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Assorbire CO2 a tavola? Ecco le soluzioni che possono aiutarci.

By : Aldo |Gennaio 16, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Assorbire CO2 a tavola? Ecco le soluzioni che possono aiutarci.
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Mangiare “bene” è una prerogativa fondamentale per poter vivere una vita in buona salute. Non a caso con tanti piccoli accorgimenti, possiamo nutrirci in modo sano ed equilibrato per vivere meglio e più a lungo. E se funzionasse allo stesso modo anche per il nostro pianeta? Se con un’alimentazione attenta all’emissioni di CO2 potessimo migliorare la vita e la salute del mondo? Uno studio si è focalizzato proprio su una dieta basata su alimenti che assorbono CO2 dall’atmosfera.

Alimentazione sostenibile

In un mondo sempre più interconnesso e segnato da sfide ambientali, adottare uno stile di vita sostenibile è diventato cruciale. Le scelte alimentari che compiamo non influenzano soltanto la nostra salute, ma anche quella del pianeta. Soprattutto perché, ogni fase del processo alimentare, dalla selezione dei prodotti alla loro consumazione e alla gestione dei rifiuti, rappresenta un’opportunità per contribuire a un futuro più sostenibile.

Come noto, la sostenibilità alimentare inizia con la scelta consapevole dei prodotti. Sarebbe opportuno infatti, optare per alimenti locali e di stagione riducendo l’impatto ambientale associato al trasporto e alla conservazione. Mentre preferire prodotti biologici supporta pratiche agricole rispettose dell’ambiente, evitando pesticidi e fertilizzanti chimici nocivi. Tali scelte determinano molteplici benefici tra cui:

  • la riduzione dell’impronta di carbonio, poiché i cibi locali richiedono meno energia per il trasporto;
  • il sostegno all’economia locale, favorendo i produttori della comunità;
  • una maggiore freschezza e qualità, poiché gli alimenti di stagione sono spesso più nutrienti.

Oltre a queste soluzioni, è necessario adottare un approccio consapevole al consumo, pianificando i pasti, per evitare gli sprechi e consumare solo il necessario. E ancora preparare i pasti a casa, invece di affidarsi a cibi pronti o fast food, non solo migliora la qualità della dieta e consente un maggiore controllo sugli ingredienti, promuovendo abitudini alimentari più sane e rispettose dell’ambiente.

L’impatto delle scelte alimentari sul pianeta

Mangiare bene non fa bene solo a noi, ma anche al pianeta. Un’alimentazione consapevole può contribuire ad assorbire carbonio dall’atmosfera, migliorando il clima. Secondo un approfondimento firmato da Joseph Poore per BBC Future, la produzione di alimenti è responsabile di un quarto delle emissioni antropiche di gas serra. Consumare alimenti “carbon negative” può rappresentare un modo per invertire questa tendenza. Uno studio basato su un modello matematico avanzato mostra che una transizione globale verso una dieta a base vegetale potrebbe liberare fino a 3,1 miliardi di ettari di terreno agricolo, permettendo il ripristino di foreste e praterie naturali. Tuttavia, gli attuali aumenti della resa agricola rimangono insufficienti senza azioni governative decise. Allo stesso tempo, ciascuno di noi può contribuire adottando scelte alimentari più sostenibili.

Alimenti “carbon negative” e pratiche rigenerative

Gli alimenti definiti “carbon negative” rimuovono più gas serra di quanti ne emettano. Prodotti come fagioli, tofu, alghe e macroalghe rappresentano alternative efficaci alla carne, che richiede notevoli risorse di terra: ad esempio, per 100 grammi di proteine di carne servono 100 metri quadrati di terra, contro soli 5 per i legumi. Questi cibi non solo riducono l’impronta ambientale, ma possono stimolare indirettamente il ripristino di ecosistemi naturali. Altri esempi includono i mirtilli, il sedano e la frutta a guscio, come le noci, che possono rimuovere significative quantità di CO2 durante la loro crescita. Anche pratiche agricole rigenerative, come il non dissodare il suolo o piantare siepi, possono aumentare il carbonio stoccato nella terra o nella vegetazione. A livello globale, si registrano progressi nel monitoraggio e nella promozione di queste soluzioni: in Nuova Zelanda, le emissioni agricole vengono già quantificate, e in Francia si prevede l’introduzione dell’etichettatura del carbonio. Adottando tali strategie, il futuro del nostro pianeta può cominciare dalle nostre tavole.

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King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.

By : Aldo |Gennaio 13, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su King Colis incrementa la circolarità nel settore dell’e-commerce.
Mediamodifier - Unsplash

Il fenomeno del consumismo è purtoppo parte integrante delle nostre vite, se non alla base delle nostre abitudini e della nostra quotidianità. E prende sempre rilevanza soprattutto grazie al mondo del web, il quale sta facilitando e amplificando a velocità inaudite il sistema consumista. Tutto ciò ovviamente ha un impatto estremamente negativo sul pianeta, e pertanto sono necessarie azioni che possano limitare i danni o cambiare le abitudini dell’uomo. Un esempio è la startup francese King Colis.

Il consumismo dell’e-commerce

L’avvento dell’e-commerce ha trasformato radicalmente il panorama del consumo, rendendo gli acquisti più accessibili e immediati. Tuttavia, questo cambiamento ha portato con sé una serie di problematiche, tra cui l’aumento dei resi e la gestione degli ordini mai consegnati o ritirati. Tale fenomeno è stato incoraggiato anche dalla comodità di acquistare online favorendo comportamenti di consumo impulsivo, quindi senza una reale necessità, contribuendo a un tasso di reso elevato. Quest’ultimo, nel settore dell’e-commerce può superare il 30%, influendo sui costi operativi delle aziende, determinando anche un impatto ambientale significativo a causa delle emissioni associate al trasporto e allo smaltimento dei prodotti restituiti.

Inoltre, la crescita esponenziale degli acquisti online ha complicato ulteriormente la logistica. Infatti, gli ordini non consegnati o mai ritirati rappresentano diventano dei nuovi costi legati all’inefficienze nella gestione delle scorte. Ovviamente, la pandemia ha ulteriormente accelerato questa tendenza, portando milioni di nuovi utenti a fare acquisti online per la prima volta e cambiando in modo permanente le abitudini di consumo.

Le possibili soluzioni

In risposta a queste sfide, molte aziende stanno cercando di ottimizzare le loro politiche di reso e migliorare l’esperienza del cliente attraverso l’uso di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e sistemi di gestione omnicanale. Queste innovazioni mirano a creare un processo più efficiente che riduca i costi associati ai resi e migliori la soddisfazione del cliente. Tuttavia, resta fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra i consumatori riguardo all’impatto delle loro scelte d’acquisto sull’ambiente e sull’economia.

In particolare, si può citare l’iniziativa della startup francese King Colis: un gruppo che rivende tonnellate di pacchi spediti dagli e-commerce non reclamati dai clienti. Grazie ad un’attenta analisi di mercato, quindi ad uno studio delle abitudini dei consumatori e alla logistica dell’e-commerce, l’impresa ha pensato di incrementare la circolarità nel settore.

Il problema dei resi

La startup francese ha trovato un modo innovativo per valorizzare i pacchi non reclamati provenienti dagli e-commerce. Questi colli, acquistati dai grandi operatori logistici, vengono poi rivenduti al chilo a prezzi estremamente convenienti, sia online sia nei pop-up store presenti i in diverse città europee. Questa idea è nata proprio durante il Covid quando, il cofondatore Killian Denis e sua moglie, avendo bambini piccoli a casa, ordinavano molti prodotti online. Tuttavia, l’elevata domanda globale causava ritardi o mancate consegne di alcuni ordini.

