è stata fondato il gruppo.

L’impresa, infatti, ha creato un materiale che potrebbe cambiare le sorti del mondo o almeno quelle del Mar Mediterraneo. Si tratta di una bioplastica, che deriva dal mare nel quale può scomparire: è stata chiamata Relicta come l’azienda ed ha riscosso un grande successo.

La bioplastica

Il prototipo di bioplastica ideato da Davide e Matteo Sanna, Andrea Farina, Giovanni Conti e Mariangela Melino si compone di materiali di scarto. In particolare, sono stati scelti gli rifiuti della produzione ittica quali scaglie e lische di pesce per produrre plastica di due tipi diversi. Il gruppo ha infatti sviluppato due modelli, uno flessibile e uno rigido per poterli applicare a vari e molteplici impieghi.

Non a caso Relicta può essere è usata come film per il packaging di alimenti, cosmetici e dispositivi elettronici ma anche col sottovuoto. In quel caso, si applica per prodotti delicati come mascherine chirurgiche, cibi da conservare e medicinali, poiché le proprietà isolanti restano intatte per 12 mesi. Inoltre, la pellicola è inodore e solubile in acqua, grazie alla sua base naturale e ai processi a cui viene sottoposta la materia prima.

Mario Caruso - Unsplash

L’economia circolare

Anche Relicta, come tanti altri progetti, nasce dal recupero di “rifiuti”, in questo caso scarti di produzione ittica. Il gruppo di studenti ha pensato di produrre la pellicola con materie derivanti dall’acquacultura che garantisce un grande quantitativo di scarti utili all’azienda. Pertanto, si rifornisce da una multinazionale di salmone, che utilizza la stessa biopellicola per il suo packaging. Al momento, l’impresa può ottenere 300 g di bioplastica da 1 kg di scarti che vale tra i 0,20 € a 1,5 €, quindi i margini di guadagno sono elevati.

Resta comunque la caratteristica migliore, la sua capacità di decomposizione in acqua nell’arco di 20 giorni. Di questo passo, la bioplastica creata dal mare può scomparire nel mare senza lasciare traccia o produrre danni, favorendo l’economia circolare di cui abbiamo bisogno.

La startup ha una missione, quella di essere parte della soluzione al grande problema dell’inquinamento scaturito dalla plastica. Senza dubbio, Relicta può raggiungere il suo obiettivo anche grazie al finanziamento di 500 mila euro. L’investimento arriva dalla Scientifica Venture Capital insieme all’acceleratore di startup Terra Next (nell’ambito della Bioeconomia) e Vertis SGR attraverso il fondo Venture 3 Technology Transfer.

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ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

By : Aldo |Aprile 20, 2023 |Acqua, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoacqua |Commenti disabilitati su ChatGpt ha sete: per l’addestramento servono 700 mila litri di acqua.

Sappiamo che per i server e i data centre serve tanta energia elettrica ma anche acqua e suolo. Tali risorse sono necessarie per specifiche funzioni e sono quindi fondamentali in questo settore. É importante ricordare però che più server, servizi e tecnologie ci sono e più risorse serviranno. 

BoliviaInteligente - Unsplash

Il fenomeno attuale

È stata bloccata in Italia (dal Garante della Privacy) Chat Gpt, l’intelligenza artificiale conversazionale con grande un successo negli ultimi mesi. Il suo nome deriva dall’acronimo Generative Pretrained Transformer, ossia uno strumento che elabora il linguaggio naturale con algoritmi avanzati di apprendimento automatico. Tale caratteristica serve per poter generare risposte simili a quelle di una persona vera, in un discorso qualsiasi, dal più semplice al più tecnico.

L’AI funziona molto semplicemente: l’utente inserisce un messaggio, Chat GPT lo elabora e genera una risposta. Più è dettagliato l’input e più sarà specifica e pertinente la risposta. Al momento in Italia è stata bloccata per revisionare la sicurezza dei dati sensibili degli utenti. Tuttavia, potrebbe essere sbloccata il 30 aprile, se rispetta i criteri di privacy.

La sete di Chat GPT

Il caso Chat GPT è diventato subito un fenomeno, un particolare soggetto di discussioni e ricerca su vari temi, dalla sicurezza dati, alla sostenibilità. Tra i tanti, l’Università del Colorado Riverside e quella del Texas ad Arlington hanno svolto uno studio sul consumo di acqua da parte della piattaforma.

La ricerca “Making Ai Less Thirsty” (Rendere l’Ai meno assetata) ha l’obiettivo di diffondere informazioni riguardo l’utilizzo di acqua da parte dei suoi data centre. Nello specifico affronta la questione dei sistemi di raffreddamento che utilizzano grandi quantità di oro blu per svolgere le loro funzioni.

Il problema sta nel fatto che per raffreddare i server e addestrare le AI serve un volume d’acqua pari a quello di un reattore nucleare. Precisamente per l’apprendimento di Gpt-3 ne sono stati usati 700 mila litri.

Il problema nascosto

Un ulteriore obiettivo della ricerca è quello di evidenziare la serietà del problema, spesso oscurato dalla questione energetica. Sicuramente il consumo di energia elettrica e le emissioni sono un grande tema da tenere sorvegliare, ma l’impronta idrica dei server non è da meno. Sia chiaro, questo appunto non è riferito solo alle intelligenze artificiali, ma a tutto il settore che riguarda servizi di cloud, streaming e altro. Soffermandosi su Chat GPT, la ricerca ha portato dati inequivocabili. Per una conversazione media, l’intelligenza artificiale preleva un volume pari ad una bottiglia d’acqua.

In numeri

Per rendere l’idea della quantità d’acqua usata in questi ambiti, i ricercatori hanno fatto dei paragoni chiari e semplici. I 700 mila litri usati per addestrare la terza versione dell’AI, sono pari ai litri impiegati per la produzione di 370 auto o 320 Tesla.

Inoltre, è da sottolineare il fatto che tali dati, sono riferiti agli edifici Microsoft in negli USA. Infatti, se si prendessero in considerazione i data centre asiatici, avremmo dei dati triplicati poiché meno ottimizzati e meno all’avanguardia. La situazione descritta nello studio delle Università americane è delicata ma fondamentale per poter migliorare le tecnologie del futuro. Soprattutto se ci si sofferma sulla rilevanza delle risorse idriche nel mondo ma anche alla loro carenza.

La domanda di potenza di calcolo aumenta esponenzialmente, raddoppiando ogni 2,3 mesi solo per le AI. Esclusivamente i server di Google hanno assorbito 12,7 miliardi di litri per il raffreddamento nel 2021 di cui il 90% potabile. Per l’addestramento della piattaforma, ne sono serviti altri 2,8 milioni legati al consumo di elettricità. Per un totale di 3,5 milioni di litri negli USA e 4,9 milioni di litri in Asia.

Sicuramente Chat-GPT non è il colpevole assoluto della carenza d’acqua nel mondo, ma gran parte del settore digitale incrementa tale problema. Sarebbe opportuno trovare nuovi metodi e meccanismi per svolgere le stesse funzioni, senza però togliere acqua potabile alla popolazione umana.

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“Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

By : Aldo |Aprile 18, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su “Zen garden”, “Bosco urbano” e la “Green Island”: Roma si tinge di verde.

Come accennato in un precedente articolo, Roma è stata selezionata tra le Città smart incluse nella “Cities Mission” del programma Horizon Europe. È la città più verde d’Europa e ogni giorno sembra portare alla luce nuovi spazi naturali, fondamentali per la salute umana e la biodiversità.

Ricardo Gomez Angel - Unsplash

Roma diventa green

Vari quartieri romani stanno vivendo una rivoluzione green, dimostrandosi al passo con i cambiamenti del secolo. Precisamente sono stati avviati dei progetti legati agli importanti corridoi ecologici che possono migliorare la salute mentale e fisica dell’uomo e la biodiversità nel centro. Roma quindi si veste di verde ma con abiti diversi proprio per portare avanti nuovi ideali e piani per la sostenibilità. Si parla del Bosco urbano, lo Zen garden e la Green Island.

Bosco urbano

Un progetto “di evoluzione e rigenerazione urbana” incluso nel programma eUrban, che unisce natura, business e architettura. Il bosco si posiziona all’ombra della torre EuroSky e del centro commerciale Euroma2, in una piazza tutta da scoprire quasi come piazza Gae Aulenti. L’area, chiamata “Bosco Transitorio” o “The Moving Forest” è nata in collaborazione con l’Orto Botanico di Roma, miglior alleato per tale piano.

Il disegno prevede la presenza di 400 alberi e oltre 50 arbusti che dovrebbero assorbire circa 250 tonnellate di CO2. Inoltre, consentirebbero il recupero delle polveri sottili e l’abbassamento di 2,3 gradi della temperatura. Le decine di specie coinvolte spaziano tra grandi varietà andando oltre la macchia mediterranea. Si va dalle roverelle ai corbezzoli, dagli aceri agli olmi, e sono compresi anche meli, ciliegi e pioppi bianchi. 

Il giardino zen e la galleria d’arte.

Vicino al tesoro della piazza nel quartiere finanziario di Roma si possono ammirare un giardino zen e una galleria d’arte contemporanea “en plein air”. “L’Italian zen garden” è costituito di erbe officinali e aromatiche come timo, calendula e issopo ed è affiancato dall’arte del “The Walkaround Gallery”. Un’installazione pubblica che include 182 opere di 12 artisti internazionali che si snoda per 400 metri nell’area pedonale della piazza.

Questi primi 3 progetti sono stati ideati per conto della Silver Fir Capital con GWM Group per riqualificare il quartiere dei grattacieli. L’idea, in collaborazione con l’artista e co-founder dell’agenzia di comunicazione Arkage, Ria Lussi, crea il connubio perfetto tra architettura, sostenibilità e arte. Senz’altro sarà un’area a favore della biodiversità locale.

 

“Green island” o “Bosco verticale”

Oltre alle 3 novità appena descritte, ce n’è un’altra che richiama il bosco verticale di Milano. Sorge infatti sulla via Ostiense il nuovo rettorato di Roma Tre, definito la “green island” dell’Eur, in piazza dei Navigatori. La struttura è vicina all’ex velodromo olimpico e si estende per ben 13.200 m2 con una specifica caratteristica: la massiccia presenza di vegetazione.

L’architetto, Gennaro Farina ha unito spazi ampi e aperti con la natura, formando così 16 giardini pensili in tutti i piani. I 4 patii interni (dotati di alberi) rinfrescano lo stabile, mentre i giardini assorbono la CO2 emessa dal traffico. In pratica, la flora svolge più funzioni riducendo costi ed emissioni per il riscaldamento e il raffreddamento degli ambienti, senza tralasciare l’estetica del palazzo. Senza dubbio l’edifico rappresenta l’edilizia di ultima generazione, attenta ai nuovi standard di sostenibilità e con una forte impronta ecologica.

Il verde e la mental health

Il piano dell’architetto non mira solamente all’ecologia ma anche al benessere dell’uomo; infatti, dopo il covid, molte persone hanno sviluppato un forte legame con la natura. Pertanto, è sempre più frequente l’associazione della salute fisica e mentale con il verde. Di conseguenza lo stabile presenta dei dettagli ideati proprio su questo connubio, praticamente necessario dopo la pandemia.

Quindi nel nuovo rettorato, lo spazio di lavoro sarà sia interno (come un normale ufficio) che esterno, nelle terrazze ricche di vegetazione. Gli uffici sono capaci di ospitare ben 1300 persone mentre la struttura gode di 200 posti auto. Il tutto è arricchito dalla lucentezza dell’alluminio trattato con vernici color bronzo, che ricopre il palazzo.

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La zizania sostituisce il riso: adattarsi al cambiamento climatico.

By : Aldo |Aprile 16, 2023 |Consumi, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, plasticfree |Commenti disabilitati su La zizania sostituisce il riso: adattarsi al cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico è in grado di creare fenomeni estremi ma anche di modificare pian piano attività abituali come l’agricoltura. Di conseguenza è fondamentale capire come adattarsi ai cambiamenti trasformando colture, abitudini e tecnologie.

Sandy Ravaloniaina - Unsplash

La zizania

La zizania è proprio uno dei cosiddetti “cibi del futuro” poiché dotata di caratteristiche che rendono la sua coltivazione e il consumo più sostenibile. Questo significa che la pianta potrebbe sostituire uno tra i cereali più consumati al giorno d’oggi, garantendo la sicurezza alimentare nei prossimi anni. Nello specifico la zizania è una pianta tipica delle coste atlantiche degli USA e appartiene alla tribù delle Oryzeae (a cui appartiene il comune riso). Effettivamente sembra riso, ma differisce per il suo colore rosso-bruno se non nero, dalla forma allungata e dal suo sapore (tè misto alla nocciola).

Caratteristiche ambientali e nutrizionali

La zizania cresce in ambienti freddi e per questo viene seminata inverno al contrario del comune cereale, che necessita di temperature più calde. Infatti, la zizania, crescendo in inverno non ha bisogno di ulteriori irrigazioni (viste le abbondanti precipitazioni), al contrario del riso. Quest’ultimo ha un elevato fabbisogno idrico che si concentra in un periodo di forte siccità quale l’estate. In tal modo, la pianta non deve “lottare” per i nutrienti e lo spazio, poiché cresce prima delle piante infestanti e si riossigena il terreno.

Inoltre, l’antico cereale non ha bisogno di particolari pesticidi e la sua introduzione ridurrebbe la monocoltura, tecnica che crea molteplici danni all’ambiente.  Uno di questi è l’incremento della resistenza, che necessita un aumento delle dosi di pesticidi; non a caso, trovare il riso biologico è quasi impossibile. Anche per quanto riguarda la nutrizione, la zizania resta un ottimo sostituto del riso se si guarda al futuro e ad una possibile crisi alimentare. Sempre sulla base di questo confronto, la zizania ha il 100% di proteine e il 300% di fibre in più rispetto al riso. Pertanto, gode di un elevato potere saziante e un basso indice glicemico.

La novità con Rebel grains

L’impresa “Rebel grains” creata da Giovanni Giuseppe Savini e Alessandro Bossi, mira all’introduzione di cereali sconosciuti ma vincenti a livello nutrizionale e produttivo. In aggiunta, lo scopo dei due imprenditori è quello di salvaguardare la biodiversità delle colture italiane e non solo. Per questo il WWF l’ha inserito tra i 50 cibi del futuro. L’impresa ha già intrapreso un progetto di coltivazione a Pavia, accompagnato dall’introduzione del cereale nel mercato nazionale. Attualmente è distribuito da Esselunga, Famila, Conad, Cortilia e Iper Tosano, in confezioni sostenibili e senza plastica.

Tuttavia…

La zizania è sostenibile anche perchè, sazia più dei soliti cereali consumati, i suoi 50 g equivalgono a 80 g si riso.  Di questo modo, con la stessa quantità, la zizania, come altri cereali ignoti. potrebbe sfamare più persone nel mondo. L’unico problema riguarda il prezzo di 16 euro al kg, giustificati ovviamente dalle caratteristiche ambientali, nutrizionali e dal costo di introduzione in Italia.

Il cambiamento climatico sicuramente non può essere fermato, ma con nuovi studi e tecnologie possiamo trovare i modi con cui adattarci. Colture diverse possono solo aumentare la possibilità di prendere in mano la situazione senza danneggiare ancora il pianeta.

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Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

By : Aldo |Aprile 13, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Con Wiseair tutti possono monitorare la qualità dell’aria in Italia.

Per quanto bella e piena di natura, l’Italia registra livelli di inquinamento atmosferico più alti della media. Per questo c’è chi ha pensato a delle soluzioni concrete per limitare i danni.

La questione nord

Secondo il rapporto di Legambiente “MalAria di città” l’Italia presenta delle forti criticità legate all’inquinamento atmosferico soprattutto tra le regioni settentrionali. Nello specifico si afferma che il 76% dei centri urbani italiani supera i limiti delle polveri sottili definiti dall’Unione Europea. Secondo i dati del 2022, 29 città su 95 hanno registrato livelli giornalieri di PM10 superiori alla norma europea, perciò è difficile risolvere il problema.

La direttiva 2008/50/CE e il D. Lgs 155/2010 determinano un valore limite annuale di 40 µg/m³ e uno giornaliero di 50 µg/m³. Tali valori sono disposti affinché si protegga la salute umana ed in particolare il secondo non può essere superato più di 35 volte in un anno. Con i dati rilevati, è stata stilata una classifica delle città che superano giornalmente i livelli limite:

1° posto: Torino con 98 giorni di sforamento;

2° posto: Milano con 84;

3° posto: Asti con 79,

A seguire Modena 75, Padova e Venezia con 70 giorni. Il seguente problema dovrebbe essere arginato in tempi brevi, ma vista l’attuale condizione è necessario più tempo del previsto.

Il primo step

Per limitare i danni dell’inquinamento, monitorare i valori limite e accelerare il cambiamento c’è una soluzione: la tecnologia di Wiseair. L’azienda composta da 4 ragazzi romani mira al controllo della qualità dell’aria italiana per mezzo di sensori studiati e progettati con le università. Paolo Barbato, Carlo Alberto Gaetaniello, Andrea Bassi e Fulvio BambusiI, dopo aver studiato ingegneria del Politecnico di Milano si sono interessati alla questione.

Il loro progetto inizia quindi dallo studio trasformato in una possibilità concreta di cambiare le cose: una tecnologia per monitorare la qualità dell’aria. Un piano fondamentale, basato su dei sensori che servono per raccogliere dati senza i quali è impossibile pensare e trovare una soluzione vincente.

La soluzione

Vista l’entità del problema, Wiseair afferma che non si può continuare affidandosi solo alle centraline governative, pertanto, hanno coinvolto anche i cittadini. Per questo l’azienda ha distribuito sensori e dati direttamente alla popolazione, per poter diffondere dati e dialogare più facilmente anche con le amministrazioni. Il principio che li guida ricorda che più sensori sono attivi e più dati ci saranno e il monitoraggio dell’inquinamento sarà migliore.

Dunque, un secondo step è stata la creazione di una community di cittadini attivi e appassionati, divisi in 50 comuni che lavorano con l’impresa. Tra loro Milano, Torino, Roma e Bari.

Chris LeBoutillier - Unsplash

Il kit

L’azienda vende alle amministrazioni un kit specifico per il monitoraggio della qualità dell’aria. Il prodotto si adatta ad ogni ambiente ed è installabile in qualsiasi posizione. Sono dotati di un pannello solare che garantisce l’autonomia energetica in modo da garantire anche la trasmissione di dati costante (anche grazie alle tecnologie wireless).

Aziende e progetti di questo genere sono fondamentali al giorno d’oggi per due motivi. Spesso agiscono in modo più diretto e veloce rispetto alle amministrazioni e soprattutto possono godere di una maggiore fiducia dei cittadini. In questo caso poi, si tratta di un problema da risolvere anche per la salute della popolazione che risente del forte inquinamento atmosferico.

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4 tonnellate di legno riciclate per una installazione. La regola delle tre R.

By : Aldo |Aprile 11, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su 4 tonnellate di legno riciclate per una installazione. La regola delle tre R.

Ridurre, riusare, riciclare: la regola delle “tre R” è la base della sostenibilità. In pratica permette di creare meno rifiuti, consumando meno materie prime, salvaguardando l’ambiente.

Sarah Worth - Unsplash

Al Salone del Mobile si ricicla.

Tra il 18 e il 23 aprile si terrà a Milano la Design Week che include l’apertura del Salone del Mobile. A questo evento parteciperanno i più importanti nomi dell’arredamento tra i quali anche grandi gruppi impegnati nel settore della sostenibilità. Il padiglione “Wood you believe?” accoglie gli ospiti in un’area dedicata al Gruppo Saviola con un’entrata del tutto innovativa.

L’opera d’arte (nel Padiglione 10, C04) è un insieme di 4 tonnellate di legno post-consumo ideata da Carlo Ratti Associati e Italo Rota. L’intenzione era quella di dimostrare le potenzialità del legno riciclato e della stampa digitalizzata grazie all’installazione creata appositamente per l’evento. Inoltre, con la Fiera si celebreranno i 60 anni di attività del Gruppo Saviola, leader nazionale se non precursore nella produzione di pannelli ecologici.

L’installazione

L’opera si compone di una facciata esterna, formata da materiali in legno “di scarto”: cassette della frutta, sedie, pallet, scrivanie e altri oggetti in legno. In tal modo gli architetti dimostrano quanto sia utilizzato il legno nel nostro paese ma anche la grande quantità di rifiuti prodotti dall’industria del mobile. Quindi l’installazione rispetta tutti i valori dell’economia circolare, con l’intento di salvaguardare il pianeta e le sue preziose risorse.

Non a caso, Alessandro Saviola, Presidente di Gruppo Saviola afferma che il gruppo salva diecimila alberi ogni giorno grazie all’utilizzo di legno post consumo. All’interno del padiglione, invece, i visitatori potranno osservare uno spazio composto da oltre cento pannelli del marchio (in legno riciclato al 100%). Tali unità sono caratterizzate da finiture particolari definite grazie al trattamento digitale del legno stesso, per riportare più design.

Produzione del legno

Il legno è quotidianamente lavorato per la produzione di migliaia di oggetti, accessori e mobili di arredamento.  Fondamentalmente anche per i trasporti (pallet), il riscaldamento (pellet) e l’edilizia. Rappresenta una risorsa importantissima che può essere riusata quasi all’infinito e per questo ha un valore rilevante (anche dal punto di vista economico). L’Italia si impegna quotidianamente sul fronte del riciclo tanto da riportare cifre eccezionali che definiscono anche un’ottima filiera del riuso.

Il legno in cifre

Le analisi descrivono una realtà ben precisa: nel 2021 sono stati immessi al consumo 3.394.066 tonnellate di imballaggi di legno. Di queste, 1.951.251 tonnellate sono state recuperate e riciclate, contando il 64,75% di imballaggi riusati. Anche nei trasporti invece cresce anche l’attività di rigenerazione: infatti sono state rigenerate 908.066 tonnellate di pallet, pari a circa 70 milioni di pezzi.

In Italia poi, esistono 70.000 aziende che danno lavoro a 294 mila persone. Le loro attività hanno determinato un fatturato di 49,3 miliardi di euro nel 2021 (un aumento del 14% rispetto il 2019). Il dato è diviso in 2 sezioni: 18 miliardi derivano dalle esportazioni (tra cui Francia, Germania e USA sul podio) e 31 dalle vendite nazionali. Questo significa che l’industria del legno comprende il 4,7% del fatturato manifatturiero nazionale, il 15% delle imprese e il 7,7% degli occupati.

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Troppi voli e jet privati: in Europa le tendenze sono totalmente diverse.  

By : Aldo |Aprile 06, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Troppi voli e jet privati: in Europa le tendenze sono totalmente diverse.  

L’estate 2022 è stata segnata da scioperi continui, voli in ritardo e malcontento dei passeggeri. Tale situazione ha aperto un dibattito più grande legato alle emissioni prodotte dal traffico aereo.

Yuri G. - Unsplash

Situazione europea

A seguito di studi commissionati dall’ufficio per l’Europa centrale e orientale di Greenpeace, la situazione è chiara. L’Europa ha incrementato a dismisura il suo traffico aereo (specialmente legato ai jet privati) nel 2022 e di conseguenza il suo impatto negativo sul pianeta.  Infatti, nell’arco di 12 mesi i voli privati sono aumentati da 340 mila ai 572 mila, raddoppiando così anche le emissioni di gas serra.

Nello specifico la CO2 prodotta è duplicata, passando da 1,6 milioni di tonnellate CO2 a 3,3 CO2. Tuttavia, l’origine della salita vertiginosa di questi numeri dipende solitamente da voli di breve durata, quindi di piccole tratte. Si tratta di 60 mila voli per tratte inferiori ai 250 km, quindi un viaggio di un’ora ad alta velocità e di 90 mila che raggiungono i 500 km.

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Il caso Amsterdam

Proprio per rimediare a questi problemi, l’aeroporto Shiphol, il 3° scalo europeo per volumi di traffico cambia strategia per aiutare l’ambiente. La nuova direttiva è stata diffusa per mezzo di un annuncio nell’aeroporto, che proclama nuove regole per i voli di tutti i tipi. Le linee guida sono molto rigide e non fanno sconti a nessuno in modo da migliorare la vita di tutti, in primis i cittadini olandesi. Dunque, dalla fine del 2025 lo scalo chiuderà da mezzanotte fino alle 6 di mattina vietando scali, partenze e arrivi per i jet privati.

Questa decisione deriva da studi che riguardano non sono l’emissione di CO2 (8 milioni di ton. l’anno da solo) ma anche l’inquinamento acustico. Di conseguenza, l’obiettivo è quello di azzerare i 7 mila voli privati l’anno, poiché generano 20 volte più emissioni rispetto ad un volo di linea. Inoltre, provocano un rumore 7 volte superiore.

Benefici per la salute

Spesso non viene considerato ma l’inquinamento acustico crea danni a volte irreversibili. Questo è quello che gli studiosi hanno evidenziato nelle analisi e che i direttori dello Shiphol hanno tenuto in conto. Purtoppo gli abitanti delle zone limitrofe che risultano gravemente disturbati (di giorno) sono 114.000. Tuttavia, con la nuova direttiva, il numero dovrebbe diminuire fino a 17.500 persone (una riduzione del 16%).

L’Italia al contrario

Se Amsterdam dimostra di voler salvaguardare l’ambiente, nonostante il grande traffico aereo e il suo mercato, non è dello stesso parere l’Italia. Al momento rappresenta il 4° paese in Europa per voli super-inquinanti: passando da 350 mila nel 2021 a oltre 570 mila nel 2022. La crescita che ammonta al 62% riguarda principalmente i voli di jet privati in o dall’Italia: tali tratte sono cresciute dal 34.500 a 55mila. Di questo passo sono aumentate del 100% le emissioni totali: da 133 mila a 266 mila tonnellate di CO2. Purtoppo, la questione più importante riguarda le tratte percorse dai jet privati che sono di norma brevi.

Voli per 45 km di distanza che emettono 25 tonnellate di gas serra, quando in treno ci si impiegano 40 minuti e si emettono meno di 2 kg di CO2. Le tappe più comuni sono tra Brescia e Milano, Roma-Milano-Londra e lo scalo più gettonato (dopo Linate e Ciampino) è Olbia. Per la vicinanza con la Costa Smeralda, è la meta di 5 mila voli l’anno. (quasi il 10% del totale).

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“The Circle”: la startup romana più grande in Europa per l’acquaponica.

By : Aldo |Aprile 04, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi, plasticfree |Commenti disabilitati su “The Circle”: la startup romana più grande in Europa per l’acquaponica.

É vero che un minor consumo di carne rappresenta una scelta sostenibile, a suo modo anche l’agricoltura ha qualche punto da rivedere. A Roma un gruppo di giovani ha pensato al proprio futuro e ha ideato un progetto innovativo.

The Circle

The Circle è una startup romana “ad elevata concentrazione tecnologica capace di produrre contemporaneamente cibo e proteine di altissima qualità” come riportato nel sito web. L’azienda creata da 4 giovani esperti in biotecnologie industriali, ha l’obiettivo di rappresentare un nuovo tipo di impresa sostenibile.

In pratica, si sono impegnati ad andare oltre gli stereotipi del biologico e dell’impatto zero, aggiungendo valore all’ambiente.   Al momento l’impresa ha piantato 450mila piante, che variano tra insalata e piante da condimento su un terreno di “solo” mezzo ettaro. Con questo traguardo sono i più grandi in Europa nel settore dell’acquaponica, poiché hanno superato tutti i limiti di sostenibilità.

Sharat Arackal - Unsplash

Le serre

Le serre di The Circle hanno delle caratteristiche particolari che rendono la loro produzione unica. Iniziando dalla tecnica, l’acquaponica, si arriva a parlare di pesci rossi, alghe e erbe consumate nei ristoranti degli hotel. L’impresa è famosa per le sue serre che ospitano coltivazioni distribuite su filari verticali fatti di tubi bianchi dai quali escono vari tipi di erbe. Con tale disposizione e innovazione, l’azienda riesce ad usare il 10% dell’acqua e 1/5 del suolo in meno rispetto all’agricoltura tradizionale.

Un elemento caratteristico però sono le vasche interrate che ospitano dei pesci rossi i quali contribuiscono all’alimentazione delle piante. Proprio così, hanno unito l’acquacoltura, l’allevamento di pesci e l’idroponica, i risultati? Massima resa nel minimo spazio. Da questo connubio di tecniche crescono rughetta, senape, santoreggia, erba cipollina, basilico rosso, timo, bietola e un’altra trentina di piante da insalata o per condimento.

L’acquaponica

Come descritto prima, le piante crescono in maniera diversa dalla norma e sono legate ad altri tipi di colture. Nelle vasche sono installate delle pompe a bassa intensità che trasportano l’acqua in altre vasche di legno con filtri naturali: i batteri. Successivamente, l’acqua depurata confluisce in botti interrate dove si aggiungono elementi necessari per la crescita di piante. Infine è presente una tecnica di riciclo e di consumo sostenibile legato al rilascio dell’acqua: quella in eccesso viene raccolta e rimessa in circolo.

Valore economico

Con tali peculiarità e 6 anni di attività, The Circle oggi vale oltre dieci milioni di euro. Il gruppo dall’idea vincente ha raggiunto a Roma una capacità di 450 mila piante destinate a 250 ristoranti e alberghi. Tuttavia, a breve arriveranno anche a Milano dove gestiranno un ettaro di terreno e ne prenderanno un altro sempre a Roma. La startup si tiene aggiornata per quanto riguardano le nuove tecnologie e l’agricoltura, in modo tale da risultare sempre più efficienti e sostenibili. Sicuramente hanno capito che serve cambiare mentalità anche per quanto riguarda i costi di queste produzioni e i prezzi del mercato.

“Se si è disposti a spendere 1200 euro per un iPhone, perché rifiutarsi di pagare due euro al chilo delle zucchine cresciute in maniera sostenibile?”

Una domanda sulla quale riflettere relativamente anche alla crisi economica e climatica che stiamo vivendo.

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Ferrovie che producono energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

By : Aldo |Aprile 03, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Ferrovie che producono energia elettrica: il caso svizzero Sun-Ways

Un ulteriore impiego del solare è stato ideato in Svizzera. È probabile che tra qualche anno, anche le nostre ferrovie potranno produrre energia elettrica grazie alla luce solare.

Sun-Ways

Sun-Ways è una startup svizzera con sede a Ecublens, nel Canton Vaud (Svizzera occidentale) che vuole superare i limiti del solare. La scommessa fatta dalla startup (e condivisa dallo stato) ha trovato una disposizione che promette molteplici benefici ambientali ed economici. Fondata nel 2021, Sun-Ways ha come obiettivo quello di cambiare l’attuale modo di produrre energia elettrica con il solare, installandolo nelle ferrovie.

Lo studio

L’idea di posizionare pannelli fotovoltaici nello spazio tra le rotaie dei binari ferroviari deriva dall’ osservazione accurata del sistema tranviario. Il fondatore dell’attività, Joseph Scuderi e il co-fondatore Baptiste Danichert hanno trovato una chiave innovativa per incrementare la sostenibilità energetica nazionale e mondiale. Non a caso, affermano che questo piano potrebbe essere usato nella maggior parte delle linee ferroviarie del pianeta. I primi a credere nel loro progetto sono proprio i tecnici del l’EPFL, l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna.

Pannelli e treni

Il progetto è stato avviato sulla base dall’analisi dettagliata delle rotaie, dei loro spazi e delle misure, della velocità dei treni e via dicendo. Questa affermò che lo spazio tra le rotaie dei binari era adeguato all’installazione di pannelli standard che non avrebbero ostacolato il movimento dei treni. I pannelli larghi 1 m vengono posizionati facilmente nell’area descritta per poi essere fissati con un meccanismo a pistone. Mentre l’installazione vera e propria viene eseguita da un treno adibito alla manutenzione dei binari che dispone il fotovoltaico lungo le rotaie.

La caratteristica che differenzia il progetto di Sun-Ways da quello italiano di Greenrail o l’inglese Bankset Energy, è l’amovibilità del sistema. Tale qualità garantisce la possibilità di svolgere lavori di manutenzione in totale semplicità, assicurando l’efficienza sia delle attività che del prodotto. Il sistema potrebbe coprire i 5.317 km della rete ferroviaria svizzera, per un totale di 760 campi da calcio. In tal caso si produrrebbe 1 TWh di energia solare all’anno, dunque, il 2% dell’elettricità consumata nel Paese.

Ricardo Resende - Unsplash

Cosa riserva il futuro

La startup ha l’obiettivo di espandersi in Europa toccando l’Italia, la Germania e l’Austria, ma guarda anche oltre oceano, verso l’Asia e gli USA. Questo perchè ci sono 1 milione di km di ferrovie nel mondo; quindi, aumenta la possibilità di produrre energia rinnovabile con il nuovo sistema. Infatti, molti hanno già dichiarato il loro interesse verso il programma svizzero. Ovviamente come ogni nuovo progetto sono stati sollevati molteplici critiche e dubbi, chiariti subito dai fondatori per via dei loro studi e della loro professionalità.

Le preoccupazioni riguardavano le possibili microfessure dei pannelli, il maggiore rischio di incendi nelle aree verdi e i probabili riflessi di luce sui macchinisti. Tuttavia, Sun-Ways ha assicurato che i pannelli sono più resistenti degli altri e godono di un filtro antiriflesso per non distrarre i macchinisti. Inoltre, le spazzole all’estremità del treno sono in grado di rimuovere sporcizia dai pannelli che sono controllati per mezzo di sensori integrati.

Insomma, l’impresa è supportata dall’Agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione, da una decina di partner attuali e chissà quanti futuri. Il sistema verrà lanciato il primo maggio, nell’area della stazione ferroviaria di Buttes, nella Svizzera occidentale, grazie all’investimento di 400.000 franchi svizzeri (circa 400.000 euro).

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Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.

By : Aldo |Marzo 30, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Pompei si riscopre sostenibile: la cittadinanza attiva è la chiave.
Andy Holmes - Unsplash

Pompei, città teatro di uno degli eventi più ricordati nella storia italiana e non solo, oggi è anche un caso di eco turismo. Da anni è uno dei siti archeologici più importanti al mondo, ed ora da una lezione di sostenibilità italotedesca.

Il sito

Pompei, fondata intorno all’VIII secolo a.C.  venne conquistata dai Romani nel III secolo a.C. che contribuirono allo sviluppo della città. Nei secoli cresce sempre più con una conseguente urbanizzazione, passando da municipium a colonia nell’89 a.C.. Poi nel 79 a.C. con l’eruzione del Vesuvio, la grande città venne “cancellata” lasciando una zona arida che non venne ritrovata per 1700 anni.

Proprio nel 1748 iniziarono i primi scavi per volere di Carlo III di Borbone e nonostante i lavori poco costanti, negli anni si riscoprì la città. Così nel 1997 diventa uno dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO insieme ai siti di Ercolano e Oplonti, registrando oltre 3 milioni di visite nel 2016.

L’evoluzione

Dal 2021, il sito è in mano all’archeologo Gabriel Zuchtriegel,  italotedesco, che ha trovato la chiave per valorizzare sotto vari aspetti gli scavi. Precisamente, il direttore del parco ha studiato la comunità e il territorio circostante per poter massimizzare l’esperienza turistica e quotidiana nella città romana. Allo stesso modo però deve affrontare i problemi legati ai cambiamenti climatici e quindi gestire un piano di tutela dell’intera area. Così, da secoli Pompei vive alla ricerca di un equilibrio tra la conservazione delle opere e la tutela dell’ambiente circostante ad esse.

La novità sostenibile

Per quanto detto, il direttore ha scelto di rendere  la città antica più sostenibile per via della cittadinanza attiva e delle nuove tecnologie. L’idea è proprio quella di coinvolgere non solo i turisti, ma i cittadini della comunità che vive intorno ai 50 ettari dell’area in esame. Si tratta di vari progetti che includono temi quali risparmio energetico, riduzione degli sprechi, agricoltura e laboratori per bimbi e adulti. A differenza di altri direttori, Zuchtriegel si chiese cosa potesse fare lui per il territorio che lo ospitava e da quel punto sviluppò il programma.

I progetti

I piani sono molteplici e di vario tipo ma vertono tutti sul rendere “verde” il sito archeologico. Per quanto riguarda il risparmio energetico, si parla di pannelli solari invisibili installati negli scavi. Ossia, i prodotti della Ahlux Italia, hanno la forma dei coppi di terracotta, ma producono energia elettrica per illuminare gli affreschi. Nello specifico, questa tecnologia permette di generare luce “rinnovabile” senza danneggiare l’aspetto paesaggistico dell’area. Per ora questi pannelli sono installati sulla Casa dei Vettii, su un thermopolium e sulla Casa di Cerere.

Un altro programma è quello dell’eco pascolo di ovini per la bonifica dei prati. Si tratta di un accordo sperimentale che vede partecipe un gregge di 150 pecore di una cooperativa agricola della zona. In pratica pascolando, le pecore mangiano l’erba (bonificando l’area) e successivamente fertilizzano lo stesso prato con le loro feci. Tale processo consente un’ottima crescita della vegetazione e allo stesso tempo evita la produzione di rifiuti.

Sempre sul piano agricolo, è stato pensato un programma per la coltivazione di 60 ettari di spazi verdi con vitigni coltivati con metodi pompeiani. La sua caratteristica è legata alla collaborazione con le scuole limitrofi al sito che hanno aderito ad attività didattiche all’interno degli scavi. Infatti, i bambini possono creare e curare orti proprio in mezzo alla città antica e sotto gli occhi sorpresi dei turisti. Inoltre, la collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’università di Salerno, garantisce un monitoraggio continuo dell’area per mezzo di droni.

Il sistema accurato permette di creare un database specifico legato alla manutenzione del parco ma soprattutto di segnalare danni o pericoli ove presenti. Questo metodo serve proprio per intervenire nel minor tempo possibile e mantenere l’intero sito in sicurezza, anche in vista dei cambiamenti climatici.

La storia presente nel nostro Paese non deve frenarci dalla creazione di programmi innovativi e sostenibili. Il caso di Pompei rappresenta esattamente la volontà di una popolazione di migliorare la propria città includendo anche uno scavo di 2000 anni.

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Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per l’uomo e l’ambiente.

By : Aldo |Marzo 28, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, Rifiuti |Commenti disabilitati su Residui di pomodoro sostituiscono il BPA: una soluzione più sicura per l’uomo e l’ambiente.

Bucce di arancia per la pelle sostenibile, canapa per i tessuti e ora tocca ai residui di pomodoro per sostituire un composto derivato dal petrolio.

Andrea Riezzo - Unsplash

La novità

La notizia arriva dalla Spagna, dove si sta testando un nuovo materiale protettivo per gli interni dei packaging in alluminio e metallo. Lo studio è stato svolto dall’Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea “La Mayora” di Malaga e dall’Instituto de Ciencia de los Materiales de Sevilla.

