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E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?

By : Aldo |Agosto 28, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su E se il tuo monopattino elettrico si trasformasse in un power bank?
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La mobilità elettrica sta crescendo negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie ma anche per via di bonus e investimenti da parte dello Stato.

Comunque nella “mobilità elettrica” sono inclusi oltre alle macchine, biciclette e monopattini elettrici che prendono sempre più consensi tra i cittadini.

Mukuta

Mukuta è il nome di un progetto all’avanguardia che unisce due ambiti rilevanti della sostenibilità, ossia l’energia e la mobilità.  Si tratta di un prototipo della società di e-moblity Splach, che ha da tempo altri prodotti sul mercato, tra cui e-scooter ed e-bike.

Un monopattino elettrico unico nel suo genere grazie ad una considerevole innovazione e pensato per massimizzare la sua efficienza.

Il nuovo prodotto infatti è un mezzo di locomozione elettrico che può trasformarsi in una fonte di energia portatile per la ricarica di altri dispositivi. Il piano è quello di realizzare un sistema con batteria estraibile e “riutilizzabile”, come un power bank che possa alimentare eventualmente anche il veicolo stesso.
   

Il monopattino in dettaglio

La società SPLACH, fondata tra Los Angeles e Taiwan, è impegnata nella ricerca di materiali, tecnologie e design che soddisfino le esigenze dei clienti.

Pertanto, il mezzo ha una serie di caratteristiche che descrivono l’alta qualità del prodotto:

  • telaio in lega di alluminio 6082-T6;
  • sopporta fino a 120 kg di peso;
  • robusti pneumatici airless;
  • doppia sospensione regolabile;
  • sistema di luci a LED (sia sul manubrio, sia ai lati della pedana per illuminare in sicurezza la strada e aumentare la visibilità);
  • freni a doppio disco;
  • E-ABS.

Presenta un doppio motore, che si combina per una potenza pari a 2.208 watt, che consente di raggiungere i 45 km/h in 5,9 secondi. Può essere guidato su strada o fuori strada ed affrontare pendenze del 40%.

Tuttavia, la parte più innovativa, il punto di forza di questo prodotto è la batteria (il sistema d’accumulo) da 748,8 Wh. Questa può fornire a Mukuta un’autonomia di 62km ad ogni ricarica, ma durante l’inattività del veicolo può essere utile per altro.

Infatti, c’è la possibilità di rimuoverla ed usarla per ricaricare dispositivi e piccoli elettrodomestici, grazie al convertitore con 2 porte USB e una tipo C.

Gli inventori hanno portato degli esempi concreti della potenza di tale batteria e delle due capacità. Per esempio, se fosse piena al 100%, potrebbe alimentare 11 volte un laptop, 56 uno smartphone e 14 un frullatore.

 

Investimenti

Un’altra particolarità alle spalle di Mukuta è la modalità con la quale hanno messo alla luce tale progetto. Si tratta della campagna Indiegogo, che la società ha attivato per finanziare la produzione del mezzo, che ora parte da un prezzo di 921 euro. Trattandosi di una società e non di un grande brand, il crowdfunding serve per poter raggiungere il miglior risultato possibile. Non a caso, nella descrizione vengono ringraziati i donatori e i clienti per la fiducia ma anche per l’attesa.

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Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?

By : Aldo |Agosto 21, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, obiettivomeno rifiuti |Commenti disabilitati su Imballaggi mono o multimateriale: qual è il packaging più sostenibile?

La sostenibilità dei packaging sembra migliorare giorno dopo giorno soprattutto grazie ai materiali scelti per la loro produzione.

In questo caso, il concetto di sostenibilità non riguarda solo la materia di cui è composto l’imballaggio, ma anche il suo possibile riciclo.

  

Riciclo e sostenibilità

Riciclare è un’azione fondamentale nell’ambito della sostenibilità e quindi dell’economia circolare; pertanto, un occhio di riguardo al tema è sempre ben accetto.

Dunque, parlando di packaging, si intende sostenibile un imballaggio monomateriale, poiché composto da una sola materia e quindi più facile da riciclare. Nonostante ciò, con i nuovi impianti e l’innovazione degli ultimi anni, anche dei prodotti multimateriali possono essere sostenibili.

Questo è possibile grazie allo studio di un prodotto (LCA), alle varie possibilità di riutilizzo e riciclo, ancor prima della sua produzione. Tale procedimento concerno lo studio dei materiali coinvolti, le loro combinazioni e i sistemi presenti per il loro riciclo.