Una volta finito il lockdown, si sono chiesti che fine facessero tutti i pacchi non consegnati e ha deciso di approfondire il funzionamento del processo logistico. Attraverso varie indagini hanno scoperto la falla del sistema. I prodotti spediti che passano inizialmente dai grandi centri di logistica vengono affidati a società più piccole incaricate della consegna finale, però se un pacco ha un indirizzo sbagliato, un’etichetta danneggiata o per altri motivi non viene recapitato né reclamato dal destinatario, finisce in un deposito.
Negli stessi depositi ci finiscono anche per mezzo dei resi dei clienti, non per difetti, ma perché questi cambiano idea all’ultimo momento.  

Ma proprio per questa logistica e per l’enorme richiesta da parte dei consumatori, questi depositi si trovano sommersi di merce, che per le aziende “conveniene” distruggere anziché restituirli al mittente, spesso situato in Cina. Si parla di circa 150 tonnellate di pacchi distrutti

King Colis

Come soluzione, King Colis ha ideato un modello innovativo per recuperare pacchi non consegnati o restituiti, trasformandoli in un’opportunità di business e contribuendo alla riduzione dell’impatto ambientale. Questi pacchi, acquistati a peso, sono rivenduti attraverso un sistema di economia circolare che include pop-up store temporanei e vendite online. Il metodo prevede la vendita “a scatola chiusa”, garantendo l’effetto sorpresa e includendo prodotti vari, come dispositivi elettronici, abbigliamento e gadget.

Dopo il successo ottenuto in paesi come Olanda, Germania e Francia, King Colis debutta in Italia presso il centro commerciale RomaEst dal 14 al 19 gennaio, con circa 10 tonnellate di pacchi. L’obiettivo della startup è ampliare ulteriormente l’attività, acquistando 70 tonnellate di merce al mese e organizzando otto pop-up store mensili in diverse città europee. I pop-up store, realizzati con materiali riciclati, offrono un’esperienza interattiva dove i clienti possono selezionare pacchi, pagarli in base al peso e scoprirne il contenuto, alimentando così anche il mercato del second-hand. Se il progetto italiano avrà successo, la formula sarà replicata in altre città del paese, nonostante la sfida dei trasporti sostenibili resti aperta.

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UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.

By : Aldo |Gennaio 09, 2025 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UE: torna il deposito su cauzione per plastica, vetro e lattine. L’Italia è fuori dagli accordi.
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Ormai, nel 2025, è chiaro che il riciclo dei rifiuti, sia fondamentale per limitare l’impatto delle attività umane nel mondo. Ma è anche vero che ridurre la produzione dei rifiuti sia un’altra soluzione concreta al problema, che possiamo considerare prima del riciclo. È per questo che l’Unione Europea ha pensato di reintrodurre il deposito su cauzione per plastica, lattine e vetro. Ecco come.

Il deposito su cauzione

Si tratta di un sistema di raccolta selettiva ideato per incentivare il recupero degli imballaggi di bevande monouso, come bottiglie di plastica, vetro e lattine. Con l’acquisto di una bevanda, il consumatore paga una piccola cauzione, che viene restituita interamente al momento della riconsegna dell’imballaggio vuoto presso i centri di raccolta o i rivenditori. Questo sistema si propone di incrementare significativamente la raccolta differenziata, con l’obiettivo di raggiungere il 90% di recupero per bottiglie e lattine entro il 2029, in conformità con le normative europee. Inoltre, contrasta l’abbandono dei rifiuti e promuove una gestione più efficiente degli imballaggi, favorendo al contempo il riciclo e il riutilizzo, pilastri fondamentali dell’economia circolare.

Sul fronte della sostenibilità ambientale, il deposito su cauzione svolge un ruolo cruciale: riduce l’inquinamento da plastica e altri materiali, recuperando materie prime di alta qualità adatte al riciclo per la produzione di nuovi contenitori. Coinvolge attivamente i consumatori in pratiche responsabili, trasformando un gesto quotidiano in un contributo concreto alla tutela dell’ambiente, senza costi aggiuntivi per loro. Questo approccio rappresenta non solo un’efficace soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti, ma anche un passo fondamentale verso la costruzione di una società più consapevole e responsabile dal punto di vista ambientale.

Deposit Return System

l sistema di deposito su cauzione per contenitori monouso di plastica, vetro e alluminio si sta rapidamente espandendo in Europa e nel mondo, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti. Dal 2025, 50 paesi e circa 357 milioni di persone adotteranno i sistemi DRS (Deposit Return Systems), che prevedono il pagamento di una cauzione (tra i 15 e i 25 centesimi) al momento dell’acquisto di una bevanda, rimborsata quando il contenitore vuoto viene restituito. Questo approccio ha già preso piede in 16 Stati membri dell’Unione Europea, in linea con la direttiva SUP (Single-Use Plastics) del 2019, che promuove il recupero e il riciclo degli imballaggi.

Pioniera di questa soluzione è stata la Svezia nel 1984, seguita da Paesi del Nord Europa come Norvegia, Finlandia e Danimarca, e altri come Germania, Paesi Bassi, Lituania ed Estonia. Più di recente si sono aggiunte Austria, Polonia, Romania, Irlanda e Ungheria, mentre la Spagna prevede di implementarlo entro il 2026. I dati raccolti confermano l’efficacia del DRS: nei Paesi che lo adottano, la raccolta supera l’80% delle bottiglie monouso, rispetto a una media europea del 58%, con punte del 98% in Germania. Il sistema non solo riduce significativamente l’abbandono dei rifiuti negli spazi pubblici, ma raggiunge tassi di raccolta medi del 94% grazie all’incentivo economico offerto ai consumatori.

Il modello è anche sostenibile dal punto di vista finanziario: viene alimentato dai contributi dei produttori di bevande, dalla vendita dei materiali riciclati e dai depositi non riscattati dai consumatori che non restituiscono i vuoti. Nonostante questi risultati, l’Italia non ha ancora adottato il DRS, sostenendo che sia preferibile concentrarsi su politiche di riciclo piuttosto che puntare sulla restituzione dei rifiuti, una posizione che continua a suscitare dibattito tra istituzioni, consorzi e ambientalisti.

La discussione in Italia

In Italia, il sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso è oggetto di un acceso dibattito. Sebbene sia stato introdotto nel 2021 e confermato nel Ddl Ambiente del 2022, rimane inattuato a causa della mancanza di decreti attuativi. Intanto, il nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi obbliga tutti i Paesi membri, Italia inclusa, a raggiungere il 90% di raccolta per bottiglie di plastica e lattine entro il 2029. Questo obiettivo appare sempre più urgente, considerando che ogni anno nel nostro Paese sfuggono alla raccolta differenziata circa 7 miliardi di contenitori monouso, generando costi aggiuntivi per i Comuni e un impatto ambientale significativo. Secondo Silvia Ricci, coordinatrice della campagna “A Buon Rendere”, un DRS in Italia potrebbe portare, nel giro di due anni, a raccogliere oltre il 95% di bottiglie in PET, vetro e lattine.

Le maggiori resistenze arrivano dal Conai, il consorzio italiano per il recupero e riciclo degli imballaggi, che considera il deposito cauzionale una duplicazione non necessaria rispetto alla raccolta differenziata esistente. Lo stesso, infatti, stima che l’installazione delle macchine necessarie comporterebbe un costo iniziale di circa 2,3 miliardi di euro e spese annuali di gestione pari a 350 milioni. Tuttavia, esperienze europee dimostrano che i sistemi tradizionali e il DRS possono convivere senza creare costi duplicati, contribuendo invece a recuperare quei materiali che oggi finiscono spesso dispersi o inceneriti.

