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La ricerca americana fa progressi nell’ambito del biogas dall’erba.

By : Aldo |Agosto 27, 2024 |Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su La ricerca americana fa progressi nell’ambito del biogas dall’erba.

La natura ci dona quotidianamente da migliaia di anni delle risorse fondamentali per la nostra vita, che dobbiamo saper usare al meglio. Soprattutto ora che siamo consapevoli della loro importanza e della loro precarietà, dovremmo capire come gestire al meglio anche i rifiuti. Gli scarti infatti hanno un valore economico non indifferente e un’ampia gamma di possibili nuove vite che renderebbero la nostra quotidianità più sostenibile. Ancor di più se dai rifiuti si può produrre una cosa importante quanto l’energia.

Il biogas

Il biogas è una fonte di energia rinnovabile composta principalmente da metano e anidride carbonica, prodotto attraverso la decomposizione anaerobica di materia organica, come rifiuti agricoli, letame, residui alimentari e altre biomasse. Si tratta di un processo che avviene in assenza di ossigeno, grazie all’azione di microrganismi che degradano la materia organica. Il tutto, all’interno di digestori anaerobici, dove la materia organica viene raccolta e mantenuta in condizioni controllate di temperatura e umidità.

Il biogas prodotto può essere utilizzato per generare elettricità, calore o può essere purificato e trasformato in biometano, un combustibile rinnovabile. Pertanto, i suoi vantaggi ambientali sono molteplici. Riduce le emissioni di gas serra, poiché sostituisce i combustibili fossili e riduce la quantità di rifiuti organici in discarica, dove decomponendosi emettono metano. Inoltre, il digestato risultante dal processo di produzione del biogas può migliorare la qualità del suolo e ridurre la necessità di fertilizzanti chimici, promuovendo pratiche agricole più sostenibili. Senza escludere che il biogas rappresenta una soluzione efficace per la gestione dei rifiuti, contribuendo a un’economia circolare e sostenibile.

Il biogas dall’erba

La produzione di biogas dall’erba di sfalcio è una possibilità già esplorata, come dimostrato dal progetto europeo GR3 – Grass to green gas, avviato circa dieci anni fa. Questo progetto mirava a sviluppare tecnologie per trasformare l’erba di scarto in una miscela di metano e anidride carbonica attraverso la digestione anaerobica, un processo naturale che avviene in assenza di ossigeno. Nonostante il potenziale del biogas prodotto da residui erbacei, il suo utilizzo rimane limitato in Europa e negli Stati Uniti. Le ragioni includono una conoscenza insufficiente delle tecnologie di raccolta e digestione, la mancanza di cooperazione tra gli operatori della filiera e la scarsa convenienza economica, che porta a un uso marginale di queste risorse.

I nuovi studi americani

L’interesse per la produzione di biogas dall’erba di sfalcio è riemerso grazie alla ricerca di Lisa Schulte Moore della Iowa State University. Schulte Moore ha studiato come trasformare l’erba raccolta in gas rinnovabile conveniente per gli agricoltori che convertono porzioni dei loro terreni in praterie energetiche. Uno studio pubblicato su “BioEnergy Research” ha sviluppato un modello con 10 digestori anaerobici, alimentati da erba, letame e altri rifiuti, situati intorno alla città di Ames. Il biogas prodotto avrebbe un costo livellato di 0,011 dollari/kWh, con costi di produzione superiori a quelli del gas tradizionale, ma con la possibilità di ridurli sfruttando l’economia di scala nei comuni più grandi.

Un altro studio invece, pubblicato su “GCB Bioenergy”, ha valutato l’impatto economico e ambientale di due digestori per biomassa erbosa, stimando un profitto di oltre 400 milioni di dollari in 20 anni e una riduzione dell’83% dell’impronta di carbonio rispetto al gas fossile. I risultati tengono conto dei sussidi federali per la produzione energetica sostenibile e dell’uso di terreni agricoli poco produttivi per le praterie.

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A che punto siamo con la sostenibilità dell’industria alimentare?

By : Aldo |Agosto 26, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su A che punto siamo con la sostenibilità dell’industria alimentare?

La cosa che unisce più di tutte gli italiani è il cibo. Non c’è nulla che rappresenti il legame alla nostra terra meglio delle pietanze italiane, famose in tutto il mondo e di cui siamo orgogliosi. Le caratteristiche migliori sono la qualità degli alimenti che rappresenta a suo modo la qualità di vita italiana e il suo livello di benessere. Nonostante ciò, gli studiosi si sono domandati dove l’Italia, portavoce di questa grande qualità, sia arrivata nella sostenibilità dell’industria alimentare e quale sia la situazione a livello globale. 

Sostenibilità nell’industria alimentare

La sostenibilità nell’industria alimentare rappresenta un approccio fondamentale per garantire un futuro equilibrato e responsabile. È un concetto che implica l’adozione di pratiche volte a minimizzare l’impatto ambientale, promuovendo il benessere sociale e garantendo la sicurezza alimentare. Le aziende stanno sempre più integrando metodi di produzione ecologici, come l’agricoltura biologica e l’uso di tecnologie innovative per ridurre gli sprechi. Dall’altra parte, la filiera corta, che favorisce l’acquisto di prodotti locali, non solo supporta l’economia locale, ma riduce anche le emissioni di carbonio legate al trasporto. Tutto questo è anche dettato dalla sensibilizzazione dei consumatori verso scelte alimentari sostenibili, come il consumo di alimenti di stagione e a basso impatto ambientale. Questo processo è essenziale per promuovere un cambiamento positivo, proattivo e concreto. Anche perché, investire nella sostenibilità non solo migliora la reputazione delle aziende, ma contribuisce anche a un sistema alimentare più resiliente e giusto per le generazioni future.

Il lavoro di Quantis

Quantis è un’azienda di consulenza ambientale internazionale specializzata in sostenibilità.  Dal 2006, fornisce servizi di consulenza scientifica per aiutare le aziende a misurare, gestire e ridurre il loro impatto ambientale. Principalmente si occupa di valutazioni del ciclo di vita, strategie per la decarbonizzazione e analisi ambientali su vari aspetti, come cambiamento climatico, biodiversità e uso delle risorse naturali. LA sua caratteristica è quella di collaborare con imprese di diversi settori per integrare la sostenibilità nelle loro operazioni e strategie.