   

Imballaggi monomateriale

Si definisce un imballaggio monomateriale, quando è composto da una sola materia. Questo tipo di prodotti si scompongono facilmente, pertanto sono si riciclano in modo semplice.

Solitamente gli imballaggi sono fatti di 3 materiali quali carta o cartone, vetro e plastica (di vario tipo). Tali materie sono usate in molteplici modi , ma una volta arrivati nel centro di riciclo, subiscono delle modifiche e dei processi diversi.

   

La carta: è composta da pasta di legno (cellulosa), per cui si tratta di un materiale facilmente riciclabile. Tuttavia, questa affermazione sarà vera solo nel caso in cui non venga trattata con certi prodotti quali rivestimenti, laminati, vernici o inchiostri particolari. In questo caso la carta non sarà riciclabile anche se monomateriale, poiché per riportarla allo stato naturale sono necessari processi chimici specifici o troppo dispendiosi.

    

Il vetro: è costituito totalmente da silice, ricavata dalla sabbia. Per questo è facile da riciclare e non a caso ha uno dei più alti tassi di riciclo tra gli imballaggi. Attraverso processi semplici, si consente la creazione di nuovi prodotti, senza perdere qualità o purezza del materiale. In questo modo il vetro risulta un tipo di imballaggio altamente sostenibile.

La plastica: essendo un polimero, può essere di vari tipi, con caratteristiche chimico-fisiche diverse che determinano un utilizzo differente. Tra i monomateriali correlati alla plastica abbiamo:

  • polipropilene (PP) un polimero termoplastico, dotato di grande durabilità, resistenza al calore e all’umidità oltre ad essere un materiale duttile. È diffuso come packaging per yogurt, tappi per bottiglie per bevande, flaconi per medicinali e pellicole.
  • polietilene (PE) è una resina termoplastica, non polare, parzialmente cristallina usata per prodotti leggeri ma resistenti. Per esempio, con il PE si creano sacchetti per la spesa e per il congelatore, pellicole termoretraibili, pluriball e bottiglie di plastica.
  • polietilene tereftalato (PET) è un materiale riciclabile al 100%, adatto al contatto alimentare. È il terzo esempio di monomateriale che può essere riciclato e trasformato in nuovi prodotti come abbigliamento, moquette o anche nuove bottiglie. Purtoppo però, scarseggiano le infrastrutture adeguate al suo riciclo che presenta un basso tasso.

Imballaggi multimateriale

Gli imballaggi multimateriale invece, sono tutti quei prodotti che sono composti da più di un materiale. In genere la scelta di un multimateriale ricade sulle caratteristiche del packaging, ossia una maggiore sicurezza alimentare, delle migliori caratteristiche fisiche ecc.

Infatti, un imballaggio di questo tipo spesso offre una maggiore resistenza, durata o funzionalità come quella dei poliaccoppiati. Un secondo tipo di multimateriale potrebbe essere una bottiglia di vetro con tappo in plastica ed etichetta di carta. In questo caso il riciclo avviene in maniera corretta se tutti i componenti vengono divisi in modo adeguato.

Nonostante ciò, a volte i multimateriali sono difficili da riciclare, poiché risulta complesso il processo di separazione dei loro componenti. Spesso risultano anche poco sostenibili visto che necessitano di processi chimici per tali procedure e per il riciclo

    

Un packaging sostenibile

Come precisato nei paragrafi precedenti però, anche i prodotti multimateriali possono essere sostenibili, se creati con opportuni materiali e con tecniche all’avanguardia.

Per esempio, ci sono tipi di cartone realizzati in combinazione con carta, plastica e alluminio che possono essere riciclate con processi specifici. Il processo prevede la separazione e il recupero di ogni materiale presente nel prodotto.

O ancora si possono usare dei materiali biodegradabili o compostabili che abbiano tutte le caratteristiche necessarie all’imballaggio, sostituendo così le classiche plastiche.

Infine, esistono nuove tecnologie che supportano il riciclo meccanico (il più sostenibile perchè privo di processi chimici), in un processo definito riciclaggio avanzato. Quest’ultimo se usato in modo complementare permette di dare una seconda vita agli imballaggi multimateriale, scomponendoli in materie prime.