Un esempio concreto viene dal Coripet, consorzio concorrente di Conai, che dal 2021 ha installato oltre 800 eco-compattatori per la raccolta selettiva delle bottiglie in PET. Questi dispositivi identificano gli imballaggi tramite il codice a barre e premiano i consumatori con sconti o premi, incentivando il riciclo. L’obiettivo è arrivare a 5.000 eco-compattatori entro il 2026. Questo approccio mostra come un sistema basato su cauzioni tra i 15 e i 20 centesimi possa funzionare, assegnando un valore economico agli imballaggi vuoti e stimolandone il recupero.

In conclusione

Il passaggio al deposito cauzionale non è solo una questione di infrastrutture, ma richiede anche una maggiore consapevolezza ambientale da parte di produttori, istituzioni e consumatori. Integrare il Drs in Italia non rappresenterebbe solo un’innovazione gestionale, ma anche un gesto concreto verso una transizione sostenibile, dove ogni attore sociale contribuisce attivamente a proteggere l’ambiente. Speriamo quindi che l’Italia possa seguire il modello europeo senza perdere il suo primato nel settore del riciclo e della raccolta differenziata.

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UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?

By : Aldo |Dicembre 23, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su UK bandisce le sigarette elettroniche. Quali effetti sulla salute umana e ambientali si attendono?
E-Liquids UK - Unsplash

Le innovazioni tecnologiche sono fondamentali per lo sviluppo della popolazione, che sia in ambito scientifico, medico, economico o sociale. Tuttavia, a volte, le innovazioni vengono usate anche per incrementare delle abitudini o dei sistemi negativi o che almeno possono nuocere alla vita di tutti. Un caso particolare è quello delle sigarette elettroniche che da qualche tempo hanno preso piede nella società, soprattutto tra i giovani.

Le sigarette elettroniche

Le sigarette elettroniche, note anche come e-cig o dispositivi per svapo, sono strumenti elettronici progettati per inalare un aerosol prodotto dalla vaporizzazione di un liquido contenente nicotina e aromi. Diversamente dalle sigarette tradizionali, non avviene combustione, riducendo così l’emissione di sostanze cancerogene comunemente associate al fumo. Vennero inventate nei primi anni 2000 da un farmacista cinese in cerca di un’alternativa al fumo dopo la perdita del padre per un tumore ai polmoni. Dunque le e-cig hanno acquisito rapidamente popolarità, soprattutto tra i giovani per la varietà di gusti e alla percezione di essere meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali.

Nonostante l’ascesa nel panorama giovanile e l’impatto culturale, alimentato dalla grande disponibilità di aromi e dall’aspetto sociale, rimangono dubbi sui rischi legati al loro uso. I liquidi contengono sostanze chimiche che possono danneggiare il sistema respiratorio e cardiovascolare, sollevando questioni sulla sicurezza a lungo termine di questi dispositivi considerati un’alternativa “più sicura” rispetto al fumo tradizionale.

Un divieto per l’ambiente

Purtoppo l’industria delle sigarette elettroniche rappresenta una crescente fonte di rifiuti a livello globale, aggravando il problema dell’inquinamento del suolo e delle acque. Le cartucce e le batterie, spesso non smaltite correttamente, contribuiscono non solo al degrado ambientale, ma anche alla perdita di materiali preziosi come litio e rame, essenziali per diversi settori industriali. Nel Regno Unito, ogni giorno vengono smaltiti più di 1.000.000 di vaporizzatori, con un ritmo di 13 dispositivi gettati ogni secondo. La maggior parte finisce tra i rifiuti indifferenziati, dove le batterie agli ioni di litio, se danneggiate o schiacciate, possono scatenare incendi nei camion della spazzatura o nei centri di riciclo. L’aumento del 71% degli incendi di questa origine rispetto al 2022 sottolinea la gravità del fenomeno.

Per affrontare questi problemi, il governo britannico ha annunciato che dal giugno 2025 sarà vietata la vendita di vaporizzatori monouso non riciclabili. Solo i dispositivi ricaricabili o con cartucce sostituibili saranno consentiti. Questa misura mira a ridurre sia l’inquinamento ambientale sia i rischi per la fauna selvatica, causati dai dispositivi abbandonati. Infatti, uno studio di Material Focus rivela che ogni settimana vengono acquistati circa 3.000.000 di vaporizzatori, ma ben 8,2 milioni sono smaltiti impropriamente. Questo processo potrebbe essere invertito poiché i dispositivi scartati ogni anno potrebbero alimentare fino a 10.127 veicoli elettrici. Dunque investire in punti di raccolta accessibili e sensibilizzare produttori e consumatori sono passi fondamentali per favorire un riciclo più responsabile e ridurre l’impatto ambientale di queste tecnologie.

Impatti sulla salute umana

Oltre a tali aspetti, e sigarette elettroniche, spesso considerate un’alternativa meno nociva al fumo tradizionale, comportano comunque significativi rischi per la salute. Tra gli effetti principali vi sono irritazione delle vie respiratorie, infiammazione e disturbi come tosse e difficoltà nel respiro. L’esposizione ai componenti chimici, in particolare alla nicotina, può causare problemi cardiovascolari, come aumento della pressione sanguigna e accelerazione del battito cardiaco. Inoltre, studi indicano una maggiore probabilità di malattie polmonari e complicazioni gravi, come l’epidemia di EVALI, che ha provocato infezioni polmonari e decessi negli Stati Uniti.

L’uso prolungato delle e-cig potrebbe anche causare cambiamenti epigenetici simili a quelli osservati nei fumatori tradizionali, aumentando il rischio di tumori. La nicotina aggrava ulteriormente i pericoli, contribuendo a dipendenza e potenziali danni neurologici, soprattutto nei giovani. Oltre ai rischi per la salute, le sigarette elettroniche rappresentano una minaccia ambientale e possono causare incidenti come esplosioni o ustioni. In definitiva, pur riducendo alcuni rischi rispetto alle sigarette convenzionali, gli effetti negativi delle sigarette elettroniche sulla salute e sull’ambiente sollevano preoccupazioni che richiedono attenzione.

Le necessità di riciclo

Pertanto, l’introduzione del divieto di vendita per i vaporizzatori monouso non riciclabili sta spingendo i produttori a ideare soluzioni creative per aggirare la normativa. Scott Butler, direttore esecutivo di Material Focus, evidenzia che questo provvedimento da solo non sarà sufficiente. Sarà necessaria una legislazione più incisiva per regolamentare i nuovi prodotti immessi sul mercato. Inoltre, si propone che i negozi che continuano a vendere dispositivi non riciclabili debbano perdere la licenza commerciale, mentre i consumatori devono essere sensibilizzati sull’importanza del riciclo.

Riciclare un vaporizzatore dovrebbe essere facile quanto acquistarne uno, ma l’infrastruttura attuale per la raccolta e il riciclo risulta inadeguata. È indispensabile ampliare i punti di raccolta in luoghi accessibili come negozi, parchi, scuole, università e altri spazi pubblici. Allo stesso tempo, i produttori e i rivenditori devono assumersi una maggiore responsabilità, fornendo supporto finanziario per sistemi di riciclo efficienti e sicuri, riducendo così i rischi di incendio e recuperando materiali preziosi. Solo con un approccio integrato sarà possibile mitigare l’impatto ambientale dei vaporizzatori usa e getta.