Il team di scienziati ha trovato una soluzione sostenibile e più sicura a livello sanitario per la resina interna di lattine e altri imballaggi. Si tratta dei residui di pomodoro che vengono utilizzati per rivestire l’interno di tali imballaggi, sostituendo una plastica meno sicura per l’ambiente e per l’uomo.

I residui delle zuppe

Lo studio si basa sugli scarti legati alla produzione di zuppe come il gazpacho, salse e succhi, quindi un mix di semi, bucce e piccioli. Di solito, questi scarti vengono bruciati o usati come mangime per animali se non smaltiti come rifiuti. Mentre con la lavorazione di tale materiale si ricava una sostanza idrorepellente, aderente al contenitore in grado di non essere corroso da liquidi acidi o sali.

Lavorazione

Il materiale viene lasciato asciugare e per mezzo di idrolisi si rimuove l’acqua per mantenere i lipidi (in questo caso vegetali). Il grasso vegetale ricavato sarà unito ad una quantità minima di etanolo, rispettivamente l’80% e il 20%. Poi questa soluzione viene spruzzata sulla superficie metallica, di modo che aderisca alla forma e resista ai tagli successivi del contenitore.

Contaminazione

L’innovazione sostenibile diventa anche più sicura a livello sanitario poiché mira a sostituire l’attuale resina epossidica con una naturale. Il rivestimento è una plastica ricavata dal petrolio contenente BPA (bisfenolo A), un composto chimico potenzialmente pericoloso per la salute.

Inizialmente venne scelto per proteggere gli alimenti dalle possibili contaminazioni dei metalli che costituivano il packaging, poi negli anni si verificò un fenomeno contrario. Ossia, gli studi hanno confermarono la presenza di particelle dannose di BPA negli alimenti. Quindi il rivestimento proteggeva dai metalli, ma rilasciava a sua volta sostanze nocive per l’uomo, associate alla comparsa di diabete o cancro. Non a caso la Spagna ne ha vietato l’uso.

Impatto ambientale

La nuova resina è altrettanto sicura per l’ambiente poiché formata da materiale di scarto e soprattutto prodotta con un processo a basso impatto ambientale. Infatti, la sua produzione emette meno anidride carbonica rispetto a quella del bisfenolo A. Insomma, ancora una volta la soluzione sostenibile si conferma sicura per l’ambiente e per la salute umana.


La transizione ecologica stanno evidenziando queste novità che probabilmente potrebbero essere lo slogan per accelerare il cambiamento di cui abbiamo bisogno. Forse sottolineando i benefici per la nostra salute sarà più semplice diffondere l’importanza della sostenibilità.

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Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con una struttura.

By : Aldo |Marzo 27, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, menorifiuti |Commenti disabilitati su Torre termica o fotovoltaica: raggiungere due obiettivi con una struttura.

Il solare rappresenta una delle fonti rinnovabili di energia più comuni e diffuse al giorno d’oggi. Tuttavia, i due metodi distinti che lo caratterizzano, hanno una base comune che garantisce dei benefici per l’uomo senza creare danni all’ambiente.

Laura Ockel - Unsplash

Termico e fotovoltaico

Prima di tutto è fondamentale ribadire che il termico e il fotovoltaico sono due tecnologie che sfruttano l’energia solare in due modi diversi. I pannelli solari termici sono in grado di usare l’energia del sole per scaldare l’acqua ad uso domestico o per l’impianto di riscaldamento. Mentre i pannelli solari fotovoltaici sono capaci di convertire l’energia solare in energia elettrica. In entrambi i casi, la fonte energetica è il sole, quindi i pannelli sono costruiti con delle variazioni a seconda della loro funzione. Tuttavia, negli anni, sono stati studiate varie strutture nelle quali concentrare tali unità per rendere efficace ed efficiente la produzione di energia rinnovabile. Così sono state costruite delle torri solari, con l’obiettivo di produrre più energia usando il minor spazio possibile.

Torre solare

È un sistema di produzione energetica fondato sul concetto della serra e si compone di un parco di unità trasparenti, che circondano la torre stessa. Alla base è posizionato il collettore: un piano di pannelli di vetro o plastica (aperto all’estremità) dove l’aria viene riscaldata dai raggi solari. In questo modo si crea l’effetto serra necessario.

Il collettore è collegato alla torre, alla quale convoglia l’aria calda e fredda, fino alla sommità insieme affinché si crei una corrente d’aria nel complesso.  Infine, le turbine tra le due strutture vengono attivate dalla corrente d’aria creando energia elettrica. Il vantaggio deriva dal fatto che il calore può essere trasmesso dal suolo o dall’acqua sottostante i vetri, nelle ore successive (massimo 24 ore).

Torre solare a concentrazione

Tra i vari modelli realizzati, spiccano delle varianti che presentano una struttura simile, con qualche differenza nelle componenti o nel funzionamento. Un esempio è il progetto tedesco HelioGLOW che è riuscito ad ottimizzare il solare a concentrazione. Si tratta di un impianto con un campo di specchi (eliostati) che circondano la base della torre, sulla cui sommità si trova un ricevitore.

Quest’ultimo contiene un fluido termovettore che viene riscaldato grazie ai raggi solari riflessi dagli specchi. Successivamente viene accumulato e inviato verso il generatore di vapore a cui cede il calore. Il materiale in questione può scaldarsi anche oltre i 1000°C ed è sostenibile, poichè non corrosivo e prodotto per mezzo del riciclo.

Il progetto creato dal Fraunhofer ISE (Institute for Solar Energy Systems) è in grado di aumentare la resa e abbassare i costi di tale strumento.  Inoltre, è considerato come una delle soluzioni più potenti nell’ambito del concentrating solar system (CPS).

Torre fotovoltaica

Un secondo esempio arriva dalla Three Sixty Solar, azienda canadese che ha creato la torre che resiste agli uragani di categoria 1. Difatti, oltre ad essere un’ottima struttura per produrre energia usando il 90% di suolo in meno, è pensata per la massima resa. I pannelli posti in verticale non hanno bisogno di una pulizia costante (come quelli in orizzontale) nè dai rifiuti, nè dalla neve. Tale caratteristica fa sì che i moduli non subiscano variazione di tensione o corrente. In più la torre è stata pensata per essere collocata nei paesi in cui il sole non è sempre disponibile, senza apportare cambiamenti dannosi all’ambiente.

La sua principale qualità è la resistenza a condizioni meteo particolari: nello specifico resiste a venti fino a 135 km/h, forti piogge, neve e grandine.   Le torri solari sono l’ennesimo esempio di come la produzione energetica rinnovabile possa comportare benefici all’uomo evitando un impatto negativo sull’ambiente. Sicuramente ci sono tanti aspetti delle nuove tecniche che devono essere migliorati, ma la soluzione è davanti i nostri occhi.

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Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

By : Aldo |Marzo 23, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Giornata mondiale dell’acqua: cause e rimedi contro la siccità.

Ieri, mercoledì 22 marzo, si è celebrata la Giornata Mondiale dell’acqua, ma i dati pubblicati riguardo la questione siccità, non promettono nulla di buono. Tuttavia, ci sono molteplici soluzioni che possono rimediare a tale problema.

Jimmy Chang - Unsplash

Spreco in Italia

I dati riguardanti l’Italia descrivono purtoppo una situazione negativa, legata soprattutto ad una gestione della rete idrica poco attenta. L’analisi, infatti, dimostra come tale questione sia una criticità anche rispetto alla carenza di acqua nel mondo. L’Istat conferma che lo spreco d’acqua in Italia è pari alla quantità utile per 43 milioni di persone. Si tratta di cifre altissime che devono essere categoricamente ridotte in poco tempo, per limitare anche i danni legati ai cambiamenti climatici.

La questione in numeri

Dallo studio emerge un costante peggioramento nell’arco degli ultimi 20 anni, che sembra non cambiare rotta. Difatti nel 1999 in Italia venivano erogati 250 l/giorno pro-capite di cui si sprecava il 32,6%. Il report del 2012 invece, riportava un peggioramento poiché si calcolava una perdita del 37,4% di acqua su un totale di 238 litri/giorno. Ovviamente con la regressione dell’efficienza della rete idrica, si sono ridotti i litri erogati e tale fenomeno è stato accertato dalle analisi successive.

Nel 2015 si erogavano 222 litri al giorno, mentre nel 2018 solo 217, con una perdita crescente, rispettivamente del 41,1% e del 42%. Al giorno d’oggi sprechiamo il 42,2% dell’acqua immessa in acquedotto.

Risolvere la “sete”

Di certo gli studiosi non hanno esitato a spiegare il problema per mezzo di paragoni concreti da intuire per una comunicazione di maggiore impatto. Nel nostro Paese si perdono 157 litri/giorno per ogni abitante. Questo significa che in una realtà efficiente, si potrebbe soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone, ovvero più di 7 cittadini su 10.

Ancora si può citare la differenza tra volumi immessi e quelli erogati. Al giorno potrebbero essere distribuiti 8,1 miliardi di m3, equivalenti a 373 litri, ma se ne perdono 3.4 miliardi di m3.  Tale cifra è eguagliabile alla quantità di acqua necessaria per riempire il Colosseo più di 2300 volte.

Differenze tra regioni

Oltretutto, anche in questo settore è palese una grande disparità nella la gestione della rete idrica tra il nord e il sud dell’Italia. La differenza è rilevante e come di norma, il nord gode di una qualità maggiore (fatta eccezione per il Veneto) rispetto al meridione. Le regioni in cui si ha uno spreco superiore alle altre sono Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). 

Soluzioni

Fortunatamente tale problema è risolvibile tramite svariate azioni che ognuno può intraprendere per limitare il danno descritto. Per questo motivo l’ENEA ha pensato di pubblicare un vademecum con il quale istruire i cittadini ad un uso più consapevole dell’“oro blu”. Si tratta di tante piccole abitudini da modificare o di accorgimenti utili per salvaguardare un bene prezioso e vitale (in tutti i sensi). Ad ogni modo, i possibili rimedi previsti da tale questione si dividono in due categorie.


Ci sono quelli attuabili dai cittadini per mezzo di abitudini più accorte e sostenibili e quelli legati allo Stato (di solito i più rilevanti). Se questi due tipi di soluzioni venissero affiancati, il fenomeno potrebbe essere attenuato se non risolto in minor tempo e con meno sforzi. Come sempre, un pensiero sostenibile è necessario per migliorare il settore economico, sociale e ambientale.

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Ultimo rapporto IPCC non presenta scelte: agire ora è la soluzione.

By : Aldo |Marzo 21, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Ultimo rapporto IPCC non presenta scelte: agire ora è la soluzione.

L’atteso rapporto IPCC è arrivato ed ha colpito il mondo intero. Sicuramente i dati non sono positivi, ma la fiducia è riposta nell’uomo e nelle sue soluzioni.

Markus Spiske - Unsplash

Report

Il nuovo rapporto sul riscaldamento globale era atteso da ormai nove anni ed è finalmente arrivato come un pugno nello stomaco. Il report firmato da migliaia di scienziati è definito come la nuova ed ultima guida (per i governi) per cambiare rotta. Conclude il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) unito al rapporto di Sintesi (Syntesis Report – SYR), che includono risultati di altri lavori. Tra questi, “Le basi fisico-scientifiche” (2021), “Impatti, adattamento e vulnerabilità” (2022), “Mitigazione dei cambiamenti climatici” (2022).

E di tre rapporti speciali “Riscaldamento Globale di 1.5”, (2018), “Climate Change and Land” (2019), “Oceano e Criosfera in un clima che cambia” (2019). Questo ciclo di studi si è protratto per otto anni, terminando proprio domenica 19 marzo in Svizzera con l’approvazione del Rapporto di Sintesi.

Previsioni

Il report si indentifica come una guida per i governi dei 195 Paesi membri delle Nazioni Unite e manda un chiaro segnale al mondo. Infatti, conferma che le emissioni di gas serra (originate dalle attività umane) siano le responsabili della crisi climatica che stiamo vivendo. Ma allo stesso tempo dichiara la possibilità di invertire la rotta, per poter mitigare il drastico cambiamento in corso. Se non si cambia direzione le previsioni sono negative per l’intero pianeta. Ma sono chiari da tempo i possibili effetti del cambiamento climatico e quali siano le condizioni di base per poterli innescare.

Misure

Il documento quindi riporta le misure chiave per poter invertire la rotta e limitare i danni di tale fenomeno. Difatti è affermato con sicurezza che esistono opzioni “multiple, fattibili ed efficaci” disponibili ora, quindi nessuno può tirarsi indietro. Si tratta di un un’ampia varietà di soluzioni anche a livello intersettoriale: la prima in assoluto riguarda il taglio delle emissioni di CO2.

Tra le varie transizioni serve principalmente quella energetica, dal fossile alle rinnovabili, seguita da altri accorgimenti. La gestione sostenibile (e protezione) delle foreste e dell’agricoltura, per assorbire CO2 e migliorare i servizi ecosistemici quindi le condizioni di vita di molte popolazioni. Fondamentale anche lo sviluppo resiliente al clima, poiché le strade sostenibili possono effettivamente garantirci un futuro migliore.

Le tecnologie pulite legate all’energia, minori emissioni di carbonio e quindi un efficientamento dei più importanti servizi ai cittadini, migliorerebbero la vita di tutti. Dunque si punta ad un benessere complessivo, quindi ambientale e sanitario. Insomma, bisogna considerare tutte le strade possibili, al massimo delle loro capacità, per frenare questo grande problema.

Politica

Il lavoro dell’IPCC non è solo un documento scientifico, ma ha infatti ha anche un contenuto politico perché è stato revisionato ed approvato dai delegati di tutti i 195 Stati membri. É certo che il cambiamento di ognuno di noi possa fare la differenza, ma non c’è dubbio che il grande lavoro debba essere svolto dalla politica. Non a caso un grande conflitto che non permette una progressione positiva, è proprio quello tra i paesi più ricchi e quelli in via di sviluppo.

I primi, hanno letteralmente scaturito la crisi climatica, mentre i secondi che hanno bisogno di uno sviluppo industriale ne stanno pagando le conseguenze. Inoltre, è fondamentale la questione degli investimenti portati avanti dai governi rispetto a tali transizioni. Purtoppo ancora non raggiungono i livelli adeguati a trasformare le politiche ambientali, quindi rimane un’altra questione aperta, da risolvere velocemente.

Agire ora

Per tale motivo, il report ribadisce l’importanza di “agire ora”. Non si può aspettare un minuto, visto che  questo sembra essere il decennio definitivo, dopo il quale sarà sempre più difficile cambiare rotta. Quindi è d’obbligo lo stop immediato ai combustibili fossili e il via a dei finanziamenti per le aree più vulnerabili. Se non altro serve dimezzare le emissioni nell’arco dei prossimi 7 anni, per mantenere il target di Parigi di +1,5 gradi.

Proprio Guterres avanza: 

“Chiedo agli amministratori delegati di tutte le compagnie petrolifere e del gas di essere parte della soluzione, presentando piani di transizione credibili, completi e dettagliati in linea con le raccomandazioni del nostro gruppo di esperti ad alto livello sugli impegni net zero”.

Dunque, anche se la realtà è abbastanza minacciosa, nessuno ha parlato di una vera e propria fine, anzi. C’è speranza nella collaborazione internazionale, soprattutto nelle soluzioni già presenti per lo sviluppo resiliente, e socialmente accettabili. Serve un vero e proprio salto di qualità nell’azione per il clima, facendo particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

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Digital Clean Up day: ripuliamo il pianeta dai rifiuti digitali.

By : Aldo |Marzo 20, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |Commenti disabilitati su Digital Clean Up day: ripuliamo il pianeta dai rifiuti digitali.

Dal 2018 esiste il World Clean Up Day che si svolge nel mese di settembre per ripulire la natura dai nostri rifiuti. Ma qualcuno ha pensato bene di occuparsi anche dei rifiuti “invisibili” e di sensibilizzare il mondo intero.

Marvin Meyer - Unsplash

L’evento

Il 18 Marzo si è svolto il Digital Clean up Day, ovvero una giornata rivolta alla sensibilizzazione per quanto riguarda i rifiuti digitali. Questo evento è stato pensato a seguito di attenti studi correlati alla quantità di dati conservati nei server e l’inquinamento che ne deriva.  Un problema sottovalutato che è stato riportato a galla da World Clean up Day France che lanciò l’iniziativa nel 2020 come di Cyber World CleanUp Day. Difatti l’invito avanzato è quello di dare una seconda vita ai dispositivi digitali, ripulire le loro memorie e di non inviare mail e messaggi superflui. Tale iniziativa è stata condivisa (per ora) da 91 paesi in tutto il mondo.

    
Inquinamento digitale in cifre

I dati che girano nella rete sono infiniti, ma essendo numeri e codici chiusi in un mondo invisibile, non vengono presi in considerazione come rifiuti. In realtà, messaggi, mail, video, foto e lo streaming hanno un costo molto elevato che solitamente viene ripagato a spese dell’ambiente. In Italia l’evento è stato condiviso dal presidente della no-profit “Let’s do it Itay”, Vincenzo Capasso, che ha condiviso un elenco dettagliato di dati importanti. Gli esempi riportati riguardano il mondo dello streaming, le e-mail e la messagistica e le emissioni di CO2 legate a tali attività.

Infatti, se 70 milioni di abbonati in streaming, riducessero la qualità dei video, si taglierebbero mensilmente 3,5 milioni di tonnellate di CO2 . Tale cifra è pari al 6% del consumo mensile di carbone negli USA, si tratta quindi di un inquinamento abbastanza rilevante. Ancora, le e-mail sono un altro fattore importante al centro di questa situazione. Secondo le analisi il 60% delle e-mail non viene aperto, e di norma ne vengono inviate 62 trilioni in spam. Per questo si consiglia di disiscriversi dalle mailing list per evitare di creare nuovi dati superflui che verranno tenuti nel server per mesi. 

Si citano anche le videochiamate: mezzo di comunicazione che favorisce gli incontri a distanza, sempre più in voga soprattutto dopo la pandemia. È stato stimato che se un impiegato segue 15 ore di riunioni online, con la videocamera accesa, emette 9,4 kg di CO2 al mese. Mentre solo spegnendo la videocamera, si ridurrebbe la stessa quantità di emissioni create dalla carica notturna di un telefono per tre anni. Anche i bitcoin hanno il loro ruolo, poiché il mining, richiede tanta energia quanta quella consumata in Nuova Zelanda in un anno.

Consumo energetico

Ovviamente non si parla solo di emissioni di gas serra ma anche del consumo di energia legato a questo settore. Non a caso tutti questi “rifiuti digitali” si trovano nei backup dei server, che con i servizi di cloud usano costantemente energia elettrica. Per esempio, Google, usa 15.616 MWh di energia al giorno, che sono più di quelli prodotti dalla diga di Hoover. In pratica Google potrebbe alimentare un paese di un milione di abitanti per un giorno.

Forse il problema più grande sta nel fatto che internet è alimentato principalmente da combustibili fossili. Quindi foto, video, click, email ecc superflui, oltre allo streaming passivo, determinano l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2 . In conclusione, il mondo del web è immenso e allo stesso tempo invisibile si nostri occhi, ma grazie a tali studi lo conosciamo in maniera più approfondita. Sarebbe auspicabile quindi che ognuno cambi ulteriori abitudini ma ancor di più che si sensibilizzi il mondo intero su questo argomento così importante.

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Dalle isole di plastica, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

By : Aldo |Marzo 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Dalle isole di plastica, al pellet ecologico: l’idea di Ocean Legacy

Nel mare ci sono sempre più tonnellata di plastica che poi si tramuta in microplastiche nel nostro cibo. Fortunatamente c’è chi si ingegna e pensa a come trasformare questi rifiuti in risorse.

Alexander Grey - Unsplash

 

Plastica marina

Da qualche anno si parla di “Garbage patch” ovvero di grandi isole di plastica formatesi nei più grandi mari del mondo. Ogni anno si contano ben 8 milioni di tonnellate di plastica nelle acque marine, che si accumulano sia in superficie che in profondità. Questi insieme restano intrappolati in vortici acquatici, per mesi se non anni, creando danni irreversibili sia alla natura che alla catena alimentare.

Tale processo si verifica perchè la plastica degradandosi, di frammenta in pezzi di varie grandezze e forme principalmente microscopiche e leggerissime che si confondono con il plancton. Inoltre, le particelle che cadono nei fondali sono ancora più difficili da degradare rispetto a quelle in superficie.

Legacy plastic

Proprio per limitare tale problema, la Ocean Legacy Foundation ha pensato di recuperare specifici materiali da queste isole per dargli una nuova vita. Così hanno lanciato Legacy Plastic™, il primo pellet composto interamente di plastica oceanica riciclata. Si tratta di un programma di recupero e trasformazione dei rifiuti per incrementare il valore dell’economia circolare plastica.

Chloé Dubois co-fondatrice della non profit canadese, riconosce di essere sorpresa dell’interesse che l’iniziativa ha ricevuto da parte delle aziende.  L’attenzione è correlata soprattutto agli obiettivi o gli oneri che le aziende hanno nei confronti della sostenibilità. Non a caso, molte si sono rivolte alla fondazione, per incorporare nei loro prodotti, dei materiali riciclati, in modo da ridurre l’inquinamento (soprattutto marino).

Materiale d’origine

Il materiale preso dalla Ocean Legacy risale principalmente dalle attrezzature marine. Si tratta quindi di pellet formato da corde e reti da pesca, galleggianti, boe, ma anche rifiuti raccolti durante le attività di pulizia. Ad ogni modo, riciclando questi rifiuti, la fondazione riesce a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, poiché la loro produzione emette anche meno emissioni. Infatti, i loro prodotti sono creati per mezzo di resine riciclate di alta qualità post-consumo, le quali garantiscono una quantità inferiore di CO2.

In generale, i rifiuti in mare sono talmente tanti che fondazioni come la Ocean Legacy hanno l’imbarazzo della scelta. Tra le isole di plastica più grandi abbiamo la Great Pacific Garbage Patch, situata nel Pacifico, tra la California e le Hawaii. Ha più o meno 60 anni e copre un massimo di 10 milioni di km2, contando tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi. Altri vortici simili, di dimensioni ridotte rispetto alla prima si incontrano nel sud del Pacifico, nel nord e nel sud dell’Atlantico e nell’Oceano Indiano.

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Batteri e microalghe potranno produrre cemento a zero emissioni.

By : Aldo |Marzo 13, 2023 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Batteri e microalghe potranno produrre cemento a zero emissioni.

Da anni i migliori centri di ricerca si sono mossi con il fine di trovare delle soluzioni per ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra. Spesso e volentieri da tali studi, il miglior rimedio è proprio la natura, come in questo caso.

Michael Schiffer - Unsplash

Il cemento

Il cemento al giorno d’oggi è una colonna portante delle nostre vite; è impiegato in molteplici ambiti e in ciascuno garantisce una rilevante sicurezza. Purtroppo, però è uno dei materiali che inquinano di più, non solo in fase di produzione ma anche in quella di smaltimento. Generalmente ogni anno, la sua produzione emette 3 milioni di tonnellate di CO2. Per questo motivo gli scienziati hanno pensato di ricorrere alla natura, per ridurre emissioni e inquinamento, quindi l’impatto del cemento nell’ambiente.

Batteri e microalghe

Negli ultimi mesi sono stati presentati 2 tipi di cemento ecologico formato per mezzo delle attività di batteri e microalghe.  In entrambi i casi sono stati scelti degli organismi che per via delle nuove tecnologie, possono acquisire funzioni specifiche. Difatti, ambedue gli organismi hanno la capacità di creare cemento e allo stesso tempo di riassorbire la CO2 emessa dalla sua stessa produzione.

Proprio grazie a tale innovazione, si possono limitare i danni all’ambiente causati da tutto il cemento che viene prodotto quotidianamente. Per esempio, per creare una tonnellata di cemento vengono emessi 670 kg di CO2, il problema è che all’anno ne produciamo 4.300 tonnellate. Precisamente, è responsabile (da solo) del 70% delle emissioni dirette in atmosfera, a causa dalle reazioni chimiche necessarie per produrlo.

Cemento carbon neutral

Un team di ricercatori della Technical University of Denmark, guidati da Ivan Mijakovic hanno basato la loro ricerca sulle barriere coralline. Nello specifico, hanno ricreato con un enzima, la loro proprietà di catturare CO2, per poi trasformarla in carbonato di calcio per la formazione di cemento. La chiave di questa ricerca è la scoperta di rendere il processo più veloce ed efficiente: si dice bastino pochi minuti. Il meccanismo originario prevede che i coralli catturino la CO2, che poi useranno per accrescersi, nell’arco di secoli.

Inoltre, si pensa di lasciare ai cementifici un bioreattore che possa svolgere tale procedura.  Questo catturerà la CO2 emessa con il riscaldamento, che verrà legata al carbonato di calcio. Successivamente si riscalderà questo composto per formare cemento e si riprenderà il gas serra.

Biocemento

Le microalghe invece, si combinano con acqua, sole e CO2, per poter creare il biocemento che abbatte il 90% delle emissioni. Secondo gli studi può essere impiegato per creare barriere, prefabbricati, tegole e pannelli acustici. Il processo di base, si rifà alla biocementazione fotosintetica, che dà alla luce un materiale proprietà simili se non superiori al cemento Portland.

L’interesse per questi blocchi (forniti da Prometheus Materials) è salito fino a ricevere finanziamenti pari a 8 milioni di dollari da grandi gruppi tecnologici. Tali prototipi di cemento potrebbero risanare un problema veramente importante, legato comunque alla continua crescita demografica mondiale. Le innovazioni come questa testimoniano come la natura sia effettivamente la soluzione a molti dei nostri problemi, o dei nostri danni.

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Ue: trovato l’accordo per la Direttiva Efficienza Energetica.

By : Aldo |Marzo 12, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menoconsumi |Commenti disabilitati su Ue: trovato l’accordo per la Direttiva Efficienza Energetica.
Thomas Kelley - Unsplash

Dopo mesi di proposte, l’Unione europea ha finalmente trovato la quadra per quanto riguarda l’efficienza energetica.

La modifica

Il 10 marzo, il Parlamento e il Consiglio europeo sono arrivati ad un accordo rispetto ai nuovi obiettivi sulla direttiva efficienza energetica. Dopo una lunga trattativa con l’Esecutivo, è stato posto un nuovo target che gli stati membri dovranno seguire e raggiungere entro il 2030. Perciò le nazioni dovranno garantire una riduzione collettiva del consumo energetico finale dell’11,7% in più, rispetto al livello prefissato precedentemente.

In concreto

Questa come tante altre norme, è parte del pacchetto “Fit for 55”, che
“si riferisce all’obiettivo dell’UE di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Il pacchetto proposto mira ad allineare la normativa dell’UE all’obiettivo per il 2030.” (www.consilium.europa.eu/it/). Pertanto, si mira ad aumentare il risparmio energetico, limitandone l’uso e lo spreco.

La normativa, aveva fissato il target di risparmio al 32,5% sull’energia impiegata, ma la modifica da poco accordata, alza il livello della stessa.  Questo sarà possibile grazie a linee e contributi nazionali stabiliti dai Paesi nei nuovi PNIEC (Piani nazionali integrati energia e clima). Gli stati terranno conto della formula di calcolo fornita nella direttiva, puntando sulle caratteristiche di ciascun paese. Per di più, si considerano il Pil pro capite, l’intensità energetica, lo sviluppo delle rinnovabili e il potenziale di risparmio.

Cambio delle cifre

Tale modifica nella Direttiva efficienza energetica, determina un nuovo limite massimo al consumo finale di 763 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio). Mentre per il consumo primario (incluso quello per produzione e fornitura) si parla di 993 milioni di tep: tuttavia solo il primo è vincolante. E comunque, la normativa prevede la possibilità di discostarsi dal target del 2,5%.

Quindi l’Esecutivo avrà il compito di analizzare tutti i contributi nazionali dei paesi. Questi ultimi dovranno assicurare tagli dei consumi finali dell’1,3% entro il 2025 e poi passare al 1,9% nel 2030. In più si dovrà applicare delle soluzioni in caso di gap con il risultato previsto, per via del “meccanismo di riempimento del divario”.

      

A chi è riferita?

La normativa verrà applicata negli stati membri dell’Unione europea a tutti i livelli amministrativi, da quello locale al nazionale. I settori compresi sono quelli delle imprese, edifici, data center e quello della pubblica amministrazione. Nello specifico, proprio l’ambito pubblico dovrà tagliare il consumo finale dell’1,9% ogni anno.

Diversamente, gli immobili pubblici dovranno garantire che almeno il 3% di essi, venga riconvertito in edifici a zero consumo e emissioni. Dunque, a breve verrà approvata la nuova stretta europea sul consumo energetico. Seppur sia rigida, potrà favorire lo sviluppo sostenibile se verranno raggiunti complessivamente i target decisi. Bisogna solo impegnarsi agendo per via delle nuove soluzioni e vedere il risultato.

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Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

By : Aldo |Marzo 08, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti |Commenti disabilitati su Riciclare le batterie delle auto elettriche: un futuro business italiano.

Il riciclo è uno dei fattori fondamentali per ridurre lo spreco e alzare il livello di sostenibilità nel mondo. Con gli ultimi studi, sempre più prodotti possono sottoporsi al processo del riciclo, tra questi anche le batterie.

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Il nuovo settore

In Italia, dal 2019 al 2021, la diffusione delle auto “plug-in” è aumentata del 251,5% con 60.000 auto immatricolate (tra elettriche e ibride). Tale crescita avvenuta anche in Europa, ha consentito di studiare in maniera dettagliata i motori di queste macchine sotto ogni punto di vista.

Non a caso, tra i vari aspetti è stato studiato il motore, che ha portato ad un’intuizione di grande rilevanza, economica e non solo. Di conseguenza in Europa si è aperto un settore dal valore di 6 miliardi di euro: quello del riciclo delle batterie dei veicoli elettrici.

Il vantaggio economico

Il vero beneficio di cui potrebbe godere l’Unione è proprio quello legato alla sostenibilità dunque all’economia circolare.  Questo lo dimostra lo studio “Il riciclo delle batterie dei veicoli elettrici @2050: scenari evolutivi e tecnologie abilitanti”.

Presentata il primo marzo da Motus-E, il Politecnico di Milano e Strategy&, l’analisi descrive un futuro brillante la comunità europea. Nello specifico si ipotizza che al 2050, si potrebbero ricavare 6 miliardi di euro dalla vendita di materie prime, anche rare, riciclate. Si parla di litio, cobalto e nichel, tra i minerali più usati nella composizione di motori elettrici, come in tanti dispositivi elettronici.

Il nuovo settore è poi incentivato dai nuovi target europei sul contenuto minimo di materiale riciclato nelle batterie dei veicoli elettrici. Pertanto, si prevede che nel 2050, 3,4 milioni di tonnellate di batterie alla fine della seconda vita, vengano riciclate. In tal modo si supererebbero le cifre attuali che non vanno oltre le 80.000 tonnellate annue.

Inoltre, la direttiva 2006/66/CE definisce in modo chiaro, la fase finale della vita della batteria di un veicolo elettrico. Dopo l’utilizzo è destinata al riciclo. Successivamente al primo uso, la batteria viene riportata in vita ed impiegata per applicazioni stazionarie pubbliche o privati. Dopodiché si avvia la fase di riciclaggio.

Un futuro business italiano

Includere questo meccanismo nell’economia del nostro Paese potrebbe riconoscergli un ruolo da protagonista in Europa. Poiché l’Italia ha una grande esperienza con i motori e con il riciclo, potrebbe far convergere i due mondi per crescere.  Secondo le statistiche, potrebbe ricavare tra i 400 e i 600 milioni di euro contando solamente le batterie già presenti nel suo territorio. Se questo settore si ampliasse, si verificherebbe un effetto domino (di incremento) anche sul parco elettrico circolante.

Uno sviluppo simile sarebbe capace di offrire tanti benefici occupazionali e ambientali se non a rendere indipendente lo stato. Esattamente con il riciclo e la lavorazione delle materie prime in “casa”, si potrebbe fare leva sulle proprie potenzialità. Questa possibilità ha permesso di incentivare nuovi studi ma soprattutto di investire nel campo descritto, per avere un vantaggio competitivo.

Se si verificasse concretamente, questa soluzione consentirebbe all’Italia di affermarsi in un settore tecnologico e avanzato. Inoltre, i suoi benefici sarebbero talmente tanti, da coprire una vasta gamma di persone, impieghi e modi di vivere. Questo è il concetto alla base della sostenibilità, ovvero un’interconnessione tra ambiente, società ed economia.

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Ikea: colla biologica per ridurre l’impronta ecologica dei suoi prodotti

By : Aldo |Marzo 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, plasticfree |Commenti disabilitati su Ikea: colla biologica per ridurre l’impronta ecologica dei suoi prodotti

Ormai le grandi aziende non possono più voltarsi dall’altra parte. Gli obiettivi dell’agenda 2030 e le nuove leggi promulgate dai vari stati del mondo, definiscono una linea precisa d’azione.

La novità

Ikea da anni studia come ridurre il suo impatto sul pianeta, per mezzo di maggiori accorgimenti nella produzione e nel commercio dei suoi prodotti. Di conseguenza non può passare inosservata la notizia del primo marzo, per la quale l’azienda sceglie di puntare sulla colla biologica. Senza dubbio, sarà un processo graduale, di sostituzione della colla comune di matrice fossile, che è stata usata fino al giorno d’oggi. Per tale motivo, l’obiettivo preposto è quello di ridurre l’uso di quest’ultima del 40% e le emissioni di gas serra ad essa correlate del 30%.

Perchè cambiare?

La decisione del colosso dell’arredamento deriva da un’attenta valutazione della propria produzione e del mercato. Precisamente, Ikea ha analizzato che l’uso di colla comune nei materiali di cartone determina il 5% della sua impronta nel mondo.
Questo perchè la colla usata attualmente è di base petrolchimica, quindi, rappresenta un materiale di basso costo facile da usare negli adesivi.

Ma data la sua origine, è nociva per l’ambiente. L’estrazione e l’uso del petrolio creano gravi danni in natura, come anche le sostanze chimiche altamente tossiche che rilascia durante la lunga biodegradazione. Pertanto, dopo più di 10 anni di studio, l’azienda è riuscita a raggiungere l’obiettivo preposto.

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Cosa si intende per colla biologica?

Secondo Adhesive Platform, si intendono colle biobased, tutte quelle che possono essere prodotte da amido, olio vegetale, diverse proteine, lignina e resina naturale. Quindi Ikea si è mossa in modo da trovare la giusta soluzione, avviando dei programmi per acceleratori, proprio per sperimentare varie alternative. Tra i molteplici esperimenti, sembra che quello attivo in Lituania (Kazlu Ruda) sia il più valido. Si tratta di una colla composta di amido tecnico di mais che non deriva da coltivazioni alimentari, ma da colture industriali separate. Perciò, vista l’apparente efficienza, la società introdurrà questo nuovo composto progressivamente nei suoi processi di produzione.

Obiettivi e idee

Tale innovazione, non è la prima considerata da Ikea per la sua transizione ecologica. Infatti, da tempo ha incrementato l’uso del legno riciclato e si è impegnata per arrivare ad un consumo energetico al 100% rinnovabile entro il 2030. A queste premesse, segue l’intenzione di integrare la propria sostenibilità con la selezione di materiali rinnovabili e riciclabili.

Secondo Venla Hemmilä, Material and Technology Engineer di IKEA di Svezia, questi sono dei cambiamenti necessari all’interno dell’industria. Che siano anche delle modifiche minori, come quella appena descritta, sono sempre dei passi in avanti che possono avere dei grandi impatti.

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Nokia torna in pista con la telefonia sostenibile.

By : Aldo |Marzo 06, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Dopo anni, la Nokia torna sul commercio con una nuova visione del mondo della telefonia. Un nuovo logo e nuovi modelli cambieranno le sorti del colosso.

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Il nuovo modello

G22 è il nuovo smartphone della Nokia, unico al mondo nel suo genere. Si tratta del primo telefono al mondo pensato per essere riparato facilmente, rendendolo molto più sostenibile di tanti altri telefoni. É dotato di un display da 6,5”, memoria interna che può variare tra i 4 e i 128 GB, 3 fotocamere esterne e una interna.

Ovviamente, quelli elencati non sono i connotati di un pezzo di alta gamma ma d’altronde non era quello l’obiettivo della Nokia. Questo lo si può intuire anche dal prezzo, di soli 189 euro, una cifra tra le più basse nel mercato dei nuovi smartphone. Ulteriori caratteristiche che lo rendono particolare sono la scocca in plastica riciclata al 100% e la possibilità di ripararlo direttamente a casa.

iFixit

Il nuovo prototipo è accessibile ad un’ampia clientela sia per il prezzo che per la possibilità di una durata maggiore. Grazie alle tecnologie di iFixit (comunità globale volta a promuovere la riparazione dei dispositivi elettronici), si potrà aggiustare il telefono in pochi minuti. Che si tratti di uno schermo danneggiato, il cambio della batteria o la porta di ricarica piegata, nulla sarà più costoso. iFixit ha messo appunto un kit di riparazione (probabilmente del costo di 5 euro) che permetterà di poter risolvere delle problematiche comuni in maniera efficiente.

I vantaggi

In primo luogo, non si dovrà portare il telefono in assistenza, quindi si risparmieranno soldi e tempo, inoltre si aiuta anche l’ambiente. Infatti, tra le soluzioni più sostenibili è compresa la riparazione del dispositivo. Poiché ad oggi solo l’1% degli smartphone nel mondo viene riciclato, la possibilità di riparare il proprio, in casa, rende il G22 un modello all’avanguardia.

Oltretutto, le tecnologie impiegate consentono alla batteria di durare addirittura 3 giorni, prolungando la vita dello stesso telefono. Tale peculiarità permette di ridurre le emissioni di CO2 del 26% annuo, senza tenere conto di tutti gli altri passaggi della produzione.

Produzione europea.

La Nokia ha un’ulteriore sorpresa nel campo della sostenibilità. L’azienda avrebbe deciso di portare la produzione in Europa. Il colosso è di proprietà dell HDM Global che ha annunciato tale cambiamento; una scelta di rilievo soprattutto per quanto riguarda il benessere della Teerra. Questo perchè l’83% delle emissioni riconducibili alla vita di un dispositivo, sono riconducibili alla fase di produzione e trasporto.

Per tale motivo, la decisione di spostare le fabbriche in Europa nei prossimi anni garantirebbe un minor impatto sul pianeta. Altresì, Ben Wood, Chief Analyst di CCS Insight dichiara:

… al di fuori del periodo di garanzia, circa metà degli intervistati e possessori di smartphone hanno dichiarato l’interesse a poter riparare il proprio dispositivo a un costo ragionevole e autonomamente in caso di rottura.

 

Sembra così, che l’idea della Nokia possa far breccia nei cuori dei più attenti alla sostenibilità e non solo. Sicuramente se riuscisse in questa impresa, si cambierebbero le sorti del settore della telefonia, dimostrando quanto le tecnologie siano di aiuto per raggiungere un futuro sostenibile.