In tal caso questa tecnologia consente il riuso di materie ancora in ottimo stato, quasi come materie vergini. Di conseguenza si riducono i rifiuti, le emissioni e si incrementa il mercato del riciclo, quindi l’economia circolare.

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Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Emissioni, energia, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su Intelligent Cities Challenge: quando la tecnologia supporta la transizione ecologica.

L’Unione Europea spesso è nominata come una delle realtà più virtuose al mondo in termini di sostenibilità.

Sicuramente questa qualità è dettata da fondi e bandi pubblicati per nuovi progetti volti alla salvaguardia del pianeta e al miglioramento della vita di tutti.

    

Intelligent Cities Challenge

Quando la transizione ecologica chiama, l’Europa, di solito risponde con bandi e finanziamenti per migliorare la vita su questo pianeta.

Negli ultimi anni sono state indette molteplici gare e bandi per investimenti volti al miglioramento delle azioni ritenute necessarie per contrastare il cambiamento climatico.

Tra le decine di programmi pensati per le città europee e la loro trasformazione verde, si nomina anche l’ Intelligent Cities Challenge.

Si tratta, come riportato nel nome, di una sfida che vede come protagonisti, le migliori tecnologie per la formazione di smart cities e tanto altro.

Il bando scaduto il 31 maggio 2023, sostiene le città europee selezionate, nella transizione verde e digitale grazie a strumenti e conoscenze all’avanguardia.

    

Edizione 2023-2025

Per l’edizione 2023-2025 hanno partecipato 64 città europee, selezionate per favorire la crescita dell’ecosistema smart city e applicare sui luoghi e le città i principi del Local Green Deals. Il piano prevede che ogni territorio scelto, potrà usufruire di due anni di consulenza strategica da esperti internazionali su vari filoni tematici classificabili in 3 punti:

  • costruzioni e ambiente edificato
  • energia e rinnovabili;
  • mobilità e trasporti.

Questi sono i settori chiave delle città che hanno un alto grado di influenza locale, mentre quelli secondari sono

  • turismo;
  • piccole e locali vendite al dettaglio;
  • agroalimentare;
  • tessile;
  • settore creativo culturale.

O ancora, ambiti come economia verde, digitalizzazione della pubblica amministrazione, transizione verde e digitale del turismo, resilienza delle catene di approvvigionamento locale, riqualificazione dei territori. A ciascuna città partecipante sarà chiesto di attuare un Green Deal locale e una serie di azioni concrete per adottare economie più resilienti e sostenibili.

    

Le scelte dell’Italia

Il bando ha selezionato ben 9 centri urbani italiani, che si troveranno in prima linea per la transizione digitale e verde. Catania, Firenze, Busto Arsizio, Campobasso, Legnano, Mantova, Pescara, Rete Svezia Emilia-Romagna e l’Unione dei Comuni della Grecia Salentina sono le città scelte dalla Comunità europea.

Queste dovranno lavorare efficacemente di modo da attuare azioni per rendere le città sempre più intelligenti, sicure e sostenibili. In concreto, l’obiettivo è quello di sfruttare a pieno le potenzialità che le tecnologie possono avere sui centri urbani. Tutto questo per migliorare la qualità di vita dei cittadini, la competitività economica e la resilienza sociale.

Tra le 9 città italiane spicca il progetto di Mantova, considerato ambizioso per i suoi obiettivi e la situazione da cui parte.

   

Il calcolatore di emissioni

Mantova ha presentato un progetto basato sul monitoraggio delle concentrazioni di CO2, per mezzo dell’intelligenza artificiale. É un piano che riguarderà tutti i settori economici e amministrativi del centro urbano, così da poterlo trasformare in una smart city.

   

Il progetto però parte dall’EUCityCalc, un programma europeo che ha visto Mantova tra le 10 città pilota per implementare il primo European City Calcolator. Si tratta di un software open source che fornisce una visione completa (o ampia) dei livelli di inquinamento settore per settore.  In tal modo si possono studiare misure che possono essere impiegate per neutralizzare le emissioni e risanare la salubrità dell’atmosfera.

  

Non a caso, il piano è stato proposto da quello che è considerato come uno tra i più inquinati d’Europa. Inoltre, l’obiettivo prefissato è quello di diventare carbon neutral entro il 2030; dunque Mantova si presenta all’Unione Europea come una città super ambiziosa.