In questo caso, la società si è soffermata su uno studio che riguardava la sostenibilità dell’industria alimentare, chiamato Recipe for Transformation. Lo scopo di tale lavoro è quello di offrire una panoramica precisa sulle sfide e le opportunità che il settore del food & beverage deve affrontare per realizzare una transizione sostenibile. La ricerca, condotta in collaborazione con Sapio Research, ha coinvolto oltre 600 manager e dirigenti di aziende del settore alimentare (sia negli Stati Uniti che in Europa).

Lo studio afferma che la sostenibilità è ormai cruciale nell’industria alimentare, ma solo il 30% dei manager globali è ottimista sul raggiungimento degli obiettivi entro il 2030. Nello specifico, il 100% dei manager del settore marketing delle aziende alimentari ha notato un cambiamento nelle abitudini di acquisto, con i consumatori sempre più disposti a pagare di più per prodotti sostenibili. Tuttavia, persiste un’incertezza diffusa tra le aziende riguardo al raggiungimento dei target di sostenibilità.

Lo studio

Davide Tonon, Direttore di Quantis Italia, è entusiasta del fatto che in Italia la sostenibilità sia stata costruita “dal basso” grazie all’attivazione trasversale nelle aziende. Ha sottolineato che il 50% del campione nazionale ha già KPI di sostenibilità da oltre un anno, rispetto al 38% a livello globale, attribuendo questo risultato anche all’impegno della catena del valore.

Stringendo il campo della ricerca al Belpaese, è stato evidenziato come la trasformazione sostenibile sia vista come un’opportunità per mantenere competitivo il settore food & beverage. In particolare, ricorda quali sono le priorità per concretizzare questa transizione. Si parla del redesign del portafoglio prodotti, dell’agricoltura rigenerativa e dell’adozione di alimenti plant-based.

Nonostante gli investimenti nella sostenibilità rimangono limitati (12,5% del bilancio annuale destinato a ridurre gli impatti ambientali) l’Italia si dimostra all’avanguardia in questo settore. Tale caratteristica è stata determinata dalla differenza di risposte al sondaggio tra i manager italiani e quelli globali.  Tuttavia, entrambi i gruppi concordano sull’importanza di un clima di collaborazione tra le funzioni aziendali e sulle normative come driver del cambiamento, ritenute cruciali per una transizione responsabile.

Ulteriori dati

Dallo studio svolto sono comunque emersi dei punti critici su cui è necessario lavorare, sia in ambito italiano che globale. Tra questi sono stati evidenziati:

  • la valutazione del portafoglio prodotti: Il 24% degli italiani e il 19% degli esteri ritengono prioritario rivedere il portafoglio, comprese ricette e imballaggi.
  • Packaging: Identificato dal 67% dei manager italiani (e dal 62% a livello globale) come un’area cruciale per ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti plastici.
  • Riduzione degli sprechi alimentari: Considerata prioritaria dal 53% degli intervistati in Italia e dal 57% a livello globale.
  • Complessità della supply chain: Una delle sfide più significative, secondo il 37% degli italiani e il 42% dei rispondenti globali.

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“Act 1.5”. I Massive Attack si mettono in gioco per il clima.

By : Aldo |Agosto 25, 2024 |Emissioni, energia, Home |Commenti disabilitati su “Act 1.5”. I Massive Attack si mettono in gioco per il clima.

La sfida del clima è una missione importante per tutto il mondo. Non si tratta di un’opinione personale, tantomeno di una diceria. Sempre più persone nel mondo stanno capendo l’importanza di un’azione concreta ed immediata e fortunatamente tra queste, c’è chi ha un’influenza molto più grande rispetto a quella del singolo cittadino. Si tratta dei VIP, in questo caso, dei cantanti di fama internazionale e no.

La musica ed il clima

I grandi tour internazionali e i concerti delle star hanno un impatto ambientale significativo, principalmente a causa delle elevate emissioni di CO2, del consumo di energia e della produzione di rifiuti. Questo perché l’organizzazione di eventi di massa, come questa, determina un’infinita quantità di spostamenti massivi di persone e attrezzature, che contribuiscono a un aumento sostanziale delle emissioni di gas serra. Per esempio, un festival medio possa generare circa 500 tonnellate di CO2, con ogni partecipante che produce fino a 5 kg di emissioni al giorno.

Senza calcolare poi la produzione del merchandise, tipico di questi eventi e dei rifiuti di plastica che vanno per la maggiore (viste anche le regole per la sicurezza). Tuttavia, ci sono iniziative in corso per rendere i concerti più sostenibili. Non a caso, artisti come i Coldplay hanno implementato pratiche eco-friendly, riducendo le loro emissioni di CO2 del 47% rispetto ai tour precedenti e piantando milioni di alberi per compensare l’impatto ambientale.

La crescente consapevolezza riguardo all’impatto ecologico ha portato a un aumento delle iniziative per la sostenibilità nell’industria musicale, con molti artisti e organizzatori di eventi che cercano di adottare pratiche più responsabili, come l’uso di energie rinnovabili e la riduzione dei rifiuti. Nonostante ciò, la sfida rimane complessa e richiede un impegno continuo da parte di tutti gli attori coinvolti per bilanciare l’amore per la musica con la necessità di proteggere l’ambiente. Quindi anche e soprattutto degli spettatori.

I Massive Attack

I Massive Attack sono un influente collettivo musicale britannico, fondato nel 1988 a Bristol. Sono considerati i pionieri del genere trip hop, infatti, il loro primo album, “Blue Lines”, è stato pubblicato nel 1991 segnando un punto di svolta nella musica alternativa. Con questa raccolta hanno introdotto sonorità innovative e collaborazioni con artisti di diverse estrazioni. Nel corso della loro carriera, hanno pubblicato cinque album e ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui un Brit Award per il miglior gruppo di danza britannico e due MTV Europe Music Awards. Hanno venduto oltre 13 milioni di copie in tutto il mondo e continuano a essere attivi nella scena musicale, sostenendo anche cause politiche e ambientali.

L’attenzione per l’ambiente

I Massive Attack iniziarono ad interessarsi alla questione già anni fa, quando nel 2019 hanno incaricato il Tyndall Center for Climate Change Research di studiare l’impatto ambientale dei loro concerti. L’obiettivo di questa richiesta era quello di trovare soluzioni concrete per ridurre l’impronta ecologica dell’industria musicale. Tale studio si concentrò sulle emissioni generate dai viaggi della band, dagli spostamenti del pubblico e dall’impatto sulle location e i suoi risultati saranno condivisi con l’intero settore per promuovere concerti a basso impatto ambientale. Così facendo i Massive Attack, organizzarono un concerto “super-low carbon” a Liverpool nell’estate 2020 come parte di questa iniziativa.