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Se fossero uno stato, i SUV sarebbero il 9° inquinatore mondiale.

By : Aldo |Marzo 02, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |0 Comment

L’Europa fa i primi passi per cambiare rotta nell’ambito della mobilità, ma alcuni recenti studi hanno rivelato che un tipo specifico di auto è un antagonista in questa transizione.

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Il record

Sembra che i SUV siano l’automobile più inquinante in circolo e detiene un record alquanto incredibile. Infatti, secondo gli studi, se tutti i SUV nel mondo fossero riuniti e formassero uno stato, questo sarebbe il 9° inquinatore mondiale.  Il posto nella top 10 è dato dall’elevata quantità di emissioni di CO2 prodotta proprio dal numero complessivo di tali veicoli, nel mondo. La quota si aggira intorno al miliardo di tonnellate di CO2, cifra che tende a crescere con l’aumentare del commercio di SUV. Se questi ricoprono il 9° posto, vuol dire che si posizionano subito dopo il Giappone, ma precedono la prima potenza economica Europea, la Germania.

Cifre delle vendite

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel 2022 sono stati venduti 75 milioni di auto in più rispetto al 2021. Tale dato è una media mondiale, in cui la Cina ha contato un 10% di crescita, mentre gli Stati Uniti e l’Europa hanno registrato delle flessioni.  

Ad ogni modo, le auto elettriche rappresentano il 60% delle vendite. Nello specifico durante gli ultimi 2 anni, il settore dei SUV ha registrato un aumento del commercio pari al 3% determinando oggi, il 46% delle nuove vendite. Di cui il 16% di essi sono elettrici.

Le conseguenze ambientali

Essendo più grandi e pesanti rispetto alla norma, i SUV richiedono il 20% in più di gasolio e questa necessità, crea dei problemi. Non a caso, con l’impennata delle vendite di SUV, cresce anche la domanda petrolio, e delle emissioni di CO2 (di 70 Mt CO2 nel 2022).

Pertanto l’Iea afferma che

“…il consumo di petrolio dei SUV è aumentato a livello globale di 500.000 barili al giorno, rappresentando un terzo della crescita totale della domanda di petrolio.”

Successivamente a tali considerazioni, si può affermare che una scelta sostenibile sia fondamentale anche in questo campo. Sicuramente il tipo di automobili descritto garantisce una maggiore comodità e sicurezza della guida, ma emette circa il 25% delle emissioni generate in un anno dall’Italia.

Quindi nel caso in cui si debba comprare un’auto, è importante considerare la grandezza e di conseguenza la potenza del veicolo e optare per un’alternativa più green. Una macchina più piccola, anche se meno bella potrebbe inquinare di meno rispetto ad un SUV, ma se proprio non si avesse la possibilità di scelta, sarebbe meglio indirizzarsi verso l’auto elettrica.

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Riscaldamento domestico: decarbonizzarlo non basta.  

By : Aldo |Febbraio 28, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sono diversi, importanti se non fondamentali per una valida transizione ecologica. Per arrivare alla meta però ci sono molteplici modifiche da effettuare nella vita di tutti i giorni.

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Riscaldamento e raffreddamento domestico

Il report condotto dall’EEA (Agenzia Europea per l’Ambiente), rivela dati e statistiche per quanto riguarda il riscaldamento (e il raffreddamento) domestico.

Secondo le analisi svolte, gli edifici sono il principale responsabile di emissioni di CO2, poiché consumatori al 42% dell’energia finale impiegata in tutti i settori.

Difatti, nel 2020 il servizio di riscaldamento di ambienti e dell’acqua ha determinato l’80% del consumo domestico in Europa.

Il problema? Più della metà di tale energia è garantita da sistemi ad alta temperatura che bruciano principalmente combustibili fossili. Tra questi gas (39%), petrolio (15%) e carbone (4%).

Pertanto, l’agenzia afferma


Decarbonizzazione del riscaldamento e del raffreddamento: un imperativo climatico.

Soluzioni possibili

Senza dubbio le rinnovabili sono le prime candidate per la decarbonizzazione del riscaldamento. Purtoppo però servono degli incentivi su altre tecniche prima di poter cambiare totalmente il sistema: serve un cambio di rotta progressivo.

La biomassa è stata avanzata come ipotesi, poiché molto diffusa nel nord Europa, in cui è il principale combustibile per il riscaldamento.  

Tuttavia, non potrebbe essere scelta come soluzione a livelli industriali, sarebbe più auspicabile per una produzione energetica minore. Anche perchè è un sistema che può avere degli effetti nocivi sulla salute umana, sul sequestro di carbonio del suolo e sulla biodiversità.  In sostanza determinerebbe un effetto controproducente.

Proprio per questo le rinnovabili restano le più accreditate per un cambiamento più sicuro sotto tutti i punti di vista.

Procedere con le rinnovabili

Una volta capito che le rinnovabili sono effettivamente la scelta migliore per tale transizione, bisogna capire in che modo usarle.

L’EEA suggerisce vari programmi per una valida decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento che consistono nell’affiancamento e l’efficientamento degli stessi.

Ma ancora di più, per poter sviluppare un nuovo piano energetico, serve implementare le fonti rinnovabili a livello locale, coinvolgendo i cittadini stessi.

Questo perchè riqualificare un edificio mettendo a punto l’involucro e efficientando il risparmio non basterebbe ad abbattere le emissioni di CO2 entro il 2030.

Le politiche

Ovviamente in queste situazioni entrano in gioco anche le politiche europee di modo che tutta l’unione si muova nella stessa direzione.  Sebbene ci siano stati dei passi in avanti, l’idea delle rinnovabili negli edifici non ha ancora ottenuto l’adeguato consenso.

Pertanto, nell’ultima revisione della Direttiva UE “Case Green” viene richiesto di aumentare di almeno 1.1% annuo, l’uso di fonti rinnovabili.

Come detto in precedenza, oltre a linee guida, direttive e leggi, serve un miglior coinvolgimento dei cittadini. Infatti, se si spiegasse che con un cambiamento del genere le persone potrebbero diventare consumatori e produttori allo stesso tempo, si avrebbe un riscontro diverso.

Tale veduta migliorerebbe la vita della società, riducendo la povertà energetica, incrementando i benefici economici e sanitari.

In battuta finale si può dire che l’obiettivo è quello di sviluppare edifici che possano produrre energia, usata dalla comunità che li ospita.

Forse l’ostacolo più grande sarebbe quello di superare le proprie abitudini visto che eolico e solare dipendono dal clima. Tale correlazione determinerebbe un’efficienza altalenante, dunque, dovremmo diventare più flessibili a picchi o cali di produzione.

Da non escludere inoltre, la solita questione burocratica che potrebbe rallentare o rendere più difficile tali processi.

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Biometano: da Vicenza più di 200 camion si spostano grazie agli scarti agricoli.

By : Aldo |Febbraio 27, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |0 Comment

Ridurre l’inquinamento causato dai mezzi di trasporto è un’impresa abbastanza difficile ma non impossibile. Le soluzioni valide sono svariate e tra l’ibrido e l’elettrico di ultima generazione spicca anche il biometano.

L’eccezione italiana

A Vicenza, le aziende agricole più lungimiranti hanno usufruito del servizio degli impianti, Motta Energia e EBS per la produzione di biometano. Si tratta della produzione di 7 mila tonnellate all’anno, grazie al rifornimento di scarti agricoli di ben 120 aziende locali.

Sebbene il nuovo carburante sia sostenibile per la sua natura organica, lo è anche per quanto riguarda i trasporti della materia prima.  Infatti, le imprese che consegnano i loro “rifiuti” naturali si trovano nei pressi degli impianti, creando così un combustibile a km0. La produzione del biometano a km0 è possibile grazie alla raccolta di scarti ed effluenti zootecnici quali letame e liquami bovini, pollina.

AB e la cooperazione

AB è l’impresa di riferimento “globale” come riportato nel sito web, in merito alle soluzioni di sostenibilità energetica, impianti, competenze, tecnologie e altri servizi. Non a caso l’azienda ha fornito le migliori tecnologie agli stabilimenti al fine di contraddistinguerli per l’efficienza e per l’offerta di servizi unici nel settore. In questo caso entrambi sono di proprietà di Iniziative Biometano ma si differenziano per le loro origini.

Motta Energia è un cosiddetto “greenfield” quindi un impianto totalmente nuovo adibito a questo tipo di produzioni, al contrario dell’EBS. Quest’ultimo è definito “brownfield”, poichè è uno stabilimento di biogas riconvertito Proprio grazie a tale cooperazione, si è raggiunto l’obiettivo prefissato ovvero quello di coprire l’intera filiera di trasformazione del biogas in biometano. 

Lenka Dzurendova - Unsplash

Le tecnologie AB

La trasformazione da biogas a biometano possibile per mezzo di sistemi di depurazione a membrane BIOCH4NGE®, in grado di produrre 1200 Sm³/h di biometano. Sono attivi anche due liquefattori CH4LNG®, che sfruttano la tecnologia Stirling capace di convertire il biometano purificato in biometano liquido. Per ultimi, i due cogeneratori ECOMAX®, alimentati da biogas o gas naturale, per la produzione di energia impiegata in altri processi.  Ed è proprio con questa tecnologia che gli impianti si rendono portavoce di una produzione al massimo della sostenibilità.

Impieghi 

Il bioo-GNL prodotto a Vicenza è attualmente usato come carburante da più di 200 camion che percorrono complessivamente 100 mila km all’anno.  Ma in alternativa può essere impiegato come fertilizzante e quindi perchè no, ritornare nelle imprese agricole che forniscono gli scarti.  Anche questa produzione è realizzabile per via delle nuove tecnologie, le quali permettono un’ulteriore trasformazione rilevante.

Concretamente il digestato (residuo della digestione anaerobica) può diventare concime di ottima qualità, capace si arricchire il terreno e non solo. In questo modo il nuovo fertilizzante potrebbe contribuire notevolmente al sequestro e stoccaggio del carbonio nel suolo.

Piano europeo 

Se si sviluppassero attivamente altre realtà simili a quella descritta, si potrebbero cambiare le sorti della transizione energetica. Anche perchè da poco è stato pubblicato il decreto da parte del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica). Nel documento sono riportate le regole per accedere agli incentivi per l’immissione del biometano nella rete del gas naturale.

Inoltre, il piano REPowerEU mira alla produzione di 35 miliardi di m3 di biometano al 2030, un’opportunità di crescita e sviluppo del settore. Una chance che l’Italia dovrebbe cogliere poiché dovrebbe arrivare a 6 miliardi di m3, raggiungendo i primi posti europei per gas “verde”.

Col passare degli anni la richiesta di servizi di questo tipo cresce, come cresce anche la necessità di trovare soluzioni per salvare il pianeta. L’obiettivo del Governo è quello di sostituire il  30% del gas importato con il biometano nazionale entro il 2030; che sia solo un punto di partenza per una futura Italia verde?

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Con l’agrivoltaico, è possibile produrre energia su un terreno coltivato.

By : Aldo |Febbraio 22, 2023 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |0 Comment

Il dissenso generale nei confronti del solare è ancora presente soprattutto in Italia. Ma la ricerca di nuove tecnologie non si ferma mai e l’agrivoltaico è una delle recenti scoperte sostenibili che potrebbe cambiare il parere della società.

L’agrivoltaico

L’argivoltaico è una tecnologia che unisce l’agricoltura al fotovoltaico permettendo una duplice fruizione di un solo terreno, riducendo l’abbandono dei suoli.  Il sistema è stato studiato in modo dettagliato al punto che i vantaggi offerti sono alquanto rilevanti per la sostenibilità a breve termine. Non a caso l’Europa ha promosso un progetto nel programma Horizon Europe, al quale collaborano 18 realtà (centri di ricerca e imprese).

Lo scopo dell’iniziativa è esattamente quello di cambiare l’idea che il solare possa sottrarre suoli all’agricoltura, quando in realtà può solo raddoppiare i suoi benefici. Infatti, il messaggio che vuole essere diffuso è che l’agrivoltaico possa aiutare in maniera concreta l’ambiente ma soprattutto anche le piccole aziende.

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I vantaggi

Come affermato nel paragrafo precedente, i pro di tali innovazioni sono tanti e soddisfano le nuove necessità delle imprese agricole. Sicuramente il primo beneficio è la riduzione del consumo del suolo, poichè gli impianti sono situati anche a 3 metri di altezza sopra le colture.  Proprio in questo modo è possibile fruire dei terreni duplicemente, garantendo anche la riduzione del loro abbandono, in modo specifico quelli a rischio desertificazione.

Possono anche integrare e migliorare l’agricoltura poiché aumentando l’ombra sul suolo, sono capaci di diminuire l’evapotraspirazione senza, perciò, ridurre la radiazione solare. In aggiunta, il fotovoltaico può stimolare nuove professionalità, creando nuovi posti di lavoro, migliorando le competenze tecnologiche e anche l’economia locale.

Ci sono degli ottimi vantaggi anche nel settore energetico. Sebbene sia ancora poco sviluppato, l’agrivoltaico conta 32MW di serre fotovoltaiche che possono generare all’anno oltre 44 mln di kWh.  Analogamente, questo tipo di integrazione può essere estesa anche agli allevamenti, come agrivoltaico zootecnico, già in sperimentazione in Cina.

La burocrazia

Come in tanti altri casi, la burocrazia resta un grande ostacolo per le realizzazioni di opere più grandi, o semplicemente per la diffusione dell’installazione.  Nello specifico, mancano dei decreti attuativi che non sono stati emessi nel 2022 e delle linee guida nazionali. Un ulteriore questione da risanare è la mancanza di una rete tra regioni e di comunicazione tra paesi vicini per la cooperazione. Questo anche in virtù degli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030), per i quali serve una struttura organica.

Il progetto

L’entourage di imprese e centri di ricerca mira a sviluppare delle tecnologie adattabili a vari assetti colturali e a migliorare la standardizzazione dell’opera.   Sicuramente è un piano che prevede un’attenta cura ai dettagli per i fattori determinanti l’efficienza dell’installazione. Tra questi l’altezza, la distanza tra pannelli, il posizionamento rispetto alle piante, le strutture usate ed altro.

Quindi per avere un programma vincente, oltre ai finanziamenti ed alle tecnologie, servono aiuti e contatti dunque connessioni tra città, province e regioni. Dove la rete non serve solo a scopo di marketing e di organizzazione ma anche per il repowering di impianti esterni.  Acnor di più delle connessioni servirebbero delle regole, in modo tale che il paese possa cambiare allo stesso modo, nello stesso tempo, ovunque.

L’intero progetto finanziato dall’Ue con 5 milioni di euro include l’ENEA e la EF Solare, collaboratori spagnoli, olandesi e belgi. Tali paesi hanno avviato delle sperimentazioni con caratteristiche diverse per poi raccogliere tutti i dati che serviranno per sviluppare una seconda tecnologia. L’idea è di creare un algoritmo che possa in futuro ottimizzare la produzione elettrica e agricola della coltura in esame.

Se l’Europa ha da poco celebrato il sorpasso delle rinnovabili rispetto al gas, l’Italia non può dire lo stesso. Servirebbe infatti, una volontà comune che consenta un cambiamento rilevante nel settore burocratico e in quello finanziario. Fortunatamente esistono i progetti europei che fanno da apripista a future iniziative locali, che si attendono con grande curiosità.

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Stop a diesel e benzina entro il 2035: la legge Europea per una maggiore sostenibilità.

By : Aldo |Febbraio 20, 2023 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Il Parlamento Europeo punta al raggiungimento dei vari obiettivi sostenibili dell’Unione e di conseguenza è sempre più attento ad ogni particolare.

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Il provvedimento

Il parlamento di Strasburgo ha finalmente approvato la nuova legge per raggiungere un obiettivo fondamentale, ossia quello delle auto ad emissioni zero.

Si parla della nuova direttiva per la quale la vendita di macchine a diesel e benzina si fermerà nel 2035; tra queste sono incluse anche le ibride.

Tale decreto ha lo scopo di eliminare le emissioni di CO2 scaturite dall’uso delle automobili, ma di seguito saranno compresi anche furgoni e autobus.

In cosa consiste

Con il regolamento 2019/631/CE l’Unione Europea dichiara che dal 1° gennaio 2035 non sarà possibile la vendita di auto a benzina o diesel. Da quella data, infatti, tutti i veicoli leggeri che verranno messi in commercio dovranno essere a zero emissioni.  La scelta della direttiva mira al raggiungimento degli obiettivi nel quadro delle misure previste dal piano “Fitfor55” (un insieme di riforme per ridurre l’impatto ambientale).

Tuttavia, i  veicoli immatricolati prima del 2035 non cambierà nulla; pertanto, sono stati fissati dei target per arrivare al traguardo finale. Si tratta di tagli della CO2 entro il 2030 al 55% per le auto e al 50% per i furgoni. Poi nel 2025, come passo intermedio, la Commissione presenterà una nuova tecnica di analisi dei dati.  Servirà per esaminare e comunicare i valori sulla CO2 che viene emessa durante tutto il ciclo di vita dai velivoli presenti nella comunità europea.

Invece entro il 2026, sarà supervisionata la differenza tra i limiti di emissione e i dati reali del consumo di carburante ed energia. In questo modo la commissione potrà consigliare dei metodi ai costruttori, per adeguare le emissioni di CO2 proponendo delle misure per migliorare la produzione.   Inoltre, proprio i costruttori di piccoli volumi godranno di una deroga di un anno. Questa è riferita quindi a chi produce dalle 100 alle 10 mila auto o dai mille ai 22 mila furgoni.  Tutti coloro che sono al di sotto di tali valori saranno esclusi dal decreto.

L’iter burocratico

Sebbene sia servito molto tempo per pensare dettagliatamente a tale direttiva, il parlamento l’ha approvata con 340 voti a favore, 279 contrari e 21 astensioni.

Effettivamente i vincoli erano stati già discussi nel Consiglio di ottobre 2022 e solo dopo una lunghissima trafila legislativa sono stati concordati con l’intera Unione. Secondo Jan Huitema (Renew, NL)

“il regolamento incoraggia la produzione di veicoli a emissioni zero e basse. Contiene un’ambiziosa revisione degli obiettivi per il 2030 e un obiettivo di zero emissioni per il 2035, che è fondamentale per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.”

Ulteriori cambiamenti

Ulteriori proposte saranno presentate prossimamente per incorporarle nel nuovo regolamento. Oltre alle automobili saranno inclusi autobus e camion, che dovranno ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 per rispettare il target delle emissioni zero. Nello specifico la riduzione avverrà in maniera graduale del 45% nel 2030, del 65% al 2030 e del 90% al 2040. Il fatto che la Commissione europea stia promuovendo e approvando leggi come questa, dimostra la forte volontà dell’Unione di cambiare il futuro.

Sebbene i dati affermino che i trasporti producano l’1% delle emissioni di CO2, le auto sono responsabili del 71% della piccola cifra. Di conseguenza direttive che mirano a ridurre vertiginosamente questo trend, sono fondamentali anche se il tempo previsto per concretizzarle sia ristretto.

Anche in questo caso si tratta di passi in avanti di grande importanza.

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Amsterdam apre l’innovativo parcheggio per biciclette… subacqueo

By : Aldo |Febbraio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, mare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Sembra che i Paesi Bassi abbiano un problema con le biciclette: sono troppe e devono trovare nuovi spazi per parcheggiarle. Ed ecco che arriva l’idea dell’anno.

Mathew Schwartz - Unsplash

L’idea

Amsterdam inaugura il primo parcheggio di biciclette subacqueo nel centro della città. Si tratta di un’idea che risolve molteplici problemi per cittadini, pendolari e turisti. Il progetto ideato da Wurck, costato 60 milioni di euro, collocato nei pressi della stazione centrale Stationsplein ha 7 mila slot per le due ruote. Di questi 7000 posti, 6.300 sono adibiti alle biciclette personali e 700 per il bike sharing, un’ulteriore soluzione sostenibile. Le cifre del maxi-parcheggio sono straordinarie ma giuste in funzione dei dati analizzati del centro urbano. Proprio Amsterdam conta 600 mila bici per 750 mila abitanti; quindi, non c’è dubbio che dei parcheggi così grandi siano una priorità per la città.

I tecnicismi del parcheggio

Ha 7000 rastrelliere disposte su due livelli fornite da VelopA che possono essere monitorate da una tecnologia LumiGuide. Gode di un servizio aperto tutta la settimana h24 e in più, la prima giornata di sosta è gratuita, dopodiché si paga 1,35 euro. In più, i pagamenti possono essere effettuati con la carta di trasporto olandese OV-chipkaart, oppure con Fietstag (un’etichetta per l’identificazione).

L’area in descrizione è situata sotto la stazione metropolitana centrale della città, di modo che i viaggiatori possano arrivare direttamente al garage senza deviazioni.  Per entrarvi si segue la pista ciclabile a livello della strada fino ad arrivare all’interno del garage. Inoltre, il design creato in collaborazione con il Museo di Amsterdam include delle colonne numerate per ricordare le sezioni del garage. Fuori invece dei cartelli digitali riportano il numero dei posti disponibili all’interno dell’area.

I vantaggi

Nonostante nell’area di sosta manchino check-in con smartphone e smartwatch o punti di ricarica per le e-bike, resta sempre una grande novità. Questo progetto oltre ad avere un design moderno e una struttura accattivante, regala molteplici benefici alla città e ai suoi abitanti. Senza dubbio offre uno spazio sicuro per le biciclette sia dai ladri che dalle intemperie, in un’area che non toglie spazio a strade e marciapiedi.

In secondo luogo, si incentiva l’uso del mezzo più sostenibile che esista, con grandi vantaggi per la salute. In realtà è stato stimato che si eviterebbero 170 mila morti all’anno grazie alla scelta della bicicletta. D’altra parte, il massiccio utilizzo del veivolo a due ruote, riduce di gran lunga l’inquinamento atmosferico. Secondo un recente studio, se ognuno percorresse 2,6 km al giorno in bicicletta, potremmo tagliare 686 milioni di tonnellate all’anno CO2.

Passato e futuro

Non è di certo la prima volta che viene costruito un parcheggio sotterraneo, ma nulla somiglia a quello di Amsterdam. Per esempio, ad Utrecht esiste un garage sotterraneo con ben 12.000 slot: venne realizzato perchè necessario per i cittadini. Il motivo di tale scelta erano le abitudini del centro urbano: il 50% dei residenti usa la bicicletta quotidianamente.  Difatti su questa falsa riga il governo continua ad incentivare il mezzo per una maggiore sostenibilità grazie anche a varie agevolazioni economiche.

Invece se guardiamo al futuro, è già stata dichiarata una nuova inaugurazione: verrà aperto un altro parcheggio sull’IJboulevard nel mese di febbraio.  Anche se più piccolo dell’area subacquea, conterà 4.000 slot e la sua costruzione è stata finanziata con 25 milioni di euro. I Paesi Bassi sono sempre un’ottima guida per la mobilità sostenibile, poiché nulla ferma i loro cittadini dal muoversi in bicicletta; neanche il freddo invernale. Rappresentano un modello di determinazione da seguire soprattutto in Italia dove sono appena stati tagliati i fondi per le piste ciclabili.

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In Europa vincono le rinnovabili, ma l’Italia segue a fatica la nuova transizione.

By : Aldo |Febbraio 13, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi, plasticfree |0 Comment

L’Europa ha schiacciato l’acceleratore e punta al sostenibile senza guardarsi indietro L’Italia è pronta a fare lo stesso?

L’Italia cresce nel solare

Il bel Paese, sempre baciato dal sole, potrebbe fare molto di più per quanto riguarda la produzione di energia pulita.   Nel 2022 infatti, l’Italia ha raggiunto il sesto posto della classifica europea, ma manca ancora tanto lavoro per realizzare il piano dell’Unione. La crescita registrata durante l’anno scorso (+2,6 GW) è dovuta maggiormente al Superbonus 110%, quindi al solare su piccola scala.  Ma un ulteriore fattore che ha incrementato la scelta del fotovoltaico è stato il caro prezzi. Senz’altro la crisi ha permesso un’attenta riflessione da parte dei cittadini che hanno scelto consapevolmente il rinnovabile. Nell’eolico invece, si riscontrano ancora delle difficoltà, non a caso nel 2022 sono stati installati appena 456 MG di potenza, raggiungendo gli 11,7 GW totali.

Jeroen van de Water - Unsplash

Previsioni

Secondo uno studio di Ember, l’Italia potrebbe migliorare nell’arco di pochi anni con delle scelte volte al rinnovabile. Tra il 2023 e il 2026, il Paese potrebbe installare dai 16,4 GW ai 34 GW. Se questa previsione si verificasse, l’Italia potrebbe puntare ancora più in alto raggiungendo a tutti gli effetti i target del piano RePowerEu.

La meta sono gli 85 GW entro il 2030, che garantirebbero un 84% di energia pulita per il mix dell’energia elettrica, attualmente del 36%.  Non c’è da dire che una transizione di tale portata avrebbe una grande risonanza in molteplici settori.

Elettricità Futura, ha analizzato proprio gli effetti di un cambiamento come quello descritto, in funzione dell’economia e dell’ambiente.  Ci potrebbero essere fino a 309 miliardi di investimenti e un beneficio che varrebbe il 2,2% del Pil. In più si ridurrebbero le emissioni di CO2 del 75% nel settore elettrico e sarebbero garantiti 470000 nuovi posti di lavoro.

La questione burocratica

Peccato che in questo bellissimo sogno, ci sia di mezzo la burocrazia che sveglia l’Italia.  Per colpa della burocrazia lenta e a volte troppo articolata, il Paese perde tante occasioni per progredire. Si parla di una vera e propria barriera culturale contro le rinnovabili. Purtoppo in molti credono ai falsi miti che non permettono un pieno sviluppo delle tecnologie: uno tra tanti il fotovoltaico che toglie suolo all’agricoltura.  Un falso mito più volte smentito, vista la crescente tecnica dell’agrivoltaico che prevede un’azione congiunta tra l’agricoltura e il solare.


Il colpo basso

Seppur ci siano delle ottime premesse per una buona crescita, il governo italiano ha deciso di guardare altrove. L’Italia ha stretto da poco accordi con Algeria e Libia, garantendo un investimento italiano da 8 miliardi per estrazione e produzione di gas. Tale patto garantisce 8,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno per i prossimi 25 anni. Inoltre, si parla anche della costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica.

Questo succede, perchè si pensa ancora che il gas sia l’unica fonte di energia che possa soddisfare in tempi brevi il fabbisogno energetico del Paese.  Peccato che dalle statistiche, il gas è una risorsa in perdita poiché è insostenibile sia a livello ambientale che economico. Nonostante problemi burocratici e scelte poco comprensibili del governo, l’Italia continua a migliorare passo dopo passo. La speranza è quella di una transizione vera e propria, anche se non in tempi record.

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Rinnovabili spiccano il volo in Europa: nel 2022 hanno superato il gas.

By : Aldo |Febbraio 09, 2023 |Acqua, Arte sostenibile, Clima, Consumi, Emissioni, Home, menoconsumi |0 Comment

É iniziata la vera transizione ecologica dell’Europa. I dati parlano chiaro, possiamo solo aspettarci una grande rivoluzione.

La rivincita

Secondo lo studio “More renewables, Less inflation” di E3G ed Ember, le rinnovabili hanno fatto un grande passo in avanti! I dati affermano che nel 2022, eolico e solare hanno superato la generazione di energia per mezzo del gas, con un gap minimo ma essenziale. Le energie verdi hanno prodotto il 22% dell’energia consumata a fronte del 20% del gas; un evento che segna una grande vittoria. Il segno che lascia questo sviluppo mette in luce anche le prospettive di crollo delle fonti fossili nel 2023. Si pensa che il gas potrebbe scendere del 20% nel nuovo anno, il doppio rispetto al 2020.

Fattori vincenti

Sicuramente la guerra in Ucraina ha accelerato lo sviluppo e la produzione di energia sostenibile permettendo un’importante transizione energetica.

Un altro fondamentale fattore che ha reso possibile l’impennata delle rinnovabili è stato il clima. Sembra assurdo dirlo ma proprio le temperature miti protratte negli ultimi mesi dell’anno, hanno permesso agli europei di risparmiare in riscaldamenti. Ma è importante anche sottolineare la volontà dei cittadini di muoversi nella stessa direzione, riducendo la domanda di energia a causa della crisi. 

Luca Bravo - Unsplash

Il solare

Il solare è uno dei principali protagonisti di questa storia, registrando l’aumento più rapido mai visto. La crescita del 24% nel 2022 ha evitato l’importazione di 70 miliardi di metri cubi di gas, consentendo di risparmiare 10 miliardi di euro.

Le cifre di cui parliamo hanno una grande rilevanza, dato che il vantaggio è stato possibile grazie all’azione di 20 paesi dell’Unione. Si tratta di 41 GW di nuova potenza fotovoltaica in Europa. Solar Power Europe pensa che questo sia solo l’inizio di una grande avanzata.

«Siamo fiduciosi che un’ulteriore crescita annuale del settore supererà tutte le aspettative, andando oltre i 50 gigawatt di nuova capacità nel 2023 e raggiungendo gli 85 GW nel 2026».

La Germania è in cima alla classifica, con una crescita di 8 GW, seguita da Spagna (7.5), Polonia (4.9), Paesi Bassi (4) e Francia (2,7).

L’eolico

Anche l’eolico è aumentato grazie a 15 GW di nuovi impianti eolici che determinano una crescita di 1/3 rispetto al 2021.  Troviamo nuovamente la Germania è in testa seguita da Svezia, Finlandia, Spagna e Francia, secondo il rapporto Wind Europe. Di fatto questo è un grande passo in avanti che tuttavia risulta insufficiente per centrare gli obiettivi europei: ma è un buon punto di partenza.

Purtoppo un notevole problema resta sempre la burocrazia, nello specifico le autorizzazioni, che rallentano l’innovazione.  In Europa, infatti, sono bloccati 80 GW di progetti eolici e Giles Dickson, Ceo di WindEurope afferma che:

“L’aumento del 33% delle nuove installazioni dimostra che l’industria eolica europea è all’altezza della sfida. Ma bisogna semplificare le procedure di autorizzazione e agevolare gli investimenti nella catena di approvvigionamento: fabbriche, lavoratori qualificati, reti, materie prime e navi.”

Carbone e gas

Arrivati a questo punto, si può pensare di abbandonare il carbone, poiché non ha aiutato a risanare il deficit energetico come ci si aspettava.  Effettivamente ha coperto 1/6 della lacuna energetica, con un aumento del 7%, che poteva essere maggiore se non fossero entrate in gioco le rinnovabili. Nell’Unione l’uso del carbone è diminuito del 6% su base annua, soprattutto negli ultimi mesi del 2022, nonostante la grande importazione. In realtà l’Europa aveva acquistato 22 milioni di tonnellate di carbone in più nel 2022, ma ha usufruito solo di 1/3 di esse.

Mentre, a fronte del caro prezzi, sorprende che la produzione di gas sia rimasta invariata, producendo il 20% dell’elettricità europea nel 2022.  Nonostante Ember stimi un crollo del 20% della produzione elettrica da fossili, afferma che il gas potrebbe restare il materiale più costoso fino al 2025. Come dimostrato dai dati, l’Europa ha ingranato la marcia ed è diretta alla sostenibilità. Senza dubbio in questo nuovo anno, la transizione energetica europea accelererà senza precedenti verso un futuro più “verde”.

Secondo Dave Jones, head of data insights di Ember:

“La transizione energetica dell’Europa emerge da questa crisi più forte che mai”.

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Arrivano a Roma i cestini per la carta “intelligenti”; l’AMA guarda al futuro.

By : Aldo |Febbraio 07, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

In vista di grandi eventi e obiettivi da raggiungere, Roma apporta dei cambiamenti nella città.

L’iniziativa

A Roma approdano i cestini della carta “intelligenti” grazie ad un comodato d’uso dell’AMA che cerca di portare una ventata d’aria fresca nella capitale. L’idea è quella di migliorare la città, che troppo spesso ha ricevuto e riceve critiche per la mancata cura e pulizia di strade e marciapiedi. Oltre ad essere tra le 9 centri urbani italiani scelti per il programma europeo delle Smart Cities, Roma è prossima al Giubileo. Questo significa che i riflettori saranno puntati sulla città che si dovrà presentare nel migliore dei modi e perchè no, anche all’avanguardia.

I cestini intelligenti

I cestini sono stati ideati con un’elevata cura dei dettagli, coniugando sostenibilità, sicurezza, igiene, raccolta differenziata e tecnologia. Di fatto sono stati creati 2 prototipi che differiscono solo per la capienza. L’impianto di largo Gaetana Agnesi (altezza ingresso Metro B Colosseo), ha una capacità di 240 litri mentre quello nell’area di Fontana di Trevi 120 litri.

Tecnologia e sostenibilità sono alla base di questi sistemi. Infatti, il cestino è controllato per mezzo di un’app che segnala quando deve essere svuotato. Il tutto è alimentato da all’energia solare  poiché l’impianto è dotato di un pannello fotovoltaico che fornisce l’energia necessaria anche per la pressa. Presenti anche led e sensori. Un altro aspetto tecnologico è la pressa interna (azionata dall’energia solare), capace di compattare i rifiuti, riducendone la massa fino a 5 volte.  

I nuovi cestoni sono composti di acciaio zincato e “anti intrusione” per evitare spiacevoli episodi avvenuti più volte nella capitale. Per quanto riguarda l’igiene, è stato pensato un pedale per aprire il bidoncino, permettendo ai cittadini di non toccarlo con le mani.

Nareeta Martin - Unsplash

La gestione

Ulteriori dettagli del cesto sono correlati al lavoro svolto dagli addetti dell’AMA, che potranno svuotare il contenitore più facilmente e velocemente. L’iniziativa avrà una fase di sperimentazione di 4 mesi dei nuovi modelli che  hanno una capacità pari a quella di 7 cestini e questo farà la differenza. Il vicedirettore Generalre dell’AMA, Emiliano Limiti, afferma che si collocheranno a Roma, circa 10 mila nuovi raccoglitori. Sarà un processo di rinnovamento, efficientamento verso una maggiore pulizia e sostenibilità.

L’ente ha curato al massimo i dettagli è ha annunciato che tutta la carta conferita nei nuovi cestini verrà riciclata, nell’impianto dei rifiuti raccolti in strada. Roma dovrà aspettarsi tante iniziative e cambiamenti come questi, visti gli impegni presi con l’Europa. Tutto ciò che potrà rendere migliore la Capitale, sotto ogni punto di vista, sarà una modifica positiva per il futuro. Migliorerà anche la vita dei  suoi cittadini e dei milioni di turisti che la scelgono come meta ogni anno. 

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“Torello”: 200kg di rifiuti trasformati in bioenergia in 15 minuti.

By : Aldo |Febbraio 05, 2023 |bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

I rifiuti aumentano e di pari passo aumenta la richiesta di tecnologie avanzate per smaltirli. Sea Marconi ha lavorato per questo.

Torello

L’impianto, lungo 7 m e largo 1,5 m è in grado di trasformare rifiuti in bioenergia e bioprodotti riducendo costi e tempi. La sfida di Torello o BioEnPro4TO è quella di riciclare 200kg di rifiuti convertendoli in energia elettrica e biofertilizzante, nell’arco di soli 15 minuti.  Di fatto, la sua caratteristica è quella di poter superare gli impianti tradizionali, che impiegano 90 giorni per lo stesso identico processo. Il macchinario creato dalla Sea Marconi è stato avviato ad ottobre e presentato il 31 gennaio alla Lavanderia a Vapore di Collegno.

Secondo il fondatore della Sea Marconi, Vander Tumiatti, Torello potrebbe essere “una soluzione integrativa per la produzione di biogas”. Questo sarà possibile per tempi e costi abbattuti grazie alla termochimica e per il fatto che “non ha bisogno di grandi investimenti o infrastrutture”.        

Álvaro Serrano - Unsplash

Struttura e funzioni

BioEnPro4TO è essenzialmente un progetto di ricerca di elevato livello di maturità tecnologica (TRL7) che può trasformare rifiuti in energia e altro. Converte parte organica dei rifiuti solidi urbani, le biomasse primarie o residuali (sfalci), i fanghi di depurazione delle acque reflue civili e materiali plastici.  Tutto ciò può diventare energia elettrica, termica, acqua sterilizzata, biostimolanti, biogas, biofertilizzanti, syngas, biochar.

È un sistema che tende all’impatto zero, soprattutto per le tecnologie utilizzate nella sua creazione. Non a caso, gli scarti subiscono un processo di conversione termochimica, fondamentale per la trasformazione in energia, perchè scalda ma non brucia.  Tra l’altro, l’impianto è capace di comprendere 1500 tonnellate di rifiuti (per anno) garantendo 7500 ore di lavoro all’anno.

Impieghi

I benefici che Torello può offrire sono vari ed essenziali, come la riduzione dei rifiuti in discarica o la produzione di energia verde. Con tale macchinario si potrebbero risolvere anche i problemi legati al trasporto di rifiuti, una questione molto sentita soprattutto nei centri più piccoli. Infatti, sono proprio le piccole e medie comunità (fino a 250 mila abitanti) le prescelte per l’utilizzo del sistema.

Ne è un esempio Torino Ovest, dove si gestiscono 112,5 mila tonnellate di RSU (Rifiuto Solido Urbano) e circa 20 mila tonnellate di organico. Oppure il Comune di Collegno, costretto a portare le sue mille tonnellate di fanghi di depurazione (all’anno) negli impianti di Bergamo e Brescia. Con un sistema simile si ridurrebbe il bisogno di trasportare determinati materiali e si ridurrebbero i costi di smaltimento e trasporto.   In aggiunta, l’unità principale di Torello è trasportabile con un camion e può essere installato senza troppe difficoltà.

Finanziamenti

Il programma è stato avviato verso la fine del 2018 grazie ai 6,9 milioni di euro finanziati dalla Regione Piemonte.  Così da creare nuovi posti di lavoro e ha permesso il deposito di 10 brevetti, ai quali hanno collaborato 11 enti, tra aziende e università. Un’ulteriore punto a favore dell’impianto è il ritorno di investimento che supera qualsiasi altro sistema tradizionale. Si tratta di 1000 euro per tonnellata e un ritorno che potrebbe ammontare al 140%, rispetto al solito 15 o 20%. Come sottolinea il fondatore Tumiatti, la volontà è di “produrre di più e meglio, consumando di meno”.

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Verde urbano e salute: come la sostenibilità può salvare vite nelle metropoli.

By : Aldo |Febbraio 02, 2023 |Emissioni, Home |0 Comment
Jeff Kingma - Unsplash

Si parla sempre di più dell’importanza del “verde urbano”; ma in concreto di che cosa si tratta e perchè è così rilevante?