Il super calcolatore di emissioni, è supportato dalla tecnologia open source. In questo modo può raccogliere in autonomia e in tempo reale i dati sulle concentrazioni di anidride carbonica che arrivano va vari settori rilevanti. Tra questi citiamo ovviamente trasporti, industria, agricoltura, edilizia, che creano un’immagine completa del livello di inquinamento del territorio.

    

In questo caso, il progetto è supportato dall’Alleanza territoriale Carbon Neutrality, una rete composta da soggetti pubblici e privati impegnati nell’abbattimento delle emissioni. Si occupano anche della creazione di comunità energetiche, dell’incremento della forestazione e del verde urbano, dell’efficientamento energetico degli edifici anche del centro storico.

    

Questo non è il primo e non sarà l’ultimo caso, in cui si parla della centralità delle tecnologie per un futuro migliore. Attualmente il potere del mondo digitale è talmente forte che, se usato bene può essere una delle nostre migliori risorse per contrastare il cambiamento climatico. Senza dubbio servono finanziamenti adeguati a sviluppare certi sistemi e impianti, ma di sicuro non mancano le idee e gli studi.  

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È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

By : Aldo |Agosto 20, 2023 |Consumi, Efficienza energetica, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, mare |Commenti disabilitati su È possibile usare l’energia talassotermica per produrre elettricità?

Le energie rinnovabili non sono più un tabù, ce ne sono molteplici e si sviluppano in vari ambiti.

Spesso si parla anche dell’energia idroelettrica e dell’offshore, ma in pochi ricordano l’esistenza dell’energia termica oceanica.

   

Energia talassotermica

È una fonte affidabile e costante di energia rinnovabile, più rispettosa dell’ambiente rispetto alle fonti energetiche tradizionali. Nasce come una risorsa di energia che non distruggesse l’ambiente che la produce o la possiede ed è legata al mare e agli oceani del mondo.

  

Energia termica oceanica, talassotermica o mareotermica, questi sono i termini che la definiscono, oltre alla sigla OTEC che sta per Ocean Thermal Eneegy Conversion. Quest’ultima comprende l’apparato inerente, l’impianto dedicato alla produzione di energia.  Tale fonte usufruisce delle diverse temperature misurabili tra i vari livelli di mari e oceani (ossia tra la superficie e le profondità). Questa è la sua più importante caratteristica, una peculiarità che la rende completamente differente dalle altre rinnovabili. 

   

Il primo a studiarla fu l’ingegnere francese Jacques Arsene d’Arsonval, mentre il suo allievo George Claude costruì la prima stazione. Questo discreto successo risale al 1881, dopodiché non si sentì più parlare di tale tecnologia, fino agli anni ’70.  Il Giappone in quel periodo costruì degli impianti con una potenza di circa 120 kW nelle isole Hawaii, dove ancora oggi è utilizzato questo meccanismo.

    

Come funziona

La tecnologia alla base dell’energia talassotermica è sviluppata sulla differenza delle temperature che esistono tra i diversi livelli di oceani e mari.

Si tratta di un prototipo che può generare elettricità 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, senza emissioni di CO2. Tale variazione (o “gradiente termico”) determina la produzione di una buona quantità di energia. Per esempio, per 60 Km2 di mare esposto al sole, si può produrre tanta energia quanto quella fornita da 250 miliardi di barili di petrolio. *

 

Ma come funziona un OTEC? Un impianto per l’energia talassotermica è attivo grazie ad un ciclo chiuso, aperto o ibrido a seconda della tecnologia scelta.

  

  • Ciclo chiuso: l’acqua calda consente l’evaporazione di un liquido interno, creando un aumento di pressione che fa girare una turbina collegata ad un generatore. Successivamente l’acqua fredda permette di ricominciare il ciclo da capo, quando l’ammoniaca (il liquido interno) torna allo stato liquido.
  • Ciclo aperto: in questo caso, il liquido utilizzato è la stessa acqua calda, che viene espulsa una volta desalinizzata e raffreddata alla fine del processo.
  • Ciclo ibrido: mescola i due cicli in modo efficace; pertanto, risulta il più complesso.

In generale sia l’acqua calda raffreddata, che l’acqua fredda riscaldata, vengono scaricate nell’oceano dopo essere passate attraverso gli scambiatori di calore. Per far sì che un OTEC funzioni è necessario un gap di temperatura di almeno 20°C tra le profondità delle acque e la loro superficie.