Ma non si sono fermati lì, poiché hanno proprio quest’anno, la loro idea è diventata realtà con un concerto-festival. Il gruppo di Bristol sarà vita ad “Act 1.5”: concerto che mette al centro la crisi climatica e con le emissioni più basse di sempre. Mai nessun big della musica si è mai spinto a tal punto per il clima. Di certo I Coldplay in Italia hanno tentato di dar vita a spettacoli con un’elevata attenzione all’ambiente, promuovendo metodi alternativi per le fonti energetiche (persino le bici che generano elettricità su cui pedalano gli spettatori. Ma la band inglese vuole andare oltre.

Act 1.5

Si chiama “Act 1.5” con lo scopo di richiamare alla necessità di agire tutti insieme per restare entro i +1,5 gradi di riscaldamento globale, e promette di essere il “concerto più green di sempre”. Il cibo sarà completamente vegano, i bagni compostabili, e l’energia per il palco e le bancarelle sarà fornita da furgoni elettrici. I 34.000 fan sono invitati a raggiungere il concerto a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, senza parcheggi disponibili.

Altre iniziative includono navette elettriche gratuite, uso di energia rinnovabile, utensili compostabili, e una drastica riduzione dei mezzi di trasporto dell’attrezzatura. Lo show, alimentato al 100% da energia rinnovabile, mira a diventare un modello per la musica dal vivo sostenibile. Mentre una grande priorità è stata data ai residenti locali nella prevendita, e sarà piantato un nuovo bosco nelle vicinanze. I Massive Attack vogliono dimostrare che concerti a basso impatto ambientale sono possibili, e sperano di influenzare positivamente il settore musicale.

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Scoperta una nuova fonte di ossigeno nei fondali del Pacifico. Ecco l’”ossigeno buio”.

By : Aldo |Agosto 18, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Scoperta una nuova fonte di ossigeno nei fondali del Pacifico. Ecco l’”ossigeno buio”.

Come spesso si ricorda, lo studio e la ricerca da parte delle università e dei centri specializzati non finiscono mai (soprattutto se ben finanziati).  La ricerca è fondamentale per lo sviluppo e il progresso di ogni popolazione poiché trova nuove soluzioni a questioni ordinarie e straordinarie. Ma soprattutto può trovare risposte o tornare su scoperte storiche ribaltando totalmente quello che sappiamo da una vita. Un esempio è la nuova scoperta dell’“ossigeno oscuro”.

 

Le fonti di ossigeno

Dalle elementari fino alle scuole superiori, nei programmi di scienze, ci troviamo a studiare più volte l’importanza dell’ossigeno sulla terra. Sappiamo quindi che è fondamentale per quasi ogni forma di vita e che principalmente ci viene donato dalle grandi foreste del mondo. Tuttavia, approfondendo questo argomento si scoprono tante altre nozioni che sono rilevanti, soprattutto per infondere in ognuno di noi, una maggiore consapevolezza sull’ambiente e sulla sua salvaguardia.  In questo caso parliamo di ossigeno e delle sue fonti, che sono varie ma essenziali per tutti noi. Generalmente si parla di fonti rappresentate da organismi fotosintetici, che si trovano sia negli oceani che sulla terraferma.

La prima grande fonte, sono gli oceani che grazie alle alghe e ai cianobatteri producono approssimativamente circa 6,1 gigatonnellate di ossigeno all’anno. Di queste, fino al 20% è prodotto da cianobatteri, come il Prochlorococcus (tra i più piccoli organismi fotosintetici). Grazie al loro lavoro, questi esseri viventi contribuiscono alla produzione di oltre la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera.

Mentre per quanto riguarda la terraferma, si individuano le piante verdi (alberi e arbusti), e quindi boschi e foreste, che producono circa 8 gigatonnellate di ossigeno all’anno. La quantità emessa varia in base alla specie vegetale e alla loro area fogliare. Alberi come abeti, aceri e faggi sono tra i più produttivi, mentre piante più piccole o meno sviluppate producono meno ossigeno.

L’ossigeno oscuro

Uno studio condotto recentemente dal professor Andrew K. Sweetman e il suo gruppo di ricercatori presso la Scottish Association for Marine Science (SAMS) ha rivelato che alcune rocce nei fondali marini possono generare elettricità sufficiente a creare elettrolisi, scomponendo l’acqua e producendo ossigeno molecolare. Durante l’esperimento, gli studiosi hanno constatato che in due giorni, l’ossigeno è aumentato fino a tre volte la concentrazione iniziale a 4.000 metri di profondità, dove la luce non arriva. Per tale motivo e quindi è chiamato ossigeno “oscuro” o “buio”.

Questa scoperta potrebbe essere fondamentale per comprendere l’origine della vita sulla Terra, suggerendo che l’ossigeno potrebbe essere stato prodotto nelle profondità marine prima dell’apparizione degli organismi fotosintetici. Il biologo Jeffrey J. Marlow dell’Università di Boston, autore dello studio, ipotizza che questa nuova fonte di ossigeno potrebbe sostenere la vita animale e l’ecosistema dei fondali marini. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questa ipotesi.

Tale scoperta risale al 2013, quando Sweetman aveva notato anomalie nel flusso di ossigeno, ritrovate in successive misurazioni nel 2021. Tali rilevamenti hanno confermato l’aumento di ossigeno in condizioni di oscurità in assenza di organismi fotosintetici. Dunque, gli scienziati hanno ipotizzato che i noduli polimetallici fossero responsabili, producendo ossigeno attraverso un processo di elettrolisi. Di seguito, anche i test di laboratorio hanno mostrato che questi noduli agiscono come “geobatterie”, generando una piccola corrente elettrica (1 volt circa ciascuno) che scinde le molecole di acqua (H2O) in idrogeno e ossigeno, che viene così liberato. Questo processo è chiamato elettrolisi. Dunque, Sweetman ha dichiarato che potrebbe trattarsi di una nuova fonte naturale di ossigeno, implicando quindi, la possibile produzione di ossigeno per altri mondi, suggerendo la possibilità di vita extraterrestre.