Lo studio

Uno studio sul verde urbano, condotto nel 2016 a Barcellona, è stato pubblicato su The Lancet negli ultimi giorni.  Si tratta dell’analisi di 93 città europee (57 milioni di abitanti complessivi), basata sul confronto di dati relativi alla presenza o assenza dell’isola di calore. Questo fenomeno comporta la creazione di un microclima più caldo nelle aree urbane cittadine, rispetto alle zone periferiche e rurali. Spesso per mancanza di ombra, ventilazione ed eccessiva cementificazione.

Tale situazione influisce negativamente sulla natura e sull’uomo riducendo la biodiversità e la salute psico fisica del cittadino. Non a caso lo studio dimostra che per combattere gli effetti dell’isola di calore sia necessaria la vegetazione. Con una copertura verde del 30% nelle metropoli, si abbassano le temperature di 0,4°C e le morti per caldo del 39,5%.

I benefici della regola 3-30-300

Cecil Konijnendijk del Nature-Based Solutions Institute, ha sviluppato una “regola” da seguire per rendere la città più sostenibile e ridurre o eliminare l’isola di calore. La regola prevede 3 punti fondamentali:

  • Vedere 3 alberi da ogni casa
  • Avere il 30% di copertura degli alberi in ogni quartiere
  • Essere a 300 metri dal parco o spazio verde più vicino

Queste 3 direttive apportano un miglioramento complessivo dell’area urbana e della vita degli abitanti. Si assiste alla riduzione di polveri sottili nell’aria, dell’inquinamento acustico, delle temperature e della CO2. Allo stesso tempo si aumenta la permeabilità del suolo, creando un microclima migliore e un’ottima connessione degli abitanti con la natura. I quartieri si valorizzano e si incrementa la salute sociale, perchè le persone saranno più propense a camminare nel verde.

Altre direttive fondamentali sono legate alla copertura vera e propria. Si consiglia infatti di salvaguardare gli alberi già presenti, per una questione di tempo e di rivedere la loro distribuzione. Inoltre, il 30% di copertura è il minimo raggiungibile quindi si auspica una copertura maggiore.

Verde urbano e cambiamenti climatici.

La discussione correlata al concetto di sostenibilità, smart city e salute, in questo caso viene messa a confronto con i cambiamenti climatici. Basti pensare che l’estate del 2022, ha superato i 20.000 morti per caldo, diventando il 2° anno più caldo e letale dopo il 2003. Poiché questi processi continueranno ad aumentare come le temperature, sarebbe opportuno agire e cambiare l’assetto delle aree urbane.

Per esempio, Atene si è mossa 2 anni fa istituendo il primo Chief Heat Officer d’Europa, per la pianificazione urbana e materiali da costruzione Mentre in Italia c’è ancora tanto da fare. Roma ha solo il 9% di copertura arborea: portandola al 30% si eviterebbero 200 morti l’anno. Milano ha il 6% di verde urbano, Palermo il 15%. Per rimediare a tale problema è necessario un cambiamento, che è stato facilitato grazie alla regola 3-30-300 del professore olandese Cecil Konijnendijk.

Tamar Iungman ricorda che l’obiettivo dello studio è proprio quello di indirizzare i politici verso un nuovo ideale di città sostenibile. Questo per promuovere “ambienti urbani più sostenibili, resilienti e sani”.        Nuovamente viene dimostrato quanto la sostenibilità sia un concetto rivolto a tutti, per il benessere del pianeta che sembra sempre più dipinto di verde.

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L’UE sceglie 9 città italiane tra le 100 smart cities a impatto zero entro il 2030.

By : Aldo |Gennaio 30, 2023 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

L’Europa continua ad impegnarsi e a presentare fatti. Per questo presenta 100 smart cities per il 2030.

Le città in Europa

L’Unione intraprende questa importante iniziativa di formare delle smart cities come esempi per il futuro. La scelta e la selezione delle 100, deriva da vari studi per correlati ai consumi di energia, le statistiche demografiche e l’Agenda 2030. Dalla ricerca emerge che, le città europee coprono solo il 4% della superficie dell’UE, tuttavia, ospitano il 75% della popolazione dell’unione.  Attualmente le città del mondo sono le responsabili del 65% dei consumi energetici globali e il 70% delle emissioni di CO2.

Per tale motivo la Commissione mira ad agire sugli ecosistemi urbani e a riportare un equilibrio ambientale nelle città. Anche sulla base dell’undicesimo obiettivo dell’Agenda 2030, con la missione di rendere le città sicure, resilienti e sostenibili.

Denys Nevozhai - Unsplash

Smart cities

A proposito di questi obiettivi, l’Europa ha selezionato 100 città incluse nella “Cities Mission”, parte del programma di Horizon Europe. Infatti, il piano prevede finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, da investire sulle future smart cities.

Delle 377 candidatesi, le 100 selezionate rappresentano il 12% della popolazione europea. Si tratta di città che si impegneranno al fine di azzerare il loro impatto sul clima entro il 2030. In questo modo anticiperanno i traguardi stabiliti con il Green Deal europeo (entro il 2050), diventando dei modelli da seguire per gli altri centri abitati. Il periodo di transizione va dal 2021 al 2027 e comprende 9 città italiane, quali: Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino.

           

Azioni

I finanziamenti citati, ammontano a 360 milioni di euro, destinati alle spese iniziali per avviare la transizione ecologica (durante gli anni 2022-23). Tutto quello in cui verte il programma concerne la ricerca e l’innovazione in tanti settori urbani. Mobilità sostenibile, l’efficienza energetica e l’urbanistica verde, bioedilizia, la gestione dei rifiuti, sono solo alcuni dei campi in considerazione.

Ogni centro, dovrà comunicare le modalità con cui raggiungeranno gli obiettivi, nei Climate City Contracts, allegando la pianificazione del progetto e il piano di investimenti. Oltre ai finanziamenti, le prescelte, riceveranno assistenza dalla piattaforma gestita da NetZeroCities e l’opportunità di networking nel quale includere anche i singoli individui. Non a caso, il patto non vincolante consiglia di incrementare il rapporto tra i cittadini, le organizzazioni di ricerca e il settore privato.

Il responsabile del Green Deal europeo Frans Timmermans ha affermato:

“[…]le città sono spesso il fulcro dei cambiamenti di cui l’Europa ha bisogno per riuscire nella transizione verso la neutralità climatica[…]”.

Mentre la Presidentessa della Commissione EU, Ursula von der Leyen

“Ormai la transizione verde è iniziata in tutta Europa, ma c’è sempre bisogno di pionieri che si prefiggono obiettivi ancora più ambiziosi. Queste città ci indicheranno il cammino verso un futuro più sano e potranno contare su tutto il nostro appoggio[…]”

Il piano è chiaro: le nostre città come tutte le altre, dovranno lavorare duro per presentarsi nel 2030 con dei nuovi connotati. Solo tra 7 anni potremmo vedere i risultati del progetto; nel frattempo ci troveremo tutti impegnati, in modalità diverse, al raggiungimento di tali obiettivi.

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RECO2 recupera scarti industriali per una bioedilizia a basso impatto ambientale.

By : Aldo |Gennaio 29, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menoconsumi |0 Comment

Non mancano idee ai giovani italiani che creano sempre più startup per migliorare il futuro e il pianeta.

RECO2

RECO2 è una realtà nata dall’idea di 4 giovani della provincia di Frosinone, che di fronte ad uno scenario di degrado hanno deciso di agire. Un giorno Desirè Farletti (COO di RECO2) tornando a casa, si trova davanti una discarica a cielo aperto: era piena di copertoni bruciati illegalmente. Da quel momento, ha deciso di agire concretamente per migliorare la situazione ed aiutare il pianeta. Nel 2017, nasce RECO2 che prende piede tra le startup italiane, tanto da partecipare a convegni nazionali e programmi internazionali, vincendo premi di grande prestigio.

L’impresa innovativa lavora nel campo della bioedilizia, con la missione di renderlo più sostenibile e di sviluppare maggiormente il concetto di economia circolare.  Già il nome rappresenta a pieno l’idea di una realtà “green”: con l’incipit R, che riprende i processi di riciclo, riuso e riduzione. Poi abbiamo la CO2, problematica e/o argomento non centrale del gruppo ma importante per gli sviluppi delle loro produzioni. 

L’autenticità della startup

Le fondamenta della società si basano sull’idea di recuperare e trasformare materie prime seconde inorganiche per creare nuovi prodotti per la bioedilizia. L’intero piano è infatti correlato all’evento che ha condotto alla nascita della startup. I giovani hanno pensato di lavorare proprio con quei materiali che trovarono nella “discarica”; quindi scarti di varie produzioni industriali e pneumatici usati. Infatti, dall’uso di scarti minerari, dell’acciaio, del vetro, degli pneumatici usati e lavorazioni di ceramiche, sono riusciti a creare nuovi prodotti per l’edilizia green. L’operazione è possibile grazie ad un processo di attivazione chimica e una conseguente produzione a basso impatto ambientale.

  

Callum Shaw - Unsplash

Prodotti

Il principale prodotto, nato dalle menti dei 4 fondatori, è il Vytreum. Un materiale ceramico-cementizio, composto per il 95% da materie prime seconde divise per il 50% da scarti minerari e 50% da scarti metallurgici. Inoltre, è un prodotto resistente e con bassi valori di porosità, creato con una tecnologia brevettata dall’impresa stessa. Si tratta di una “clean technology” che permette di ridurre costi di produzione, consumi ed emissioni di CO2 rispetto ai soliti metodi.

Al contrario delle altre produzioni, il Vytreum viene realizzato con temperature inferiori ai 100°C per mezzo dell’attivazione chimica a freddo (brevettata da RECO2). Dopodiché si ha una fase di betonaggio che spesso avviene in impianti di terzi esterni, che mettono a disposizione i loro stabilimenti. L’nnovazione garantisce un risparmio dell’80% sui costi energetici e una riduzione del 95% del consumo d’acqua paragonato ai processi di pavimentazioni in ceramica. Il prodotto si adatta a varie applicazioni, civili, industriali, di pavimentazione esterna e interna, soprattutto perchè con la stampa in 3D possono scegliere qualsiasi forma.

I prossimi passi.

Dopo Vytreum, RECO2 pensa al futuro e porta avanti programmi di ricerca e sviluppo per nuove creazioni.ㅤIl piano è quello di produrre rivestimenti o prodotti per l’isolamento termoacustico, sempre con il 100% di materiali riciclati e il 90% di emissioni di CO2 in meno.ㅤQuello che sicuramente non manca alla startup sono le idee innovative, per dare valore agli scarti ed incrementare l’economia circolare.  ㅤCon una lista piena di premi nazionali, locali, per programmi di innovazione e finanziamenti, RECO2 può solo crescere aiutando la Terra.

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Riciclare le batterie con gli agrumi: è realtà grazie ad AraBat, l’eccellenza italiana.

By : Aldo |Gennaio 26, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Aumentano le eccellenze italiane nel mondo delle tecnologie: spicca la startup pugliese AraBat.

La startup

AraBat è una startup italiana che ha sviluppato delle tecnologie uniche al mondo, per riciclare le batterie. Nasce a febbraio 2022 dall’idea di 5 ragazzi pugliesi con dei background simili e lo stesso obiettivo: quello di cambiare il mondo. Come in tanti altri casi, tutto parte da corsi universitari e curiosità verso il mondo della tecnologia. Così AraBat e l’Università di Foggia, firmano un accordo di ricerca e partnership scientifica, permettendo ai ragazzi di realizzare il loro progetto innovativo e sostenibile.

Durante lo sviluppo del loro programma, i fondatori hanno lavorato anche su altri fronti, per poter ricevere un maggiore supporto. Dopo vani tentativi di ricerca di un partener italiano, guardano oltreoceano e riescono ad avere l’appoggio del CEO di Linkedin; un incontro che cambierà tutto. Con tale colloquio, AraBat ha instaurato una partnership internazionale che le garantisce un’importante crescita, ma soprattutto la possibilità di realizzare un impianto industriale in Puglia.

Da qui il team ha vinto una serie di premi per l’innovazione, anche nazionali, che hanno determinato l’ascesa della società. Tra i tanti, l’avviso pubblico «Estrazione dei Talenti» di ARTI Puglia, il PIN (Premio Nazionale dell’Innovazione) ed il premio Encubator 2023.

John Cameron - Unsplash

La questione da risolvere

AraBat è quindi una delle nuove eccellenze italiane nel settore della tecnologia legata alla sostenibilità: nello specifico si occupa di riciclare batterie esauste. I ragazzi sono riusciti a rivoluzionare il tipico processo idrometallurgico rendendolo ancora più sostenibile ed efficiente. Come? Con gli scarti degli agrumi. Solitamente le batterie si riciclano per mezzo della pirometallurgia: un sistema costoso ed inquinante, che elimina anche i non metalli (a causa delle alte temperature).


Recentemente è stata scoperta l’opzione idrometallurgica, che invece, usa temperature più basse e acidi per estrarre i metalli richiesti. Il problema che sussiste però riguarda l’aspetto ambientale. Per quanto possa essere efficiente, l’idrometallurgia continua a creare alte percentuali di inquinanti secondari responsabili di ulteriori rischi per la natura e la salute. A questo proposito, AraBat ha sviluppato un metodo innovativo, unico al mondo che ha cambiato le sorti del team.

La soluzione innovativa.

Grazie alla collaborazione con il Facility Center dell’Università di Foggia, l’impresa è riuscita a realizzare un meccanismo all’avanguardia e sostenibile. Il piano si concentra sul miglioramento delle tecniche già in uso nell’idrometallurgia, con la sostituzione di elementi e materiali.
Dopo lunghi studi, AraBat ha deciso di usare acido citrico (debole) presente negli agrumi, al posto degli acidi inorganici forti, per la lisciviazione. L’acido citrico viene combinato con la buccia d’arancia, che per mezzo di essiccazione e macinatura, fornisce una quantità di cellulosa rilevante per altri step della lavorazione.

Infatti, la cellulosa serve per l’estrazione e un miglior recupero dei metalli: così come gli antiossidanti naturali presenti nello scarto organico. Grazie a tale procedura, la startup è in grado di restituire vari metalli quali, carbonato di litio, idrossido di cobalto, idrossido di manganese e idrossido di nichel ed altri.

Economia circolare

L’azienda non si occupa solo del riciclo di batterie anzi, rappresenta a tutto tondo l’idea di sostenibilità perchè impegnata in più campi. La missione è quella di creare un commercio di materie prime seconde, riciclate. Come abbiamo visto il team si occupa di batterie a ioni di litio esauste (LIB) e RAEE. Tale procedura permette di sviluppare un mercato competitivo ed un piano di economia circolare, fondamentale al giorno d’oggi.

Inoltre, AraBat è impegnata nella produzione di energia rinnovabile e in attività di consulenza per la green economy. L’impresa rappresenta a livello mondiale, un sistema industriale circolare unico e originale. Non a caso, il suo impianto di riciclo è stato definito il più sostenibile nel quadro europeo. Le startup di giovani come questa possono valorizzare il nostro paese e incrementare il suo livello di sviluppo. Che sia per nuove tecnologie, per la sostenibilità o in ambito sociale, le nuove idee fornite dai giovani, dovrebbero essere valorizzate sempre di più. Perchè come ci insegna questo caso, possono portare il marchio italiano nel mondo, apportando cambiamenti concreti.

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Greenwashing: l’Italia crea una task force per eliminarlo.

By : Aldo |Gennaio 24, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

L’Italia si muove con anticipo rispetto all’Unione Europea ma l’obiettivo è lo stesso: eliminare il greenwashing.

Il greenwashing

Il greenwashing o ecologismo di facciata, è una strategia di marketing errata di molteplici aziende che dichiarano il falso nel settore ambientale. Con essa i brand dimostrano un impegno finto che hanno rispetto l’ambiente, per attirare i clienti che seguono le pratiche sostenibili. In sostanza mira a presentare un’azienda proattiva nel settore ambientalista di modo che non risaltino gli eventuali difetti del prodotto.

Al contrario, le aziende che usano il green marketing si definiscono responsabili sociali del ciclo di vita dei loro prodotti. Sono brand che usufruiscono di una comunicazione veritiera e trasparente. Il greenwashing si fonda quindi su capisaldi, che la TerraChoice Environmental Marketing Inc ha studiato negli ultimi anni. Un brand che fa greenwashing pubblicizza i proprio prodotti con: vaghezza ed etichette false (per mezzo di immagini e parole che creano un pensiero errato).

Nasconde la verità mirando all’esaltazione di un solo dato e non dimostra certificati di terze parti correlati alla sostenibilità del prodotto. Solitamente scelgono l’irrilevanza, la menzogna o il minore tra due mali (vantando una caratteristica che non riduce l’impatto ambientale). Ormai questa strategia è nota a tutti e non di rado sono state accusate delle aziende per aver usato tale strategia di comunicazione.

I fatti

In Europa è stato effettuato uno studio fino a novembre 2020 che ha dimostrato le percentuali di annunci e dichiarazioni poco chiari delle aziende. Sono stati analizzati 344 prodotti e il 43% di essi riporta informazioni non complete o non totalmente veritiere. Successivamente, è stato appurato che spesso la compagnia non permette di verificare la veridicità della constatazione riportata nel prodotto: si tratta del 57,5% dei casi. Il 50% delle volte invece, non è chiaro se le informazioni si riferiscano all’intero prodotto, ad una sola parte o ad uno stadio del ciclo di vita.

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Proposta UE

Proprio per ridurre tali pratiche ingannevoli, il parlamento europeo proporrà a breve una direttiva contro il greenwashing. Quest’ultima si baserà sulla Product Environmental Footprint (PEF), uno strumento che esamina l’intero ciclo di vita del prodotto. L’idea è quella di una direttiva comune applicata nell’unione; tuttavia, saranno i singoli paesi a sanzionare le proprie aziende che non rispetteranno la legge. Le multe, “efficaci, proporzionate e dissuasive”, saranno quindi rivolte a chi dichiarerà il falso o rilascerà informazioni non chiare. L’importo si valuterà attraverso criteri scelti come la gravità della violazione, il ricavato ottenuto con l’inganno e il danno ambientale causato o potenziale.

In Italia

Anche in Italia sembra esserci la necessità di contrastare l’ambientalismo di facciata e a tal proposito è stata creata una task force peculiare. L’ISPRA ha fondato il suo organo per combattere il greenwashing, per mezzo di uno specifico monitoraggio degli investimenti legati allo sviluppo sostenibile. In questo caso si mira alla trasparenza e alla finanza green, per eliminare le attività che possono creare un ulteriore impatto negativo all’ambiente.

Il piano studiato insieme al Forum della Finanza Sostenibile, si basa su idee che circolavano già durante la COP26. Infatti, molti hanno esposto la necessità di avere un documento informativo e valido a livello scientifico, scritto da terzi indipendenti e attendibili.  Quello italiano, è il primo caso in Europa in cui un ente pubblico ricopre un ruolo istituzionale, legato alla finanza sostenibile. L’ente è attualmente incaricato di assegnare il marchio Ecolabel UE ai prodotti designati. Non a caso, più volte, operatori finanziari e autorità di vigilanza hanno chiesto informazioni più dettagliate all’istituto per seguire le direttive europee. È proprio questo il ruolo che avrà la task force, guidata dal Direttore generale Maria Siclari.

Questo processo di transizione è comunque in atto da anni. Nel 2021 entrò in vigore la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), che comprendeva 12’000 imprese europee, di cui 210 italiane. Tutti questi programmi hanno lo scopo di ridurre se non eliminare tutto quello che riguarda l’inganno e quindi il profitto a discapito dell’ambiente. Con tali mosse, si può agire per un futuro migliore e si può combattere il cambiamento climatico in modo più concreto.

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Gli italiani vogliono una maggiore sostenibilità, per il packaging.

By : Aldo |Gennaio 22, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Secondo delle recenti analisi, gli italiani sono sempre più attenti alla sostenibilità dei loro acquisti soprattutto se si tratta di alimenti.

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Nomisma

Nomisma è una società di consulenza fondata nel 1981 a Bologna, da un team di economisti aiutati da banche e grandi organismi economici. L’azienda ha condotto recentemente un’analisi di mercato per determinare la linea di pensiero degli italiani per quanto riguarda il packaging sostenibile. I risultati hanno sorpreso l’opinione pubblica in maniera positiva. Infatti, lo studio seguito dall’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma afferma che sempre più italiani scelgono di acquistare prodotti con un imballaggio “verde”.

L’indagine

L’analisi ha reso partecipi più di 1.000 persone tra i 18 e i 65 anni che hanno fornito vari input per possibili migliorie nel settore. Le domande sull’economia, l’idea di sostenibilità dei prodotti e i criteri di scelta durante gli acquisti, hanno creato un quadro completo sul pensiero degli italiani. Per il 35% degli intervistati, la sostenibilità resterà una priorità anche di fronte alla crisi economica che viviamo e vivremo nel futuro. Mentre il 57% non è stato così categorico ma ha risposto positivamente, dichiarando che comunque ne avrebbe tenuto conto.

Il 92% delle persone sostiene che scegliere un prodotto con una confezione green, sia un ottimo punto da cui partire. Tuttavia, il 65% degli italiani, segue concretamente questa idea, dichiarando di aver scelto almeno una volta, un prodotto invece di un altro per via dell’imballaggio. In più, il 19% delle famiglie ha lasciato dei prodotti perchè privi di una confezione sostenibile. Dopo tali responsi, è stato chiesto cosa gli intervistati intendono per “packaging sostenibile” e anche qui, la risposta è stata univoca.

Le 3 caratteristiche necessarie per definire “sostenibile” una confezione sono:

  • l’assenza di overpacking ovvero di un sovra imballaggio,
  • la riciclabilità del 100%,
  • una quantità minima di plastica.

In merito ai materiali, sono preferiti il vetro (67%) e il cartone per le bevande (59%). Nonostante ciò, il 76% delle persone richiede una maggiore attenzione in merito all’etichette. Un italiano su 5 conferma la necessità di etichette informative più dettagliate che descrivano il livello di sostenibilità della confezione o del prodotto.

In questo caso l’etichetta comprenderebbe ulteriori criteri di scelta del cliente, tra questi:

  • l’origine delle materie prime,
  • le modalità di riciclo della confezione,
  • i metodi di produzione,
  • l’impatto ambientale del packaging,
  • le catene di fornitura e di filiera.

In generale

In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, spesso è difficile scegliere la sostenibilità durante gli acquisti. Tenendo conto che l’inflazione incide sui bilanci dell’88% delle famiglie italiane, quest’ultime hanno deciso di cambiare rotta, per risparmiare. Nel complesso si sprecano meno energia, acqua e cibo, per il quale si stanno riducendo gli sprechi del 58%. Inoltre si fa attenzione alle offerte o si rinuncia anche al superfluo. 

Questo studio è stato presentato durante la 19a edizione di MARCA 2023: evento creato da BolognaFiere tenutosi il 18 e il 19 gennaio.
La manifestazione, unica nel suo genere, riunisce il business e i prodotti di qualità, i “buyer” e i manager di aziende locali e catene internazionali. Lo scopo della presentazione dell’indagine, in una manifestazione simile, era quello di riportare l’opinione pubblica alle aziende partecipanti. Così facendo, società e imprenditori hanno potuto riflettere e prendere spunto per apportare dei miglioramenti nelle loro produzioni.

Silvia Zucconi, responsabile market intelligence & business information di Nomisma, afferma:

 “[…] sta crescendo in modo significativo la sensibilità degli italiani verso l’acquisto di prodotti caratterizzati da un packaging che non solo deve presentare caratteristiche di sostenibilità, ma che dovrebbe anche essere un veicolo per trasmettere valori e informazioni utili a supportare la decisione di acquisto”.

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Encubator premia 7 startup e l’innovazione contro la crisi climatica.

By : Aldo |Gennaio 18, 2023 |bastaplastica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menorifiuti |0 Comment

La crisi climatica si può affrontare in molteplici modi e per questa ragione c’è chi ha scelto di usare l’innovazione tecnologica.



Encubator

Encubator è un progetto volto alla realizzazione di una società più sostenibile, nel minor tempo possibile. La sua missione è quella di far fronte al cambiamento climatico con l’innovazione tecnologica, in cui gli esperti dell’iniziativa ripongono una grande fiducia. Il piano prevede quindi la premiazione di team che propongono nuove soluzioni per accelerare la transizione energetica e non solo. Si parla anche dello sviluppo di programmi in grado di cambiare e migliorare le città dal punto di vista sostenibile.

Il programma

Il piano nasce dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, PoliHub e Politecnico di Milano ed è rivolto alle imprese giovanili.
Si tratta di startup, team di ricerca e realtà universitarie che presentano idee e soluzioni nell’ambito del “climate tech”. Tale settore comprende una lista completa di tutti quelli che sono i cambiamenti necessari per questa importante transizione.

         

Tra i tanti la produzione, distribuzione e la gestione energetica, le smart cities, l’agricoltura, l’economia circolare e lo smart tourism. Il progetto è rivolto a team italiani, europei ed internazionali con un piano caratterizzato da un grado medio di maturità tecnologica (TRL).  Maggiore attenzione sarà data ovviamente ai programmi brevettabili o in corso di brevettazione.

         

Nella prima edizione sono stati esaminati 220 progetti, di cui 168 considerati compatibili; una successiva scrematura ha poi decretato i 15 possibili finalisti. La giuria che ha portato avanti la selezione, si compone di un gruppo di esperti, imprenditori, istituti di ricerca e banche.

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Le startup vincitrici

Tra le 7 imprese vincitrici non ci sono solo realtà italiane e si spazia da un settore all’altro con grande sorpresa. La vincitrice assoluta è AraBat, impresa pugliese che estrae metalli preziosi dalle batterie a litio per mezzo di arance. Segue la svizzera Gaia Turbine, con una microturbina idroelettrica, per deflussi minimi con efficienza maggiore del 90%.

         

In ambito alimentare, l’emiliana Kinsect, con la produzione di farine di insetti da usare negli allevamenti. Nel settore edilizio romano, abbiamo Reco2 che presenta dei nuovi sampietrini sostenibili; simile è la lombarda ReHouseit, per un cemento con un impatto ambientale minimo. Infine troviamo altre 2 realtà lombarde: Volta Structural Energy, che sviluppa nuove batterie aerospaziali e H2go Technology, nel campo della transizione energetica.

         

Il premio

La Camera di commercio e gli altri gruppi, hanno stanziato complessivamente 280 mila euro per il programma. Tra i 15 finalisti, solo 7 riceveranno un finanziamento di 40 mila euro da investire in 2 ambiti diversi. 25 mila nello sviluppo del proprio progetto, mentre 15 mila per usufruire del programma di accelerazione, gestito proprio da PoliHub, per 4 mesi. Tale divisione è stata pensata di modo che le startup potessero crescere con una struttura solida anche a livello di business.


Nel premio, è compreso un network di aziende, mentor e investitori del mondo imprenditoriale, dell’energia e dell’economia circolare, con i quali confrontarsi nel Demo Day. Encubator, non ha semplicemente realizzato il sogno di qualche gruppo di giovani, ha fatto molto di più. Con il progetto e i finanziamenti che offre, può creare nuovi posti di lavoro e creare nuove idee.

Tuttavia, il programma fa sì che il mondo possa accogliere queste tecnologie ed usarle in modo efficiente, per una grande causa al giorno d’oggi. Se si pensa che solo con la prima edizione sono spiccate 7 imprese di giovani, possiamo solo augurarci che nascano tanti altri progetti come questo.

Per il pianeta, i giovani e per il futuro, il loro.

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L’ONU: il buco dell’ozono si sta chiudendo!

By : Aldo |Gennaio 15, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
Rahul S - Unsplash

Dopo anni di incertezze è finalmente arrivata la notizia che tutti aspettavano.

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La grande notizia

Attraverso monitoraggi, studi ed analisi di vario tipo, l’ONU ha annunciato che il “buco” dell’ozono si sta riducendo. La notizia arriva dal report “Scientific assessment of ozone depletion 2022”, in cui si ripercorrono i passi fatti contro il buco dell’ozono, durante gli anni. Lo studio afferma che il buco si chiuderà intorno al 2066 sopra l’Antartide, entro il 2045 sopra l’Artico, e nel 2040 per il resto del mondo. È importante precisare che, con il verbo “chiudere” si intende che la situazione tornerà ai livelli precedenti agli anni ’80.

            

L’ozono e l’ozonosfera.

Le nozioni principali da sapere per comprendere l’importanza del fenomeno descritto riguardano l’ozono L’ozono infatti è un gas che crea uno strato atmosferico di grande rilevanza: l’ozonosfera. Tale strato ha il compito di assorbire e filtrare i raggi UV del Sole, evitando che quelli nocivi arrivino sulla Terra. In questo modo l’ozonosfera protegge gli esseri viventi da patologie rare e delicate come tumori alla pelle ed è quindi necessaria per la nostra vita.

Un altro concetto da approfondire è quello del cosiddetto “buco”. In realtà non esiste un vero e proprio buco nell’ozonosfera; si tratta più di un assottigliamento causato da vari composti chimici, utilizzati dall’uomo. Queste sostanze pericolose per la “coperta” atmosferica vennero scoperte solo successivamente all’identificazione dell’assottigliamento.

Storia

Il buco dell’ozono venne scoperto nel 1974 da Frank Sherwood Rowland e Josè Mario Molina, che incentivarono gli studi sul fenomeno. Nel 1985, Joseph Charles Farman rivelò la pericolosità del danno nella regione antartica e così si decise di prendere una strada precisa. Nel 1989, 46 paesi firmarono il Protocollo di Montréal, ed altri 90 si aggiunsero nel 1990 dopo la scoperta di un assottigliamento al polo nord. Il protocollo determinava la riduzione di produzione e consumo dei Clorofluorocarburi (CFC), a quel tempo ritenuti gli unici colpevoli del danno. Solo nel 2016 vennero banditi anche gli idrofluorocarburi (HFC), composti chimici e gas serra 14 mila volte più potenti della CO2.
            

L’unione fa la forza

Quando questo fenomeno sembrava il pericolo ambientale più grande e temuto, molti governi si adoperarono per cambiare rotta senza dubbi e perplessità.
La partecipazione di ben 90 stati determinò un impatto decisivo e positivo sull’ambiente, eliminando il 99% dei CFC e dei HFC. Azione che ha ridotto di gran lunga anche il loro contributo all’effetto serra.

Jukka Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale dichiara:

“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima”

La sua affermazione non solo rende onore al lavoro svolto in questi anni ma da trasmette fiducia nel futuro.

            

Se solo il mondo riuscisse ad agire così velocemente e in maniera decisa, come successe nello scorso secolo, si risolverebbero tanti problemi. Uno tra questi, il cambiamento climatico! La grande notizia degli ultimi giorni, ci rende consapevoli di quello che siamo capaci di fare quando ce ne è la necessità. Inoltre, ci dimostra come i governi, uniti, possano fare la differenza e questo importante traguardo ne è una prova fondamentale.

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L’UE mira al primato mondiale nel settore delle batterie.

By : Aldo |Gennaio 14, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menomissioni, menorifiuti, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

Dopo due anni dalla proposta della Commissione europea, è stato raggiunto un accordo per un regolamento sulle batterie. Ecco come l’Europa punterà ad una maggiore sostenibilità.

L’accordo.

Proprio due anni fa la Commissione Europea ha presentato una proposta sul regolamento delle batterie per rendere il loro settore più sostenibile. La normativa è stata accolta ed esaminata dal Consiglio e dal Parlamento Europeo che hanno raggiunto, all’inizio del nuovo anno, un accordo.

Quest’ultimo rientra nell’ambito della strategia per la mobilità sostenibile e definisce una serie di requisiti che i produttori di batterie europei dovranno seguire. E inoltre mira alla riduzione dell’impatto ambientale che ha l’intero ciclo di vita di una batteria; dall’estrazione delle materie prime alla produzione, fino allo smaltimento.

               

I requisiti delle batterie

L’accordo riporta in modo dettagliato quelle che sono le specifiche che vari tipi di batteria dovranno soddisfare d’ora in poi per essere vendute nell’Unione europea. Innanzitutto, la legge varrà sia per la produzione che per l’importazione di batterie in Europa, siano esse per veicoli elettrici, applicazioni industriali e dispositivi portatili. Per essere precisi, quelle con una capacità maggiore di 2 kWh dovranno riportare la “dichiarazione dell’impronta di carbonio”. Così facendo verrà certificata la quantità di CO2 emessa durante la loro produzione.

Oltre a questa etichetta, sarà obbligatorio apporre un QR code, con tutte le caratteristiche della batteria (capacità, prestazioni, durata e composizione chimica).Invece le batterie più piccole (per smartphone) dovranno essere facili da rimuovere e sostituire entro il 2030. Infine, la Commissione valuterà anche la possibilità di bandire le pile non ricaricabili.

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Riciclo

Per quanto riguarda il riciclo, sono stati fissati molteplici obiettivi correlati alla raccolta del prodotto e il riuso delle materie prime. Infatti, è stato stabilito, che le batterie usate debbano essere raccolte senza ulteriori costi per il consumatore. L’obiettivo è di raccogliere il 45% delle portatili nel 2023, per poi arrivare al 73% nel 2030. Per le batterie dei veicoli elettrici si punta al 61% nel 2031. Gli altri obiettivi comprendono le materie prime; il loro recupero permetterebbe di limare dei rapporti di dipendenza tra nazioni, nati per necessità di produzione. Nel settore è quindi richiesto il recupero e il riutilizzo del, 85% per il piombo, 16% per il cobalto, 6% per litio e nichel.

               

Politiche

Senza dubbio tali requisiti, obiettivi e regole, sono tra i più rigidi al mondo e pertanto potrebbero migliorare tanti meccanismi, anche quelli del mercato. Non a caso il capo negoziatore dell’Europarlamento, Achille Variati, è sicuro che le norme europee
               

“diventeranno un punto di riferimento per l’intero mercato mondiale”.

Dal momento in cui verrà ratificato l’accordo, le aziende produttrici e importatrici di batterie nel mercato Ue, dovranno seguire una “politica di due diligence”. In questo modo si eviteranno rischi sociali e ambientali dovuti alla produzione dell’oggetto. Tali garanzie saranno fondamentali calcolando che nel 2030, questo mercato crescerà di 14 volte rispetto all’attuale.

               

Ad ogni modo, il concordato mira anche a cambiare i rapporti tra Paesi nel mondo. Proprio Cina, Giappone e Corea del Sud sono i maggiori produttori di batterie. In questo caso l’Europa cercherà di ribaltare gli equilibri in tema di sostenibilità, frenando l’enorme potere dell’industria asiatica.

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PET cristallino: è possibile scomporlo con il riciclaggio enzimatico.

By : Aldo |Gennaio 08, 2023 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti |0 Comment
Teslariu Mihai - Unsplash

Dopo anni di studi, sembra che i ricercatori siano arrivati ad una soluzione per il riciclo del PET. Si parla di riciclaggio enzimatico, una tecnica che potrebbe ridurre rifiuti del polimero ed emissioni.

Il PET

Il PET (o polietilene tereftalato) venne inventato negli anni ’40, come una resina termoplastica, creata con petrolio, gas naturale o materie prime vegetali.  Ad oggi, più del 60% del PET è destinato alla produzione di fibre e fiocchi, mentre il 30% per le bottiglie ed altro. Questi impieghi sono possibili grazie alle sue caratteristiche uniche, come la lunga durata e la versatilità.


È riciclabile al 100% e non perde le sue proprietà fondamentali, nella fase di recupero.‏‏‎ L’invenzione di questa plastica fu una grande svolta in vari ambiti, ma oggi, proprio le caratteristiche che l’hanno resa vincente, hanno un impatto negativo sull’ambiente. Per questa ragione si cercano quotidianamente delle soluzioni per un riciclo con il minor impatto ambientale.

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La scoperta

L’azienda francese Carbios, da anni nel settore della biochimica, ha sviluppato la tecnologia C-Zyme. L’innovazione è basata sulla possibilità di rendere compostabili i rifiuti legati ad alcuni polimeri della plastica, per mezzo di enzimi. ‎‏La questione del riciclo del PET è studiata da anni, soprattutto per trovare delle soluzioni meno dispendiose sia a livello economico, che di emissioni.

Perciò sono partite delle indagini dedicate agli enzimi decompositori che hanno portato ad una scoperta importantissima.  La rivelazione, afferma che alcuni enzimi possono scomporre anche il PET più duro, evitando di conseguenza, tecniche costose. ‎‏‏‎Il processo, inoltre, renderebbe la materia riciclata più economica del prodotto vergine, trasformando le scelte e i costi di mercato.

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Le nuove tecnologie

La tecnologia C-Zyme comprende l’uso del batterio “Ideonella sakaiensis” il quale secerne enzimi che degradano il PET ed è i suoi legami chimici. Lo riporta così ai monomeri di partenza (acido tereftalico e glicole etilenico) che saranno impiegati in nuovi prodotti, con la stessa qualità del materiale vergine. Questo è possibile grazie ad un bioreattore che in 48 ore può depolimerizzare fino a 2 tonnellate di rifiuti (circa 100 mila bottiglie).

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Il problema è che questo processo non può essere utilizzato con il PET cristallino (più durevole e diffuso), né tantomeno a livelli industriali. Tuttavia, grazie agli studi sulla bioinformatica e all’apprendimento automatico gli studiosi hanno trovato le sequenze enzimatiche necessarie per la degradazione del PET. Inoltre i modelli statistici scoperti, possono prevedere come gli enzimi agiranno e romperanno i legami del polimero.

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Sostenibilità

I nuovi processi studiati includono anche un impatto diverso sull’ambiente sull’economia. La caratteristica sostenibile è quella di escludere i passaggi di preprocessing della plastica per i quali essa veniva ammorbidita col calore, prima di essere degradata. In questo modo, un processo di riciclo può ridurre in maniera significativa sia i costi, che le emissioni di CO2 legate alla depolimerizzazione del PET.

Infatti, i dati acquisiti da una ricerca del 2021, confermano che ci sarebbe un taglio della domanda energetica (da parte delle di riciclo) del 45%. Mentre le emissioni verrebbero ridotte del 38%; una cifra non indifferente. L’affermazione di Erika Erickson, un ex ricercatrice post-dottorato NREL:

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“La nostra piattaforma enzimatica crea un incentivo economico per ripulire i nostri oceani”.

racchiude tutto il potenziale di questa fantastica scoperta che comprende molteplici settori e anche una grande collaborazione tra ricercatori.
La tecnologia potrebbe cambiare le sorti della plastica e del suo impatto sull’ambiente, quindi anche il suo ruolo nella vita di tutti i giorni. 

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Spagna. Chi produce tabacco raccoglierà mozziconi di sigaretta dagli ambienti pubblici.

By : Aldo |Gennaio 04, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |0 Comment

In Spagna solitamente si festeggiano “los Reyes Magos”. Quest’anno però, la data verrà ricordata come una giornata di svolta per l’ambiente.