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Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.

By : Aldo |Dicembre 19, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Il paradosso del decreto Ambiente 2024: trivelle sempre più vicine alle coste.
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Negli ultimi anni, l’attenzione crescente verso le questioni ambientali ha portato a significativi aggiornamenti del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA). Le recenti modifiche riflettono l’impegno dell’Italia per una gestione sostenibile delle risorse naturali e affrontano le sfide legate ai cambiamenti climatici e alla tutela della biodiversità. Tuttavia ci sono ancora troppe controversie e non poche opposizioni da parte di associazioni ambientaliste e partiti politici.

Decreto Ambiente 2024

Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto come Testo Unico Ambientale (TUA), rappresenta il principale riferimento normativo italiano per la tutela ambientale. Promulgato con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita proteggendo l’ambiente e promuovendo l’uso sostenibile delle risorse naturali, il TUA raccoglie disposizioni in materia di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (IPPC), gestione dei rifiuti, nonché tutela di acqua, aria e suolo. Questo corpus normativo integra la legislazione esistente nel rispetto degli obblighi internazionali ed europei e ha subito importanti aggiornamenti nel tempo, come l’introduzione di nuove sezioni nel 2015 e riforme volte a semplificare le procedure di autorizzazione e controllo.

In questo quadro, il Decreto Ambiente 2024, approvato definitivamente dalla Camera il 10 dicembre dopo il via libera del Senato, introduce diverse novità significative. Tra queste, spicca la controversa riduzione delle distanze di protezione per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia dalle coste. Il provvedimento vieta il rilascio di nuovi permessi di ricerca ed estrazione di gas e petrolio, ma prevede una riduzione della distanza minima esclusivamente per le concessioni già esistenti. Inoltre, viene introdotta una corsia preferenziale per le valutazioni ambientali riguardanti progetti di “preminente interesse strategico nazionale”, come impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica.

Novità e priorità

Il rilancio delle trivellazioni rappresenta una priorità per il governo Meloni, che lo vede come un’opportunità strategica per aumentare l’autonomia energetica del Paese. Tuttavia, solo pochi giorni fa il TAR del Lazio aveva bloccato il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. I giudici hanno sottolineato carenze significative nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) e rilevato potenziali danni agli ecosistemi marini e costieri, criticità che il decreto appena approvato mira a risolvere attraverso la semplificazione e velocizzazione dei processi autorizzativi. Una delle misure più controverse del decreto è la riduzione delle distanze minime per le trivellazioni marine, che passano da 12 a 9 miglia nautiche, una soglia che il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha difeso affermando che garantisce comunque “un elevato grado di sicurezza”.

Parallelamente, il decreto Ambiente 2024 punta a incentivare altre infrastrutture legate alla transizione ecologica, assegnando priorità agli impianti strategici come quelli per l’accumulo di energia idroelettrica tramite pompaggio, utili per aumentare la capacità di immagazzinamento idrico. In questo ambito rientrano anche i sistemi di stoccaggio geologico della CO2, che prevede l’iniezione di anidride carbonica in forma liquida in rocce porose o giacimenti esauriti, e gli impianti per la cattura della CO2 convertibili in bioraffinerie, in grado di trasformare biomasse in biocarburanti.

Sul fronte del dissesto idrogeologico, il provvedimento attribuisce maggiori poteri ai commissari regionali, facilitando l’avanzamento dei lavori grazie a una più stringente supervisione sui fondi assegnati e promuovendo l’interconnessione delle banche dati per migliorare il monitoraggio e la tutela dei territori. Infine, vengono introdotte nuove norme per favorire l’economia circolare, con misure come la promozione del riutilizzo delle acque reflue raffinate a scopo irriguo, sottolineando l’intenzione del governo di rendere più sostenibili i cicli produttivi e di gestione delle risorse naturali.

Controversie e ostacoli

Il decreto Ambiente ha introdotto semplificazioni significative per le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA), attribuendo priorità a progetti di rilevante interesse strategico, come quelli per la cattura, lo stoccaggio e il trasporto di CO2, considerati essenziali per ridurre il carbonio nell’atmosfera. Un esempio concreto è il progetto avviato a Ravenna, che mira a catturare il 90% delle emissioni di CO2 di un impianto locale e immagazzinarle in un giacimento esaurito a 3.000 metri di profondità. Oltre a incentivare interventi legati al PNRR e a velocizzare l’approvazione di progetti del valore di oltre 25 milioni di euro, le norme puntano anche su criteri di sostenibilità economica e tecnica.

Tuttavia, queste disposizioni hanno suscitato polemiche, soprattutto da parte delle associazioni ambientaliste e dell’opposizione politica, che accusano il governo di favorire le fonti fossili a scapito delle energie rinnovabili, promuovendo progetti come le trivellazioni costiere entro le nove miglia. La deputata Luana Zanella (Europa Verde) ha evidenziato come tali misure rappresentino un freno alla transizione ecologica, mentre il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto-Fratin, ha difeso il decreto, definendolo un passo fondamentale per la semplificazione di settori strategici per l’economia. A questa controversia si aggiunge il dibattito sulla privatizzazione dell’acqua, escluso dal testo attuale ma che potrebbe rientrare nella manovra del 2025, alimentando ulteriori divisioni e opposizioni.

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Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.

By : Aldo |Dicembre 16, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Forrest Meggers, professore di Princeton, ha reso la sua casa 100% sostenibile.
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Non c’è mai fine alla ricerca e alla scoperta di nuove conoscenze, tecnologie e soluzioni. Nella vita quotidiana come nello studio, più ci si interroga e più si va avanti con il progresso. Ed è così anche nella ricerca di nuove soluzioni per contrastare il cambiamento climatico sotto il punto di vista sociale, economico e ambientale. Nello specifico, si stanno studiando sempre più, le soluzioni che possano rendere sostenibile l’edilizia e anche renderla sostenibile a livello economico. L’esempio del professor Meggers potrebbe essere un modello da seguire.

L’impatto dell’edilizia e le soluzioni

L’edilizia ha un impatto significativo sull’ambiente, contribuendo in modo sostanziale alle emissioni di gas serra e al consumo di risorse naturali. Secondo le stime, il settore edilizio è responsabile di circa il 39% delle emissioni globali di CO2, considerando sia la costruzione che l’uso degli edifici. Le attività di costruzione richiedono enormi quantità di materiali, energia e acqua, e spesso comportano la distruzione di habitat naturali. Inoltre, l’uso di materiali non sostenibili e le pratiche costruttive inefficaci possono aggravare ulteriormente questi effetti negativi.

Scegliere un’edilizia sostenibile è cruciale poiché riduzione le emissioni di gas serra attraverso l’uso di materiali eco-compatibili e tecnologie energeticamente efficienti, come i sistemi geotermici e i pannelli solari. Aiuta nella conservazione delle risorse, utilizzando materiali riciclati o recuperati e progettando edifici che consumano meno energia, l’edilizia sostenibile contribuisce a preservare le risorse naturali. È fondamentale anche per mantenere la salubrità degli ambienti, questo perché gli edifici sostenibili tendono a creare ambienti interni più sani, riducendo l’uso di sostanze chimiche tossiche e migliorando la qualità dell’aria. Senza contare poi i benefici economici, quali risparmi significativi sui costi energetici nel lungo termine, rendendo gli edifici più economici da gestire. Infine è la base per la resilienza al cambiamento climatico essendo progettata per affrontare le sfide del cambiamento climatico, come l’aumento delle temperature e le condizioni meteorologiche estreme, contribuendo così a una maggiore resilienza delle comunità.