Le possibili controversie

Tuttavia, questo studio sui noduli polimetallici potrebbe avere implicazioni significative per le società minerarie, interessate a materiali essenziali per le tecnologie energetiche rinnovabili. Proprio i noduli, ricchi di terre rare, cobalto, nickel, litio e manganese, sono stati trovati nella zona di Clarion-Clipperton nel Pacifico, un’area ricca di risorse minerarie. L’estrazione di questi materiali potrebbe danneggiare un ecosistema marino che ospita oltre 5.000 specie animali ancora sconosciute, come evidenziato da uno studio pubblicato su Current Biology. Purtoppo però, 16 appaltatori hanno già ricevuto contratti per l’esplorazione di un’area totale di circa 1 milione di chilometri quadrati proprio nella zona di Clarion-Clipperton.

Pertanto, l’industria mineraria in acque profonde sta sviluppando tecnologie per raccogliere i noduli su vasta scala, utilizzando bracci metallici, sottomarini e veicoli telecomandati (ROV) per trasportarli su navi verso i siti di lavorazione.

È ovvio che si tratti di un’ipotesi eccitante, che merita di essere approfondita, ma è necessario supportare e tutelare il più possibile i delicati ecosistemi marini dallo sfruttamento industriale. A tal proposito è stata già creata petizione firmata da più di 800 scienziati marini di 44 paesi diversi volta ad evidenziare i rischi ambientali, chiedendo quindi una pausa nell’attività mineraria.

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Sostenibilità Olimpiadi 2024: totale disastro o l’inizio di un grande cambiamento?

By : Aldo |Agosto 17, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sostenibilità Olimpiadi 2024: totale disastro o l’inizio di un grande cambiamento?

I requisiti sulla sostenibilità nei grandi eventi sono sempre più richiesti, vista la loro rilevanza. Sono tanti i punti da analizzare, studiare e concretizzare per rendere una manifestazione importante più sostenibile; dunque, è spesso difficile trovare una soluzione per ogni aspetto. Tuttavia, bisogna sempre ricordare che puntare sulla sostenibilità non significa diventare estremisti.

Parigi 2024

Le Olimpiadi di Parigi 2024 svolte dal 26 luglio all’11 agosto 2024 hanno rappresentato la 33ª edizione dei Giochi Olimpici e segnato il centenario dall’ultima volta che Parigi ospitò i Giochi nel 1924. Gli eventi sportivi si sono tenuti in vari luoghi iconici della capitale francese, trasformando la città in un grande parco olimpico. Tra le sedi principali ci saranno il Grand Palais, gli Champs de Mars e la Reggia di Versailles, mentre il villaggio olimpico situato a Saint-Denis, ha ospitato circa 15.000 atleti provenienti da tutto il mondo.

Questa edizione ha portato tante novità, tra cui il basket 3×3 e l’arrampicata sportiva, ma anche una cerimonia d’apertura totalmente diversa, svolta lungo la Senna con 300.000 spettatori. Mentre la grande e rilevante novità dei giochi di Parigi riguarda gli obiettivi sostenibili, che sono stati annunciati con grande fervore ed ambizione.

Non a caso, Parigi 2024 si distingue per il suo impegno ecologico, puntando a ridurre le emissioni di CO2 del 55% rispetto alle edizioni precedenti. Questo è possibile poiché, il 95% delle infrastrutture era già esistente o sarebbe stato temporaneo, e l’80% delle sedi si trovavano entro 10 km dal villaggio olimpico. Inoltre, il cibo servito durante i Giochi era 100% locale e biologico, contribuendo a un evento più sostenibile e responsabile.

I risultati

Parigi 2024 si è imposta di ridurre del 50% le emissioni di carbonio rispetto alle medie di Londra 2012 e Rio 2016.  Quindi l’obiettivo è quello di passare alla media di 3,5 milioni di tonnellate di CO2 di Londra 2012 e Rio 2016 a 1,75 milioni di tonnellate. L’impatto che questa scelta potrebbe avere sarebbe paragonabile all’evitare l’equivalente di 1,3 milioni di voli da New York a Parigi. Un inizio così determinato e volenteroso ha lanciato un forte messaggio a livello mondiale, sulla tutela dell’ambiente.

Sicuramente la città è stata trasformata a questo proposito, con il centro pedonalizzato, corsie preferenziali per i mezzi pubblici e le bici, la plastica quasi scomparsa con la guerra dichiarata alle bottigliette e alle stoviglie usa e getta. Per non parlare del resto, ossia, gli studi per incanalare l’aria fresca che scorre sopra la Senna verso i quartieri più interni per raffrescarli. Oppure gli ecodesigner che hanno progettato oggetti fatti con materiali riciclati o riciclabili. E infine depuratori, bacini di stoccaggio delle acque piovane e nuove fognature, per fare della Senna un fiume balneabile.

Diciamo che l’idea e il messaggio ecologico di Parigi 2024 era incentrato molto su una transizione possibile. Il problema è che, stando ai racconti degli atleti e di chi ha vissuto le olimpiadi in prima persona, i progetti legati alla transizione ecologica non includevano aspetti pratici, importanti e piacevoli di questo evento.  

Le critiche

Infatti, riconoscendo l’impegno dell’organizzazione, gli atleti hanno alzato critiche su vari fronti, riguardanti la gestione dei giochi e la vita presso il villaggio olimpico.

Le condizioni erano discutibili già al principio quando venne annunciata l’assenza di condizionatori nel villaggio olimpico. Questo ha scatenato le ire dei ragazzi che si sono lamentati, fino ad arrivare al famoso scatto del campione olimpico Thomas Ceccon, ripreso a dormire sul prato accanto ad una panchina per trovare un po’ di refrigerio. Stessa cosa per la mensa, che ha fatto discutere molto soprattutto per la scarsa qualità del cibo che ha costretto molti atleti a cambiare aria e procurarsi una differente alimentazione tramite la propria federazione. Anche qui il problema principale è stato quello della “transizione eco-sostenibile“: carne e uova scarseggiavano rispetto ad alimenti per vegani disponibili in abbondanza ma non così tanto richiesti dagli atleti.

Altre polemiche sono state sollevate in merito all’acqua calda nelle borracce ovviamente per le condizioni inaccettabili della Senna, che hanno portato più atleti in ospedale con infezioni gravi. A proposito ci si chiede, se sia giusto o opportuno scommettere tanto denaro e tanta reputazione, per poi dover rimandare le gare giorno per giorno, provocando comunque problemi di salute agli atleti che hanno accettato di tuffarsi nel fiume?

In conclusione

È oggettivo che un evento della portata delle olimpiadi poteva e doveva essere organizzato in modo più curato sotto tutti gli aspetti, senza escluderne uno. Certamente l’intento era nobile ma i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative; pertanto, restano grandi dubbi sulla riuscita dell’intera manifestazione.