Ries Bosch - Unsplash ㅤ

Il provvedimento

Il governo spagnolo ha deciso di integrare una normativa all’esistente pacchetto di leggi volte a ridurre l’uso della plastica e aumentare il riciclo dei rifiuti. Il decreto in vigore da aprile 2022 vieta il commercio di prodotti in plastica monouso (non riciclabile) come piatti, bicchieri, posate. O ancora cotton fioc, cannucce e contenitori per bevande in polistirolo espanso. ‎‏‏‎A questo divieto è stata aggiunta una nuova norma, mai vista prima.

Infatti, dal 6 gennaio, in Spagna, i produttori di tabacco dovranno occuparsi di raccogliere mozziconi e filtri di sigaretta nei luoghi pubblici e non solo. Le stesse aziende avranno il compito di sensibilizzare i cittadini sui problemi ambientali legati all’errato smaltimento dei loro rifiuti.

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Nel pratico

La normativa, che arriva dal ministero della Transizione Ecologica e della Sfida demografica, prevede obblighi economici per le industrie interessate. Non a caso i produttori di tabacco dovranno pagare il conto per la pulizia e lo smaltimento di mozziconi e filtri che vengono gettati a terra dai cittadini. Uno studio ha ipotizzato che la somma potrebbe anche toccare il miliardo di euro all’anno. Si prevede quindi che le aziende, avendo una nuova tassa, finiranno per aumentare i prezzi dei loro prodotti. Di conseguenza ai fumatori sarebbe fornito un nuovo incentivo per smettere di fumare.

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Salute e ambiente

A livello ambientale sono uno dei rifiuti più pericolosi per il mare. Secondo uno studio della Ocean Conservancy, i filtri delle sigarette impiegano 10 anni per decomporsi: il problema però riguarda le loro componenti.  I filtri sono composti da acetato di cellulosa, una plastica molto pericolosa che rilascia tossine quali arsenico e piombo. Pertanto, sono considerati più dannosi di sacchetti e bottiglie di plastica, anche per il numero di pezzi: circa 5 miliardi nell’oceano.

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Per non parlare dell’impatto ambientale che ha l’intera industria del tabacco.
Si contano 200’000 ettari di terreni e 22 miliardi di tonnellate di acqua usati per la sua coltivazione. L’Italia è prima in Europa con la produzione di 50’000 tonnellate annue.  Non mancano di certo le emissioni di CO2, pari a 84 milioni di tonnellate.  Si stima che in Spagna il 22% della popolazione fumi: la cifra non si allontana troppo dalla media europea, che è del 18,3%. A livello sanitario, come tutti sappiamo, il fumo crea danni irreversibili e più di 8 milioni morti l’anno (dati dell’OMS).

Per questo, dopo un’indagine, è stato affermato che l’85% dell’opinione pubblica sia favorevole a maggiori restrizioni in luoghi pubblici e privati. Le autorità si sono mosse da tempo, imponendo divieti in 500 spiagge della costa iberica. Con la nuova direttiva, la Spagna si fa portavoce di un cambiamento necessario per la salute delle persone e la cura dell’ambiente. Due sfere che troppo spesso vengono divise, quando in realtà sono molo più legate di quanto pensiamo.

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Se anche un solo stato europeo seguisse l’esempio del governo spagnolo sarebbe una grande vittoria. Sarà comunque un buon risultato se parte della popolazione smetterà di fumare, o almeno di buttare i mozziconi per strada.

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Bergamo vince l’Urban Award 2022 per la mobilità sostenibile.

By : Aldo |Gennaio 04, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, plasticfree |0 Comment

La mobilità sostenibile rientra tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 ONU pertanto è fondamentale investire in questo settore. Nel 2022, Bergamo svetta nella classifica tra i comuni più attenti e attivi alla questione.

Joël de Vriend - Unsplash

Urban Award.

È un progetto che premia i comuni italiani per la mobilità sostenibile, analizzando iniziative già attive o appena approvate dalle amministrazioni comunali. Il premio nasce nel 2017 dall’idea di Ludovica Casellati, giornalista e scrittrice in collaborazione con Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani): l’ideatrice afferma che:

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“L’Urban Award nasce proprio dall’esigenza di innescare una gara virtuosa tra città, sui progetti di mobilità sostenibile, che possano concretamente portare i cittadini a preferire altri mezzi, lasciando l’automobile in garage.”

La sesta edizione è stata vinta dalla città di Bergamo ed il premio è stato consegnato in occasione della 39a Assemblea Nazionale Anci.  La giuria è composta da scrittori, giornalisti ma anche tecnici e figure legate alla cura dell’ambiente. Possiamo citare Stefano Laporta (Presidente Ispra), Piero Nigrelli (Direttore settore ciclo di Ancma), Antonella Galdi (Vicesegretario generale Anci) e Federica Cudini (Marketing manager Bosch eBike ststem).

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Perchè Bergamo?

Il comune ha vinto grazie all’impegno, la dedizione e la mentalità aperta dei cittadini, che sono pronti a cambiare le loro abitudini. Il progetto premiato include la bicicletta nella vita dei bergamaschi a 360°, con vari servizi alla portata di tutti.

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La prima iniziativa è BiCity, che comprende il modello di gestione della nuova “Velostazione” che si trova nei pressi della stazione ferroviaria. Questa sarà poi affiancata dalla Ciclofficina che riaprirà con un infopoint integrato, per la ciclabilità. Nella città sono presenti le Bike box, delle rimesse sicure per le biciclette private, oltre alle 95 nuove rastrelliere che offrono 2.805 posti ai cicli.

Inoltre, è stato esteso il trasporto pubblico con un servizio di bike sharing Bigi (creato con NextBike) che garantisce 390 biciclette a pedalata assistita.

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Per ultimo, possiamo citare Pin bike, l’iniziativa che premia chi sceglie la bicicletta alla macchina. L’idea prevede un rimborso fino a 2 euro al giorno, 30 euro al mese a seconda dei chilometri percorsi.

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L’importanza del cambiamento.

In Italia ci sono attualmente circa 58.000 chilometri di piste ciclabili e di cicloturismo, ma servono ulteriori passi avanti per migliorare la nostra penisola. Questo perchè il campo del ciclismo ci offre una soluzione semplice ed efficace per far fronte alle elevate emissioni di CO2.

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Infatti preferire il ciclo a due ruote quotidianamente, produce l’84% in meno di emissioni di CO2, rispetto a chi prende l’auto.  Sceglierla anche solo una volta a settimana, permette di risparmiare 3.2 kg di CO2, l’equivalente di un tragitto di 10 km in auto. Si stima infine una produzione di emissioni 30 volte inferiori delle vetture tradizionali e 10 volte inferiori a quelle elettriche. Quindi ancora una volta, le abitudini dei cittadini, sono uno degli ostacoli più grandi da superare per garantire una transizione ecologica vera e propria.

É interessante notare come questo premio sia stato vinto da comuni diversi sparsi in Italia: in questa edizione il podio è stato condiviso con Cuneo e Caltanissetta. Dal 2017 ad oggi hanno vinto Siracusa, Cesena, Pescara, Parma e Genova, ma nel podio sono salite spesso anche Pesaro e Padova.

Gli Urban Award permettono ai comuni di competere tra di loro per una valida ragione. Il fatto che sempre più amministrazioni si iscrivano al contest è un segno rilevante, che dimostra la buona volontà di tutti nel cambiare le cose. Senz’altro servono più investimenti e una maggiore cura nei dettagli di progetti correlati al ciclismo in Italia, ma la strada sembra quella giusta.

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SCALE: biomattonelle composte interamente dalle squame dei pesci.

By : Aldo |Dicembre 27, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

Col passare degli anni, le tecnologie avanzano e migliorano in qualsiasi campo. Allo stesso modo nascono progetti che sfruttano queste tecnologie per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente.

Squame

Erik de Laurens, product designer, è riuscito a creare un legame “sostenibile” tra mare e industria edile. Infatti, l’azienda di cui è co-fondatore, SCALE, produce biomattonelle composte al 100% da squame di pesce. Sembra un’invenzione bizzarra, ma gli studi sempre più specifici e le innovazioni tecnologiche, hanno reso possibile questa magia.

L’idea nasce quando de Laurens, frequenta il Royal College of art di Londra e viene a conoscenza della crisi delle fabbriche edili. Quel declino avrebbe determinato un elevata quantità di rifiuti difficili da gestire e/o di materie prime inutilizzate. Per queste ragioni, il designer si adoperò per introdurre nell’ingegneria dei materiali, l’idea di poterli produrre localmente e in modo sostenibile.

Andrew Ridley - Unsplash

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Come è fatto

Nasce quindi SCALITE, il materiale che compone le biomatonelle di SCALE, dopo un primo utilizzo per la creazione di occhiali, becher e un tavolo. Il prodotto è costituito completamente da squame di pesce, un’abbondante e rinnovabile risorsa della pesca e del settore dell’acquacultura. Le scaglie in generale sono composte di 2 fasi, quella minerale (idrossiapatite) e quella organica (collagene), con percentuali che variano a seconda della specie.

Nel caso di SCALE, vengono usate le squame di tilapia, una specie originaria dell’Africa centro-meridionale, molto consumata a livello alimentare e non solo. Le mattonelle sono quindi composte da fogli compressi, formati grazie alla polvere derivata dalla lavorazione delle due fasi delle scaglie.  SCALITE è naturale al 100%, ma il nome rimanda proprio alle materie plastiche (non presenti nel prodotto) come la bachelite, l’ebanite o la galatite.

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Rifiuti edili

Parlando dell’edilizia, è doveroso indicare l’impatto che ha sul nostro pianeta. È emerso che in Italia, circa la metà dei rifiuti prodotta in un anno deriva dall’industria edile; si tratta di 70 milioni di tonnellate.  La cifra è pari al 48,4% del totale dei rifiuti non pericolosi, rappresentando il settore più complesso da gestire in termini di riciclo. Ad oggi, creare nuovi materiali compatibili con l’ambiente e che contemporaneamente possano garantire un uso efficiente nell’edilizia, è una necessità.

Come dimostrato da questa impresa, le risorse che possiamo impiegare per il futuro non vengono dallo spazio. Il segreto per poter ridurre la nostra impronta sul pianeta sta nello studio di quello che mangiamo, che usiamo e viviamo quotidianamente.

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CNR-IPCB e Biorepack insieme per svelare i falsi “bioshopper”.

By : Aldo |Dicembre 25, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

A quanto riportato da un’inchiesta, varie aziende e privati non hanno rispettato le leggi riguardo l’uso di sacchetti in plastica biodegradabile. Una task force di ricercatori inizierà a breve una ricerca per porre fine a tale questione.

Priscilla Du Preez 🇨🇦 - Unsplash

La legge

A settembre è stato scoperto che in Italia 1 shopper su 4 non rispetta la legge in vigore in Italia. Infatti dal 1° gennaio 2018, la normativa (sulla base della legge europea 2015/720) impone l’uso di sacchetti biodegradabili e compostabili. Il decreto scaturì varie polemiche poiché le buste utilizzate per frutta, verdura e altri prodotti freschi, dovevano essere pagate come un prodotto qualunque.  Non fu chiaro subito lo scopo sostenibile della legge che venne approvata, ma in quanto tale è stata seguita da tutti… o quasi. 

L’inchiesta

Aziende e privati hanno scelto il cambiamento non solo per rispettare la legge ma anche per inquinare di meno. Il problema è che coloro che hanno modificato le loro forniture sono tanti ma non tutti, come conferma lo studio degli ultimi mesi. La Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo rifiuti, ha confermato che il 25% delle buste vendute non sono biodegradabili.  Nello specifico sono stati individuati ancora in commercio sacchetti in plastica con diciture o certificazioni false. Si tratta di buste in plastica non compostabile o biodegradabile, vendute come tali. Un vero proprio schiaffo all’ambiente e alla salute dei consumatori.

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La ricerca

Proprio per tali ragioni, è stata avviata una ricerca per rintracciare questi sacchetti e determinarne il livello di illegalità.  Il Cnr-Ipcb di Catania e il consorzio Biorepack pronti per analizzare i polimeri presenti nelle buste selezionate, per bloccare queste attività illecite. Il difetto di tali “bioshopper” è una concentrazione elevata di polietilene, un polimero molto economico ma non biodegradabile.

La ricercatrice Paola Rizzarelli dell’Cnr-Ipcb spiega;

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“Lo standard europeo EN13432, fissa la percentuale tollerata del polietilene sotto l’1%. Percentuali maggiori potrebbero infatti compromettere la biodegradabilità e la compostabilità degli involucri”.

La ricerca seguirà due fasi di analisi, (quantitativa e qualitativa) per  stabilire la natura chimica del sacchetto e la quantità di polietilene presente. In questo modo i ricercatori potranno risolvere una questione non indifferente, che minaccia sia la filiera delle bioplastiche che quella del compostaggio. A tal fine è stato scelto il CNR di Catania perchè è l’unico in Europa che ha sviluppato un metodo di intercettazione del polimero. Tanto è vero che da tempo, arrivano richieste di analisi da laboratori e privati dell’Unione Europea.

Senza dubbio i nostri ricercatori saranno in grado si svelare i nomi di chi crea ulteriori danni all’ambiente e alla salute dei consumatori italiani. Nel frattempo, aspettiamo l’inizio degli studi, che avverrà a gennaio 2023, mentre i risultati verranno pubblicati durante il corso dell’anno.

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Natale sostenibile: come affrontare il caro prezzi senza rinunciare alla magia delle feste.

By : Aldo |Dicembre 22, 2022 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Mancano poche ore a Natale e qualche giorno a Capodanno, i prezzi sono alle stelle ma non si vuole rinunciare a nulla. La sostenibilità ci aiuterà anche in questo caso.


Regali

Il Natale è la festa più consumistica al giorno d’oggi e il simbolo di questa ricorrenza è senza dubbio il regalo. I dati della Coldiretti parlano chiaro: la crisi ha determinato un calo del 7% (rispetto al 2021) per quanto riguarda la spesa natalizia. Quest’ultima, infatti, ammonterà all’incirca a 177 euro a testa.

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Tuttavia, il 31% degli italiani hanno cambiato il genere di regali, puntando molto più su idee originali e artigianali, tipiche dei mercatini di Natale. Questa scelta rientra tra le tante soluzioni sostenibili, che contemplano l’acquisto di prodotti locali, di qualità evitando la grande distribuzione.

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Un’altra attenzione riguarda l’imballaggio, per il quale si può usare carta di altri regali o di giornale, garantendo una produzione minima di rifiuti.

Invece, se proprio non si può fare altrimenti dello shopping online, è preferibile scegliere i vestiti con cura per evitare la richiesta di un reso. Sicuramente anche una spedizione ecologica sarebbe meglio di quella tradizionale, per ridurre le emissioni.

Mel Poole - Unsplash

Illuminazioni

Le luci di tutti i colori creano l’atmosfera tipica delle feste, ma quest’anno terrazzi e giardini potrebbero restare spenti a causa della crisi.

É stato calcolato che tutte le illuminazioni emettono 651 tonnellate di CO2 (pari alle emissioni di 6.000 automobili in un anno). In Italia, si tratta di una somma totale di 30 milioni di euro per l’intero periodo natalizio. La spesa per ogni famiglia sarà all’incirca di 1,70 euro in bolletta della luce, un euro in più rispetto al 2021.
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Per evitare una bolletta salata, esistono le luci a LED che consumano fino all’80% in meno di quelle tradizionali. Meglio ancora i LED ad energia solare che sono più sicuri, consumano meno e hanno una durata superiore di ¼ rispetto alle altre.

Cibo

Secondo Assoutenti:

“Imbandire le tavole quest’anno costerà agli italiani 340 milioni di euro in più”

Il Codacons ha dimostrato che proprio pandori e panettoni, hanno visto aumenti dal 37% al 59%, forse i dati più significanti. Non sono di meno il burro (+41,7%), l’olio di semi (+52,3%), il sale (+49%) e il riso (+35,3%). Nonostante i prezzi alle stelle, sembra che il problema più grande resti quello del cibo sprecato.

Si, per quanto riportato dalle analisi tra Natale e Capodanno, in Italia, 440 mila tonnellate di cibo vengono buttate. Una cifra surreale che corrisponde ad una perdita di 50 euro per famiglia, secondo la campagna “Food We Want” dell’Unione europea, promossa dall’Istituto Oikos. Teniamo a mente che 1 tonnellata di rifiuti alimentari produce 4,2 tonnellate di CO2.

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Per tutte queste ragioni, sarebbe opportuno pensare in modo sostenibile il menu di ogni “CENONE”, per evitare le perdite descritte sopra.  Partendo dalla spesa, è fondamentale scegliere prodotti locali e di stagione, in quantità giuste, preferendo prodotti sfusi (evitando quindi la plastica). In cucina invece la regola è non buttare nulla, scegliendo ricette antispreco, conservando gli alimenti nel modo giusto. L’ultimo consiglio (e non per importanza), è quello di dividere il cibo e portarlo a casa dopo una serata tra amici o parenti.

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Per concludere

Il Natale è diventato con gli anni una festività più consumistica che religiosa, ma non per questo siamo legittimati a inquinare di più.

Quindi oltre alle soluzioni presentate, sarebbe notevole spostarsi senza macchina, visto il traffico automatico di queste giornate. Le illuminazioni a casa dovrebbero essere accese solo in determinati lassi di tempo, per poter risparmiare energia.  I regali possono essere oggetti, vestiti, libri di seconda mano. La sostenibilità permette all’uomo di risparmiare in tanti ambiti, con la garanzia di non inquinare ulteriormente il pianeta: ricordarlo anche a Natale è opportuno.

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Terreni inutilizzati censiti per la sostenibilità grazie a Cererly e Urban Farmer.

By : Aldo |Dicembre 21, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni |0 Comment

Dall’informatica all’agricoltura

Andrea Guarrasi e Aren Hoxha, amici di una vita con un passato nel campo dell’informatica hanno cambiato vita scegliendo l’agricoltura e la sostenibilità. Rendendosi conto dell’elevato livello di abbandono di terreni nella loro Puglia hanno sviluppato Cererly e Urban Farmer.  

‎‎Urban Farmer

É una startup nata dall’intuizione di Andrea Guarrasi sull’uso di terreni incolti e il desiderio di Aren Hoxha di creare FarmVille nella vita reale.
Da lì è nato un progetto rivolto ad agricoltori e consumatori attenti alla sostenibilità ed ai proprietari di terreni incolti.  ‎‏‏Hanno creato una realtà per la quale il proprietario del terreno può coltivare prodotti nel rispetto dell’ambiente ed incrementare l’economia locale. Come? Dal sito, può vendere i suoi prodotti di stagione e a km 0, ed offrire anche una “Farming experience” ai suoi clienti.

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Cererly

È la piattaforma online che affianca Urban Farmer e permette di mappare i terreni incolti che possono essere riutilizzati per l’agricoltura o per il fotovoltaico.

L’iniziativa è volta al recupero del suolo, per combattere i cambiamenti climatici e allo stesso tempo riqualificare il loro paese.

Tale censimento offre un servizio minuzioso volto alla collaborazione tra cliente e proprietario del terreno (che siano enti, aziende o privati).‏‏‎

Chiara Scialdone, advisor di Urban Farmer, spiega:

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“Il proprietario del terreno può inserire gratuitamente nella piattaforma i dati relativi al suo appezzamento […] Dopodiché un algoritmo di Cererly incrocia queste informazioni con i dati catastali, le processa e restituisce un report di fattibilità per progetti sostenibili su quel terreno con il vantaggio anche di snellire l’iter burocratico”.

Si mira infatti a colture di alberi da frutto, foreste urbane, piante per la fitodepurazione di suolo e aria. Tuttavia, i terreni sono adibiti ad impianti fotovoltaici nel caso in cui non avessero le caratteristiche per la coltivazione. Si stima che con meno dell’1% di questi appezzamenti, si potrebbe raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 italiana: i 70 GW di energia rinnovabile.

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Artem Kniaz - Unsplash

Risultati

Gli inventori hanno già registrato 75 ettari di terreni solo in Puglia e per questo hanno fatto un appello alle autorità regionali:

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“Il nostro portale è a vostra disposizione, gratuitamente: incontriamoci”.

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I due tarantini collaborano anche con l’Università di Bari, per un progetto su biogas e fertilizzante bio ed economico.

Per quanto analizzato, un cambio d’uso di 3,5 milioni gli ettari di terre inattive, creerebbe un valore di 3 miliardi di euro all’agricoltura. 5,3 miliardi di energia rinnovabile. Le cifre parlano da sole e portano in alto la scelta interdisciplinare di Cererly e Urban Farmer in nome della sostenibilità. 

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Fusione nucleare: la scoperta attesa per anni dalla scienza, non è proprio come viene descritta.

By : Aldo |Dicembre 19, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Il 13 dicembre il Washington Post annuncia una svolta nel campo energetico.
In realtà si tratta di una possibile soluzione futura ma solo in alcuni ambiti.

La scoperta

Si aspettava questo momento da anni. Il 13 dicembre gli scienziati della National Ignition Facility nei Lawrence Livermore National Laboratory sono riusciti a produrre energia in eccesso da una fusione nucleare. Non era mai successo prima e la notizia è risuonata nel mondo intero come la concretizzazione di un evento impossibile agli occhi di tutti.

In questo esperimento infatti sono stati prodotti 2,5 MJ di energia attraverso un processo di fusione a confinamento inerziale, alimentato da 2,1 MJ. Questo significa che è stato ottenuto il 19% di energia in eccesso.

Lukáš Lehotský - Unsplash

Il meccanismo delle stelle

Il meccanismo è lo stesso che agisce all’interno delle stelle: due atomi di idrogeno si fondono per crearne uno di elio, generando energia. Nel caso specifico, si tratta di fusione a confinamento inerziale, un insieme di microesplosioni ottenute dal bombardamento di piccole sfere di deuterio e trizio. Le sfere sono colpite da fasci di laser ad alta energia che le riscaldano attivando l’implosione del combustibile (deuterio e trizio).


Di conseguenza la temperatura permettere di raggiungere la condizione iniziale della fusione. In laboratorio sono stati usati 192 raggi laser ad altissima energia ed una sfera piccola quanto un grano di pepe, in cui la fusione ha raggiunto 3 milioni di gradi. La grande scoperta è proprio quello di essere riusciti a produrre più energia di quella consumata nella reazione, in un laboratorio.

Il futuro

Questa scoperta è senza dubbio un raggiungimento incredibile della storia della scienza (soprattutto quella americana), ma non è esattamente quello che hanno riportato i giornali. É stata raccontata come una soluzione sostenibile, il Washington Post la considera “il Sacro Graal” dell’energia senza emissioni di carbonio ed è presentata come soluzione più ecologica per varie caratteristiche. Tra queste una minore produzione di radiazioni, scorie più facili da gestire e un minor costo di produzione. Tuttavia, l’esperimento ha lasciato qualche dubbio per quanto riguarda tempi, step e l’utilizzo del processo.

Gli inconvenienti

La fusione non potrà essere usata per produrre energia a scopo civile, perchè mancano dei passaggi fondamentali.  Come dichiarato da Kim Budil, direttrice del Lawrence Livermore National Laboratory:

«Questa è stata l’accensione, una volta, di una capsula ma per ottenere l’energia commerciale da fusione […] Bisogna essere in grado di produrre molti eventi di accensione per fusione per minuto e bisogna avere un robusto sistema di elementi di trasmissione per realizzarli».

Infatti, anche il tempo è un fattore limitante, poiché l’esperimento prevede una preparazione di 15 giorni, per ottenere una quantità di energia pari a 0.1 Wh. Infine, il trizio non è facilmente reperibile ed è anche costoso. Per poter produrre un’ingente quantità di energia servirebbe una grande risorsa dell’isotopo, attualmente non disponibile.

L’ultima perplessità è correlata al fatto che l’esperimento è stato finanziato maggiormente dal Dipartimento della Difesa USA. L’obiettivo era lo sviluppo di armi che rispettino il trattato internazionale, che pone un limite alla potenza di un ordigno nucleare sperimentale.

In conclusione.

Il test rappresenta senz’altro un passo in avanti per la scienza, una tappa attesa dagli anni 50 che finalmente è diventata realtà. Purtoppo però, non potremmo godere di tale scoperta in termini di energia pulita per tutti, di sostenibilità o scelta ecologica. C’è chi spera in uno sviluppo nell’arco di vari decenni, chi pensa che non si arriverà mai all’utilizzo commerciale. Senza dubbio dobbiamo riconoscere il grande lavoro compiuto dagli scienziati.

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“Acqua di Roma” il progetto di Ama e CoReVe per ridurre la plastica.

By : Aldo |Dicembre 15, 2022 |Acqua, Arte sostenibile, bastaplastica, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Mercoledì 14 dicembre in Campidoglio, AMA e CoReVe hanno presentato la campagna “Acqua di Roma”.

La campagna

La campagna attiva da giovedì 15 dicembre, ha due grandi missioni: la riduzione dei rifiuti e l’incentivo al consumo dell’acqua pubblica.

 

“L’acqua di Roma bevila nel vetro. Una buona abitudine che fa bene all’ambiente”.

 

Con tale iniziativa, si rivendica la qualità dell’acqua di Roma, sempre a nostra disposizione per mezzo di nasoni e fontane. Tuttavia, durante la conferenza è stata ricordata la siccità estiva e l’importanza di un consumo adeguato della risorsa più importante al mondo. Per questo AMA e CoReVe hanno riproposto “l’acqua in vetro”: un’idea che riporta al passato pensando al futuro.

Il prodotto

La bottiglia, protagonista della campagna, è un mix di design, sostenibilità e praticità. Il design vintage ci riporta indietro nel tempo, quando il latte veniva distribuito porta a porta. Cambia sicuramente il colore, in questo caso un verde… bottiglia, perchè composta da vetro riciclato. La praticità invece, deriva dalla sua particolare leggerezza combinata ad una maggiore resistenza agli urti. La chicca è il collo largo, pensato per poterla lavare correttamente e riusare all’infinito anche per altre bevande o conserve.

La scelta del vetro

Gianni Scotti (Presidente di CoReVe) afferma che “Il vetro è principe della sostenibilità”, perchè può essere riciclato all’infinito riducendo le emissioni di CO2. Se non altro il suo riciclo diminuisce l’uso di materie prime vergini, un passo importante per un consumo efficiente delle risorse. È senza dubbio un materiale sicuro per la conservazione degli alimenti e il mantenimento delle loro caratteristiche organolettiche.

Il settore della ristorazione è invece una certezza poiché comporta il 5% del suo riciclo, grazie alle aziende fornitrici che recuperano le bottiglie usate nei locali, settimanalmente. Possiamo constatare anche il fatto che la bottiglia di vetro è un ottimo mezzo di marketing, usata come immagine pubblicitaria. In Italia, per esempio ogni azienda ha il suo produttore, proprio per rendere la bottiglia “iconica”. Non a caso il Bel Paese è al terzo posto nella produzione di vetro, a livello mondiale.

L’investimento su Roma

Il progetto prevede la distribuzione di 100’000 bottiglie (donate da CoReVe) nel comune di Roma, partendo dai dipendenti comunali e municipali. Poi verranno rilasciate nei centri di raccolta, nelle biblioteche e nelle scuole per mezzo di lezioni di sensibilizzazione al tema. Il pezzo è accompagnato da un sacchetto di carta riciclata, in cui sono riportati dati sul riciclo del vetro e lo slogan della campagna.

Con un investimento di 426’000 euro adibito al miglioramento della raccolta stradale del vetro, Roma aggiungerà 1200 campane alle 5000 già presenti.

Insomma, il vetro, usato in primo luogo dai Fenici, è un prodotto dalle mille risorse, ed è il perfetto rappresentante della sostenibilità. Attenzione però alla sua produzione e al suo trasporto: se questi ultimi hanno un impatto ambientale elevato, il vetro perde la sua qualità principale.

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I primi motori aerei ad idrogeno: decarbonizazione dei voli entro il 2050.

By : Aldo |Dicembre 11, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

In tutti settori c’è una nuova attenzione e ricerca alla sostenibilità; ora anche nell’ambito dell’aviazione.

 

L’inquinamento dei voli

Gli aerei come ogni altro mezzo di locomozione inquinano l’atmosfera: nello specifico il traffico aereo comporta il 2,4% dell’emissioni globali. Secondo l’ICCT (International Council on Clean Transportation), volare produce 285 g di CO2 per passeggero (la media: 88 persone a volo) per chilometro percorso.

L’ascesa del low cost poi, ha sdoganato l’idea del viaggio come un’esclusiva per ricchi, permettendo a tutti di volare a poche decine di euro. Con questa “innovazione” le emissioni sono duplicate negli ultimi anni e si calcola che nel 2050 saranno 7 o 10 volte maggiori rispetto al 1990.

Gary Lopater - Unsplash

Il carburante sostenibile

Rolls Royce e EasyJet stanno lavorando insieme al programma Race to Zero, delle Nazioni Unite, per raggiungere un obiettivo considerevole. I due grandi nomi hanno testato un motore alimentato da idrogeno verde a terra, su un aereo dimostrativo.

Il test è stato effettuati in un impianto di prova all’aperto, nell’aeroporto militare MoD Boscombe Down (UK). Il motore utilizzato è un Rolls-Royce AE 2100-A ed è alimentato dal cosiddetto “idrogeno verde”. Questo carburante sostenibile è fornito dall’EMEC (European Marine Energy Centre), che produce energia pulita nelle isole Orcadi (UK).

Il successo dello studio

Lo studio ha confermato che l’idrogeno, potrebbe rappresentare una rivoluzione nell’ambito dell’aviazione sostenibile. Le 2 grandi società, quindi, continueranno a testare il carburante “pulito” anche sui motori Rolls-Royce Pearl 15, per poi provarli in volo.

Grazia Vittadini, direttore tecnico di Rolls-Royce afferma:

“…Stiamo superando i limiti per scoprire le possibilità dell’idrogeno a zero emissioni di carbonio, che potrebbero contribuire a rimodellare il futuro del volo”

Mentre Johan Lundgren, CEO di easyJet dichiara:

“…Sarà un enorme passo avanti nell’affrontare la sfida dello zero emissioni nette entro il 2050“.

Tuttavia sarebbero sorti dei dubbi per quanto riguarda le difficoltà tecniche di produzione e disponibilità di idrogeno, lo stoccaggio e le modifiche da apportare all’aereo. Ma dati gli ottimi risultati, questa rivoluzione si presenta come una soluzione con la quale cambiare le sorti dell’aviazione e renderla più sostenibile.

Intanto le compagnie o addirittura gli stati cercano soluzioni per rimediare all’inquinamento dei voli. Per esempio, la WizzAir sta optando per il biodiesel, mentre la Francia vieterà voli nazionali se la destinazione è raggiungibile con il treno

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Scarti di frutta, funghi e alghe diventano vestiti. Le componenti per la moda sostenibile.

By : Aldo |Dicembre 08, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

Anche se il fast fashion prende sempre più piede, tante imprese hanno deciso di dare una svolta sostenibile all’industria tessile. Ed ecco che nascono i tessuti naturali o riciclati.

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La soluzione green

Abbiamo parlato in precedenza del fast fashion e della sua poca sostenibilità. Per poter ridurre l’impatto dell’industria tessile e soprattutto per far fronte all’incombenza del fast fashion, anche la moda ha trovato delle soluzioni green. Ancora oggi le fibre sintetiche artificiali rappresentano il 60% di quelle utilizzate, mentre le naturali sono solo il 40%.

Fibre naturali, vegetali e derivati.

La prima soluzione sostenibile è la scelta di fibre naturali, che sono migliori anche per il contatto con la pelle e la durata.

  • Fibre alimentari: cocco, l’orange fiber, il piñatex (usa gli scarti di ananas), il reshi (fibre derivate da funghi che sostituiscono la pelle), la vinaccia
  • Fibre vegetali: modal (semi sintetica) derivata dalla polpa di faggio o il lyocell, dalla pasta di legno di eucalipto. O ancora ramia (da piante orticacee), le pale del fico d’india e i soliti cotone, lino, juta e canapa e bambù.

Altri tessuti invece sono prodotti da materie prime alle quali non avremmo mai pensato come alghe, ossi di seppia o la seta del ragno.

La tintura

Anche il processo che prevede il maggior consumo e inquinamento delle acque ha delle varianti sostenibili. Con l’avanzamento della tecnologia, infatti, sono stati rinnovati i processi di tintura dei tessuti in modo da emettere meno CO2, usare ed inquinare meno acqua.

I colori, innanzitutto, possono essere totalmente vegetali: parliamo di reseda (giallo), curcuma, rabarbaro (beige), sambuco, guado (blu) e spirulina. Allo stesso modo, oltre ad eliminare i coloranti sintetici e i metalli pesanti, si potrebbe evitare il mordente (composto per fissare il colore) molto inquinante. Ovviamente vanno rivisti anche i processi di tintura per ridurre lo spreco di acqua e di emissioni. C’è chi ha optato per un’alimentazione dei macchinari ad energia rinnovabile, chi preferisce riciclare la CO2, e chi usa la tecnica a secco.

Etichetta

Per essere sicuri al 100% che il prodotto sia sostenibile e sempre meglio consultare i siti delle aziende oppure direttamente l’etichetta. Tra quelle riconosciute troverete Global Organic Textile Standard (GOTS) per i prodotti biologici e Oeko-Tex per quelli ecologici.

Queste tecniche e produzioni attente all’ambiente, aumenteranno indubbiamente il prezzo degli abiti, rispecchiandone la qualità. Ma ricordiamo che esiste anche la moda di seconda mano, per spendere meno e acquistare capi in ottimo stato.

Il cambiamento è in mano ai consumatori: se tutti scegliessimo la sostenibilità, le aziende sarebbero costrette a rivedere le loro produzioni, attuando una vera e propria transizione.

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L’Unione Europea blocca l’import di chi deforesta.

By : Aldo |Dicembre 06, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Un accordo definito “storico” dal Parlamento Europeo, che segna la fine di un’era di indifferenza.

La norma

L’iter legislativo, iniziato a novembre 2021, ha imposto un nuovo piano d’attacco: il blocco dell’import. Si tratta di un freno al commercio di alimenti, prodotti con processi che coinvolgono terreni disboscati da dicembre 2020 in poi.
Cacao, caffè, soia, carne bovina, cioccolato, olio di palma entreranno nell’UE solo se le loro aziende rispetteranno i criteri imposti dal Parlamento europeo. La gomma è stata aggiunta a settembre, nella lista di prodotti, per volontà degli eurodeputati, che hanno deciso di rafforzare il provvedimento. Tuttavia, la versione finale darà la possibilità di allargare i vincoli ad altri terreni (entro e non oltre un anno dall’entrata in vigore).

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Termini e condizioni

Come ogni accordo che si rispetti, sono state discusse regole e criteri per garantire un risultato efficiente, ma anche multe per chi trasgredirà la norma. In primo luogo, verrà stilata una classifica sul livello di rischio di deforestazione delle nazioni, per adeguare le regole che vi saranno applicate. Le aziende invece, dovranno dichiarare l’origine delle loro merci, ovviamente non dovranno essere collegate a processi di disboscamento. In questo caso però, i livelli di controllo sono elevati, basti pensare che la vigilanza usufruirà di sistemi di geolocalizzazione delle colture tramite satellite. Il testo, inoltre, riporta gravi sanzioni nei confronti dei trasgressori, che potrebbero pagare fino al 4% del fatturato totale annuo.

In futuro

É stabilito che dopo due anni dall’entrata in vigore, la Commissione dovrà valutare vari aspetti dell’operato. Per esempio, potrebbe decidere di allargare i vincoli ad altri prodotti come il mais, torbiere e ecosistemi ricchi di stoccaggio del carbonio. O ancora obbligare le istituzioni finanziarie a rifiutare crediti o servizi che possono associarli ad attività di deforestazione.

Christophe Hansen (Ppe), negoziatore per il Parlamento afferma che:

«…il testo include anche garanzie per proteggere i diritti delle popolazioni indigene, i nostri migliori alleati contro la deforestazione».

Anche il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, conferma l’importanza della normativa e aggiunge:

“Occorre garantire che le importazioni di prodotti da Paesi terzi, rispettino gli stessi standard sociali, sanitari e ambientali delle produzioni italiane ed europee”

Ricorda anche la validità del principio di reciprocità, e i livelli di sicurezza alimentare in Europa.

“…ben l’80% degli allarmi alimentari scattati in Italia sono stati causati dai cibi importati dall’estero. In testa alla classifica […]c’è la Turchia responsabile del 13% degli allarmi alimentari scattati in Europa”.

In conclusione

La nuova legge non riguarda solo l’ambiente, come spiegato da altri enti, ma concerne vari aspetti dall’economia alla salute, dai diritti civili al biologico. Tale normativa è anche legata all’impatto negativo che le importazioni dell’Unione hanno sull’ambiente. Purtoppo è definita come secondo distruttore di foreste tropicali, dopo la Cina, soprattutto per l’import di soia e olio di palma.

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In Scozia l’Ocean Energy produrrà energia grazie alle onde del mare.

By : Aldo |Dicembre 05, 2022 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, menoconsumi, menomissioni |0 Comment

Si parla sempre più di energia pulita e soluzioni sostenibili: solare, eolico e idrico. Raramente invece, si discute della “potenza” del mare e le sue applicazioni.

Ocean Energy

Si definisce come una nuova industria in Europa che può essere affiancata al solare e all’eolico, quindi rappresenta una soluzione sostenibile. In aggiunta è presentata come un’opportunità di export per l’Europa ma anche di sicurezza e indipendenza energetica. La società irlandese coordina il progetto WEDUSEA insieme ad altre realtà come l’Enterprise Ireland, università e industrie di Francia, Regno Unito, Germania, Spagna e Irlanda. L’idea da 19,6 milioni di euro è finanziata per metà da Horizon Europe Programme, 5,3 milioni dalla Innovate UK e il resto arriva dai privati.

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WEDUSEA

Il progetto è parte del programma Horizon Europe ed è l’acronimo di “Wave Energy Demonstration at Utility Scale to Enable Arrays”. Il programma mira a creare soluzioni per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’ONU e per affrontare i cambiamenti climatici. Il professor Tony Lewis, direttore tecnico di Ocean Energy, dichiara che:

“L’energia delle onde è la risorsa rinnovabile più preziosa e persistente del mondo, ma di questo non ci si è ancora resi pienamente conto. Questo progetto europeo dimostrerà che la tecnologia è matura e pronta per essere industrializzata su larga scala. In un futuro non troppo lontano sarà proprio l’energia naturale dei mari ad alimentare le reti elettriche”.

OE35

OE 35 è attualmente considerato come “il dispositivo galleggiante per l’energia delle onde con la maggiore capacità al mondo”. Capacità correlata alla quantità di energia elettrica che un generatore produce nel momento in cui lavora a pieno regime.

L’impianto è ancorato al fondale, ma galleggia in superficie ed è composto da una parte mobile e una cabina chiusa contenente le attrezzature. La parte inferiore è aperta verso l’acqua, che grazie ai suoi movimenti convoglia l’aria in una turbina, che girando crea energia elettrica. Inoltre, l’ampio spazio di stoccaggio a bordo permette di fornire energia per più attività come quella dei desalinizzatori o degli impianti di acquacoltura.