Forrest Meggers e la sua idea

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura alla Princeton University, ha trasformato la sua casa in New Jersey in un esempio tangibile di abitazione sostenibile. L’impresa, avviata tre anni fa, è nata dalla convinzione che una progettazione intelligente possa ridurre drasticamente le emissioni e migliorare l’efficienza energetica. Insieme alla moglie Georgette Stern e alle loro quattro figlie, Meggers ha affrontato una ristrutturazione radicale per costruire una casa autonoma dal punto di vista energetico.

La casa, che funge da laboratorio vivente, riflette la passione del professore per i temi climatici, come spiegato nel suo corso universitario “Progettare Sistemi Sostenibili”. Meggers considera questa esperienza un esempio pratico per sensibilizzare non solo i suoi studenti, ma anche la comunità locale e il pubblico in generale, definendo l’attuale crisi climatica come una corsa pericolosa “a 100 miglia all’ora senza cinture di sicurezza”.

Ovviamente l’ambizioso progetto non è stato esente da sfide. La ristrutturazione ha superato il budget iniziale di 300.000 dollari di circa 40.000 dollari, e per un anno la famiglia ha dovuto vivere con una cucina improvvisata nel seminterrato. Georgette, ex ingegnere che ha lasciato la carriera accademica per dedicarsi alla famiglia, ha preso le redini come manager del progetto, coordinando gli amici che spesso si offrivano di aiutare nei lavori. Mentre Meggers ha iniziato il suo percorso accademico con l’intento di progettare biciclette ecologiche, ma la consapevolezza dell’impatto climatico degli edifici lo ha spinto verso un nuovo obiettivo: ripensare l’architettura e le infrastrutture domestiche per contribuire in modo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. Questa esperienza, benché impegnativa, rappresenta un modello concreto di come si possa agire per un futuro più sostenibile.

Sostenibilità domestica

Forrest Meggers, docente di ingegneria e architettura a Princeton, ha trasformato la sua abitazione in un progetto sperimentale di edilizia sostenibile. Per farlo ha investito inizialmente 300mila dollari, cifra poi lievitata a 350mila, e per un anno ha vissuto con la moglie e le quattro figlie in un seminterrato adattato. La casa, priva di caldaie o condizionatori e totalmente elettrica, è pensata per non dipendere dalla rete locale né dai combustibili fossili. Ogni modifica è stata progettata per ridurre al minimo consumi ed emissioni, integrando i principi di sostenibilità che Meggers insegna nel laboratorio C.H.A.O.S. (Cooling and Heating for Architecturally Optimized Systems).

Geotermia e innovazione tecnologica

Il cuore della ristrutturazione è stato l’installazione di un sistema geotermico avanzato. Questo sfrutta l’acqua delle falde sotterranee, mantenuta a una temperatura costante di circa 10°C, e la distribuisce in casa tramite una rete di tubi sotto il pavimento. Il sistema, reversibile, garantisce riscaldamento in inverno e raffrescamento in estate. Per aumentarne l’efficienza, Meggers ha perfezionato sensori e metodi di gestione dell’umidità, evitando così di ricorrere ad aria condizionata, ritenuta inefficiente. A tutto ciò si affianca un progetto di accumulo termico: due serbatoi sotterranei malleabili da 530 galloni ciascuno immagazzineranno energia per ridurre la dipendenza dalle pompe di calore. La ristrutturazione ha puntato anche sull’ottimizzazione degli spazi, abbattendo il piano superiore per costruire un nuovo tetto più basso e creare stanze private per le quattro figlie.

Questo ha permesso di eliminare i condotti dell’aria, sfruttando il sistema radiante. I materiali scelti rispecchiano l’approccio sostenibile: pavimenti in legno recuperato da frassini infestati da insetti, isolamento in lana di pecora e porte realizzate con legname locale. Per il bagno, un sistema innovativo permette di reindirizzare l’acqua del lavandino per lo scarico del WC. Anche l’esterno della casa è stato progettato per sfruttare strategie di riscaldamento e raffreddamento naturali. Finestre incassate e schermature solari passive favoriscono la luce solare in inverno e la ombreggiano in estate, ispirandosi a pratiche antiche come quelle degli Anasazi. A ciò si aggiungono pannelli solari per rendere la casa completamente autonoma dalla rete elettrica.

Un progetto personale con risvolti educativi

Per quanto complesso, il progetto di Meggers si è rivelato un punto di riferimento per l’edilizia green, tanto da essere visitato da studenti e colleghi. L’abitazione è oggi un laboratorio vivente, che dimostra come sia possibile costruire case a basso impatto ambientale in aree urbane. “Non serve vivere nel bel mezzo della natura per ridurre le emissioni”, commentano i suoi studenti, colpiti dall’ingegnosità del progetto.
Nonostante l’impegno profuso, la costruzione ha avuto i suoi momenti difficili. La moglie di Meggers, Georgette Stern, ha dovuto negoziare compromessi, soprattutto in cucina e sul tetto. Per mantenere felice la famiglia, Meggers ha persino sviluppato sistemi ad hoc per il raffreddamento estivo. Alla fine, l’armonia domestica è stata ripristinata grazie a stanze funzionali e a una cucina attrezzata. “Finirò quando smetterò di avere idee,” afferma il professore, segno che il progetto è più una missione che una semplice casa.

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Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.

By : Aldo |Dicembre 12, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Sembra migliorare la “salute” del buco dell’ozono.
Marek Piwnicki - Unsplash

In un periodo storico, sociale ed economico in cui tutto sembra andare sempre peggio, è fondamentale soffermarsi su ogni nuova conquista tecnologica, su ogni nuova politica volta alla protezione dell’ambiente e su ogni miglioramento del pianeta terra. Senza dubbio i cambiamenti climatici non ci risparmieranno, ma ogni tanto arrivano anche delle notizie positive che incrementano e rafforzano l’importanza di certe politiche, di certe nuove abitudini e delle azioni dedite alla salvaguardia dell’ambiente e del mondo.
in questo caso, sembra che con il 2024 si possa pensare ad una stabilizzazione o piccola ed iniziale ripresa del buco dell’ozono.

Il buco dell’ozono

Il buco dell’ozono è un fenomeno che indica la riduzione dello spessore dello strato di ozono nella stratosfera, particolarmente evidente sopra le regioni polari, come l’Antartide. Questo strato è fondamentale per la vita sulla Terra poiché assorbe la maggior parte delle radiazioni ultraviolette (UV) nocive provenienti dal Sole, in particolare le radiazioni UV-B e UV-C. La diminuzione dell’ozono permette a una maggiore quantità di raggi UV di raggiungere la superficie terrestre, con conseguenze gravi per la salute umana e per gli ecosistemi.

Le principali cause del così detto “buco” dell’ozono sono i clorofluorocarburi (CFC) e altri composti chimici rilasciati dalle attività umane, come l’uso di spray e refrigeranti. Nonostante gli sforzi internazionali, come il Protocollo di Montreal del 1987 che ha limitato l’uso di queste sostanze, il recupero completo dello strato di ozono è previsto solo per la metà del XXI secolo. Questo a causa delle persistenti emissioni e delle incertezze legate al cambiamento climatico.

Ovviamente tale fenomeno ha degli effetti negativi per l’intero pianeta e non solo degli umani. Per prima cosa l’aumento di tali radiazioni comporta un incremento dei casi di cancro della pelle, cataratta e indebolimento del sistema immunitario negli esseri umani. Inoltre, le radiazioni non filtrate possono danneggiare gravemente gli ecosistemi, compromettendo la fotosintesi nelle piante e riducendo la produzione di fitoplancton, che è essenziale per la catena alimentare marina.