Tuttavia, bisogna attendere ancora per dare il verdetto finale, in primo luogo perché si svolgeranno le Paralimpiadi dal 28 agosto all’8 settembre. Dopodichè si potrà esaminare quanto rimarrà dei Giochi Green nel futuro di Parigi, quando sarà tutto spento. Solo lì e col passare del tempo, potremmo capire se la città a misura d’uomo, in cui ci si muove in bici, a piedi sarà stato un fuoco di paglia, pensato e realizzato solamente per i media o se invece sarà l’inizio di una nuova vera e propria transizione.  

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Il comune di Peccioli si trasforma grazie al Pixel-Farming.

By : Aldo |Agosto 12, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il comune di Peccioli si trasforma grazie al Pixel-Farming.

Quando si parla di transizione ecologica delle città si pensa generalmente alle grandi metropoli, alle capitali. Spesso però il primo passo viene fatto dai piccoli paesi che provano ad essere un esempio per le località circostanti. Questo è possibile sia per delle superfici ridotte, una minore popolazione ma anche per la possibilità di sfruttare risorse che le città sovraffollate non hanno. Un modello è proprio il comune di Peccioli, che ha intrapreso un percorso di sostenibilità nell’area di Santo Stefano unico nel suo genere.

Pixel Farming

Il pixel farming è un concetto innovativo che unisce agricoltura e tecnologia digitale, permettendo agli agricoltori di monitorare e gestire le loro coltivazioni in modo più efficiente. Questo approccio si basa sull’uso di sensori e dispositivi IoT (Internet of Things) per raccogliere dati in tempo reale sulle condizioni del suolo, l’umidità, la temperatura e altri fattori ambientali. Grazie all’analisi di questi dati, gli agricoltori possono prendere decisioni più informate riguardo a irrigazione, fertilizzazione e gestione delle colture.

Uno degli aspetti chiave di questo concetto, è la sua capacità di ottimizzare l’uso delle risorse, che determina un’agricoltura più sostenibile ed una miglior resa delle colture.  Per mezzo le tecnologie avanzate, come droni e immagini satellitari, gli agricoltori possono ottenere una visione dettagliata delle loro terre e identificare aree che necessitano di interventi specifici.

Inoltre, attraverso il pixel farming, c’è la possibilità di promuove la condivisione di informazioni tra agricoltori, creando una rete di conoscenze che può portare a pratiche agricole più innovative e collaborative. Tra queste anche le nuove tecniche per contrastare il cambiamento climatico e per la sicurezza alimentare. Tutto ciò è consentito dalle piattaforme digitali, che permettono agli agricoltori di scambiare esperienze e suggerimenti, migliorando così la resilienza delle comunità agricole.

L’innovazione a Peccioli

L’idea alla quale hanno lavorato il Sindaco di Peccioli, Renzo Macelloni e l’architetto Maria Alessandra Segantini, CEO di C+S Architects si chiama ‘land-CR.AF.T.ED’. La “Community Reinvent Affordable Food Through Ecologic Design” (ndr) è un prototipo di borgo popolare che vive di pixel-farming, una nuova visione dell’abitare in equilibrio tra costruito e natura. Si presenta come una risposta possibile alle questioni ecologiche, economiche e sociali cruciali nei processi di trasformazione contemporanea di città e paesaggi.

Il progetto di rigenerazione nell’area di Santo Stefano prevede la costruzione di un complesso di 12 case popolari con tetti a forma di foglia, compresi di uno spazio di soggiorno/cucina e una, due o tre camere, secondo i canoni classici dell’edilizia sociale. Non mancano i servizi, che insieme alle case, si estendono su una superficie di 11,76 ettari con una capacità edificatoria di meno di 3.000 metri quadrati. Le residenze sono progettate come micro-fattorie ispirate ai casali storici toscani, con unità abitative da 80 a 130 metri quadrati. Ogni unità sarà circondata da un recinto di terra cruda che include uno spazio coltivabile, adottando il concetto di pixel farming per promuovere biodiversità e alta produttività agricola. Inoltre si investirà sull’arboricoltura (in alternanza di frassini maggiori e pioppi con impianto policiclico multi-obiettivo o misto) ridisegnando un paesaggio che si rigenera naturalmente diventando una risorsa anche economica per il Comune.

Non a caso il progetto propone l’uso di tecniche costruttive innovative come terra cruda, stampa 3D, legno, rame ossidato e zinco per le coperture, riducendo l’impatto ambientale. Le nuove residenze prefabbricate sono concepite come kit riciclabili ed il modello abitativo coniugherà edilizia sociale e agricoltura, creando una comunità multietnica autosufficiente che condivide cibo di qualità prodotto localmente, integrando conoscenze e semi locali e internazionali. Si pensa inoltre di dare un indirizzo turistico alla zona.

In conclusione

In conclusione, si può dire che la parola chiave del progetto presentato è proprio “innovazione”, poiché rispecchia ogni aspetto del piano. Infatti, è innovativo il modello che coniuga la casa sociale all’agricoltura, ma anche le tipologie agricole proposte e le tecniche costruttive. Quest’ultime comprendono l’uso di terra cruda o stampa 3d, legno per le strutture orizzontali e verticali, rame ossidato o zinco per le coperture che sono state disegnate come foglie appoggiate alle murature. L’insieme di tali innovazioni consentono la decarbonizzazione dell’edilizia.

Sempre nell’ambito edile, si cita il sistema di prefabbricazione, studiato come un kit di montaggio da poter riciclare a fine vita degli edifici. Ed infine la creazione di una comunità multietnica è innovativa poiché basata sul legame con la terra. Offrendo cibo di qualità autoprodotto e condiviso e integrando conoscenze e semi locali con quelli provenienti da altri Paesi del mondo.

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Costi elevati e tempi lunghi, rallentano la realizzazione di soluzioni bio-based.

By : Aldo |Agosto 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Costi elevati e tempi lunghi, rallentano la realizzazione di soluzioni bio-based.

La ricerca, le innovazioni e le nuove tecnologie sono il motore del nostro futuro in ogni ambito, soprattutto quando si parla di sviluppo. Di certo le nuove scoperte in ambito scientifico sono fondamentali anche per lo sviluppo sostenibile, per aiutare il pianeta e le sue specie a contrastare il cambiamento climatico. Purtoppo però, le istituzioni non agevolano i processi necessari per mettere in atto i nuovi studi e spesso i costi per realizzarli sono troppo elevati per le aziende che mirano al cambiamento.