Step by step

Il programma durerà 4 anni, partendo con la progettazione di OE35 da 1 MW, seguita da un periodo di sperimentazione di 2 anni. Questa prova consiste nel collegare l’impianto ad una rete elettrica, presso l’arcipelago delle Orcadi dove ha sede l’EMEC (Centro Europeo per l’energia marina). Il piano si chiuderà con la commercializzazione della struttura.

Le onde marine hanno una densità di energia più elevata rispetto alle altre fonti di energia rinnovabile, rendendole più “sicure ed affidabili”. Perciò l’obiettivo dell’EMEC è quello di poter costruire un impianto pilota da 20 MW. La US Energy information Administration ha confermato che uno sfruttamento efficiente delle onde negli USA, potrebbe produrre il 64% di energia elettrica per il paese.

Negli ultimi anni anche l’Italia sta studiando nuove tecnologie legate al moto ondoso per la produzione di energia rinnovabile; chissà se un giorno riusciremo a sfruttare a pieno ed in modo sostenibile le risorse di cui il nostro paese è ricco.

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La Commissione europea chiede una revisione della legge sugli imballaggi monouso.

By : Aldo |Dicembre 01, 2022 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree |0 Comment
Polina Tankilevitch - Pexels

Ogni giorno vengono prodotti imballaggi che vengono utilizzati per qualche ora e poi vengono gettati senza neanche essere differenziati. Per questo la Commissione europea ha intenzione di rivedere la legislazione attuale.

La proposta

Il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius, introduce la proposta aiutandosi con un esempio semplice ma reale per tutti:

“È capitato a tutti di ricevere prodotti ordinati online in scatole troppo grandi, così come di chiedersi come separare i rifiuti da riciclare, cosa fare con un sacchetto biodegradabile o se tutti questi imballaggi saranno riutilizzati o perlomeno trasformati in nuovi materiali con un certo valore”.

Infatti, l’idea è quella di contrastare l’aumento dei rifiuti di imballaggi, stimato tra il 19% il 46% entro il 2030, per mezzo di varie azioni.  Anche Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, condivide l’idea “per un futuro senza inquinamento”.

Gli imballaggi in numeri

Il primo problema riguarda l’uso di materiale vergine. Si stima che il 40% di plastica e il 50% di carta prodotti nell’Unione europea vengano usate per il packaging di un prodotto. L’imballaggio raramente viene riusato o smaltito correttamente; da queste analisi si calcola che ogni europeo produca 180 kg di rifiuti di imballaggio all’anno. Questo dato purtoppo è destinato ad aumentare nel caso in cui non venissero istituite nuove misure per rallentare la crescita o azzerarla. Per questo la Commissione europea ha posto come obiettivo la riduzione di rifiuti da imballaggi del 15% entro il 2040.

Come cambiare rotta

Per raggiungere tale traguardo sono state presentate delle azioni che l’unione europea, i governi se non ogni singolo cittadino, potrebbero seguire. Si parte dalla riduzione degli imballaggi, eliminando in principio quelli inutili, come i prodotti monouso di hotel, ristoranti e bar e quelli multipli per le lattine. Un’altra mossa riguarda le aziende: dovranno garantire che una certa percentuale dei loro prodotti abbia packaging riciclabili o ricaricabili. In aggiunta si chiederebbero dei formati standard del pacco ed etichette riutilizzabili.

Saranno proposti dei criteri di progettazione dell’imballaggio e di restituzione di lattine e bottiglie di plastica; inoltre, verranno definiti in maniera chiara quali imballaggi sono compostabili. Infine, sarà obbligatorio una percentuale di plastica riciclata all’interno della produzione, rendendo la plastica riciclata, un materiale prezioso.

L’aiuto economico

La Commissione è pronta a discutere questi temi con il Parlamento ed il Consiglio ma soprattutto è pronta a cambiare abitudini e a scombinare l’industria. La revisione, tuttavia, creerebbe dei nuovi posti di lavoro, aiutando l’economia europea; anche solo il potenziamento del riutilizzo, ne garantirebbe 600.000 entro il 2030.

Per ridurre l’impatto ambientale in modo efficiente, necessitiamo di tante piccole azioni che partono dalle industrie e arrivano al singolo consumatore. A questo punto non resta che attendere la risposta e le conseguenti decisioni del Parlamento e del Consiglio europeo.

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L’Italia ottiene il primato europeo con un tasso di riciclo dell’83%.

By : Aldo |Novembre 30, 2022 |Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |0 Comment

“L’Italia che ricicla”, il report annuale dell’Assoambiente conferma il nostro primato a livello europeo per quanto riguarda il riciclo.

Sono presenti delle lacune da colmare, ma la direzione è una delle migliori.

Il primato europeo

L’Italia si posiziona al primo posto in Europa per avvio al riciclo dei rifiuti (urbani e speciali), con un tasso dell’83,2% (secondo i dati del 2020). Con tale cifra, andiamo oltre la media UE del 39,2% e sorpassiamo i grandi paesi come Spagna (60,5%), Francia (54,4%) e Germania (44%).

Il record è correlato anche al tasso di utilizzo di metalli riciclati del 47,2%, seguiti nuovamente da Francia (39,3%), Germania (27,3%) e Spagna (18,5%). Per quanto riguarda la circolarità dei materiali, siamo secondi per pochissimo, dopo la Francia (22.2%), con un tasso del 21,6%. Anche in questo caso siamo ben sopra la media europea del 12,8%.

Le lacune italiane

L’Italia occupa il secondo posto per quanto riguarda l’impiantistica con 6.456 strutture attive per il recupero della materia, preceduta dalla Germania che ne presenta 10.497. Tuttavia, questa ulteriore vittoria cela delle lacune non indifferenti sul territorio nazionale. Come riportato da Assoambiente (Associazione Imprese Servizi Ambientali ed Economia Circolare) gli impianti in Italia sono principalmente di medio-piccola dimensione, localizzati maggiormente nel centro-nord.

Le regioni più attive sono quelle in cui il settore manifatturiero è più sviluppato, come la Lombardia, che ha il 22% delle strutture nazionali.  Inoltre, risulta essere la regione che ricicla di più, con un totale di 31.018.381 tonnellate, seguita da Veneto ed Emilia-Romagna.

Le innovazioni necessarie

Nel 2020 abbiamo esportato 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti, che avrebbero potuto essere nuovi prodotti all’interno della nostra economia.

AssoAmbiente afferma:

“Un paradosso che, nel medio-lungo termine, andrà colmato, attivando le opportune leve incentivanti e di investimento impiantistico, affinché maggiori volumi di rifiuti riciclabili vengano recuperati nel nostro Paese contribuendo ad accrescere la capacità del sistema produttivo di ovviare alla cronica mancanza di materie prime, così come a creare sbocchi occupazionali verso la transizione ecologica.”

In aggiunta alle innovazioni necessarie per sviluppare la nostra economia circolare, servirebbe un rinnovamento dei processi burocratici, perchè bloccano la crescita economica del Paese. Un iter di cambiamento come quello della transizione ecologica serve anche per ammortizzare il caro prezzi, oggi più che mai.

Paolo Barberi (Vicepresidente di Assoambiente) esalta la necessita di miglioramenti in vari settori.   

“Il riciclo dei rifiuti, oltre alla valenza centrale che riveste per la transizione ecologica, risulta oggi ancor più strategico per accrescere la resilienza economica del nostro Paese […] particolarmente in questa fase di emergenza economica-energetica maturata nel post pandemia.”

Potremmo rendere competitivi i materiali riciclati rispetto alle materie prime, creando poi un mercato stabile e trasparente con Certificati del Riciclo e altri strumenti fiscali efficaci. Il nostro primato europeo in vari settori rappresenta la forza e la determinazione di ridurre il nostro impatto sull’ambiente. Ma per rispettare obiettivi come quelli del PNRR, per aiutare l’economia e la popolazione proprio oggi con i prezzi alle stelle, bisogna cambiare rotta.

Non bastano dei piccoli gesti, serve un cambiamento repentino ed efficace delle istituzioni e un efficiente uso dei soldi investiti per questo ambito.

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100 mila api contro l’inquinamento nell’aeroporto Marconi di Bologna.

By : Aldo |Novembre 28, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, Home |0 Comment

La tecnologia ci permette di avanzare sempre più nel campo della scienza, soprattutto quando si parla di un aeroporto. In questo caso però, la tecnologia più innovativa è la natura.

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Le api

Le api, insetti nell’ordine degli imenotteri, svolgono molteplici attività in natura, come la produzione di miele e l’impollinazione.  Tuttavia, hanno un ruolo particolare, ovvero sono considerate bioindicatori della qualità ambientale, quindi, possono essere studiate e impiegate in attività di biomonitoraggio.

Il biomonitoraggio è un insieme di tecniche utilizzate per monitorare le alterazioni di un ambiente, per mezzo di organismi definiti bioindicatori o bioaccumulatori.  Proprio grazie a tale caratteristica, le api sono le protagoniste di una nuovo programma di sostenibilità.

L’iniziativa sostenibile

É iniziato il progetto che rientra nel più ampio Piano di sostenibilità dell’aeroporto Marconi di Bologna, riguardante il biomonitoraggio delle aree circostanti lo scalo. L’iniziativa è in collaborazione con ERGO Consulting srl, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari – DISTAL dell’Alma Mater, Conapi – Mielizia e Consorzio Nazionale Apicoltori.

Il programma affianca dei sistemi tradizionali di rilevamento dati, analizzati da ARPAE (Agenzia Prevenzione Ambiente Energia Emilia-Romagna) a seguito di campionamenti effettuati tra aprile e fine ottobre. L’obiettivo del monitoraggio è quello di verificare la presenza di 10 diversi metalli pesanti e di idrocarburi policiclici aromatici nella matrici ambientali.

I dettagli

In un raggio di 7 km intorno allo scalo, sono disposte 8 arnie (alveari artificiali) tra i quali vivono i 100mila imenotteri. Ogni mese vengono eseguiti prelievi di alveari, api, di miele e polline prodotti: nello specifico del miele giovane che contiene maggiori informazioni.

Claudio Porrini dell’Università di Bologna spiega infatti che:

“Ogni alveare comporta circa 10 milioni di microprelievi; è uno strumento molto potente di indagine ambientale per individuare gli inquinanti”

In tutto ciò Conapi-Mielizia mettono a disposizione le proprie arnie e le api, mentre Ergo Consulting eseguono le analisi di laboratorio. Questi studi serviranno a creare un rapporto di sintesi che fornirà una mappa della qualità dell’aria, intorno all’aeroporto.

Altre iniziative

Il responsabile Sostenibilità del Marconi Tommaso Barilli dichiara:

“Proseguiremo quest’attività e decideremo quali ulteriori azioni di miglioramento della qualità dell’aria promuovere”.

Tanto è vero che è attivo un piano di sensibilizzazione all’interno dell’aeroporto, per mezzo di questionari sulla conoscenza degli insetti impollinatori. Questo progetto è sostenuto dagli studenti universitari dell’Alma Mater di Bologna, con l’obiettivo di sensibilizzare passeggeri e lavoratori dell’aeroporto. I dati raccolti in questi mesi sono in fase di analisi e si pensa che i primi risultati arriveranno a fine 2022. Il piano di monitoraggio già attivo in altri scali europei e a Milano Malpensa così potrebbe rappresentare una nuova frontiera per l’azione ambientale.

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Il Galatasaray ha uno stadio da record: Guinness per l’energia solare.

By : Aldo |Novembre 25, 2022 |Arte sostenibile, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Tra i tanti Guinness dei primati ci sono oggetti, eventi o persone con caratteristiche peculiari. Questa volta però, il protagonista è uno stadio.

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Il primato

Lo stadio Türk Telekom è una struttura situata ad Istanbul inaugurata nel 2011 che ospita 52 223 spettatori. É parte di un complesso di edifici più ampio legato allo stadio Ali Sami Yen, più piccolo e intitolato al primo presidente del club.

La struttura ha vinto il record grazie alla maggiore produzione di energia solare del mondo: si tratta di 4,2 MW nell’arco di un mese. Questo primato è stato possibile grazie all’istallazione di pannelli fotovoltaici sul tetto della struttura, che aiuterà l’ambiente ma anche la loro economia.

L’energia da record

Il Türk Telekom ha sorpassato l’Estádio Nacional Mané Garrincha di Brasilia che ha una capacità solare di 2.5 MW. La struttura turca ha installato un impianto da 2,1 milioni di euro, composto da 10.000 pannelli solari su una superficie di 40mila m2. Il sistema fotovoltaico ha la capacità di trasmissione per fornire elettricità a 2 mila famiglie e inoltre riduce le missioni di CO2 di 3.250 tonnellate. Vale a dire, che nei 25 anni del progetto, lo stadio potrà salvare 200.000 alberi. L’energia prodotta “sul tetto” garantisce tra il 63 e il 65% del consumo dello stadio, la percentuale restante invece deriva da un fornitore pubblico.

Le cifre in denaro

Il club ha giocato d’anticipo con l’aumento dei prezzi: all’inizio, infatti, si prevedeva un risparmio più lontano nel tempo. Tuttavia, con la guerra, le cose sono cambiate e di conseguenza è stata constatata l’efficienza del progetto da subito.  Difatti grazie alla stabilità dei prezzi dell’energia solare, il Galatarasay ha già risparmiato 385.000 euro tra gennaio e agosto.

Proprio Ali Çelikkıran, ingegnere elettrico e direttore dello stadio ha affermato che:

“Di questi tempi, che lo voglia o no, una grande azienda deve essere ambientalista perché l’energia è davvero costosa”

Vantaggi economici

Oltre a tutte fantastiche qualità, la struttura offre anche dei vantaggi economici a più enti. La squadra è attualmente in un contratto di 9 anni con l’azienda energetica Enerjisa, che acquista l’energia prodotta dai pannelli.

Per di più, il sistema di illuminazione viene usato solo 150 ore l’anno (25 partite), quindi viene prodotta più energia di quella che necessita lo stadio.  Proprio da questa abbondanza, il club riesce a guadagnare, perchè rivende energia alla città di Istanbul, ad un prezzo a noi sconosciuto.

La squadra godrà di un beneficio finale quando il contratto terminerà e di conseguenza, non dovrà più pagare nessuno, guadagnando dalla rivendita dell’energia. Ovviamente non tutti gli stadi possono permettersi una innovazione simile, non solo per quanto riguarda gli investimenti ma per la loro posizione geografica. In ogni modo, questo primato stabilito a marzo 2022, potrebbe essere un’ispirazione per tante altre strutture sportive e non, nel mondo.

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L’ulivo è la pianta perfetta per far fronte alle emissioni di CO2.

By : Aldo |Novembre 23, 2022 |Arte sostenibile, Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment

Ogni giorno sentiamo parlare di emissioni di CO2, di come ridurle, di nuove tecnologie per eliminarle. Spesso però non ci rendiamo conto che una delle tante soluzioni si trova proprio in natura.

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Gli alberi nel mondo.

Che gli alberi siano una risorsa fondamentale per ridurre le emissioni di CO2, è ormai chiaro a tutti. Proprio nell’ultimo decennio sono nati progetti, startup e iniziative con lo scopo di sensibilizzare la popolazione e apportare un cambiamento sulla Terra.

Grazie a tali attività, si riconosce l’importanza delle specie arboree nel processo di riduzione di CO2 atmosferica. Per questo, grandi aziende e privati si dedicano da anni al recupero e realizzazione di agrosistemi, permettendo al pubblico di “adottare” gli alberi.  

Di solito si tratta di piante originarie del Sud America o dell’Africa, ma ultimamente sono disponibili anche specie tipiche del proprio paese.  Per esempio, in Italia si può optare tra pini, abeti, querce faggi e altro.

L’ulivo

Tra le tante specie c’è anche l’ulivo: simbolo di pace, del mediterraneo e soprattutto della Puglia che conta ben 5 milioni di alberi. La sua coltivazione è correlata alla produzione di olio, alimento tipico ed essenziale della dieta mediterranea, in Italia, Spagna, Tunisia, Grecia e Turchia (maggiori produttori).   Oltre alla sua rilevanza a livello alimentare, economico e sociale, l’ulivo risulta un ottimo alleato nella lotta ai cambiamenti climatici.

La pianta per la regolazione del clima.

In un’intervista per Italia Olivica nel 2019, Juan Vilar (consulente strategico per istituzioni come la FAO) confermava le potenzialità della specie per la cattura di CO2.

“L’olivo è la più grande coltura legnosa del mondo ed è il più potente fissativo di CO2 artificiale esistente”

Afferma di seguito che un ulivo può assorbire 2 chili di CO2 al giorno. Se moltiplicati per gli 11,7 milioni di ettari di olivi piantati nel mondo, potremmo considerare la pianta come un’arma perfetta per limitarne le concentrazioni.

Ancora più specifico è lo studio del Dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Perugia che spiega l’efficienza della pianta nel dettaglio. Infatti, nell’intervista rilasciata per TGR Umbria, viene dichiarato che:

“È una specie longeva, quindi il carbonio che si accumula nella struttura legnosa, rimane stoccato per decine di anni, addirittura per secoli. In secondo luogo, l’ulivo ha una notevole massa legnosa ed infine, la coltivazione in genere è condotta secondo tecniche a basso impatto ambientale.”

Il dipartimento ha diretto studi anche legati alla produzione di olio, eliminando ogni dubbio sul suo possibile impatto ambientale.

“A fronte di 3kg di CO2 emessa per litro di olio, c’è un assorbimento di 6kg di CO2 per litro d’olio. Aver prodotto quella bottiglia di olio, significa aver ridotto la quantità di CO2 nell’aria”

Nel pratico.

A questo punto, si spera che un giorno gli olivicoltori possano vendere crediti di carbonio sul mercato, per compensare le attività delle aziende inquinanti.  Allo stesso tempo si potrebbero integrare nella nostra economia, progetti come quello di Adopt me. La startup vincitrice del Bando Pin (Pugliesi innovativi) nasce grazie a Antonio Vaccariello e Lucia Delvecchio, giovani pugliesi cresciuti in famiglie di agricoltori.

Conoscendo l’ambiente, hanno deciso di rilanciare l’economia locale attivando l’adozione di ulivi, per riportare in auge la “filiera corta” simbolo di sostenibilità. L’azienda si impegna nel monitorare l’assorbimento di CO2 delle piante e dell’azienda e condividendo inoltre, informazioni sulla qualità del terreno e dell’acqua usata per l’irrigazione.

Attualmente sono stati adottati 300 ulivi, maggiormente secolari, ma l’idea è quella di espandersi in altre zone d’Italia, per aumentare la diversità. Valutando le analisi, gli studi e le iniziative citate, possiamo confermare che l’ulivo ha un ruolo peculiare su più fronti. E poiché sempre più aree nel mondo sono adatte alla coltivazione di ulivi, possiamo pensare che un giorno, la pianta della pace, sarà uno dei protagonisti della lotta contro i cambiamenti climatici.

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La COP 27 si conclude con una piccola grande vittoria e il malcontento di molti (ma non proprio tutti).

By : Aldo |Novembre 21, 2022 |Clima, Consumi, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno emissioni |0 Comment

Si è conclusa, con 30 ore di “ritardo” la 27esima edizione della COP; tra malcontenti e piccole vittorie, analizziamo la Convenzione del 2022.

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Sharm el-Sheikh

Nuovo anno, nuovo Stato ospitante; le uniche cose che non sono cambiate con gli anni sono gli obiettivi. Le ambizioni di quest’anno non erano tanto diverse da quelle di Glasgow, destando la preoccupazione scienziati e attivisti, che prima dell’inizio prevedevano un flop totale.  

La plenaria finale, complicata e poco armonica, ha sforato di 30 ore la fine della convenzione, terminando domenica 20 novembre. Le cause di questo ritardo sono dovute a risultati poco chiari, disaccordi tra stati, conclusioni deludenti e obiettivi mancati. Tra i temi più discussi, l’obiettivo 1,5°C correlato alle emissioni e il fondo “Loss and damage”.

Tenere la temperatura sotto 1,5°C

Sembra sempre più una “mission impossible” visto che gli stessi propositi  si rimandano da ormai 7 anni. Il disaccordo di più stati è dettato dall’assenza di vincoli legati alle emissioni o all’utilizzo di combustibile fossile; non ci son obblighi per nessuno. 

Si richiede principalmente la riduzione dell’uso del carbone per la produzione elettrica, non si parla della sua eliminazione, tantomeno un abbattimento delle conseguenti emissioni.  Oltretutto, la mancanza di obblighi conduce ad una poca efficienza del patto visto il traguardo da raggiungere entro il 2030. Infatti, l’impegno sarà concretizzato quando le emissioni saranno ridotte del 43% entro il 2030, peccato che con gli attuali trend si tocchi solo lo 0,3%.

La vittoria chiamata “Loss and damage”

Il tema più discusso è diventato l’unica vittoria della convenzione: l’istituzione del fondo “Loss and damage”, precisamente ‘perdita e danno’. Il fondo compensativo presuppone che gli Stati ricchi risarciscano quelli in via di sviluppo, per i danni causati dalla loro industrializzazione.  Il compito per la COP28 include la nascita di un comitato che deciderà quali paesi potranno attingere alle risorse del fondo e quali dovranno finanziarlo.

Anche questa modalità ha creato delle proteste poiché Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, non intendono essere gli unici finanziatori. Perciò chiedono, che il fondo venga finanziato anche da altre potenze economiche, come la Cina. Inoltre sarà difficile rispettare l’impegno per i paesi d’occidente vista la crisi post pandemia e l’attuale guerra in Ucraina. Al fine di ridimensionare l’accordo, Fran Timmermans (capo delegazione dell’UE) ha proposto ristori solo ai Paesi “più vulnerabili”. L’idea è frutto di un ragionamento più realistico che considera l’impossibilità di raccogliere i fondi per tutti i 100 Stati in via di sviluppo.

Punti di vista

Dopo la plenaria finale, sono sorti dubbi e critiche nei confronti del documento redatto. Proprio Timmermans affronta la discussione dichiarandosi deluso dalle decisioni prese:

“Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del “Loss and damage”, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e molto tempo, rispetto alla Cop26 di Glasgow.

Anche il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si espone sul verdetto:

“Tuttavia, il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che Cop27 non ha affrontato […]La Cop27 si conclude con molti compiti e poco tempo”.

Conclusioni

È ormai chiaro a tutti, che la 27esima edizione della convenzione, non abbia avuto un grande successo. L’istituzione del fondo è una grande vittoria, anche simbolica visto che proprio in Africa ci sono 9 dei 10 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. É una vittoria di tanti, dei più deboli, che per la prima volta sono stati ascoltati veramente ottenendo quello di cui avevano più bisogno.

Non si può dire lo stesso riguardo le emissioni, che hanno deluso molti, tranne chi gode di questo accordo non vincolante. Come dichiarato dalla ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock:

“L’Europa e i paesi più colpiti si sono battuti per norme molto più vincolanti. Un’alleanza tra paesi ricchi di petrolio e grandi emettitori lo ha impedito e ha posto inutili ostacoli sulla strada di 1,5°C”.

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La COP: obiettivi, limiti e protocolli per un’azione comune.

By : Aldo |Novembre 18, 2022 |Emissioni, Home, menomissioni, obiettivomeno emissioni |0 Comment
Mathias Reding - Unsplash

Si è svolta, tra il 6 e il 18 novembre, la 27a Conferenza delle Parti a Sharm el-Sheikh. Curiosità e critiche sono arrivate da tutto il mondo, ma prima di scoprire gli esiti della Convenzione in Egitto, spieghiamo cos’è la COP.

COP

La COP (Conference of Parties) è una riunione annuale alla quale partecipano i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, (UNFCCC). È un trattato ambientale internazionale firmato nel 1992 durante il famoso “Earth Summit” a Rio de Janeiro, che mira al raggiungimento di obbiettivi collettivi. Tra questi la riduzione delle emissioni di gas serra per evitare un ulteriore riscaldamento globale.

Da chi è formata

La convenzione firmata in primis da 154 Stati, oggi ne conta 197. I vari Paesi sono divisi in tre sezioni a seconda del loro sviluppo e quindi, a seconda delle loro possibilità d’azione.

  • Paesi dell’Allegato I (Paesi industrializzatie paesi ex socialisti ad economia in transizione: 40 Paesi e l’Unione europea).
  • Paesi dell’Allegato II (24 Paesi industrializzati)
  • Paesi in via di sviluppo

Si tratta di un criterio che porta a delle responsabilità “comuni ma differenziate”. Così i Paesi dell’Allegato I, hanno una responsabilità maggiore nella riduzione delle emissioni, perchè primi inquinatori e possessori di mezzi per raggiungere l’obiettivo.  Al contrario dei Paesi in via di sviluppo che non hanno le tali possibilità e di non possono arrivare a quelle mete, nello stesso tempo.

La storia della COP

Dal 1994 iniziarono ad essere organizzate annualmente le COP con l’obiettivo di “prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre”.


COP 1 Berlino 1995

Alla prima COP, si intraprese una fase di analisi e ricerca per poter sviluppare un futuro piano d’azione. Di seguito vennero istituiti di organismi di supporto e controllo, per essere sicuri che tutti rispettassero le decisioni prese con i mezzi preposti.

COP 3 Il protocollo di Kyoto 1997

Fu il primo vero successo della conferenza, con la ratifica di un nuovo protocollo che imponeva degli obblighi principalmente ai Paesi sviluppati.  Si sollecitò la riduzione di gas serra, in misura non inferiore all’8,65% rispetto a quelle del 1990, nel periodo 2008- 2012. Per entrare in vigore, il protocollo doveva essere ratificato da più di 55 Stati, produttori di almeno il 55% delle emissioni. Questa condizione si raggiunse nel 2004 con l’entrata della Russia, che da sola comportava il 17,6% delle emissioni, mentre gli USA si ritirarono con Bush.

COP13 Bali 2007: vennero finalizzati gli accordi sui meccanismi del Protocollo di Kyoto e si posero le basi per un’azione unita per affrontare i cambiamenti climatici.

COP14 Poznan 2008: venne ideato il “Fondo di adattamento”, si pensò ad un Kyoto-bis e si introdusse REDD+ (riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degrado forestale).

COP15 Copenhagen 2009: la missione di un accordo globale sul clima entro il 2012 fallì; venne rimandato tutto al 2015. Arrivarono le prime proposte per un Fondo Verde per il Clima.

COP 18 Doha 2012: si estese il protocollo di Kyoto fino al 2020 solo per Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia. Venne creato il meccanismo sul “Loss and Damage”, per il quale le nazioni ricche sono tenute a finanziare i Paesi poveri e più colpiti dal clima.  

COP20 Lima 2014: il Fondo Verde arrivò a 10,2 miliardi di dollari. Venne concordato che ogni governo dovesse presentare i propri impegni nazionali sul tema delle emissioni.

COP21 Parigi 2015: venne realizzato il patto globale sul clima, con 196 stati partecipanti, senza però alcun vincolo. L’unico limite definito fu quello di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura.

COP26 Glasgow 2020: dopo il grande fallimento di Madrid 2019, non sono cambiate tanto le cose. Sono stati fatti dei passi indietro per quanto riguarda i combustibili fossili, evitando la loro eliminazione.

 

Inoltre, il tempo limite per i 100 miliardi di dollari, è stato spostato dal 2020 al 2023. Oggi, 18 novembre 2022, si conclude la 27 esima COP tra i mille dubbi degli scienziati e i discorsi motivazionali António Guterres (segretario dell’ONU). A breve verranno esplicitati i traguardi raggiunti e le nuove proposte, ma tra le notizie sembra che non si sia realizzato molto.

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Siamo ufficialmente 8 miliardi di persone: cosa ci riserva il futuro?

By : Aldo |Novembre 16, 2022 |bastaplastica, Emissioni, energia, Home |0 Comment

Martedì 15 novembre 2022: la Terra è ufficialmente popolata da 8 miliardi di persone. Quali sfide affronteremo e quali situazioni dobbiamo cambiare il prima possibile?

Ralph Chang - Pexels

Verso gli 8 miliardi

Secondo le stime, nell’anno 1000, la Terra ospitava 400 milioni di persone, che aumentarono fino all’arrivo della peste nera. Nel 1346 infatti si verificò l’ultimo sostanziale decremento dell’umanità, che venne seguito da una forte ripresa supportata dalla scoperta dell’America e delle sue risorse.

Le nuove rivelazioni e la rivoluzione industriale cambiarono tutto: le nuove tecnologie miglioravano quotidianamente la qualità della vita e la sua durata. Quel processo ancora in atto, ha permesso una crescita esponenziale, soprattutto tra il 1900 e il 2000, periodo in cui siamo passati da 1 a 6 miliardi in mille anni.

 

Oggi

Ad oggi tocchiamo gli 8 miliardi. Una cifra grande, forse troppo per un pianeta che chiede aiuto, da tempo, a una specie che lo ascolta con poca attenzione.

Anche se ci troviamo nello stesso pianeta, nella nostra popolazione c’è un grande divario sociale, economico e sanitario, che deve essere ridotto. 

Da una parte ci sono le grandi nazioni, super sviluppate e ricche, hanno un’aspettativa di vita più lunga di 30 anni rispetto agli altri.

Dall’altra, Paesi poveri in cui fame, malattie, guerre e cambiamenti climatici rendono la vita sempre più difficile.

Per eliminare o almeno ridurre tale differenza, dovremmo affrontare insieme le grandi “sfide” per il bene di tutti.

L’alimentazione

L’alimentazione è uno dei protagonisti del divario. Da alcune analisi è emerso che ogni anno produciamo cibo per 12 miliardi di persone, che non viene consumato equamente. Infatti 1,3 miliardi di tonnellate, vengono sprecate ogni anno dai grandi Stati che contano il 13% degli adulti in sovrappeso.
Mentre, 800 milioni di individui soffrono la fame ogni anno. Secondo la Coldiretti, dopo la pandemia e l’inizio di una nuova guerra, possiamo intraprendere una sola strada. L’autonomia alimentare, per tutti, per assicurare cibo senza speculazioni o distorsioni commerciali ed evitare situazioni come quella che stiamo vivendo oggi. 

 

Cambiamenti climatici

È anche vero che le azioni di pochi possono cambiare la vita di molti. Al momento i Paesi d’Occidente sono i principali responsabili del riscaldamento globale per mezzo delle loro abitudini. I Paesi poveri (spesso dell’emisfero australe) chiedono aiuto perchè gli effetti delle nostre azioni li colpiscono ogni giorno.

Anche in questo caso, un’azione congiunta da parte dei più agiati, potrebbe risanare le condizioni di vita estremamente difficili di milioni di persone. Proprio per questo, alla COP27, verranno fissati nuovi obiettivi da raggiungere per rendere sostenibile la nostra massiccia presenza su questo pianeta.

In conclusione

Le risorse necessarie per la nostra sopravvivenza ci sono, sono disponibili nel nostro Pianeta, ma devono essere distribuite con altri criteri. Una migliore ripartizione, basata anche su nuovi accordi internazionali, potrebbe risolvere tante battaglie che sono in atto al giorno d’oggi.

Purtoppo fame e cambiamenti climatici colpiscono maggiormente chi è in possesso di poco o niente e perciò bisogna modificare la direzione dei nostri obiettivi. Al mondo serve una nuova visione d’insieme per permettere una vita degna di questo nome a più gente possibile, se non all’intera popolazione. E per tale sfida, necessitiamo di una collaborazione tra tutti, in ogni settore, guardando oltre i nostri orizzonti.

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Pixie e Trash Collec’Thor: l’innovazione contro l’inquinamento del mare.

By : Aldo |Novembre 13, 2022 |Acqua, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Pixie gira il Mediterraneo raccogliendo rifiuti dagli specchi d’acqua dei porti. Trash Collec’Thor, è un dispositivo mangia plastica installato in porti o pontili galleggianti. Ecco le nuove tecnologie per preservare le nostre acque. 

Çağrı KANMAZ - Pexels

 

“Un mare di idee per le nostre acque”

Questo è il nome della campagna nata nel 2019 grazie alla collaborazione tra Coop e LifeGate, uniti per mezzo dello stesso obiettivo: la sensibilizzazione.

Anche se già molto attivi nel campo della sostenibilità, entrambi volevano incrementare la loro influenza su cittadini e istituzioni sul tema della plastica nelle acque. Che si tratti di acqua del mare, di laghi o fiumi, i due grandi nomi hanno creato una campagna piena di progetti utili per il nostro futuro. Tra questi i famosi “Seabin” che 3 anni fa vennero pubblicizzati grazie al programma PlasticLess di LifeGate; ora in Italia ce ne sono 100 funzionanti.

Pixie

Il drone che pulisce gli specchi d’acqua porta il nome di una creatura fiabesca e forse non è un caso. Con una velocità di 3 km/h, Pixie è libero di “esplorare” piccole aree di porti o laghi raccogliendo di tutto. Vetro, plastica, metallo, organico, residui di olio e carburante galleggiante; può accumulare fino a 60 kg di rifiuti e 160 l di volume. Il drone è facilitato da una videocamera con portata di 300 metri ed è telecomandato da una distanza di 500 m, con 6 ore di autonomia.


Inoltre, è possibile seguire i progressi della sua attività tramite una web app: questo “spazzino” può essere definito con certezza, unico nel suo genere. É stato presentato a giugno (in Italia) in contemporanea mondiale con altri cinque Paesi (Francia, Grecia, Italia, Canada e Usa). Un progetto simile si chiama “Waste shark”, perchè ricorda lo squalo balena, con le fauci aperte pronte ad acchiappare tutto.

Trash Collec’Thor

Con rimandi al mondo del fantastico, anche questo Thor versione “pulizia dell’acqua” ci farà sognare. Il dispositivo in questo caso si occupa di galleggianti quali bottiglie, sacchetti mozziconi e anche microplastiche fino a 3 mm di diametro. Si installa nelle aree portuali, soprattutto nei tipici pontili galleggianti ed è sempre attivo, 7 giorni su 7. La sua capienza tocca i 100 kg, superando di gran lunga i Seabin (capienza di 20kg); mentre lo smaltimento dei rifiuti è facilitato da una carrucola.

Il futuro insieme

I vari progetti della campagna registrano cifre che fanno sperare in un futuro migliore poiché i risultati analizzati fin ora sono più che positivi. Dall’inizio del progetto fino a fine agosto 2022 sono state raccolte più di 39 tonnellate di rifiuti, il 70% dei quali è composto da plastiche. Solo il 20% è massa organica umida contaminata, quindi legnetti, rami, alghe, foglie; il restante 10% è incontaminato.

 

Purtoppo bottiglie, imballaggi alimentari, polistirolo, bicchieri, tappi, cannucce, cucchiaini e mascherine, sono gli oggetti più frequenti e sono quasi tutti legati all’alimentazione. Difatti la Coop, che è già in prima fila per imballaggi e spesa sostenibile, porta avanti il programma anche per rendere più consapevoli i propri clienti. Dopo Genova e Venezia, Pixie, approda in Toscana, precisamente al Club Velico di Castiglione della Pescaia dove potrà essere osservato in azione.

Quale sarà la prossima tappa?

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Mai più scontri tra balene e navi: l’AI che salverà i grandi cetacei.

By : Aldo |Novembre 09, 2022 |Acqua, bastaplastica, cetacei, Emissioni, Home, mare, plasticfree |0 Comment

Ogni anno più di 80 balene, muoiono a causa degli scontri con le navi nella West Coast. Per mettere fine a questa “normalità”, il Benioff Ocean Initiative dell’Università della California, ha sviluppato un metodo di monitoraggio interattivo.

Pixabay - Pexels

 

La situazione nei porti della California.

ㅤCome riportato 2 anni fa, i porti della California meridionale hanno in mano la maggior parte dei carichi oceanici di tutti gli USA. La situazione però non è diversa nei canali del nord, dove insieme alle migliaia di navi container ci sono anche tante balene in via d’estinzione.

La pericolosità di questo fenomeno aumenta quotidianamente, tanto che lo scorso mese, nella Baia di San Francisco è morta una megattera peculiare. Fran, la megattera famosa, grazie ai suoi 277 avvistamenti dal 2005, è morta a causa di un impatto con una nave.

Le cause

Per l’aumento della temperatura, le balene sono costrette a cercare cibo in zone per loro pericolose come i porti. Purtoppo, loro non sanno che quella in cui si dirigono è una zona stracolma di navi da container che non rispettano i limiti di velocità. Sì, in teoria le navi dovrebbero rallentare entrando nei porti, in pratica molti capitani non rispettano la regola e le conseguenze sono chiare a tutti.

Succede nei pressi di San Francisco e di Santa Barbara: ogni anno muoiono più di 80 balene per gli scontri con le navi. Solo tra il 5% e il 17% delle carcasse viene recuperato, il resto affonda senza lasciare traccia, tra la noncuranza di marinai, capitani e lavoratori.

Whale Safe

Douglas McCauley, direttore del Benioff Ocean Initiative della University of California e la sua squadra hanno trovato una soluzione per proteggere le balene. Whale Safe è un nuovo sistema di monitoraggio in funzione dal 2020 nella baia di San Francisco e dal 2021 nel canale Santa Barbara. Il programma è basato sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nelle cosiddette boe intelligenti ideate da Mark Baumgartner. Grazie al suo lavoro presso il Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts, oggi è possibile monitorare gli individui e salvarli.


Il meccanismo

Le boe intelligenti sono collocate a 40 km dalla costa e sono connesse a microfoni che si trovano a 80m di profondità. In questo modo, i microfoni captano il canto delle balene che solitamente si muovono tra i 400 e gli 800 metri di profondità. Successivamente, le boe trasmettono i versi ad una centrale tramite satellite e grazie ad un database si stima l’area interessata dai “giganti marini”.

Questo sistema è affiancato dall’app Whale Alert, con la quale chiunque può segnalare un avvistamento in tempo reale. Così, la centrale crea un indice di presenza sempre più preciso, con il quale informa le navi della possibile presenza di individui. L’indice varia da un livello basso ad uno molto alto e sfortunatamente, ad oggi, sia a San Francisco che a Santa Barbara registrano un livello altissimo. Oltre alle boe e all’app, Whale Safe ha pensato bene di creare delle pagelle per le navi, rendendo pubblici i dati sulla condotta di ognuna.  

Le pubblicazioni mettono chiunque al corrente dei comportamenti delle navi, quindi del loro atteggiamento rispetto la salvaguardia delle balene. Per ora, il sistema sembra funzionare e con le pagelle le varie società commerciali non possono più nascondersi. La salvaguardia delle balene in via d’estinzione è fondamentale per la biodiversità ed è importante che al giorno d’oggi si sfruttino le migliori tecnologie per questi progetti.

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Le megalopoli sprofondano: la subsidenza delle coste asiatiche aumenta pericolosamente.

By : Aldo |Novembre 07, 2022 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menoacqua |0 Comment

Molte delle megalopoli asiatiche costiere, stanno sprofondando sotto il loro stesso peso con velocità mai viste prima. Le città e i suoi abitanti rischiano cambiamenti disastrosi e per questo servono soluzioni pratiche nel minor tempo possibile.