   

Tra i vantaggi di tale tecnologia, si riscontra la capacità di poter contribuire all’alimentazione elettrica di base grazie ad una disponibilità stabile e costante. Questo perchè il suo potenziale è molto più elevato di altre forme di energia oceanica. Addirittura, si potrebbero produrre fino 10.000 TWh /anno di elettricità con l’OTEC, senza danneggiare la struttura dell’oceano. Di certo, questo valore è raggiungibile solamente in alcune aree, come per esempio quelle tropicali, dove il gradiente termico è maggiore di 20°C durante tutto l’anno.

Un secondo ed importante vantaggio è la sua multifunzionalità: un OTEC può essere integrato nella dissalazione dell’acqua, nella sua produzione o in quella dell’aria fredda.

   

*(Stime del National renewable energy laboratory – Nrel)

    

La situazione odierna

Oggi nel mondo esistono vari impianti in attività, alcuni dei quali sono esclusivamente delle installazioni dimostrative. Come è stato già riportato, il Giappone possiede degli impianti; attualmente conta due OTEC sperimentali da 30 e 100 kW. Tuttavia, ne sta ultimando un terzo da 1 MW di potenza.

Altre installazioni attive si trovano nell’isola della Reunion (da 15 kW) e nelle Hawaii (da 105 kW) connesse alla rete elettrica. I progetti però non sono finiti qui perchè ne sono stati pianificati altri in India, Bahamas, Filippine, Maldive e Sri Lanka.

    

Tra questi è presente anche il progetto di ricerca europeo denominato PLOTEC, finanziato con oltre 1 milione di euro dall’Unione Europea. Il programma prevede la pianificazione di una piattaforma in grado di resistere agli effetti meteorologici estremi degli oceani tropicali.  Tale progetto ha l’obiettivo di definire un modello di costo accessibile per quei luoghi e una convalida del sistema in scala reale.

   

Sicuramente delle strutture simili avranno bisogno di maggiori manutenzioni a causa dell’azione dell’acqua e del sale disciolto in essa. Pertanto l’Università delle Hawaii e dal Pacific International Center for High Technology Research ha rilasciato dei dati per quanto riguardano i costi dell’impianto. La stima per un OTEC di 5MW va dagli 80 ai 100 milioni di dollari in cinque anni.

    

Ovviamente sono installazioni esposte a molti rischi ed è per questo che finora gli investimenti sono stati indirizzati altrove. Purtroppo, non c’è un ampio margine di manovra, d’altro canto si possono migliorare quotidianamente le caratteristiche di un OTEC, soprattutto se possono portare ulteriori benefici.

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WAFX 2023: smart building, innovazione e sostenibilità.

By : Aldo |Agosto 10, 2023 |Emissioni |Commenti disabilitati su WAFX 2023: smart building, innovazione e sostenibilità.

Gli anni passano e le tecnologie migliorano sempre più, tanto da istituire premi per le nuove invenzioni, architetture o nuovi strumenti.

Tutto ciò aumenta il proprio valore soprattutto quando tali innovazioni vengono applicate all’ambito della sostenibilità.
  

World Architecture Festival

Il WAFX (World Architecture Festival) è nato per premiare tutti quei progetti che utilizzano nel modo migliore design e archittettura per affrontare grandi tematiche.  Tra queste, la salute, i cambiamenti climatici, la tecnologia, l’etica e i valori: tutti settori specifici che accolgono progetti super innovativi.

I vincitori sono scelti tra la grande lista di candidati del WAF Future Projects, per via del giudizio di una giuria qualificata.  Saranno votati più vincitori per categoria e poi durante l’evento finale verrà decretato il primo premio in assoluto, scelto tra i capifila di ogni settore. Dunque, il premio “edificio più innovativo del 2023” sarà eletto durante il WAFX di Singapore, in programma dal 29 novembre al 1° dicembre.

Le proposte dei candidati sono tra le più varie e innovative. Si tratta di idee internazionali che cercano di risolvere solo alcune delle grandi sfide urgenti a livello mondiale.  Non a caso il direttore del World Architecture Festival, Paul Finch dichiara:

Pensare a futuri migliori è parte integrante del programma del World Architecture Festival. Siamo lieti della quantità e della qualità dei progetti che affrontano i maggiori problemi del mondo e li affrontano in modo davvero costruttivo.

Le categorie

Le categorie che differenziano i progetti sono molteplici, tra queste si indicano:

  • invecchiamento e salute,
  • tecnologia degli edifici,
  • carbonio clima ed energia,
  • identità culturale,
  • etica e valori,
  • riutilizzo,
  • smart city e acqua.