Le soluzioni bio-based

Le soluzioni bio-based sono materiali e prodotti derivati da fonti rinnovabili come piante, alghe e scarti agricoli, che offrono un’alternativa ecologica ai materiali tradizionali derivati dal petrolio e consistono principalmente in:

  • Biopolimeri e plastiche rinnovabili prodotte da microorganismi che fermentano zuccheri semplici o sottoprodotti dell’industria alimentare e agricola;
  • Vernici e rivestimenti formulati con ingredienti derivati da oli vegetali, resine naturali, biosolventi e pigmenti naturali.

E poi ancora possono essere usati microbi per produrre coloranti sostenibili nell’industria tessile, sviluppare organismi in grado di catturare la CO2 e purificare l’acqua.  Questi materiali bio-based trovano applicazione in vari settori industriali quali, l’imballaggio e il confezionamento, l’edilizia e l’arredamento e il settore tessile. Se non altro possono essere usate nell’ambito dei trasporti, dell’elettronica e della tecnologia.

Tali tipi di alternative offrono degli specifici vantaggi nell’ambito della sostenibilità ambientale, in particolare nella riduzione della dipendenza da risorse non rinnovabili. Senza dubbio hanno un grande impatto in tema di Biodegradabilità e compostabilità, riducendo i rifiuti e per la differenziazione delle fonti di materie prime rinnovabili.


Il parere delle aziende internazionali

Proprio per indagare sulla complessità dello sviluppare o realizzare delle soluzioni bio based, Capegemini Research Institute, ha condotto un report specifico. Il report, intitolato “Engineering Biology: The Time is Now”, evidenzia che il 99% dei dirigenti prevede cambiamenti radicali nei prossimi 5-10 anni grazie alla bioingegneria, che riduce i costi e velocizza l’ingegnerizzazione dei sistemi biologici. Mentre il 70% considera la bioingegneria una leva per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ed il 56% è già attivo in sperimentazioni e progetti pilota. Inoltre, le aziende ritengono che le biosoluzioni possano ridurre inquinamento ed emissioni, migliorare le prestazioni e la sicurezza dei prodotti e ridurre i rischi della catena di approvvigionamento.

Nonostante alcuni ostacoli come costi elevati e tempi lunghi di sviluppo, le soluzioni bio-based rappresentano un’importante componente dell’economia circolare e dell’economia globale, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale delle attività industriali.

Gli ostacoli dell’innovazione

Tuttavia, resta l’incertezza sull’efficacia di queste soluzioni, che devono essere valutate lungo l’intero ciclo di vita del prodotto e dimostrare efficienza di costo e prestazioni superiori. Secondo Umberto Larizza di Capgemini Invent Italia, molte soluzioni di bioingegneria sono ancora in fase iniziale e devono dimostrare benefici ambientali, efficienza e performance migliori rispetto alle soluzioni esistenti.

Altri ostacoli sulla diffusione di tali innovazioni, sono la loro acerbità ma anche i costi elevati e i lunghi tempi di sviluppo, le difficoltà nella scalabilità della produzione e la previsione dei comportamenti cellulari su larga scala. Senza dimenticare la mancanza di infrastrutture adatte per la produzione su vasta scala e la carenza di talenti specializzati.

Per i motivi appena elencati, ci sono vari processi che necessitano di essere attivati o attenzioni e responsabilità da ricordare e sottolineare. Per esempio, è rilevante un maggiore supporto governativo per stabilire normative che favoriscano l’innovazione. Sarebbe opportuno puntare sull’uso delle tecnologie digitali, come intelligenza artificiale, gemelli digitali e robotica, per ridurre i costi e ottimizzare i bioprocessi.

In conclusione

Oltretutto, il report evidenzia che il 70% degli intervistati utilizza già l’IA per accelerare l’adozione delle biosoluzioni, rispetto al 20% per la robotica e all’11% per i gemelli digitali. Di certo tutto questo sarebbe possibile solo ed esclusivamente con un aumento di investimenti per affrontare la carenza di professionisti qualificati nel settore e di una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli stakeholder sui benefici delle biotecnologie, come dimostra il caso della carne coltivata.

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Il 1° Agosto segna l’Earth Overshoot Day 2024.

By : Aldo |Agosto 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il 1° Agosto segna l’Earth Overshoot Day 2024.

Il consumo adeguato delle risorse, la lotta contro lo spreco alimentare e l’educazione all’alimentazione sono tutti temi fondamentali che dovrebbero essere alla base di un’alimentazione sana, sicura e sostenibile. Tuttavia, ogni paese nel mondo ha necessità, abitudini, possibilità e risorse diverse; pertanto, non è semplice coordinare ogni popolazione in un’unica azione per garantire la sostenibilità di questo settore. Anche quest’anno infatti siamo arrivati troppo presto all’Earth Overshoot Day.

Earth Overshoot Day nel tempo

L’Earth Overshoot Day 2024 arriva il 1° agosto, un giorno prima rispetto al 2023, questo vuol dire che in soli 7 mesi l’umanità ha consumato tutte le risorse che la Terra impiega 12 mesi a rigenerare. Nello specifico, a livello globale, abbiamo consumato l’equivalente di 1,7 pianeti all’anno, una cifra che potrebbe arrivare a 2 pianeti entro il 2030 sulla base delle tendenze attuali.

Infatti, per soddisfare i nostri bisogni e promuovere il progresso, stiamo continuamente depauperando il capitale naturale. L’uso eccessivo della deforestazione, la pesca intensiva, l’erosione del suolo e la perdita di biodiversità contribuiscono all’accumulo di CO2 nell’atmosfera. Senza contare che tali processi determinano effetti sempre più significanti come ondate di calore, incendi, siccità e inondazioni.

Questi fenomeni aggravano la crisi climatica, causando eventi meteorologici sempre più intensi e frequenti, che a loro volta influenzano negativamente la produzione alimentare. Si tratta di un circolo vizioso da cui non riusciamo a uscire.

La corsa contro il tempo

In poco più di cinquant’anni, il giorno in cui l’umanità va a debito con il pianeta è stato anticipato di quasi centocinquanta giorni. E le prospettive non sono tanto migliori: continuando di questo passo, si stima che nel 2030 arriveremo a consumare due pianeti. La velocità con la quale consumiamo tutte le nostre risorse è a tutti gli effetti un grande problema, per il pianeta ma in primo luogo per noi umani. Questo è vero perché non ci rendiamo conto della gravità della situazione e di conseguenza non le diamo la giusta importanza. Analogamente continuiamo a non prenderci le nostre responsabilità, necessarie per invertire la rotta di questa corsa contro il tempo.  