Nguyen Duc Toan - Pexels

 

Le cause.

La ricerca svolta dalla Nanyang Technological University (NTU) di Singapore spiega come l’uomo sia il vero colpevole di questo sprofondamento. Le analisi dimostrano che le megalopoli sulla costa hanno un peso notevole, che ha innescato un processo di subsidenza molto veloce, della litosfera.

Tutto ciò è accentuato dai bisogni dei milioni di cittadini che vivono l’area, come quello di procurare l’acqua potabile. Attingere alle falde acquifere era fondamentale vista la rapida urbanizzazione; peccato che con un’opera necessaria come questa il terreno si sia indebolito e abbia ceduto.

Esempi

Lo studio, sviluppato su 48 megalopoli asiatiche costiere, ha riportato il livello di pericolo a cui è sottoposta, ciascuna delle città. Quasi tutte affondano ad una velocità di 16,2 mm l’anno e alcune toccano anche i 20 mm. Sono città sovrappopolate come Ho Chi Minh City (detta Saigon- Vietnam), che ospita 8,993 milioni di abitanti, Chittagong (Bangladesh) con 8,44 milioni di cittadini. E poi ancora Ahmedabad (India), Giacarta (Indonesia) e Yangon (Myanmar) che contano rispettivamente 3, 11 e 5 milioni di abitanti.

L’innalzamento del livello del mare.

È ormai chiaro che l’innalzamento del livello del mare è uno dei tanti effetti dei cambiamenti climatici.  Ed è anche risaputo, che sia tutto in mano all’uomo: l’aumento delle alterazioni ma anche la ricerca di soluzioni a tali problemi. In questo caso, milioni di cittadini dovranno sommare al primo grande problema, l’aumento del livello del mare che potrebbe invadere completamente le loro case.

Questo si verificherà perchè in tantissime zone costiere del mondo, l’uomo ha costruito palazzi e grattaceli, se non megalopoli a ridosso del mare. Il processo erosivo del moto ondoso determina la fragilità dell’ambiente costiero; non è novità, è un processo naturale che avviene con o senza popolazioni umane.

Futuro.

Secondo il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, più di 1 miliardo di persone sarà a rischio nell’arco di 30 anni.
Gli scienziati hanno quindi allarmato in particolare queste megalopoli, proprio perchè la loro urbanizzazione veloce e massiccia, potrebbe creare grandi danni anche prima del previsto.

Come affermato dagli scienziati, non è il mare la causa principale dello sprofondamento, ma l’uomo e le sue attività. Bisogna ricordare che il mare non è contro l’umanità ma segue solo il suo percorso, quindi qualsiasi danno alle popolazioni, dipende solo dalle azioni dell’uomo.

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Ottenere metalli rari dai rifiuti elettronici: da oggi sarà più semplice e più sostenibile.

By : Aldo |Novembre 06, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home |0 Comment

All’Università del West Virginia, il professore Terence Musho ha ideato un forno preziosissimo che permette di ricavare metalli rari dagli scarti elettronici.  Si calcola che solo gli oggetti che usiamo quotidianamente, come grandi e piccoli elettrodomestici e i dispositivi informatici hanno prodotto 57,4 milioni di tonnellate di rifiuti nel 2021.

Per questo è stato ideato il forno o capsula: è di piccole dimensioni e facile da trasportare in moduli ed ha la capacità di raggiungere alte temperature in poco tempo.  Secondo il DOD, il dispositivo potrebbe essere applicato in vari ambiti per poter ridurre i rifiuti e supportare maggiormente l’economia circolare.

Inoltre potrebbe essere una soluzione rispetto agli attuali metodi di estrazione che hanno un forte impatto ambientale. 

Tima Miroshnichenko - Pexels

Il problema dei rifiuti elettronici

Quella dei rifiuti elettronici è una questione sempre più importante e un problema sempre più incombente a causa dell’aumento della produzione di prodotti elettronici. Gli oggetti che usiamo quotidianamente, come grandi e piccoli elettrodomestici e i dispositivi informatici hanno prodotto 57,4 milioni di tonnellate di rifiuti nel 2021.

Un peso equiparabile a quello della Grande Muraglia cinese, l’opera artificiale più pesante sulla terra. Però, attraverso il riciclo, gli e-waste possono restituire parte dei metalli rari che li compongono e che hanno un grande valore economico.

Per quanto riguarda il riciclo, l’Europa ha un tasso del 42.5% (è il continente più virtuoso), gli USA del 15% mentre l’Africa non arriva all’1%.

Il forno “portatile”

Sulla base di queste stime, il professore Terence Musho della West Virginia University, ha creato un forno per estrarre i metalli rari dai rifiuti elettronici. Il Dipartimento della difesa americano (DOD) ha finanziato il progetto con 250 mila dollari perchè pensa possa garantire un servizio fondamentale per tutto il pianeta.


Il forno o capsula, è di piccole dimensioni e facile da trasportare in moduli ed ha la capacità di raggiungere alte temperature in poco tempo. Tali qualità rendono possibile l’estrazione di metalli come il palladio, l’indio, il tantalio e altri minerali spesso anche più importanti dell’oro.

Le applicazioni

Secondo il DOD, il dispositivo potrebbe essere applicato in vari ambiti per poter ridurre i rifiuti e supportare maggiormente l’economia circolare. Grazie alle sue caratteristiche il forno potrà offrire un servizio itinerante per permetter il riciclo in luoghi in cui mancano gli impianti adeguati.

Potrebbe essere installato nelle città così da creare un punto di riciclo e permettere un maggiore e migliore smaltimento dei dispositivi. Un’applicazione ancora più formidabile sarebbe quella relativa allo spazio, dove sono presenti 9300 tonnellate di rifiuti derivati dalle attività antropiche (es. parti di satelliti) Sarà possibile, infatti, raccogliere i satelliti obsoleti, riciclarli e utilizzare nuovamente i suoi metalli per creare nuovi prodotti, riducendone anche i costi.

Indipendenza dalla Cina.

Un altro aspetto fondamentale per l’America e non solo, sarebbe il raggiungimento dell’indipendenza dalla Cina che detiene il monopolio sull’estrazione e produzione di metalli rari. Il gigante cinese attualmente tiene in pugno tutto il mondo, perchè i metalli rari sono impiegati in tutti i dispositivi tecnologici, oggi largamente richiesti. Tuttavia, se gli altri stati riuscissero ad ottenere la risorsa, per mezzo del riciclo, non sarebbero completamente dipendenti dalla Cina, sotto questo punto di vista.

Il prototipo di “forno” creato potrebbe essere una soluzione rispetto ai metodi di estrazione con un forte impatto ambientale. Modalità già presenti ma poco diffuse come l’idromettallurgia, la pirometallurgia o la bioidrometallurgia, comportano enormi quantità di acque reflue inquinanti oppure sono poco efficienti. Sarà questa la nuova tecnologia renderà più sostenibile il settore elettronico moderno?

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Takachar: dagli scarti al combustibile pulito.

By : Aldo |Novembre 03, 2022 |Efficienza energetica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

L’azienda Takachar ha trovato una soluzione per ridurre l’inquinamento dovuto alla combustione di biomassa, vincitore di numerosi premi nel 2018

Pixabay - Pexels

Takachar

L’impresa fondata nel 2015 da Kevin Kung e Vidyut Mohan ha un’unica missione: combattere il cambiamento climatico lavorando con la biomassa, la loro specialità. Nello specifico hanno brevettato un macchinario alla portata di tutti gli agricoltori, per poter trasformare la biomassa in combustibile o fertilizzante, direttamente nei loro campi. Questa innovazione consentirà agli agricoltori di ridurre l’inquinamento, perdere meno tempo e azzerare i costi per la produzione di fertilizzante.

Combustione di scarti agricoli.

Nei campi agricoli c’è ancora molto lavoro da fare per quanto riguarda le norme sulla sostenibilità e l’attenzione verso il capitale naturale. Fusti di mais, lolla di riso, fieno, paglia vengono puntualmente bruciati per preparare il campo alla semina successiva, incrementando l’inquinamento atmosferico. A causa di queste tecniche desuete (purtoppo quotidiane), ogni anno si perdono 120 miliardi di dollari in scarti agricoli e alberi.

Il macchinario

Il macchinario brevettato e certificato dal MIT è una vera e propria scoperta che funziona per mezzo di 3 componenti: biomassa, aria e calore. Per prima cosa si brucia parte della biomassa per produrre il calore che scalderà il resto del contenuto rilasciando gas. Successivamente si introduce dell’aria per alimentare la combustione dei gas e generare altro calore che faciliterà lo svolgimento e il continuo della reazione termochimica.

La svolta sostenibile.

La sostenibilità di questo dispositivo si riscontra su aspetti riconducibili a molteplici obiettivi dell’agenda 2030. Obiettivo 12, Produzione e consumo responsabili: il macchinario elimina le risorse fossili per produrre combustibili e fertilizzanti. Inoltre, elimina più del 95% di fumo rispetto alla combustione tradizionale o quella indotta da incendi.

Obiettivo 13, Azione climatica: ridurrà le emissioni di CO2 pari a 700 milioni ton/anno entro il 2030. Per di più, aumenta del 40% il guadagno netto delle comunità rurali, creando un mercato per gli scarti agricoli. Nello specifico, il 90% di biomassa, viene trasformato in combustibile solido che varrà più del classico prodotto. Si ridurranno i costi di due terzi, visto che gli agricoltori avranno il prodotto finito già nel loro campo evitando i trasporti di biomassa.
In questo modo sarà favorita una possibilità di guadagno per gli agricoltori che potranno rivendere il prodotto ottenuto o tenerlo per le proprie attività.

Tutto ciò è importante visto che nelle zone di campagna, soprattutto nei paesi poveri, la risorsa più utilizzata per la produzione di energia è ancora il combustibile fossile. Con Takachar si intravede un cambiamento che potrebbe modificare le abitudini di molti per un futuro migliore.

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I Gondolieri Sub: i volontari che puliscono i canali di Venezia.

By : Aldo |Novembre 02, 2022 |bastaplastica, Home, mare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

I gondolieri sono i veri padroni di Venezia; nessuno conosce i canali meglio di loro che li vivono 365 giorni l’anno. Così è nata un’associazione per la pulizia dei canali per mezzo di volontari speciali, i gondolieri sub.

Helena Jankovičová Kováčová - Pexels

I Gondolieri Sub.

Potrebbe sembrare il nome di gruppo di supereroi e in parte potremmo dire che si tratta proprio di loro. I Gondolieri Sub sono un gruppo di gondolieri che possiedono il brevetto da subacqueo e lo sfruttano per offrire un servizio speciale alla comunità.

L’iniziativa.

Il progetto è nato nel 2019, promosso dal comune di Venezia e dall’azienda che si occupa della pulizia della città, Veritas. Quest’ultima ha messo ha disposizione dei battelli per la rimozione dei rifiuti speciali e per garantirne il giusto smaltimento. Al loro fianco anche le pattuglie dei vigili urbani che controllano e bloccano il traffico dei canali interessati dalla pulizia.

Il “clean up” dei canali.

Il “clean up” dei canali i svolge nelle acque torbide dei canali pieni di rifiuti di ogni tipo. I sommozzatori si aiutano con le torce e sono dotati anche di  videocamere per documentare l’attività a tutto tondo, sia dentro che fuori l’acqua. Sui fondali è stato trovato qualsiasi tipo di rifiuto: scarti di cantiere, pezzi di arredamento, un’elica, molte bottiglie e tubi, telefoni, tv, sanitari. I sub hanno trovato anche materiali di grandi dimensioni, come carretti e scale che possono diventare un pericolo per la navigazione.

Il retino in gondola.

Tra i vari rifiuti, la plastica ha primeggiato per quantità e frequenza ma questo non ha spaventato i subacquei, che hanno trovato subito un rimedio.
Infatti, alcuni gondolieri hanno allestito le proprie gondole con dei retini per raccogliere la plastica (principalmente quella in superficie) durante i loro tour.
Altri oggetti che tengono testa alla plastica sono i copertoni utilizzati come parabordi per le barche. Le corde che li tengono si possono sciogliere, quindi, le ruote affondano senza riemergere, da qui la scelta di sostituirli con i galleggianti.

I risultati.

Il piano, inizialmente sperimentale, è oggi un progetto di collaborazione di 2 anni tra l’associazione e la giunta del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Si sono svolte circa 15 immersioni grazie alle quali i volontari hanno portato alla luce più di 9000 kg di rifiuti L’attività ha riscosso un grande successo ed è diventata virale dopo l’ultima immersione (30 ottobre) con dei video girati dai passanti. I 12 volontari del gruppo hanno già stabilito le prossime date, sono pronti a ripulire la città e a sensibilizzare i cittadini sul tema.

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Halloween in costume… da bagno: le temperature da record in Italia.

By : Aldo |Ottobre 31, 2022 |Clima, Home |0 Comment

Ad Halloween, i termometri raggiungeranno i 27°C e la gente andrà al mare per un tuffo invece di mangiare caldarroste davanti al camino.

Il mese di ottobre.

In Italia, ottobre è caratterizzato da un clima mite, diviso idealmente in 2 fasi che prevedono il termine dell’estate e l’inizio dell’autunno vero e proprio. La prima parte del mese determina la fine della bella stagione, con qualche grado in meno rispetto a settembre. Mentre le ultime due settimane, sono più fresche perchè più vicine a novembre e all’inverno.

L’anomalia del 2022.

Quest’anno invece, l’estate è continuata fino alla fine di ottobre in modo anomalo, forse prevedibile. I primi giorni di ottobre, anche se caldi, rientravano nella norma, mentre gli ultimi 15, hanno visto temperature insolite. Si tratta di massime che variano tra i 25°C e i 27°C, cifre assurde, che ci permettono di iniziare novembre a mezze maniche.

Vlad Chețan - Pexels

Caldo da record prevedibile?

Probabilmente il record non poteva essere previsto, ma l’estate lunga 4 mesi potrebbe diventare una normalità in futuro. Come affermato da Luca Mercalli in un’intervista per Rai News, il clima sta inviando segnali chiari ai quali non possiamo sottrarci. Il climatologo mette in guardia i lettori dichiarando la necessità di un cambio repentino dei nostri piani d’azione contro i cambiamenti climatici.

Gli effetti.

La siccità si protrae e continua ad alterare i cicli e gli equilibri della natura. Le zanzare hanno prolungato il loro periodo di riproduzione portando malattie tropicali in Europa, mentre le api soffrono. L’agricoltura combatte la siccità, ma il caldo potrebbe causare una fioritura precoce delle piante che geleranno o bloccheranno la crescita appena le temperature si abbasseranno. Tutto ciò avrà un grande impatto sulla produzione agricola e sui suoi prezzi. Un esempio sono le zucche Made in Italy che per varietà, qualità e versatilità sono tra le migliori al mondo; per via del caldo hanno tagliato la loro produzione del 15%, aumentandone i prezzi.

Insomma, per quanto possa piacere l’idea di Halloween in costume… da bagno, non ci si può abituare a questa situazione; bisogna affrontare il problema principale. I cambiamenti climatici sono sempre più intensi ed è importante rallentare il loro andamento, usando nel modo più efficiente tutte le tecnologie e i mezzi a disposizione.

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Palline di caffè sostituiscono le tradizionali capsule; l’innovazione svizzera.

By : Aldo |Ottobre 28, 2022 |Arte sostenibile, bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment

Sembra assurdo ma c’è una soluzione più sostenibile rispetto alle capsule di caffè in alluminio o compostabili.

Adam Lukac - Pexels

La pallina di caffè.

CoffeeB. presenta la pallina di caffè come una sfera compatta pronta all’uso. È ricoperta da un velo a base di alghe, inodore e insapore per evitare l’ossidazione del caffè e conservarne l’aroma. E per sapere la tipologia del contenuto, ognuna riporta un’incisione sulla superficie.  La stessa azienda ha anche creato le macchine adeguate alla nuova tecnologia, costituite interamente da materiali riciclati.

L’idea di Migros e la collaborazione con CoffeeB.

Migros, una delle maggiori aziende svizzere nella grande distribuzione, ha collaborato con CoffeeB per un caffè sostenibile al 100%. L’impresa di caffè svizzera spiega nel suo sito, come la capsula del caffè nata in Svizzera nel 1976, fu una fantastica innovazione. Peccato per l’impatto negativo sull’ambiente; 120 mila tonnellate di rifiuti sono prodotte ogni anno per il commercio delle varie capsule, comprese quelle sostenibili. Di conseguenza, le due aziende svizzere si sono impegnate nella ricerca di una soluzione per limitare la produzione di ulteriori rifiuti in questo ambito.

Il concetto di sostenibilità.

Come riportato nella pubblicità, CoffeeB propone “la capsula migliore non è una capsula”. Grazie a questa idea, l’azienda riesce ad azzerare i rifiuti legati al commercio di caffè che aumentano sempre di più col passare degli anni. Infatti, le sfere sono raccolte in un cartone riciclabile senza ulteriori involucri eliminando alluminio, bustine e capsule di plastica (anche se biodegradabile).


L’impegno internazionale.

Migros ha curato anche l’aspetto della produzione del caffè, con un’attenta analisi sui vari step della catena per vendere un prodotto interamente sostenibile. Le miscele derivano da coltivazioni sostenibili certificate Rainforest Alliance e Organic and Fairtrade. Il sistema gode del 100% di compensazione di CO2. Macchina e capsule sono in commercio in Svizzera e Francia, dalla prossima primavera approderanno in Germania, ma tante catene di altri Paesi sono interessate al prodotto.

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La Spagna contro gli sprechi alimentari: dal 2023 doggy bag obbligatorie e altre iniziative

By : Aldo |Ottobre 26, 2022 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, Rifiuti |0 Comment

La Spagna pone fine agli sprechi alimentari con la nuova legge che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023.

Fidel Fernando - Unsplash

I dati alla base della legge.

La legge proposta dal ministro spagnolo dell’agricoltura, della pesca e dell’alimentazione Luis Planas, si basa su accurate analisi in materia di sprechi alimentari del paese iberico. Nel 2020 gli spagnoli hanno sprecato 1430 tonnellate di cibo (31 kg a persona), ma non sono gli unici colpevoli.   Infatti, il 20% delle perdite derivano dalle catene di produzione e il 40% degli sprechi si verificano tra la vendita e l’uso domestico.

Differenza tra perdita e spreco alimentare.

É importante ricordare la differenza tra questi due termini perchè indicano due situazioni diverse. La perdita alimentare si verifica nei processi che precedono l’entrata nel circuito di commercializzazione. Lo spreco alimentare invece, avviene nei negozi, nei ristoranti e nelle case, quindi tutto quello che viene perso dopo l’entrata in commercio.

Inestetismi del cibo

Supermercati e negozi alimentari dovranno creare linee di vendita per prodotti “Brutti, imperfetti o poco attraenti” per ridurre le perdite causate da inestetismi del cibo. Così si sensibilizza il pubblico al consumo di prodotti meno “belli” che solitamente sono più naturali di altri, perchè privi di pesticidi o composti chimici. Il governo quindi punta tutto sul concetto di prodotti stagionali, locali e biologici per diminuire perdite e sprechi.

Donazioni, doggy bag e marmellate

Per le industrie dovranno istituire collaborazioni con organizzazioni di quartiere e banchi alimentari così da aiutare le persone in difficoltà evitando ulteriori sprechi.  Invece, i ristoranti dovranno avere tutto l’occorrente per le “Doggy-bag” e permettere ai clienti di portare a casa quello che non hanno mangiato.

Tuttavia, sarebbe opportuno che la richiesta del contenitore partisse dal ristoratore e il personale. Le medie e le grandi imprese dovranno trasformare la frutta invendibile in succhi e marmellate per esempio (esclusi i negozi più piccoli di 1300 m2).

Sanzioni

Nel caso in cui manchi un piano di prevenzione, si ricorre ad una multa che va dai 2 mila ai 60 mila euro. La sanzione può arrivare anche ai 500 mila euro in caso di recidiva.

Funzionerà?

Molti si chiedono se le istituzioni porteranno a termine questo intricato compito visto che non possono controllare tutti gli step della produzione.
Non si può controllare ogni singola attività né ogni ristorante, ci sono dubbi anche sul controllo della trasformazione degli alimenti in altri prodotti. Un fatto altrettanto fondamentale da tenere a mente è l’impossibilità di azzerare lo spreco alimentare.
Senza dubbio possiamo compostare alcuni scarti o riutilizzarli in cucina, ma non mangiamo ossa e spine degli animali o i semi della frutta, quindi li buttiamo. Per ora bisognerà aspettare il 2023 e dal momento in cui la legge funzionasse, l’Italia potrebbe prendere spunto per proporre una legge simile.

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Ad Ostia il plogging si fa in spiaggia: Ostia Clean-Up in prima linea per l’ambiente.

By : Aldo |Ottobre 24, 2022 |bastaplastica, Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment
Ostia Clean-Up

Cos’è il plogging?

Il plogging è una nuova pratica che unisce lo sport e l’ambiente in modo da raccogliere i rifiuti mentre si svolge un’attività fisica all’aria aperta. Per strada, in un parco o in spiaggia, il plogging è sempre utile e può rendere divertente anche la pulizia dell’ambiente che ci circonda.

L’idea del podista svedese

Nasce per conto di un podista svedese Erik Ahlström, che nel 2017 diffonde l’iniziativa sui suoi canali social, invitando la gente a seguire il suo esempio. Il consiglio dell’atleta fu preso alla lettera tanto che il plogging iniziò ad essere diffuso velocemente diventando in alcuni casi una disciplina agonistica.  Il nome deriva dall’unione dell’inglese “running” (correre) e dello svedese “plocka upp” (raccogliere), una corsa con piccole pause per raccogliere i rifiuti.

Il Primo Giro d’Italia di Plogging

In ogni caso, ognuno è libero di praticarlo come vuole e proprio così prende piede il 1° Giro d’Italia di Plogging nel 2022. Il tour organizzato a fine 2021 con l’obiettivo di avere almeno una tappa per regione ha superato di gran lunga le aspettative. L’idea è stata accolta con grande successo, tanto da contare 46 tappe, partendo il 23 Gennaio da Pordenone e terminando il 27 novembre a Cagliari. Nel Lazio il plogging si ferma in due tappe di cui una ad Ostia, dove l’organizzazione di volontariato Ostia Clean-Up ha promosso l’iniziativa in spiaggia.

Ostia Clean-Up 

L’odv di Ostia fondata a marzo 2019 è una realtà nuova, fresca, con un obiettivo importante.

Per questo, in occasione del plogging abbiamo intervistato due delle organizzatrici dell’evento, nonché tra le prime volontarie del gruppo.

“Come è nato il gruppo?”

Isabel: “Ostia Clean-Up è stata creata a Marzo del 2019 da Giordano Margaglio (uno dei fondatori) che successivamente ha ha ampliato il gruppo.
Dopo una “selezione” di persone, siamo diventati in poco tempo un’organizzazione volta al miglioramento del territorio e alla sensibilizzazione con idee e attività per tutti.”

Silvia: “Ovviamente la selezione non è stata casuale. Ognuno di noi ha espresso la volontà di cambiare la situazione ad Ostia, perchè mossi dall’amore per il nostro mare e tutto quello che lo concerne.
Oggi dopo 3 anni e mezzo, oltre ad essere un gruppo affiatato siamo anche un gruppo di amici di varie età e vite diverse.”

Esattamente cos’è un clean up?

Silvia: “Un clean up non è altro che una pulizia di un luogo, che viene svolto nel nostro caso da volontari.

Noi ci occupiamo maggiormente di spiagge ma abbiamo organizzato anche eventi al parco Clemente Riva, nella pineta di via Mar Rosso o in quella di Castel Fusano.

Isabel: “Ci teniamo a ribadire che non sostituiamo l’AMA; quindi, non facciamo pulizie su richiesta né su strade né sui marciapiedi, poiché di competenza del comune. Attualmente contiamo più di 8000 kg di rifiuti raccolti grazie all’aiuto di 1000 volontari; sono numeri grandi che speriamo aumentino (tranne quelli dei rifiuti ovviamente).

Come si svolge un vostro evento?

Silvia: “Pubblicizziamo l’evento nelle nostre pagine social per informare le persone, non ci sono liste per registrarsi, basta presentarsi nel punto d’incontro.
Una volta riuniti tutti i volontari, spieghiamo come differenziare i rifiuti e poi siamo attivi per più o meno 2 orette.
Dopodiché pesiamo i sacchi con l’immondizia per sapere quanto abbiamo raccolto e infine scattiamo una foto tutti insieme.

 

Fare la differenziata è importante, come la gestite in un evento come questo?

Isabel: “Dividiamo il vetro e la plastica, ricordando prima di iniziare la raccolta, che vanno prese solo bottiglie di plastica, lattine e polistirolo.
Tutto il resto lo consideriamo indifferenziato perchè essendo oggetti a volte consumati o degradati, non possiamo dire con certezza cosa sono e se sono riciclabili.

Silvia: “L’unico problema è lo smaltimento; siamo costretti a caricarci i sacchi, spesso molto pesanti, perchè non abbiamo aiuti di nessun tipo.
Dopo la pandemia non abbiamo più ricevuto risposte da chi prima ci supportava nello smaltimento da tempo siamo costretti a lasciare per terra i rifiuti speciali perchè non possiamo gettarli nei cassonetti, né abbiamo i mezzi per portarli all’isola ecologica.

Isabel: “Ci dispiace che ci sia poco interesse da parte delle istituzioni, ma continuiamo con la nostra attività; preferiamo agire invece di fermare il tutto.

Oltre ai clean up svolgete altre attività?

Silvia: “Oltre ai clean up organizziamo un evento chiamato Bibliot-eco, ovvero la prima biblioteca ecologica di Roma. Lo scopo è quello di incentivare la lettura attraverso il riciclo; infatti, con 5 bottiglie di plastica si può scegliere un libro dalle librerie.
Questa biblioteca è stata creata grazie alle donazioni di libri da parte di conoscenti e volontari, per questo abbiamo libri di ogni tipo.
Le bottiglie che raccogliamo sono usate durante i workshop nelle scuole.

Isabel: “Programmiamo anche giornate nelle scuole e nell’università, nelle quali parliamo delle soluzioni sostenibili per la vita quotidiana.
In questo modo  incentiviamo i ragazzi ad essere parte del cambiamento che serve al pianeta.
Presentarsi nelle scuole per noi è molto importante e siamo orgogliosi di poter partecipare alla formazione dei ragazzi, dalle elementari fino all’università.

 

Tornando all’evento principale, come è andato il vostro Plogging?

Silvia:  “È andato benissimo, forse meglio di quanto ci aspettassimo.
Hanno partecipato tra le 55 e le 65 persone, bambini, ragazzi e adulti tutti volenterosi e gasati per l’evento.
Abbiamo perfino avuto la fortuna di essere preceduti dal gruppo di percussionisti itineranti “Caracca” che sono riusciti ad attirare l’attenzione dei passanti al Pontile.

A causa del forte vento, il percorso è stato accorciato di qualche metro, portando comunque  a termine l’evento, nel miglior modo possibile.

Isabel: “In totale sono stati raccolti 65 kg di rifiuti di cui all’incirca 55 di indifferenziata, 5 di plastica e 5 di vetro. Siamo soddisfatti per l’esito dell’evento, c’erano più persone di quante ne avevamo previste anche con il tempo il vento contro.

É così che si presenta l’ODV.

Un gruppo di giovani tra i 20 e i 35 anni con il sogno comune di cambiare il proprio territorio.
Tra studio e lavoro, si impegnano per poter avere un futuro migliore e sensibilizzare i cittadini, per spiegare quanto sia importante il tema.

I ragazzi di Ostia Clean-Up sono su tutte le piattaforme social, disponibili per chiarire dubbi e dare ulteriori informazioni rispetto il loro volontariato.

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Zeno combatte la pesca a strascico: l’Università di Pisa si unisce a Greenpeace.

By : Aldo |Ottobre 21, 2022 |Acqua, bastaplastica, Emissioni, Home, mare, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti, plasticfree, Rifiuti |0 Comment
Kindel Media - Pexels

Cosa nasce dall’unione tra l’Università di Pisa e Greenpeace? Zeno.

Il robot

Zeno è un robot progettato dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa per combattere la pesca a strascico illegale. É un dispositivo compreso di sonar con i quali descrive la conformazione e la presenza di solchi nel substrato marino grazie all’analisi dell’eco riflessa. Le fotocamere servono per dare maggiori informazioni visive per la successiva mappatura del fondale oltre i 50 metri, una zona solitamente difficile da monitorare. I solchi e le attività illecite in aree protette che Zeno è in grado di captare sono correlati alla pesca a strascico illegale.

La pesca a strascico

É un metodo di pesca che consiste nel trainare attivamente una rete da pesca sul fondo del mare con un impatto negativo su vari aspetti. É capace di distrugge interi ecosistemi come le praterie di posidonia e non consente una vera selezione delle specie raccolte.

Infatti, i pescherecci non fanno differenza tra esemplari adulti o giovani, né tra specie commerciali e non commerciali, comportando gravi modifiche all’equilibrio dell’ambiente marino. In Italia è stata quindi vietata questa tecnica entro le 3 miglia marine o sopra i 50 metri per risanare la problematica.

Purtroppo, molti pescherecci continuano la loro attività creando danni irreparabili, diventando una delle prime cause del depauperamento del coralligeno, delle praterie di posidonia e della fauna ittica.

Greenpeace e l’Università di Pisa

La nota ONG Greenpeace e il dipartimento di Ingegneria dell’Informazione si sono uniti per poter monitorare le possibili attività illecite con l’aiuto del robot. Sotto la guida del docente di robotica, Riccardo Costanzi, hanno testato il drone nell’area di Castiglione della Pescaia (Grosseto) verso la fine di giugno 2022.

Nei mesi successivi si sono spostati nell’area di foce dell’Ombrone e poi nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. La richiesta parte dall’organizzazione, che per contrastare l’illegalità nel campo ambientale, ha scelto di rivolgersi al mondo della ricerca soprattutto per verifiche e monitoraggi validi e specifici. Per le stesse ragioni, il dipartimento si  è reso disponibile a queste collaborazioni per dare il proprio contributo nella transizione ecologica e per un miglioramento a livello ambientale.

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Genius Watter rende l’acqua potabile in Africa grazie all’energia solare.

By : Aldo |Ottobre 19, 2022 |Acqua, Arte sostenibile, Consumi, Emissioni, Home |0 Comment

Dario Traverso, CEO della startup Genius Watter, ha cambiato le sorti di migliaia di persone in Africa, dove l’acqua è ancora un bene prezioso, lontano e per pochi.

Amritanshu Sikdar - Unsplash

Genius Watter

La giovane compagnia è nata nel 2018 ed è guidata da Dario Traverso e suo padre Franco. Considerato uno dei pionieri nel settore dell’energia solare, fu il primo a costruire un campo fotovoltaico in Burundi e come lui, il figlio ha portato avanti questo progetto oltre i confini nazionali. La startup ha una missione, quella di fornire acqua potabile attraverso l’energia del sole, basandosi esclusivamente su strategie sostenibili a livello economico e ambientale.

Il sistema Geniu Ro

Il sistema usato è capace di desalinizzare l’acqua di mare o quella salmastra, purificandola dai contaminanti, producendo dai 5 ai 1000 m3 d’acqua potabile al giorno. L’installazione funziona con un’osmosi inversa, alimentata da energia solare al 100% così che l’acqua sia accessibile economicamente anche nelle aree più povere del continente.

Inoltre, l’impianto che viene spedito dall’Italia per intero, è autonomo, monitorato da remoto e con sé ha tutti i pezzi di ricambio di cui potrebbe aver bisogno. In questo modo, si garantisce un’ottima gestione della struttura e delle prestazioni, soprattutto nel caso di avarie tecniche o di altro tipo.

Il progetto

Dal 2018 ad oggi sono stati installati impianti per magazzini, campi agricoli, serre, per intere comunità ma anche per hotel e privati. Di questi progetti, 4 sono a Capo Verde e l’ultimo è situato a Caynabo in Somaliland, dove la quotidianità è eccessivamente complicata anche a causa dell’estrema povertà.

Proprio qui, grazie alla collaborazione con l’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), Genius Watter porta a più di 10.000 persone, 50 m3 d’acqua al giorno. Nel piano è compresa la formazione di tecnici e ingegneri locali, che a loro volta formeranno altri lavoratori apportando un enorme cambiamento nella loro vita.

La visione socioeconomica

In Africa oltre 313 milioni di persone non hanno acqua potabile, e solo 13 stati su 54 hanno raggiunto dei livelli modesti di sicurezza idrica, il resto si trova in condizioni critiche. Per la siccità, nel 2021, più di 800 mila perone in Somalia si sono mosse all’interno dello stato e molte hanno superato il confine in cerca di una situazione migliore. Il dolore di intere popolazioni, sprona quotidianamente la famiglia Traverso ad andare oltre; grazie alla loro dedizione, passione e ricerca sono riusciti a migliorare la vita a migliaia di persone e continueranno a farlo.

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Biofissazione di CO2: microalghe sul tetto per ridurre la CO2 atmosferica.

By : Aldo |Ottobre 16, 2022 |Emissioni, Home, menomissioni |0 Comment
Joe Holland - Unsplash

Microalghe e CO2: come sono correlate e perché sono una possibile soluzione ai nostri problemi?

Le microalghe

Le microalghe sono organismi fotosintetici con una struttura semplice di appena qualche micron, che vengono impiegate in molteplici ambiti anche grazie al loro tasso di crescita elevato.

L’alta efficienza fotosintetica e la veloce produzione di biomassa, entrambi maggiori di altre colture vegetali, consentono alle microalghe di essere le protagoniste nel processo di biofissazione della CO2.

Cosa si intende con il termine “biofissazione”

La biofissazione è la capacità degli organismi (in questo caso le alghe) di assorbire gas serra, fissando il

carbonio proveniente dalla CO2 atmosferica in composti organici per mezzo di processi legati alla fotosintesi.

La percentuale di anidride carbonica atmosferica è attualmente ai massimi storici (418 ppm) e per questo da anni si sviluppano progetti per ridurne le concentrazioni; in questo caso la proposta arriva dall’Italia.  

La soluzione è tutta italiana

Gabriele Cipri e Andrea Moro fondatori dell’azienda italiana Livegreen, hanno trovato la soluzione!

La società ha ideato un progetto chiamato “Breathing Buildings for Sustainability”, finanziato dall’ESA (European Space Agency), che unisce tecnologie spaziali e sostenibilità per il bene del pianeta. 

Come si sviluppa il piano

Tutto si basa sull’installazione di impianti adibiti alla coltivazione di microalghe, su tetti e facciate di edifici non residenziali, con l’obiettivo di depurare l’aria circostante.

Ciò è possibile poiché le alghe si nutrono di CO2, ma soprattutto perché hanno un’efficienza di assorbimento pari al 90%; ne basta 1 kg per assorbire 2 kg di anidride carbonica.

Superando di gran lunga agli alberi, che hanno bisogno di molto più tempo e spazio, le microalghe sembrano essere la risposta gusta.

I satelliti invece, monitorano costantemente le concentrazioni di gas serra intorno alle strutture predisposte in modo da inviare le informazioni necessarie e i progressi svolti.

Calcolando che la spirulina può arrivare anche a 80-100 Ton/ettaro di CO2 fissata in un anno, l’azienda mira a catturarne 640 kg nel primo anno.

Oltre a questo obiettivo, Livegreen guarda al futuro: il programma prevede un possibile riciclo dell’acqua di coltivazione (impiegandola nel riscaldamento degli impianti) e l’utilizzo della biomassa come schermo termico per l’edificio in cui è posizionata.

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Raccolti 1085 kg di olio minerale usato nel Porto Turistico di Roma

By : Aldo |Ottobre 14, 2022 |Emissioni, Home, menorifiuti, Rifiuti |0 Comment

Il Comune di Roma, il CONOU (Consorzio Nazionale degli Oli Usati), l’associazione Marevivo (associazione impegnata nella tutela del mare da quarant’anni), il Porto Turistico di Roma e l’Assonat (Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici) si sono uniti per la tutela del mare.

“L’obiettivo della collaborazione”

La campagna itinerante sulla sensibilizzazione per la raccolta degli oli minerali usati “Lasciamo al futuro un mare vivo e pulito”, si è conclusa mercoledì 12 ottobre 2022 ad Ostia. Il progetto ha preso vita nel 2021 incentivato dal CONOU ha come obiettivo quello di prevenire la dispersione in mare degli oli esausti delle imbarcazioni.

“L’inquinamento compromette gli habitat marini”

L’olio lubrificante serve per impedire che l’attrito surriscaldi gli ingranaggi di un motore; una volta usato si degrada perdendo le sue caratteristiche. Se rilasciato nelle acque crea una sorta di pellicola superficiale impermeabile che ostacola l’ossigenazione e di conseguenza altera gli equilibri degli ecosistemi marini.

Si pensi che anche un litro d’olio può contaminare ben 1 milione di litri d’acqua. Solo nel Porto di Ostia ci sono 833 posti per imbarcazioni; quindi, se ogni diportista si impegnasse in questa lotta all’inquinamento avremmo dei risultati vantaggiosi.

Pertanto l’iniziativa ha avuto un ruolo fondamentale negli ultimi due anni, per mezzo dell’installazione di serbatoi adibiti alla raccolta degli oli all’interno del porto.

“Quanti kg di olio sono stati raccolti?”

Ad Ostia il programma ha avuto da subito un esito positivo accentuato da importanti miglioramenti negli ultimi mesi. Se nel 2021 sono stati accumulati 2600 kg di olio, nel 2022 si è verificato un netto miglioramento. Si contano infatti 1085 kg nel corso dell’estate, arrivando ad un totale di 3000 kg nei primi 9 mesi dell’anno, grazie alla collocazione di 2 nuove cisterne nell’area portuale.

“La nuova vita dell’olio lubrificante usato”

Se conferito negli appositi serbatoi, l’olio può essere smaltito o trattato per diventare una nuova risorsa. Il CONOU si occupa del processo di rigenerazione con il quale si creerà una nuova base lubrificante, che non prevede l’alterazione delle proprie caratteristiche.

Questa attività ha anche dei benefici a livello economico poiché permette di risparmiare 1,5 milioni di barili di petrolio all’anno nella bolletta energetica nazionale.

Tutto ciò è reso possibile dal CONOU che dal 1984 ad oggi ha raccolto 6,3 milioni di tonnellate di olio usato, producendo 3,3 milioni di tonnellate di olio rigenerato e consentendo un risparmio sulle importazioni di petrolio di oltre 3 miliardi di euro.

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Il parco fotovoltaico più grande d’Italia si trova in Puglia.

By : Aldo |Ottobre 12, 2022 |Clima, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Il parco fotovoltaico più grande d’Italia si trova in Puglia.

L’Italia è un paese pieno di meraviglie, prima tra tutte il clima che ci permette di godere a pieno tutte le stagioni e di avere grandi vantaggi nella sostenibilità.