L’evoluzione del fenomeno.

Negli ultimi 40 anni, il buco dell’ozono ha subito significative variazioni, influenzate principalmente dalle attività umane e dai cambiamenti climatici. Scoperto nel 1985 sopra l’Antartide, il fenomeno ha spinto all’adozione del Protocollo di Montreal nel 1987, che ha ridotto drasticamente l’uso di clorofluorocarburi (CFC), principali responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono. Nonostante ciò, negli anni ’90, il buco ha continuato ad espandersi, raggiungendo nel 2000 la sua massima estensione, pari a circa 29,9 milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, segnali di recupero sono emersi dal 2006 grazie alla riduzione dei CFC e nel 2016, il buco si era ridotto di 4 milioni di chilometri quadrati rispetto al 2000.

Negli anni recenti, però, il fenomeno ha mostrato fluttuazioni significative. Nel 2023, il buco ha raggiunto un’estensione di oltre 26 milioni di chilometri quadrati, confermando una persistente variabilità nonostante i progressi ottenuti. Nonostante i progressi, gli scienziati avvertono che il recupero completo dello strato di ozono potrebbe richiedere decenni e che le dimensioni del buco continueranno a essere influenzate da variabili meteorologiche e dall’impatto del cambiamento climatico 12. Se le attuali tendenze continueranno, il buco dell’ozono potrebbe chiudersi completamente entro il 2066. Forse però, proprio il 2024 potrebbe essere l’anno di stabilizzazione o almeno di ripresa.

Il miglioramento del 2024

Negli ultimi quattro anni, il buco annuale dell’ozono antartico si è protratto più a lungo del solito, chiudendosi nella seconda metà di dicembre. Invece quest’anno, il fenomeno ha mostrato segnali di ritorno a comportamenti tipici, iniziando a chiudersi all’inizio di dicembre, un periodo più vicino alla media storica rispetto agli ultimi anni. Questo progresso è stato monitorato in tempo reale dal Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus (CAMS), che ha evidenziato una riduzione significativa dell’area massima del buco, scesa a 22 milioni di km² rispetto ai 25 milioni del 2023 e del 2022. Secondo il monitoraggio, l’area del buco si era ridotta costantemente nel mese di ottobre, seguendo l’andamento medio, per poi stabilizzarsi a circa 10 milioni di km² al giorno durante il mese di novembre. Inoltre, l’interruzione del vortice polare nella prima settimana di dicembre aveva contribuito a far sì che la chiusura del buco dell’ozono del 2024 si allineasse con la media registrata tra il 1979 e il 2021.

Laurence Rouil, direttore del Servizio, ha sottolineato che il Protocollo di Montreal e i suoi emendamenti avevano svolto un ruolo fondamentale nel contenere le emissioni di sostanze dannose per l’ozono. Tuttavia, aveva aggiunto che permaneva una certa variabilità legata alle dinamiche naturali delle altre variabili atmosferiche e che si sperava di osservare i primi segnali di recupero del buco dell’ozono nei prossimi decenni. Al netto di tali cambiamenti e piccoli successi, si prevede che i primi segnali concreti di recupero dello strato di ozono emergeranno nei prossimi decenni.

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GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  

By : Aldo |Dicembre 09, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su GrapheneBreathe cattura e trasforma le emissioni di CO2 derivanti dagli allevamenti.  
Mehdi Mirzaie - Unsplash

La lotta al cambiamento climatico risulta ed è spesso una lotta contro le emissioni di CO2 correlate alle attività antropiche. Si invita solitamente a ridurne la produzione e la conseguente emissione in qualsiasi ambito e settore. Tuttavia non è sempre semplice stare al passo con l’innovazione e godere delle nuove attrezzature per limitare i danni al pianeta. Fortunatamente e con grande sorpresa, la ricerca va avanti spedita e sta trovando un’ampia gamma di soluzioni per rimediare al problema.

Le emissioni degli allevamenti

Le problematiche legate alle emissioni degli allevamenti sono particolarmente gravi sia a livello globale che in Italia, dove il settore zootecnico contribuisce in modo significativo all’inquinamento atmosferico. In Italia, circa il 79% delle emissioni di gas serra nel settore agricolo proviene dagli allevamenti, con una predominanza di metano e ammoniaca. Le emissioni di metano, generate principalmente dalla digestione enterica degli animali, rappresentano quasi il 70% delle emissioni agricole totali e sono particolarmente elevate negli allevamenti di bovini. A livello europeo, gli allevamenti sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni del comparto agricolo, evidenziando un trend preoccupante nonostante alcune riduzioni registrate negli ultimi decenni.

In particolare,  gli allevamenti intensivi sono la principale fonte di emissioni di ammoniaca in Italia, contribuendo al 75% del totale e alla formazione di polveri sottili, che hanno gravi ripercussioni sulla salute pubblica, causando circa 50.000 morti premature ogni anno. La situazione è particolarmente critica nelle regioni come la Lombardia, dove la densità degli allevamenti intensivi amplifica questi effetti negativi. Le pratiche di allevamento industriale non solo aumentano le emissioni di gas serra, ma comportano anche un uso insostenibile delle risorse agricole e idriche, oltre a favorire la diffusione di zoonosi e virus.

È chiaro quindi che, le emissioni degli allevamenti rappresentano una sfida significativa per la sostenibilità ambientale e la salute pubblica in Italia e nel mondo. Pertanto, sono necessari interventi urgenti per ridurre l’impatto ambientale di queste attività.

GrapheneBreathe

A tal proposito, GrapheneBreathe è la startup vincitrice della menzione speciale Green&Blue al Premio Nazionale Innovazione 2024 per il miglior progetto di impresa a impatto sul cambiamento climatico. Fondata grazie alla ricerca dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, l’azienda sviluppa una tecnologia innovativa per la cattura e trasformazione delle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti di bestiame, utilizzando avanzati sistemi di filtrazione a base di grafene. La soluzione proposta riduce l’impatto ambientale generando, al contempo, sottoprodotti utili come gas industriali, fertilizzanti a base di urea e crediti di carbonio, offrendo benefici sia agli allevatori che all’industria. Il progetto, realizzato in collaborazione con partner di ricerca e industriali, è guidato da un team composto da Pierluigi Simeone, Salvatore Cosmo Di Schino, Nadia Spinelli, Thi Ha Le e Francesco Siconolfi. Grazie alla combinazione di sostenibilità ambientale ed efficienza economica, GrapheneBreathe rappresenta un modello per le start-up innovative nel settore climatico.

Filtrazione della CO2.

GrapheneBreathe: Una Soluzione Innovativa per la Riduzione delle Emissioni Agricole

Il vantaggio competitivo di GrapheneBreathe risiede nella sua tecnologia di filtrazione avanzata basata su grafene, che offre un metodo versatile ed efficiente per catturare diversi gas nocivi (CO₂, metano, ammoniaca) direttamente dalle emissioni agricole. Questa innovativa applicazione della tecnologia di cattura delle emissioni conferisce all’azienda una posizione di leadership, superando i tradizionali approcci indiretti come gli additivi per mangimi. Il sistema di filtrazione a ossido di grafene, grazie alla sua elevata capacità di adsorbimento, garantisce un’efficace cattura dei gas, che possono poi essere riutilizzati economicamente, ad esempio come fertilizzanti o in altre applicazioni industriali.