Non a caso cinquant’anni fa, nel 1974, l’Earth Overshoot Day cadeva il 30 novembre, mentre nel 2004 era il 2 settembre e nel 2014 il 5 agosto. La data si è sempre più anticipata, segno che il nostro debito ecologico è in continua crescita. Tra i Paesi che esauriscono le risorse naturali più velocemente ci sono Qatar (11 febbraio) e Lussemburgo (20 febbraio), e gli Emirati Arabi Uniti (4 marzo). Tra i Paesi che invece termineranno il budget di risorse a loro disposizione in concomitanza con la fine dell’anno compaiono Kirghizistan (30 dicembre), la Moldavia (28 dicembre) e la Guinea (27 dicembre 2024).

Calcoli e possibili soluzioni

Come si arriva però a definire una vera e propria data riguardante un argomento così particolare ed articolato, vista la portata mondiale? Il WWF ricorda che, l’Earth Overshoot Day si calcola dividendo la “biocapacità” del pianeta (la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare in un certo anno) per l’impronta ecologica dell’umanità (cioè la domanda delle nostre società per quello stesso anno) e moltiplicando tutto per i 365 giorni dell’anno. Generalmente l’impronta ecologica viene calcolata sulla base di sei categorie quali: coltivazioni, pascoli, aree necessarie per i prodotti forestali, aree di pesca, aree edificate e aree forestali necessarie per assorbire il carbonio emesso dai combustibili fossili.

Per limitare e rallentare questo processo, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) vuole ridurre il 43% le emissioni di gas serra entro il 2030 a livello mondiale, rispetto ai livelli del 2010.

Il debito dell’Italia

Quest’anno in Italia l’Overshoot Day è arrivato il 19 maggio, in leggero ritardo rispetto al 2023 (15 maggio). Il nostro è uno dei paesi con il più elevato debito ecologico al mondo. L’Italia è responsabile di circa il 3 per cento del consumo di risorse a livello globale e si posiziona all’ottavo posto nella classifica mondiale. A fornire in dati è uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista scientifica The Lancet che per la prima volta ha stimato il debito ecologico accumulato da 160 Paesi negli ultimi cinquant’anni.

Im questo contesto, il WWF suggerisce due strategie principali per ridurre il debito ecologico accumulato con la Terra:

  1. Generare energia elettrica per almeno il 75% da fonti rinnovabili, rispetto all’attuale 39%. Questo potrebbe spostare in avanti l’Overshoot Day di ben 26 giorni.
  2. Implementare e migliorare le tecnologie di efficienza energetica esistenti per gli edifici, i processi industriali e la produzione di energia elettrica. Applicando queste tecnologie, si potrebbero recuperare ulteriori 21 giorni.

Complessivamente, aumentando l’uso di energie rinnovabili al 75% e adottando tecnologie di efficienza energetica, si potrebbe guadagnare quasi 2 mesi prima di raggiungere l’Earth Overshoot Day, ritardando significativamente il momento in cui l’umanità esaurisce le risorse che la Terra può rigenerare in un anno.

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Neutralità climatica 2030: successi e barriere delle 9 città italiane.

By : Aldo |Luglio 30, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Neutralità climatica 2030: successi e barriere delle 9 città italiane.

A volte sembra che nulla si stia muovendo, o che niente vada nella direzione giusta, ma dietro le quinte ci sono grandi progetti che potranno cambiare le cose. L’ASviS è un ente che più o meno in sordina, continua a lavorare per rendere l’Italia un Paese migliore basando tutti i suoi studi, ricerche e progetti sulla sostenibilità della vita. In questo caso, riporta successi e difficoltà delle città parte della missione Europea per diventare carbon neutral entro il 2030.

L’importanza dell’ASviS

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) è stata fondata il 3 febbraio 2016, grazie all’iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Il suo obiettivo principale è quello di sensibilizzare la società italiana, le istituzioni e gli attori economici sull’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Di conseguenza ha un grande ruolo nella mobilitazione di tutti questi attori per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Attualmente, l’ASviS riunisce oltre 270 membri, tra cui associazioni, università, enti locali e reti della società civile, creando una rete ampia e diversificata per affrontare le sfide legate alla sostenibilità.

Le attività si concentrano su vari aspetti, come la promozione di una cultura della sostenibilità, l’analisi delle opportunità e delle implicazioni dell’Agenda 2030 per l’Italia, e la definizione di strategie nazionali per il conseguimento degli SDGs. Inoltre, l’alleanza è attivamente coinvolta nella realizzazione di eventi significativi, come il Festival dello Sviluppo Sostenibile, che mira a diffondere la consapevolezza sui temi della sostenibilità attraverso dibattiti, workshop e iniziative pubbliche. In sintesi, la sua missione è fondamentale per garantire che l’Italia non solo aderisca agli impegni internazionali, ma anche per promuovere un cambiamento culturale necessario per un futuro sostenibile.

Climate City Contract

L’ASviS, dunque, direziona le attività sostenibili dell’Italia e coordinandosi con le iniziative e le nuove norme europee, non a caso, si parla di Climate City Contract (CCC). Si tratta di uno strumento innovativo introdotto nell’ambito della Missione “100 Climate-Neutral and Smart Cities by 2030” del programma Horizon Europe (concepito per supportare le città europee nella transizione verso la neutralità climatica).

Questo contratto è stato istituito per affrontare in modo collaborativo le sfide legate alla riduzione delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere una diminuzione di almeno l’80% entro il 2030. Pertanto i settori inclusi sono quelli della mobilità, infrastrutture, riscaldamento degli edifici, gestione dei rifiuti e delle risorse idriche Mentre le città italiane che partecipano a questa iniziativa sono Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino, ognuna delle quali ha sviluppato un proprio piano d’azione specifico.

Il Climate City Contract si compone di tre elementi principali:

  • impegni strategici: definiti in collaborazione con attori locali e nazionali;
  • un piano d’azione: identifica le lacune nelle politiche esistenti e propone interventi coordinati;
  • piano di investimenti: valuta costi e impatti delle azioni previste, fornendo una struttura per il finanziamento delle iniziative.

Con questo approccio integrato, il contratto facilitare la partecipazione attiva dei cittadini e garantisce alle città di affrontare efficacemente le sfide climatiche, rendendo il CCC uno strumento fondamentale per la governance urbana sostenibile.