DI seguito analizziamo alcune delle proposte vincenti dell’anno 2023.

Invecchiamento e salute

Dubai Healthcare City di Kalbod Studio.

L’idea è nata guardando al futuro, con l’obiettivo di fornire un complesso multifunzionale centrato sui servizi medici. Si tratta di una struttura sviluppata con un approccio digitale, un’architettura sostenibile attenta alle esigenze future della città di Dubai. É a tutti gli effetti un complesso sanitario galleggiante multifunzionale che fonde tecnologia all’avanguardia e design sostenibile.

Tecnologia di costruzione

The Bamboo Leaf – Chongzhou Bamboo Weaving Intangible Cultural Heritage Exhibition Hall.

  

Questo progetto situato a Chongzhou (in Cina) si trova all’incrocio tra la strada turistica del lago Bai Ta e la zona panoramica del fiume Qimu. Dunque, nell’area a nord si trova la Chongzhou Bamboo Weaving Intangible Cultural Heritage Exhibition Hall, a sud la pista ciclabile lungo il fiume Qimu. L’intera struttura si fonde perfettamente con l’ambiente naturale circostante vista la sua forma, ossia quella di una foglia di bambù che cade. Il tutto è costruito con bambù coltivato e raccolto localmente e lavorato con le migliori tecnologie per l’accertarne la sicurezza dello stabile.

Il bambù rappresenta il patrimonio culturale di Chongzhou, quindi con il progetto si raggiunge una certa armonia tra spirito interiore e forma esterna. Così si offre una piattaforma per mostrare le possibilità e la bellezza della campagna locale.
 

Carbonio clima ed energia

The Probiotic Tower, Cairo by Design and More International.

In questo caso, l’idea nasce al Cairo, dove si riutilizzano le torri d’acqua in disuso per affrontare positivamente il cambiamento climatico. La proposta è quella di usare il loro grande bioreattore di alghe che assorbe CO2 da fonti locali nel quartiere ospitante e quindi ridurre le emissioni. Inoltre, grazie all’assorbimento, forma biocarburante per gli abitanti. Tutto ciò è possibile anche grazie alla piantagione di bambù in loco e pannelli di facciata con alghe per assorbire CO2.

   

Riutilizzo 

Rethinking Oil Rigs – Offshore Data Centres

Con tale progetto, si ripensano le piattaforme petrolifere e si trasformano in data center offshore grazie ad Arup.

La proposta è coerente con l’andamento della sostenibilità: se in un futuro non servirà più petrolio, alora le petrolifere potrebbero servire ad altro. I cavi in fibra di telecomunicazione che scorrono lungo il fondo del Mare del Nord, consentono il loro riutilizzo. L’idea è quella di centri alimentati da rinnovabili quali eolico, onde di marea e impianti energetici basati sul moto marino. Solo il Mare del Nord ha oltre 500 piattaforme, da smantellare entro il 2050, al costo di 51 miliardi di sterline. Tuttavia, il 15% potrebbe essere riutilizzato per la cattura del carbonio

Insomma, il  WAFX offre infiniti progetti straordinari consultabili nel sito web dell’iniziativa. E proprio grazie a tali idee e proposte si capisce che di certo, al mondo non mancano tecnologie e menti  capaci di salvarci e salvare la nostra Terra.

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Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

By : Aldo |Agosto 08, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, menoconsumi |Commenti disabilitati su Cosa si intende con il termine flessibilità energetica?

Dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, una transizione energetica è la cosa più importante da attuare.

Tuttavia, nuovi sistemi, tecnologie e legislazioni devono essere introdotti e utilizzati per poter portare ad una nuova stabilità energetica il Paese.

    

La flessibilità energetica

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia con il termine flessibilità energetica si intende:

 

la capacità di un sistema elettrico di gestire in modo affidabile, economico la variabilità e l’incertezza di domanda e offerta in tutte le scale temporali rilevanti.


Ossia dal breve termine alla scala stagionale.

É la capacità di una risorsa di modificare il livello di immissione e /o consumo di energia ad un valore scelto. Che sia di un singolo impianto o di un aggregato, ha lo scopo di fornire il servizio richiesto dall’operatore del sistema elettrico.
  