Per supportare le aziende agricole nella riduzione dell’impatto ambientale, GrapheneBreathe propone tre soluzioni principali:

  1. Sistema di filtrazione modulare, basato su grafene, offrendo una soluzione scalabile che richiede un investimento iniziale contenuto da parte degli agricoltori.
  2. Modello di business con flussi di ricavi diversificati: la vendita e manutenzione dei sistemi di filtrazione, la commercializzazione diretta di gas industriali recuperati (CO₂, metano, ammoniaca), la vendita di crediti di carbonio certificati e la produzione di urea, in risposta alla crescente domanda di fertilizzanti sostenibili.
  3. Partnership strategiche per l’espansione del mercato collaborando con distributori di gas industriali, enti certificatori di crediti di carbonio e associazioni regionali di agricoltori per ampliare la propria presenza e offrire soluzioni efficaci e integrate.

Queste iniziative rendono GrapheneBreathe una soluzione pionieristica e concreta per affrontare le sfide ambientali del settore agricolo.

Premio Nazionale Innovazione 

Il Premio Nazionale per l’Innovazione 2024 (PNI 2024) si tiene il 5 e 6 dicembre presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Organizzato congiuntamente da PNICube e dall’ateneo ospitante, il PNI è la più importante competizione italiana di business plan, volta a selezionare i migliori progetti di start-up innovative provenienti dalle Start Cup regionali promosse dalla rete PNICube. L’iniziativa si articola su quattro settori chiave dell’innovazione: Cleantech & Energy, Life Sciences-MedTech, ICT e Industrial.

L’obiettivo principale del PNI è diffondere la cultura imprenditoriale tra ricercatori e studenti universitari, offrendo formazione specifica e supporto per la creazione di start-up. Inoltre, il premio facilita il collegamento tra i partecipanti e aziende o istituzioni finanziarie, agevolando il trasferimento tecnologico e l’incubazione di nuove idee imprenditoriali. L’iniziativa si allinea agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, promuovendo un’economia inclusiva e sostenibile.

I vincitori riceveranno premi in denaro, affiancati da riconoscimenti speciali offerti dai partner di PNICube. Tra le novità di questa edizione, spicca il Premio speciale INVITALIA per l’Imprenditoria Femminile, destinato alle start-up innovative guidate da donne. Questo riconoscimento mira a sostenere le ricercatrici e aspiranti imprenditrici, incentivando la nascita e la crescita di progetti imprenditoriali al femminile.

In sintesi, il PNI 2024 non è solo una celebrazione dell’innovazione, ma anche una piattaforma di networking e crescita per le competenze imprenditoriali, contribuendo a rendere l’ecosistema economico italiano più dinamico e inclusivo.

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Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.

By : Aldo |Dicembre 05, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Riad ospita la COP16 per lottare contro la desertificazione.
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COP, Summit, conferenze globali tutte per salvare il nostro pianeta.  Dopo che novembre ha accolto la COP29 a Baku e il Summit sull’inquinamento da plastica a Busan, a dicembre arriva la COP16 sulla desertificazione a Riad. Questi incontri internazionali hanno sempre dei grandissimi ed importanti obiettivi, ma spesso sembrano non avere l’impatto previsto. Ultimamente è stato difficile raggiungere gli obiettivi prefissati negli anni precedenti e spesso alcuni stati si oppongono a delle politiche necessarie per proteggere il pianeta e quindi noi stessi. Come andrà la COP16 a Riad, lo scopriremo prossimamente.

UNCCD

La Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) è un accordo internazionale operativo dal 1996. Si tratta di un patto che mira a contrastare la desertificazione e gli effetti della siccità, specialmente nei paesi più colpiti, come quelli africani. Risulta essere l’unico strumento giuridicamente vincolante che integra ambiente, sviluppo sostenibile e gestione del territorio.

I suoi obiettivi principali sono:

  • Migliorare gli ecosistemi: Promuovere una gestione sostenibile del suolo e contrastare il degrado.
  • Condizioni di vita: Supportare le popolazioni colpite dalla desertificazione.
  • Gestione della siccità: Aumentare la resilienza di comunità ed ecosistemi.
  • Benefici ambientali globali: Garantire un’efficace attuazione della Convenzione.
  • Mobilitare risorse: Creare partenariati per finanziare e sostenere le azioni.

La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale principale. La COP16 si terrà a Riyad, Arabia Saudita, dal 2 al 12 dicembre 2024, per definire nuove strategie contro il degrado del suolo, che interessa circa 15 milioni di km². La desertificazione è alimentata da cambiamenti climatici, pratiche agricole insostenibili e urbanizzazione, con effetti gravi come scarsità d’acqua, insicurezza alimentare, migrazioni forzate e conflitti. Pertanto, la UNCCD propone un approccio integrato, considerando le interazioni tra ambiente, economia e società. Negli anni, le Conferenze delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) hanno prodotto importanti risultati. Per esempio, le strategie per migliorare la resilienza alla siccità, ridurre il degrado del suolo e promuovere la gestione sostenibile delle risorse naturali.

La COP 11 (2013) sono stati sviluppati gli strumenti per raggiungere la neutralità del degrado del suolo (LDN) integrando scienza e politiche. Con la COP 13 (2017) ha introdotto un nuovo Quadro Strategico UNCCD e il Fondo LDN per progetti di restaurazione del suolo. Mentre la COP 15 (2022), ha adottato l’Abidjan Call per un impegno globale contro la desertificazione, ovvero una dichiarazione sull’uguaglianza di genere nella restaurazione del suolo. Ed anche il Programma Legacy, che mira a restaurare il 20% della copertura forestale della Costa d’Avorio entro il 2030.

Vediamo cosa ci aspetta dalla COP 16 di Riad.

 

La desertificazione nel mondo

La desertificazione e il degrado del suolo sono fenomeni in rapida crescita, con il 40% dei suoli globali già degradati a causa di attività antropiche, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e pratiche agricole intensive. Le conseguenze comprendono una crescente scarsità d’acqua, l’impoverimento dei raccolti e un aumento del rischio di fame per milioni di persone. La siccità, cresciuta del 30% dal 2000, potrebbe colpire il 75% della popolazione mondiale entro il 2050. Per affrontare questi problemi, la COP16 di Riad, organizzata dall’UNCCD, punta a raccogliere fondi e a promuovere soluzioni sostenibili.

COP 16

La sedicesima Conferenza delle Parti (COP16), in corso a Riad sotto la guida dell’UNCCD, evidenzia l’urgenza di intervenire con investimenti massicci per combattere il degrado dei suoli e rafforzare la resilienza alla siccità. L’UNCCD ha infatti stimato che tra il 2025 e il 2030 saranno necessari 2,6 trilioni di dollari, ovvero un miliardo al giorno, per bonificare i terreni degradati e prevenire crisi future. Nonostante i finanziamenti globali siano aumentati, passando da 37 miliardi di dollari nel 2016 a 66 miliardi nel 2022, la cifra è ancora insufficiente rispetto al fabbisogno reale. La questione finanziaria risulta dunque essere centrale, con un appello per un maggiore coinvolgimento del settore privato, che attualmente contribuisce solo al 6% delle risorse necessarie.

Durante la COP16, sono state presentate nuove tecnologie per il monitoraggio e la gestione del territorio. Tra queste, l’Atlante mondiale della siccità, sviluppato dal Centro di ricerca congiunto della Commissione europea. E poi e il prototipo dell’International Drought Resilience Observatory (Idro) che promette di migliorare la gestione delle risorse attraverso l’intelligenza artificiale. Inoltre, gli interventi basati sulla natura, come la riforestazione e la gestione sostenibile dei pascoli, sono considerati essenziali per affrontare il problema. Questi strumenti tecnologici e approcci integrati potrebbero contribuire a mitigare i rischi sistemici per settori cruciali come agricoltura, energia e trasporti. Senz’altro si punta al ripristino dei suoli, accelerando la bonifica di almeno 1,5 miliardi di ettari entro il 2030.