Proprio per questa caratteristica, un’azienda danese, la European Energy, ha creato il più grande parco fotovoltaico d’Italia, precisamente a Foggia.

Inaugurato a giugno del 2020, con un finanziamento di 94,5 milioni di euro, il parco è un gioiello di ingegneria, sostenibilità ma anche di cura del territorio e della sua storia.

MICHAEL WILSON - Unsplash

Dimensioni 

Si sviluppa per un’area di circa 1.500.000 metri quadrati, (l’equivalente di 200 campi da calcio), in costante aumento dalla fase di progettazione fino al 2021.

L’azienda danese ha dato un grande valore a quel terreno a livello paesaggistico, naturale ma anche storico.

Infatti, dopo un’indagine legata al parco, ha finanziato con 1 milione di euro gli scavi dai quali sono emersi reperti di una basilica e di un insediamento del neolitico.

Potenza

Parlando di energia invece, possiamo affermare con piacere che i 275 mila moduli fotovoltaici sono di ultima generazione e sviluppano 103 MW di capacità.

Ciò significa che con la produzione annua di 150 GWh può soddisfare completamente le necessità di energia elettrica di una città di 200 mila abitanti.

Il parco fotovoltaico di Foggia è al primo posto in Italia per grandezza e potenza, seguito da quello di Montalto di Castro e quello di Rovigo. È il 17° in classifica mondiale, dominata dalla Cina seguita dallo stato della California e dall’India.

L’European Energy, dopo gli ottimi risultati e la grande efficienza del progetto, si dichiara pronta ad investire ulteriori 800 milioni di euro per il mantenimento e il miglioramento del sistema.

La struttura concilia il rispetto della natura, del territorio e della storia con le nuove tecnologie. Un mix perfetto, porta avanti l’idea di sostenibilità in un’area della nostra penisola, che forse non è valorizzata nel massimo delle sue potenzialità.

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L’Europa sceglie il cavo usb-c: ecco come la norma ridurrà i rifiuti elettronici

By : Aldo |Ottobre 08, 2022 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, energia, Home, Rifiuti |0 Comment

L’Europa sceglie il cavo usb-c: ecco come la norma ridurrà i rifiuti elettronici.

Marcus Urbenz - Unsplash

É fatta!

Il parlamento europeo ha finalmente espresso la sua opinione sull’utilizzo di caricabatterie universali.
Precisamente entro l’autunno del 2024 l’Europa potrà usare per molteplici dispositivi lo stesso caricatore.

La legislazione infatti, prevede che smartphone, tablet e fotocamere digitali, eBook, cuffie e auricolari, console e casse portatili, tastiere, mouse e laptop con potenza massima di 100 W potranno essere alimentati con il cavo usb-c.

Fino ad oggi, grandi e piccoli produttori si sono attenuti al libero mercato e quindi anche alla libertà di scegliere come progettare i propri dispositivi.
Con la nuova proposta invece, le cose cambieranno e tutti dovranno seguire le nuove direttive; tra i tanti anche Apple che dovrà abbandonare il cavo “lightining”, dopo 10 anni dalla sua nascita.

“In numeri”

Le ricerche antecedenti la proposta di legge, hanno confermato che grazie a questo importante cambiamento si sceglierà una strada più sostenibile per l’ambiente e per i consumatori.

Basti pensare che in media ogni cittadino possiede almeno 3 caricabatterie per telefono, una quantità superflua che comporta la produzione di 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno.

A tal proposito, si interverrà in maniera significativa per ridurre al minimo questo enorme volume di RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), con il conseguente risparmio di 250 milioni di euro.

“Complicanze”

Purtroppo, come per ogni grande riforma, sono stati riscontrati dei problemi per quanto riguarda l’applicabilità della legge.

La complicanza sta nel fatto che un caricatore da 20W può alimentare uno smartphone, un e-book e una fotocamera digitale ma non un portatile che necessita di una potenza maggiore.
Un’ulteriore difficoltà si riscontra nell’utilizzo di cavi simili con qualità diverse: un dispositivo nuovo deve essere accompagnato da un caricatore che soddisfi le sue esigenze e quindi che sia performante allo stesso modo.

Senza dubbio serviranno maggiori precisazioni per poter attuare il nuovo regolamento nella maniera più efficiente possibile.

Dalla proposta all’adozione della normativa, sono passati ben 13 anni, troppi se non inaccettabili per un’innovazione del genere, secondo alcuni rappresentanti del “semicerchio”.

Di certo questo è solo un primo passo per il futuro; si dice che dopo la prima vittoria il parlamento discuterà le leggi inerenti al diritto alla riparazione e l’obsolescenza programmata.

Nei prossimi anni assisteremo ad un grande cambiamento nel mercato elettronico e sarà interessante osservare come le grandi aziende agiranno di conseguenza.

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“SEATY”, il progetto di Worldrise per la conservazione delle coste.

By : Aldo |Ottobre 06, 2022 |Acqua, cetacei, Home, mare, plasticfree |0 Comment

Golfo Aranci ospiterà la prima area SEATY, un tratto di costa dal valore ecologico inestimabile.

📍Cala Moresca, Golfo Aranci

L’Italia è bagnata per 8300km dal Mediterraneo, un mare che vanta dei paesaggi costieri meravigliosi e più di 17 mila specie; eppure, resta uno dei più sovrasfruttati al mondo con solo l’1% di aree marine protette.

Per questo Worldrise, onlus italiana fondata da Mariasole Bianco, ha da anni l’obiettivo di proteggere il nostro mare, per dare valore alla natura che ci circonda.

L’organizzazione, per mezzo di attività volte alla sensibilizzazione (lezioni e laboratori nelle scuole, borse di studio per gli universitari) è riuscita a condividere la propria missione fino a realizzare la prima area SEATY.

Una SEATY è un’Area di Conservazione Marina Locale, ovvero un tratto di costa dall’elevata importanza ecologica che per tale valore viene delimitata e protetta.
Grazie alle conoscenze di studiosi, l’aiuto di volontari e il finanziamento di Fastweb, è stata inaugurata la prima area a Golfo Aranci in Sardegna.

Parliamo di un tratto di costa di 1300 m (dalla spiaggia di Baracconi fino a Cala Moresca), entro il quale vengono svolte varie attività come lo yoga in spiaggia, i beach clean up e lo snorkeling gestite dai volontari della stessa onlus.

La missione è supportata anche dalla segnaletica che Worldrise ha creato con descrizioni semplici, fresche e accattivanti per spiegare al visitatore cosa ha di fronte e i comportamenti da mantenere durante la permanenza in quella zona, tanto è vero che la pesca, la navigazione o l’ancoraggio e sport come il kitesurf o windsurf sono interdetti.

I pannelli informativi si trovano anche in acqua attaccati alle boe, per uno snorkeling e una balneazione consapevoli ed
efficienti.

Questo è solo il primo passo verso un grande obiettivo che viene perseguito quotidianamente con la campagna “30×30 Italia” (campagna di Worldrise), un programma con lo scopo di proteggere il 30% del mare italiano per mezzo di AMP (aree marine protette) entro il 2030.

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Sistemi efficienti di utenza,un nuovo inizio per l’efficienza energetica

By : Aldo |Aprile 08, 2014 |Efficienza energetica, Home |0 Comment

Sono ormai lontani i tempi in cui installare un impianto fotovoltaico conveniva grazie agli incentivi statali. L’interesse verso l’installazione di impianti ad energia rinnovabile ed impianti altamente efficienti, quali ad esempio i cogeneratori CAR, ha portato, negli anni, ad un cambiamento radicale della struttura della rete elettrica nazionale ed alle abitudini dei consumatori.

 

Un nuovo modo di concepire l’efficienza energetica sta prendendo piede con l’avvento dei Sistemi Efficienti di Utenza, comunemente detti SEU.

I Sistemi Efficienti di Utenza sono sistemi alimentati da impianti a rinnovabili o di cogenerazione ad alto rendimento, con potenza fino a 20 MWe, gestiti da un solo produttore, anche diverso dal cliente finale, direttamente connessi tramite un collegamento privato all’unità di consumo e realizzati all’interno di un’area di proprietà o nella piena disponibilità del cliente stesso.

 

 

Fonte: –  www.ecquologia.com – esempio di SEU

Regolamentati dalla Delibera 578/2013 pubblicata dall’AEEG, in pratica permettono al produttore di produrre e vendere l’energia nello stesso sito, con l’obiettivo di ridurre i costi dell’energia per il cliente finale. Infatti, il vantaggio economico consiste nel fatto che il cliente finale non dovrà pagare, in fattura, i corrispettivi degli oneri generali di sistema e dei trasporti, proprio perché non viene utilizzata la rete nazionale, in quanto i luoghi di produzione e consumo coincidono.

Un bel risparmio, se si pensa che queste sono le voci che sempre di più incidono sulla bolletta elettrica.

Un cambiamento sostanziale riguarda il fatto che gli operatori devono trasformarsi da semplici progettisti e installatori in una sorta di energy manager, in grado di analizzare i consumi energetici dei clienti per offrire loro soluzioni costruite su misura, perché il sistema è tanto più efficiente quanto più il profilo di carico e di consumo coincidono.

Diverso è anche il modello di business: non si venderà più un semplice impianto, ma il produttore venderà energia con un impianto che rimane di sua proprietà e che potrà magari affittare per un periodo limitato di tempo.

Fonte: AEEG- Composizione percentuale del prezzo dell’energia elettrica – IV trimestre 2013

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Le emissioni di co2 e la produzione di energia elettrica

By : Aldo |Aprile 01, 2014 |Emissioni, energia, Home |0 Comment

Il riscaldamento globale è un problema ormai noto ed i governi di tutto il mondo si stanno muovendo per prendere i provvedimenti opportuni, attuando, seppur timidamente, gli accordi internazionali che prevedono riduzioni significative delle emissioni di anidride carbonica che è necessario raggiungere. Gli obiettivi sono ambizioni, la roadmap 2050 vede, per l’Europa, una riduzione delle emissioni dell’80% entro il 2050, prendendo come base il 1990.

Dai dati riportati in tabella è possibile notare come la riduzione delle emissioni richiesta per ogni settore sia significativa. Può essere preso come esempio il settore dei trasporti, nel quale nel periodo 1990-2005 le emissioni sono aumentate del 30% e si richiede entro il 2050, di ridurle di una percentuale compresa tra il 54% ed il 67%.

Se si continuasse ad adottare la politica energetica corrente, gli obiettivi previsti per il 2050 non verrebbero rispettati, in quanto si otterrebbe una riduzione delle emissioni di circa il 40%. E’ bene ricordare che si tratta sempre di previsioni nel lungo periodo.

È interessante notare come il settore energetico sia quello nei confronti del quale si prevede una riduzione delle emissioni praticamente totale, minimo del 92%, massimo del 99%. Equivale ad affermare che l’energia elettrica che utilizzeremo nei prossimi anni sarà ad impatto zero.

L’Italia, tecnologicamente all’avanguardia nel settore della produzione dell’energia elettrica, ha investito molte risorse per cercare di produrre energia elettrica sempre più green.

Gli sforzi hanno permesso di ridurre il fattore dell’energia elettrica da un valore di 578 gCO2/kWh del 1990 a 373,6 gCO2/kWh nel 2013. Una riduzione del 35% in 23 anni. Ciò è stato possibile grazie alla riduzione costante dell’utilizzo delle fonti fossili, a favore delle fonti rinnovabili, le quali continueranno ad essere protagoniste per i prossimi anni.

Fonte: SINAnetRete del Sistema Informativo Nazionale Ambientale – Andamento del fattore di emissione dell’energia elettrica nazionale [gCO2/kWh]

Fonte: – A Roadmap for moving to a competitive low carbon economy in 2050 – Riduzione delle emissioni per settore

 

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Aggiornamento sul prezzo dei Certificati Bianchi

By : Aldo |Marzo 19, 2014 |Consumi, Efficienza energetica, energia, Home |0 Comment

Questa settimana parliamo dei  Certificati Bianchi, o Titoli di Efficienza Energetica (TEE), il meccanismo che certifica il conseguimento di risparmi energetici a seguito di interventi di efficienza energetica realizzati.

Vi parliamo del valore attuale dei Certificati Bianchi sul mercato di riferimento in cui ha registrato un andamento crescente in questi primi due mesi del 2014 fino ad raggiungere i valori più alti dall’avvio del meccanismo.

 Infatti, nell’ultima sessione di mercato, verificatasi il 25/02/2014, il prezzo unitario dei TEE ha superato la soglia dei 144 €, quasi 40 € in più rispetto a valore registrato all’inizio dell’anno.

Tutto ciò è dovuto, con molta probabilità, alle modifiche al sistema dei certificati bianchi, introdotte all’inizio del 2014, le quali prevedono che vengano certificati solo progetti “ancora da realizzarsi o in corso di realizzazione”, attribuendo, così, un valore maggiore ai progetti di efficienza energetica i quali possono trovare dai certificati bianchi un importante sostegno per gli investimenti.

L’efficacia del meccanismo dei certificati bianchi, non solo, è stata messa in evidenza dall’ENEA nel “Terzo Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica” presentato il 6 febbraio 2014, individuandolo come il sistema che ha maggiormente contributo nel generare risparmi (circa 35.000 GWh/anno tra il 2008 e il 2012), ma trova conferma anche dalle 890 proposte di progetto che ENEA ha valutato tra dicembre 2013 e febbraio 2014 che immetteranno sul mercato titoli per un valore complessivo di 90 Mln€.

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CS: Insieme al CompraVerde-BuyGreen

By : Aldo |Ottobre 24, 2013 |Consumi, Efficienza energetica, energia, Home |0 Comment

Insieme al CompraVerde-BuyGreen

Realtà diverse fanno rete e partecipano alla
manifestazione milanese dedicata agli acquisti verdi

 

Ottobre 2013 – CompraVerde-BuyGreen si tiene il 30 e 31 ottobre al Palazzo delle Stelline in Corso Magenta 61 a Milano. La manifestazione, promossa dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, Regione Lombardia, Adescoop – Agenzia dell’Economia Sociale ed Ecosistemi, con il patrocinio di numerose istituzioni italiane e comunitarie, nasce per offrire un contributo concreto  allo scambio e allo sviluppo di esperienze e buone pratiche di green economy in Italia.

Mercoledì 30 ottobre nell’ambito del Forum (giunto alla VII° edizione) dalle 11.30 alle 12.30 si terra l’incontro dal titolo Certificazioni per ridurre tempi, costi e… crisi di nervi, un’occasione per fare il punto sui vantaggi competitivi delle certificazioni in ambito privato e pubblico: come selezionare e partecipare a un appalto verde? Quali certificazioni di sistema e di prodotto ottenere anche in considerazione del fatto che entro il 2014 almeno il 50% degli appalti della PA dovrà essere verde, come indicato dal Piano d’azione nazionale per il Green Public Procurement (GPP)?

E-Cube parteciperà all’iniziativa con un intervento alle ore 12.00 dal titolo “OBIETTIVOMENO®: ESCo per combattere gli sprechi.

 

Per ulteriori informazioni:

info@e3cube.it

Tel. 06 96840526

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Comunicato stampa “Progetto Ecologica”

By : Aldo |Ottobre 18, 2013 |Emissioni, Home |0 Comment

Poter efficacemente coniugare la sostenibilità a livello territoriale vuol dire essere gestire molte priorità (la mobilità, la qualità ambientale, la gestione efficiente dei servizi alla cittadinanza, la rigenerazione urbanistica, lo sviluppo economico, sociale e culturale dei centri urbani) dando la priorità ad un filo conduttore comune che integri sviluppo del territorio con la tutela e valorizzazione dell’ambiente e un sempre maggior coinvolgimento della cittadinanza nei processi decisionali e nel raggiungimento degli obiettivi.

Il progetto “Eco…logica, pensieri e stili di vita sostenibili” è un’iniziativa nata per mostrare cosa si intende per sostenibilità in ambito urbano, e cosa possono fare i cittadini per poter raggiungere ottimi risultati.

Nell’ambito del progetto E-Cube, con il supporto del Comune di Sassari, ha organizzato diverse iniziative, con obiettivi e strumenti diversi.

Nei giorni 18 e 19 ottobre si terrà un seminario, nella sede del CEAS del Lago di Baratz, che, attraverso esperienze di relatori locali e nazionali, intende promuovere le nuove forme della comunicazione ambientale ai soggetti (animatori territoriali dei CEAS sardi, insegnanti delle scuole dell’obbligo), che hanno un importante ruolo di diffusori presso varie categorie di cittadini.

La settimana dal 18 al 25 ottobre vedrà l’apertura della mostra “Eco….logica”, un percorso che vuole accompagnare la cittadinanza verso la conoscenza e la presa di coscienza del proprio ruolo attivo verso la sostenibilità nelle nostre città: il progresso tecnologico e la conoscenza rendono sempre più semplice la transizione verso città più a misura d’uomo.

La mostra vede quindi una percorso che partendo da una prima parte di tipo conoscitivo, sulle tecnologie e le applicazioni utilizzabili a livello urbano, si conclude con una sezione che illustra come realmente possiamo intervenire nelle nostre abitazioni e come si può e si dovrebbe progettare per raggiungere la sostenibilità negli edifici residenziali.

Inoltre ci sarà una sezione della mostra più sperimentale, dove i partecipanti possono avere un’”esperienza” sostenibile, attraverso la dimostrazione del funzionamento del solare fotovoltaico tramite un kit dimostrativo, e sfidando si in una gara tutta energetica, con biciclette che attraverso particolari rulli, producono energia elettrica pronta all’uso.

Infine il 24 ottobre si darà più spazio alle istituzioni e ai cittadini, con la tavola rotonda dal titolo “Governare la sostenibilità in ambito urbano: soluzioni, programmi, progetti ed opportunità per lo sviluppo delle nostre città”, e il successivo ritrovo per la proiezione del film the Age of Stupid.

Contatti E-Cube:  Daniele Villoresi  daniele@e3cube.it

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Quanta CO2 consumiamo stando al telefono? Ecco il calcolatore di emissioni dei social.

By : Aldo |Febbraio 24, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Quanta CO2 consumiamo stando al telefono? Ecco il calcolatore di emissioni dei social.

Ora più che mai si parla delle generazioni digitali, e ancor di più di quelle social, ovvero di tutti coloro che sono nati e cresciuti con i mezzi più tecnologici tra le mani. Applicazioni di ogni tipo, fotocamere e social sono una parte importante della vita dei più giovani. Ovviamente i pareri sono contrastanti, tra i loro effetti negativi e i loro benefici, l’unica cosa che invece è sicura, è la quantità di emissioni che produce l’utilizzo di tutti i social.

dole777 - Unsplash

I social media

I social media sono piattaforme web-based che permettono agli utenti di creare, condividere e scambiare contenuti, seguendo i principi del Web 2.0 e favorendo una comunicazione interattiva e multidirezionale. A differenza dei mezzi di comunicazione tradizionali, offrono un modello in cui tutti gli utenti hanno pari possibilità di interazione. Tra i social più popolari si trovano Facebook, Instagram, WhatsApp, TikTok, Twitter, Telegram e LinkedIn, utilizzati per socializzare, fare networking professionale, intrattenersi e condividere informazioni. Nel 2024, gli utenti attivi sui social media hanno superato i 5 miliardi, coprendo oltre il 62% della popolazione mondiale, con una crescita annua del 5,6%. La fascia di età più attiva è quella tra i 25 e i 34 anni, ma anche i giovani e la cosiddetta “silver generation” sono sempre più presenti su queste piattaforme.

Il consumo di energia

Il consumo di energia legato ai social media è principalmente indiretto e dipende dall’uso di dispositivi elettronici, come smartphone e computer, necessari per accedere a queste piattaforme. Sebbene non esistano dati specifici sul consumo energetico diretto dei social media, è evidente che la crescente diffusione dei dispositivi mobili contribuisce all’aumento del consumo globale di energia elettrica. Attualmente, il 69,4% della popolazione mondiale utilizza un dispositivo mobile, un dato in continua crescita. In generale, i social media rappresentano strumenti essenziali per la comunicazione moderna, con un impatto rilevante sulla società e sull’economia globale, ma il loro impatto ambientale è maggiormente legato all’uso dei dispositivi che li supportano piuttosto che al consumo diretto delle piattaforme stesse.

Il calcolatore di emissioni

Lo studio di Carbon Footsprint Calculator rivela che un influencer con tre milioni di follower può generare fino a 1.072 tonnellate di CO₂ all’anno, equivalenti a 481 viaggi andata e ritorno tra Parigi e New York. L’economia digitale nel suo complesso rappresenta tra il 2 e il 4% delle emissioni totali di CO₂, con i social media che contribuiscono significativamente. TikTok è il social con il maggior consumo energetico, emettendo 0,98 grammi di CO₂ al minuto per utente, seguito da Reddit (0,92 g), Instagram e YouTube (0,87 g).

Per monitorare e ridurre l’impronta di carbonio del settore, è stato introdotto il Carbon Footprint Calculator, uno strumento sviluppato da Kolsquare e Sami che aiuta brand e creator a misurare l’impatto delle loro campagne. Le emissioni dipendono da vari fattori, tra cui la creazione di contenuti, l’invio di prodotti promozionali, l’uso di dispositivi elettronici, la durata e qualità dei video e i mezzi di trasporto utilizzati.

L’obiettivo è promuovere una crescita più sostenibile nell’influencer marketing, con creator e aziende chiamati a essere più trasparenti e responsabili nel loro impatto ambientale. Misurare le emissioni consente di identificare aree di miglioramento e strategie per ridurle, sottolineando il ruolo chiave degli influencer nella sensibilizzazione sulla sostenibilità.

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Le piante assorbono più nanoplastiche se le temperature aumentano.

By : Aldo |Febbraio 13, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Le piante assorbono più nanoplastiche se le temperature aumentano.

Tutti sappiamo bene che ruolo hanno le piante nel nostro pianeta, tutte, dalla più semplice alla più complessa, da quella di ornamento fino agli ortaggi. La loro salute spesso e volentieri, determina anche la nostra e quella di tutti gli esseri viventi nel mondo.
Allo stesso modo, siamo tutti a conoscenza della pericolosità delle microparticelle di plastica, della loro veicolazione negli ecosistemi e come possono danneggiarli in modo pratico. Pertanto sono stati condotti degli studi, per capire la correlazione tra l’assorbimento delle nanoplastiche da parte delle piante e i cambiamenti climatici.

Jackie DiLorenzo - Unsplash

Le nanoplastiche

Le nanoplastiche, frammenti derivati dalla degradazione di microplastiche di origine antropica, rappresentano una preoccupante forma di inquinamento. A differenza dei nanomateriali, fabbricati intenzionalmente, le nanoplastiche si formano dalla scomposizione casuale di plastiche più grandi attraverso processi biologici, chimici, fisici e meccanici. Le fonti primarie di queste particelle includono la degradazione di macro e microplastiche derivanti da rifiuti urbani come pellicole agricole, sacchetti di plastica, bottiglie, attrezzi da pesca e pneumatici. E ancora dall’emissione di particelle da prodotti industriali come cosmetici, prodotti per la pulizia e materie prime per la fabbricazione di plastica, nonché dal lavaggio di fibre tessili.

Queste particelle sono diffuse in tutto il pianeta, dai poli artici alle profondità oceaniche, coesistendo con le microplastiche in mari, fiumi, acque superficiali e persino nella neve delle Alpi, indicando la loro capacità di essere trasportate dall’aria anche a grandi distanze. La loro presenza è stata rilevata anche in quantità modeste nelle acque potabili trattate e in alimenti come riso e verdure, nonché in diverse specie di pesci, molluschi e frutti di mare, entrando potenzialmente nella catena alimentare. Si stima che centinaia di migliaia di tonnellate di nanoplastiche galleggino negli ecosistemi marini, contribuendo all’inquinamento globale. Al momento, gli eventuali danni che potrebbero causare all’essere umano sono ancora oggetto di studio.

Lo studio di Pisa

Tra le varie tematiche affrontate e d’interesse in questo settore, è presente anche il processo di assorbimento delle nanoplastiche da parte delle piante. In particolare, un recente studio condotto dall’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista Plant Physiology and Biochemistry ha evidenziato come le alte temperature possano amplificare l’assorbimento delle particelle da parte delle piante. Questa ricerca rappresenta un passo significativo nello studio dell’interazione tra cambiamenti climatici e inquinamento ambientale, analizzando per la prima volta il ruolo del riscaldamento globale nell’accumulo di micro e nanoplastiche nei vegetali.

Il lavoro è stato realizzato dal gruppo di Botanica della professoressa Monica Ruffini Castiglione e da quello di Fisiologia Vegetale della dottoressa Carmelina Spanò, con la collaborazione delle ricercatrici Stefania Bottega e Debora Fontanini. La sperimentazione è stata condotta nei laboratori dell’Università di Pisa utilizzando come organismo modello Azolla filiculoides Lam, una piccola felce acquatica galleggiante. Questa pianta, grazie alle sue radici sottili e fluttuanti, assorbe facilmente le sostanze disciolte nell’acqua, rendendola ideale per studiare l’accumulo di inquinanti. Per l’esperimento sono state impiegate nanoplastiche di polistirene, una delle plastiche più diffuse nell’uso quotidiano. Tale materia è impiegata nella produzione di posate e piatti usa e getta, imballaggi, contenitori da asporto e seminiere per l’ortoflorovivaismo.

I risultati della ricerca

L’analisi dei dati ha rivelato che a 35°C la quantità di nanoplastiche assorbite dalla pianta aumenta significativamente rispetto alla temperatura ottimale di 25°C. Questo fenomeno ha determinato un deterioramento dei parametri fotosintetici, accompagnato da un incremento dello stress ossidativo e della tossicità nei tessuti vegetali. L’utilizzo di particelle fluorescenti ha inoltre permesso di monitorare con precisione il loro percorso all’interno della pianta, evidenziando la loro distribuzione nei diversi organi e tessuti.

Le ricercatrici coinvolte nello studio hanno sottolineato come l’aumento dell’assorbimento di nanoplastiche in condizioni di temperature elevate possa avere ripercussioni sulle colture agronomiche, con il rischio di facilitare l’ingresso di tali inquinanti nella catena alimentare. Hanno inoltre evidenziato che i cambiamenti climatici non solo intensificano gli effetti negativi dei rifiuti plastici, ma possono anche creare interazioni pericolose tra fattori ambientali e contaminanti, aggravando ulteriormente le problematiche ecologiche. Questo, a loro avviso, dovrebbe incentivare una maggiore consapevolezza e spingere verso comportamenti più sostenibili, come la riduzione dell’uso della plastica monouso.

In conclusione

Questa ricerca apre nuove prospettive sulla comprensione delle interazioni tra inquinamento e cambiamenti climatici, evidenziando la necessità di strategie per limitare la dispersione delle nanoplastiche nell’ambiente.

Le piante, essendo organismi altamente sensibili ma al tempo stesso resilienti agli stress ambientali, rappresentano modelli ideali per studiare l’impatto dei contaminanti sugli organismi viventi, specialmente nel contesto del riscaldamento globale. In questo ambito, le ricerche condotte dal gruppo, in collaborazione con l’Ibbaa Cnr e l’Università di Siena, sono state pionieristiche nello studio delle interazioni tra piante e nanomateriali, dimostrando per la prima volta, a livello ultrastrutturale, l’assorbimento e la traslocazione di nanomateriali plastici nelle cellule vegetali.

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Ammoniaca per conservare l’energia pulita. Quando la chimica aiuta le rinnovabili.

By : Aldo |Febbraio 10, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Ammoniaca per conservare l’energia pulita. Quando la chimica aiuta le rinnovabili.

Le energie rinnovabili, dette anche “pulite” sono in grado di aiutarci nella transizione ecologica di cui abbiamo bisogno. La loro molteplicità da una grande speranza all’urgenza che stiamo vivendo, determina una possibilità di sviluppo e progresso ampia e sostenibile. Dunque la ricerca in questo campo lavora quotidianamente per trovare le innovazioni e le nuove tecnologie per favorire l’energia pulita ai comuni e dannosi combustibili fossili. L’ultima notizia riguarda proprio l’eolico e il solare, e l’ammoniaca come vettore energetico.

L’energia pulita

L’energia pulita, o rinnovabile, proviene da fonti naturali che si rigenerano nel tempo e hanno un impatto ambientale ridotto rispetto ai combustibili fossili. Il suo ruolo è sempre più centrale per la riduzione delle emissioni di gas serra e la lotta ai cambiamenti climatici. Le principali fonti di energia pulita includono il solare, l’eolico, l’idroelettrico, il geotermico, che deriva da materiali organici.

I vantaggi di tale energia sono la sostenibilità a lungo termine, la riduzione delle emissioni inquinanti, l’indipendenza energetica e la creazione di posti di lavoro. Senz’altro, contribuisce a migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica. Tuttavia, presenta anche alcune sfide, come l’intermittenza di alcune fonti, i costi iniziali elevati e l’impatto ambientale legato all’uso del suolo e alla fauna.

Nonostante queste difficoltà, il progresso tecnologico e la riduzione dei costi stanno rendendo l’energia pulita sempre più competitiva. Con adeguati investimenti e politiche di sostegno, può diventare la chiave per un futuro energetico sostenibile.

L’ammoniaca come vettore energetico

L’ammoniaca ha una lunga tradizione industriale e, sin dai primi del Novecento, viene prodotta su larga scala grazie agli studi pionieristici dei premi Nobel Fritz Haber e Carl Bosch. Non a caso, è la seconda sostanza chimica più utilizzata al mondo, con una produzione annua di circa 180 milioni di tonnellate.

Inoltre, ha un’infrastruttura di stoccaggio e distribuzione dal valore di 60 miliardi di dollari, equivalente a quasi il 2% della produzione energetica globale. Attualmente è utilizzata principalmente nella produzione di fertilizzanti, che assorbe circa l’80% della sintesi totale di NH₃. Pertanto, investire nella ricerca significa rendere questo processo meno dipendente dal gas naturale importato e più sostenibile. In questo contesto si inserisce il progetto “Faster”, finanziato dall’Unione Europea con tre milioni di euro attraverso il programma “Horizon UE”. Il tutto è realizzato con la collaborazione dell’Università di Twente, del Politecnico di Milano e di altre realtà accademiche e industriali, tra cui l’Università di Cardiff, Umicore, Proton Ventures, Demcron Suster, LcE e Winterthur Gas & Diesel Ltd.

Lo stoccaggio di energia con ammoniaca

Grazie a tale progetto, si è scoperta la possibilità di conservare l’energia pulita sotto forma di ammoniaca “verde”, affrontando così l’incertezza delle fonti rinnovabili. Il progetto di ricerca Faster (Flexible Ammonia Synthesis Technology for Energy StoRage), guidato dall’Università di Twente con il supporto del Politecnico di Milano, studia un processo per trasformare l’energia solare ed eolica in una riserva energetica facilmente immagazzinabile e trasportabile.

La conversione a monte di questo sistema avviene in due fasi: inizialmente, l’elettricità generata da fonti rinnovabili viene utilizzata per scindere l’acqua nei suoi elementi costitutivi, idrogeno e ossigeno. Successivamente, l’idrogeno si combina con l’azoto, un gas abbondante nell’atmosfera, per formare ammoniaca (NH₃). Quest’ultima funge da vettore energetico, permettendo di immagazzinare e distribuire energia nei momenti di maggiore richiesta. Con una densità energetica comparabile ai combustibili fossili (22,5 MJ/kg), l’ammoniaca offre un’alternativa più sostenibile, con costi e impatti ambientali ridotti e l’assenza di emissioni di CO₂ durante la combustione. Questo approccio rappresenta un importante passo avanti verso la decarbonizzazione e la sicurezza energetica.

Dove occorre ancora lavorare

Nonostante l’ammoniaca sia considerata un elemento chiave nella transizione verso un’energia sostenibile, la sua combustione presenta ancora alcune sfide. Rispetto ai carburanti tradizionali, il processo è più lento, richiede un maggiore apporto energetico per l’innesco e produce quantità più elevate di ossidi di azoto. Per superare queste criticità, la ricerca si concentra sullo sviluppo di nuovi catalizzatori e sistemi avanzati di controllo delle emissioni, con l’obiettivo non solo di rispettare gli obiettivi del Green Deal, ma anche di migliorare le tecnologie impiegate nell’industria chimica.

Gianpiero Groppi, docente del Dipartimento di Energia del PoliMi e membro del team, ha spiegato che il loro contributo si concentra sulla progettazione e ottimizzazione di componenti innovativi per reattori di sintesi e sistemi di separazione dell’ammoniaca, con un approccio sostenibile ed efficiente su piccola scala. Ha inoltre sottolineato che maggiori investimenti nella ricerca potrebbero accelerare l’applicazione commerciale di questa tecnologia, favorendo un futuro energetico più solido e sostenibile.

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Lo spreco di cibo non va (purtroppo) in crisi. 12a giornata di prevenzione dello spreco alimentare.

By : Aldo |Febbraio 06, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Lo spreco di cibo non va (purtroppo) in crisi. 12a giornata di prevenzione dello spreco alimentare.

Il 5 gennaio si è celebrata la 12a edizione della Giornata Mondiale sulla prevenzione dello spreco alimentare. Il tema di quest’anno è #tempodiagire – #timetoact, che sottolinea l’urgenza di ridurre lo spreco alimentare per raggiungere l’obiettivo 12.3 dell’ONU. Le iniziative per supportare questa causa e migliorare la situazione mondiale sono molteplici, come l’app italiana creata da due 17 enni che trasforma gli avanzi da buttare in piatti da degustare.

Jas Min - Unsplash

Lo spreco in Italia

A livello globale, il 40% della produzione alimentare viene sprecato, pari a 2,5 miliardi di tonnellate, in aumento rispetto ai 1,3 miliardi stimati dalla FAO nel 2011, contribuendo all’8-10% delle emissioni globali di gas serra. L’Agenda ONU 2030 mira a dimezzare lo spreco alimentare pro-capite rispetto al 2015, ma tra 2015 e 2021 in Italia è cresciuto del 17% in kcal/persona/giorno, con un aumento del 14% nonostante una riduzione della popolazione del 2,7%. In questo quadro, l’allevamento è il settore più inefficiente, con un 77% di perdita nella conversione in derivati animali. Nello specifico, gli sprechi lungo la filiera sono aumentati del 6%, quelli produttivi del 2% e quelli nel consumo del 9%. Dunque, 1 caloria ogni 3 disponibili viene sprecata, e 1 su 5 è in eccesso rispetto ai fabbisogni medi (+32%), contribuendo al 43% di adulti italiani in sovrappeso o obesi. Al netto di tutto, la filiera perde ben 4,513 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 14,101 miliardi di euro.

Dopo un attento calcolo si può confermare che ogni giorno in Italia si buttano 88,2 grammi di cibo a persona, pari a 617,9 grammi settimanali (maggiormente nel Centro-Sud, dove si registra più insicurezza alimentare). La frutta è l’alimento più scartato (24,3 grammi settimanali), seguita da pane, verdura e tuberi. È difficile anche accettare che il 58,55% dello spreco totale proviene dalle famiglie, per un costo annuo di 8,242 miliardi di euro (130,71 euro pro capite).

L’impronta ecologica dei sistemi alimentari copre l’intera biocapacità italiana, con il 50% dello spreco sistemico che impatta su biodiversità, acque, suoli e clima. Tuttavia, per affrontare il problema servono dati affidabili lungo tutta la catena di fornitura, monitorando i progressi verso l’obiettivo 12.3 dell’ONU e il target 16 del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework. Solo in questo modo si può auspicare ad un vero cambiamento.

Raggiungere gli obiettivi con le best practice

Per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 di dimezzare lo spreco alimentare, gli italiani dovrebbero ridurre di 50 grammi a settimana il cibo sprecato ogni anno fino al 2029. In tal modo si passerebbe dagli attuali 737,4 grammi settimanali a 369,7 grammi. Tuttavia, mentre lo spreco aumenta, cresce anche l’insicurezza alimentare: nel 2025, l’indice FIES segna un +13,95% (rispetto al +10,27% del 2024), e la povertà assoluta in Italia è salita dal 7,7% all’8,5% nel 2023, colpendo 5,7 milioni di persone, con un incremento del 28,9% tra le famiglie straniere.

Il sud e il centro Italia, dove si registra il maggiore impoverimento, sono anche le aree con più spreco alimentare. Chi ha meno possibilità economiche tende ad acquistare cibi di minore qualità, più vicini alla scadenza o più deperibili, contribuendo così allo spreco. Nonostante l’86% degli italiani dichiari di prestare attenzione alla gestione del cibo, solo il 28% chiede la doggy bag al ristorante e appena il 10% dona gli avanzi cucinati a parenti o amici. Circa 6 italiani su 10 adottano strategie per ridurre gli sprechi, come consumare prima i cibi prossimi alla scadenza o congelarli, mentre il 56% testa gli alimenti scaduti prima di buttarli. Tuttavia, un italiano su tre non pensa al rischio dello spreco, il 23% lo ritiene troppo impegnativo, l’11% troppo costoso e il 10% crede che il contributo personale non faccia la differenza.

Per ridurre gli sprechi, il 50% degli italiani è disposto a consumare prima gli alimenti che rischiano di guastarsi, il 45% a congelarli, il 40% a utilizzare cibi appena scaduti se ancora buoni, il 37% a valutare meglio le quantità da cucinare, il 32% a pianificare la spesa e comprare prodotti di stagione. Solo il 6% pensa di donare il cibo cucinato in eccesso.

L’app “Cucinalo”

Fortunatamente, ci sono i giovani che pensano al futuro. In questo caso parliamo di Matteo Morvillo e Amedeo Valestra, due 17enni di Massa Lubrense, che hanno creato “Cucinalo”, un’app che utilizza l’intelligenza artificiale per ridurre lo spreco alimentare domestico. L’app permette di fotografare gli ingredienti disponibili in frigo o in dispensa e suggerisce ricette personalizzate in pochi secondi, considerando allergie, intolleranze e preferenze alimentari. Inoltre, offre un catalogo di ricette tradizionali suddivise per categoria e suggerimenti sull’impiattamento.

L’app è disponibile a titolo gratuito su tutti gli store, integrando funzioni avanzate come la creazione di un ricettario personalizzato, un timer di cottura e la possibilità di salvare e condividere le ricette preferite. La sua efficienza e il suo apprezzamento ha fatto sì che, ad un mese dal lancio ha già superato 3.500 utenti e contribuito al riutilizzo di oltre 300 kg di cibo. Gli ideatori si sono autofinanziati e stanno lavorando a nuove funzionalità, come la digitalizzazione dei ricettari cartacei. Il loro obiettivo è quello di trasformare le abitudini alimentari delle persone in un’ottica sostenibile, senza sconvolgere la quotidianità, anzi, facilitandola. In questo modo, l’applicazione dei due ragazzi, affronta una delle sfide più urgenti del nostro tempo, ovvero ridurre lo spreco alimentare e i suoi impatti economici, sociali e ambientali.

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