Di norma, i sistemi energetici sono programmati per gestire in maniera efficace, le modifiche per via di incertezza e variabilità. La flessibilità esiste dal momento in cui è necessario regolare quotidianamente l’elettricità immessa nel sistema, per far combaciare sempre offerta e domanda. Questo sarà possibile con la modifica della programmazione produttiva richiesta alle centrali termoelettriche convenzionali e idroelettriche.

     

Il problema della “non programmabili”

Il problema della flessibilità è che crescerà il suo bisogno quindi la domanda, ma diminuirà la sua offerta: vediamo come.

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità. Peccato che proprio per le loro caratteristiche, la disponibilità di flessibilità sarà ridotto ampiamente.

Perchè questo tipo di sistemi sono discontinui e dunque rendono difficile il lavoro dell’operatore, di assicurare in ogni istante il bilanciamento tra produzione e consumi. La loro rigidità però non dipende esclusivamente da vincoli tecnici, ma anche economici.

   

Infatti, in casi come le centrali nucleari, sono presenti sistemi che non possono modulare velocemente la loro produzione in base al fabbisogno. E spesso, gli alti costi previsti, non rendono conveniente farli funzionare in maniera discontinua.

Perciò, in futuro sarà necessario un aumento dei requisiti di flessibilità del sistema elettrico, in modo da bilanciare domanda e offerta, grazie a delle soluzioni.

     

Le risposte alla domanda

A tal quesito, non vi è una sola soluzione, bensì sono favorite 4 classi di risorse divise in base alla posizione nella filiera elettrica. Quindi per mantenere l’equilibrio della rete servono:

  • lato domanda: comprende mezzi che influenzano modelli e entità dei consumi finali. Si chiamano programmi di demand response, i quali consentono di ridurre/aumentare i propri consumi rispetto le esigenze del mercato. Inoltre, in cambio di questa disponibilità, si può ricevere una remunerazione; azione attuabile anche dai cittadini. È consentita con la programmazione di ricarica di veicoli elettrici, carichi spostabili, pompe di calore e impianti di climatizzazione.
    Rilevante in questo settore è anche il V2X, (vehicle-to-everything), ossia le moderne tecnologie che permettono alle batterie dei veicoli elettrici, di funzionare in modo bidirezionale;
  • lato offerta: con misure e tecnologie si può modulare l’offerta delle unità di produzione elettrica. In questo ambito rientrano le centrali elettriche dispacciabili (turbine a gas, centrali elettriche a carbone/biomasse, impianti a gas a ciclo combinato, centrali idroelettriche);
  • lato rete: comprende interventi come la digitalizzazione o l’abilitazione di linee dinamiche o di interconnector;
  • altre fonti di flessibilità: includono lo stoccaggio stazionario (idroelettrico a pompaggi, volani, accumulo elettrochimico, accumulo a idrogeno). Le UVAM, Unità Virtuali Abilitate Miste.

Il futuro delle rinnovabili

La transizione energetica è in atto e con la crescita delle rinnovabili non programmabili servirà sempre più flessibilità, secondo i nuovi studi.

Il rapporto indicato è il “Flexibility requirements and the role of storage in future European power systems”, e dimostra le analisi svolte nel campo. Lo studio manifesta che il primo grande problema di tale requisito sono proprio le energie rinnovabili non programmabili. Queste sono destinate a crescere in maniera esponenziale, ma la loro natura intermittente e il carico residuo, determinano un’esigenza di flessibilità, in aumento.

  

Analogamente cambia la domanda poiché gli utenti stessi saranno attivi al mercato dell’energia grazie a veicoli elettrici, batterie su piccola scala, comunità rinnovabili e autoconsumo diffuso. E il fabbisogno cambierà giorno per giorno.

Inoltre, il Centro comune di Ricerca della Commissione Europea ha condotto uno studio per valutare i requisiti e le soluzioni di flessibilità nel sistema energetico. Il periodo di riferimento usato, per cui si necessita tale caratteristica è il ventennio 2030-2050.
  

L’analisi sviluppata è stata pubblicata nel rapporto “Requisiti di flessibilità e ruolo dello stoccaggio nei futuri sistemi energetici europei”. Questa dimostra una grande crescita per la rete europea: nel 2030 l’esigenza di flessibilità sarà raddoppiata, nel 2050 sarà 7 volte quella attuale.

I requisiti invece saliranno al 25% nel 2030, e raggiungeranno l’80% nel 2050.