Impatto in Italia e nel Mediterraneo

Si parlerà ovviamnete anche dell’Italia, dove oltre il 20% del territorio è a forte rischio di desertificazione, con punte che superano il 70% in regioni come la Sicilia. Anche il consumo di suolo è allarmante, visto che ogni anno vengono persi 70 chilometri quadrati di territorio, l’equivalente di una città come Napoli. Questa perdita comporta una riduzione della capacità del suolo di trattenere acqua, causando costi annui pari a 400 milioni di euro. Precisamente, le aree urbane sono particolarmente colpite, con meno spazi verdi accessibili e un aumento della cementificazione. Quindi, investire in tecnologie per il risparmio idrico e il ripristino dei suoli è fondamentale per mitigare gli impatti nel Mediterraneo e in tutto il paese.

Non ci resta che aspettare gli output di questa conferenza cruciale per il futuro di tutti, sperando che non sia l’ennesima delusione dell’anno.

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Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.

By : Aldo |Dicembre 02, 2024 |Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Nessun nuovo accordo globale sull’inquinamento da plastica. Il vertice di Busan 2024 fallisce.
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La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità. Per tali ragioni, è necessario trovare un accordo globale per limitare e cercare di ridurre per quanto possibile, i danni correlati a tale questione.

Trattati sulla plastica

Il Trattato globale sull’inquinamento da plastica, avviato nel marzo 2022 con l’adesione di 175 nazioni durante l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite (UNEA-5.2). Grazie all’istituzione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC),  punta a regolamentare l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2024. Tra i suoi obiettivi principali figurano la riduzione della produzione di plastica vergine, la promozione dell’economia circolare e il controllo delle microplastiche. La “Bozza Zero”, presentata nel settembre 2023, è alla base dei negoziati, sostenuti da coalizioni internazionali ma ostacolati dai contrasti con alcuni Paesi produttori di petrolio.

Nonostante il sostegno internazionale, il successo del trattato dipende dalla cooperazione globale e dalla capacità di superare le divergenze politiche. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha ribadito l’urgenza di un accordo ambizioso e vincolante per affrontare questa crisi ambientale.  La prossima sessione dell’INC, fissata per aprile 2025, sarà decisiva per confermare l’efficacia delle misure proposte.

Le basi per Busan 2024

A Busan, in Corea del Sud, si è svolto il quinto e ultimo ciclo di negoziati per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica. L’incontro, durato una settimana, dal 25 novembre al 1° dicembre, che riunisce i delegati di 175 Paesi, rappresenta un’opportunità cruciale per affrontare un problema crescente. La produzione di plastica è aumentata di 200 volte dal 1950, con proiezioni che indicano un possibile raddoppio dell’inquinamento entro il 2040. Mentre le microplastiche, ormai onnipresenti negli ecosistemi e persino negli organi umani, rappresentano una minaccia per la salute e la biodiversità.

Ogni anno, circa 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente. Nonostante le promesse di sostenibilità, solo il 10% della plastica viene riciclata a livello globale, mentre la metà dei prodotti plastici viene destinata alle discariche. Tuttavia, le divisioni fra Paesi produttori di combustibili fossili e quelli che cercano di ridurre la produzione di plastica vergine ostacolano i progressi verso un accordo internazionale.

Le difficoltà nei negoziati

Gli ultimi negoziati per il Trattato globale sulla plastica hanno fallito a causa o forse soprattutto per le divisioni tra i Paesi, che continuano a bloccare il dialogo, bloccando qualsiasi intesa entro la scadenza del 1° dicembre.  Purtoppo il dibattito a Busan è ruotato attorno visioni contrapposte: Paesi come Arabia Saudita, Iran e Russia si sono opposti alla limitazione della produzione di plastica vergine, mentre nazioni dell’UE, insieme a Svizzera e Fiji, hanno continuato a sostenere una riduzione sostenibile.

L’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio e prodotti petrolchimici, è accusata di ostacolare deliberatamente i negoziati. Questo perché ha mantenuto posizioni immutate e rallentato i progressi, mentre altri Paesi produttori di idrocarburi e lobby legate all’oil&gas hanno esercitato un’influenza significativa. Anche Anche gli Stati Uniti erano per la riduzione della produzione di plastica vergine, ma l’influenza di politiche basate sui combustibili fossili rischia di compromettere il loro impegno. La sola speranza di molti è che la Cina possa assumere un ruolo di leadership per facilitare un’intesa.

Tuttavia, le regole ONU, richiedono il consenso unanime, è questo ha portato allo stallo e al fallimento di cui siamo a conoscenza oggi.

Proposte e punti di disaccordo

Proprio per evitare lo stallo prevedibile, la delegazione di Panama ha persino proposto di abbandonare questa regola per accelerare il processo, ma senza successo. Dunque, l’ultima bozza dell’accordo non raggiunto, era ancora piena di opzioni e mancava di compromessi significativi. Perciò gli esperti dell’UNEP hanno sottolineato l’importanza di un approccio basato sul ciclo di vita della plastica, includendo la gestione dei rifiuti e la promozione di modelli di consumo sostenibili.

Sebbene le premesse fossero chiare, tra i punti di disaccordo, quindi i temi più caldi che presentano ancora 22 opzioni aperte, si riportano:

  • la riduzione della produzione globale di plastica,
  • la definizione di prodotti pericolosi per la salute
  • finanziamento per i Paesi in via di sviluppo per sistemi di gestione dei rifiuti.

Inoltre, alcune nazioni, tra cui Francia e Kenya, hanno proposto un’imposta sulla plastica vergine per raccogliere fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo, con una tariffa tra 60 e 70 dollari per tonnellata. Ovviamente, l’idea è stata fortemente osteggiata dalle associazioni industriali.

Senza contare, gli argomenti che prevedono delle visioni basilari contrastanti per via delle leggi internazionali, oppure che prevedono 2 soluzioni convergenti. Sicuramente è necessario stabilire quale approccio usare, se quello massimalista, che prevede limiti alla produzione di plastica (articolo 6), o quello minimalista, focalizzato esclusivamente sul potenziamento del riciclo. E poi bisogna ragionare  su un secondo contrasto tra il principio “chi inquina paga”, il diritto di ogni Paese a utilizzare le proprie risorse naturali come ritiene opportuno.

Accuse e malcontento generale.

Il vertice di Busan, dunque, si è concluso senza un accordo per il Trattato globale sulla plastica. Ovviamente questo ha portato a delle grandi accuse e delusioni. In primis, il diplomatico ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso ha sottolineato come i negoziati siano stati rallentati da tattiche dilatorie, come 60 interventi di cinque minuti per modificare una frase. Secondo l’OCSE, senza interventi, l’inquinamento da plastica triplicherà entro il 2060, con la produzione globale che potrebbe crescere da 460 milioni di tonnellate nel 2019 a 1,2 miliardi di tonnellate.

La Coalizione delle Alte Ambizioni ha criticato l’ostruzionismo dei paesi petroliferi e Greenpeace ha denunciato gravi conseguenze per l’ambiente, ma alcuni delegati, come quelli di Norvegia e Ruanda, hanno segnalato progressi nel testo preliminare. La prossima sessione, prevista nel 2025, non ha ancora una data o sede, con Canada e Francia che chiedono un incontro a livello governativo.

 

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