Futuro e barriere

Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, sottolinea che il percorso verso la neutralità climatica è impegnativo ma fattibile, con le città che hanno già registrato significative riduzioni delle emissioni rispetto al 2015. Tuttavia, esistono ancora ostacoli normativi e culturali, come la riqualificazione energetica degli edifici e l’elettrificazione dei trasporti. Per superare queste barriere, è necessario incrementare le risorse disponibili e rafforzare la collaborazione politica e istituzionale a tutti i livelli, coinvolgendo imprese e società.

Tale programma è stato realizzato dal sottogruppo ‘Politiche climatiche’ del Gruppo di Lavoro sul Goal 11 ‘Città e comunità sostenibili’ dell’ASviS. Attualmente, Firenze e Parma hanno già ricevuto l’approvazione dei loro contratti, mentre Bergamo, Bologna, Milano, Prato e Torino sono in attesa. Padova e Roma devono ancora completare e presentare i loro documenti.

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HBI dona un nuovo e vantaggioso destino ai fanghi da depurazione.

By : Aldo |Luglio 28, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su HBI dona un nuovo e vantaggioso destino ai fanghi da depurazione.

Ogni persona ha il suo impatto sul mondo anche quando meno se ne rende conto, o con attività quotidiane e naturali. Ogni città, infatti, si confronta quotidianamente con le attività di depurazione delle acque reflue urbane ed extraurbane, un processo tanto importante quanto delicato.  Questo perché le acque reflue raccolgono tantissimi elementi diversi, tra cui anche materiali pericolosi e patogeni. Pertanto, è necessario che i depuratori funzionino alla perfezione per garantire la salute dei cittadini. È per questo che c’è chi ha concentrato il proprio studio sui rifiuti legati a tale processo, ai loro effetti e ai loro vantaggi.



I fanghi da depurazione

I fanghi da depurazione sono una sospensione liquida, più o meno ricca di solidi di natura organica e inorganica, che si forma durante i trattamenti di depurazione delle acque reflue urbane ed extraurbane. Sono composti per circa il 75% da acqua e per il 25% da rifiuti, tra cui sostanze organiche facilmente degradabili come cellulosa, zuccheri, lipidi e proteine, e sostanze inorganiche inerti come sabbia e ossidi.

Tali fanghi contengono anche microrganismi, che possono includere agenti patogeni come Salmonella e Streptococchi provenienti da deiezioni di soggetti malati. Nonostante il loro riutilizzo in agricoltura come fertilizzante sia una valida soluzione per lo smaltimento, esso presenta alcune criticità dovute alla possibile presenza di composti organici nocivi, metalli pesanti e potenziali agenti patogeni. Infatti, l’uso eccessivo di fanghi in agricoltura può portare a fenomeni di tossicità e inquinamento rilevanti per la catena alimentare e per la qualità delle acque superficiali e sotterranee.

L’Italia, con una produzione annuale di 3.2 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione nel 2021, è il terzo paese europeo in questo settore. Circa la metà viene smaltita in discarica o incenerita senza recupero, mentre la maggior parte, del resto, viene utilizzata in agricoltura senza decontaminazione da materiali pericolosi, come metalli pesanti, e senza recupero di risorse come fosforo e magnesio. Inoltre, circa 480.000 tonnellate di fanghi sono esportate dal Centro e Sud Italia verso il Nord. Per questo l’Unione Europea ha avviato procedure di infrazione contro l’Italia per inadempienze nel trattamento dei fanghi, con costi per la collettività che superano i 60 milioni di euro all’anno.

La tecnologia HBI

Per rimediare a tale problema la startup innovativa fondata a Bolzano nel 2016, HBI, ha sviluppato una tecnologia che offre una soluzione sostenibile per il trattamento dei fanghi di depurazione in Italia. Adottata su scala nazionale, questa tecnologia consentirebbe di generare un risparmio stimato tra i 120 e i 150 milioni di euro annui per imprese e collettività. Nello specifico, HBI permette di chiudere il ciclo idrico integrato, recuperando l’acqua contenuta nei fanghi ed estraendo materie critiche e strategiche come fosforo e magnesio, utilizzabili come basi rinnovabili per la produzione di fertilizzanti agricoli sostenibili, per i quali l’Europa dipende attualmente da forniture extra-UE.

La tecnologia, autonoma dal punto di vista energetico in quanto reimpiega l’energia contenuta nei fanghi stessi, è perfettamente integrabile agli impianti di digestione anaerobica esistenti. Inoltre, consente di trasformare i comuni depuratori delle acque in bioraffinerie poligenerative, in grado di recuperare acqua, materiali strategici critici e energia rinnovabile pulita. In tal modo si recupera e ricicla oltre il 90% della materia contenuta nei fanghi di depurazione e riducendo in modo consistente i costi di gestione e trattamento. Proprio grazie a tale tecnologia e all’intensa attività di ricerca e sviluppo, HBI ha ottenuto certificazioni ISO 9001 e ISO 14001 e la maturità tecnologica dei suoi impianti è stata certificata al livello TRL9 nel 2023.

La sostenibilità dell’innovazione HBI

Il sistema HBI utilizza un processo di separazione molecolare per estrarre dai fanghi materiali sostenibili ad alto valore aggiunto, come ammoniaca, idrogeno e nutrienti per l’agricoltura, producendo al contempo energia pulita e rinnovabile, rendendo l’impianto energeticamente autosufficiente. Questa tecnologia modulare e scalabile rappresenta un esempio concreto di economia circolare, contribuendo a ridurre i rifiuti destinati a discarica o incenerimento. Grazie all’applicazione della tecnologia HBI, i costi operativi per la gestione dei fanghi di depurazione possono diminuire di almeno il 15%, grazie a una riduzione dei rifiuti fino al 90%, al recupero di materiali preziosi e all’estrazione dell’acqua contenuta nei fanghi fino all’85%.

Inoltre, se applicata ai fanghi digestati, HBI può aumentare la produzione di biogas fino al 40%. Installata presso il depuratore di Bolzano e successivamente al sito GP Lab di Fusina, la tecnologia ha ottenuto nel novembre 2022 il certificato ETV (Environmental Technology Verification) da Rina, riconosciuta come la migliore disponibile sul mercato. La startup trevigiana stima che il mercato delle soluzioni innovative per il trattamento dei fanghi di depurazione in Italia possa generare oltre 500 milioni di euro all’anno, mentre la commercializzazione di materie prime recuperate dai fanghi potrebbe aggiungere ulteriori 200-300 milioni di euro.

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