È fondamentale anche ripartire i risultati a livello temporale, collegandoli alla produzione. Il risultato descrive la correlazione di una maggiore esigenza flessibilità giornaliera e la quota di produzione fotovoltaica. Al contrario i requisiti settimanali e mensili sono legati alla quota di produzione eolica (onshore e offshore).

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PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

By : Aldo |Agosto 07, 2023 |Arte sostenibile, Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare |Commenti disabilitati su PNACC e PNRR: cosa sta facendo l’Italia per affrontare il cambiamento climatico?

Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici.

In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.

   

Il PNACC

PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi.

Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.

Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.

    

Il PNRR

Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU).

Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:

  • rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
  • favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.

Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • Istruzione e ricerca;
  • Inclusione e coesione;

Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.

    

Cosa sta succedendo?

Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro.

Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?

    

Critiche

Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai.

Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:

  • 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
  • 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
  • 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.

Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli).

 

Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.  

Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé.

  

Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica). Quando in realtà servivano per altro come:

  • lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
  • Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
  • Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
  • Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
  • Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
  • Impianti di rinnovabili (675 milioni);
  • Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
  • Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).


Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato.

   

È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.

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Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

By : Aldo |Agosto 03, 2023 |Emissioni, Home, i nostri figli andranno ad energia solare, obiettivomeno emissioni |Commenti disabilitati su Come i cambiamenti climatici stanno influenzando “silenziosamente” l’economia.

Ambiente, salute, economia, politica sono macroaree che spesso non possono essere divise l’una dall’altra. Soprattutto in questi ultimi anni, in cui crisi economica e climatica influenzano sempre più le nostre vite e il nostro futuro.

    

I fenomeni degli ultimi giorni

Nelle ultime settimane l’Italia è stata colpita da eventi estremi quali grandine sparata a 150km/h (grande come palline da tennis) e ampi incendi al sud.
Tali fenomeni hanno destato non poche preoccupazioni tra chi ha vissuto in prima persona quelle anomalie e chi le ha seguite da lontano.

Gli effetti di eventi straordinari, così intensi ma soprattutto così diversi in un territorio che si estende per 1200 km, lasciano tutti (o almeno molti) a bocca aperta.  

    

Tuttavia, l’Italia non è l’unico stato colpito da tali fenomeni in questi ultimi mesi, vedi la Grecia, l’India, il Giappone.

Pertanto, è fondamentale ricordare che tal fenomeni recano danni non solo all’ambiente ma anche alle nostre vite. Ma di recente è aumentata la loro l’influenza anche nel settore economico.

  

L’influenza silenziosa nell’economia

L’economia troppe volte viene considerata come una realtà lontana e distaccata da tutte le altre macroaree che regolano il mondo. Così facendo, ci dimentichiamo di vivere in un pianeta completamente connesso sotto ogni punto di vista. Trattare i soldi senza tener conto dei cambiamenti climatici, nel 2023, rappresenta solo l’ennesima azione errata dell’uomo.

Questo perchè tutto quello che succede impatta per forza di cose anche l’economia. Per esempio, con l’alluvione in Emilia-Romagna, sono andati persi gran parte dei raccolti, sono state danneggiate industrie, edifici, intere città.

Così è stata colpita l’economia poiché, il costo di un prodotto aumenta a causa di una minore disponibilità di produzione causata dal cambiamento climatico negativo.  Senza contare poi i danni fisici degli immobili che determinano ulteriori spese per società ed industrie.

    

Tale situazione è stata analizzata dall’ l’associazione Consumerismo No Profit che ha studiato l’inflazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi. Quest’ultima non deriva solo dalla guerra ma anche da tutti i fenomeni che stanno modificando la nostra Terra.

Secondo il rapporto, dalla crisi climatica è scaturito un aumento di 4,7 miliardi di euro l’anno per la spesa degli italiani. Quindi l’inflazione climatica costa 246 € l’anno ad una famiglia con 2 figli solo per cibi e bevande (+3,2% dei prezzi al dettaglio). A questi si aggiungono 110€ annui per i costi del raffrescamento dettati dalle ondate di calore e aumentando le bollette (già care da 2 anni).Senza dimenticare poi, l’inflazione legata al ciclo economico che nel 2021 toccava +1,9%, mentre a giugno del 2023 era del +6,4%. Dunque, gli impatti comportano un aumento dei costi generali influenzando a loro volta i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico.

    

L’impatto nascosto

Nonostante quello che è accaduto negli ultimi mesi e i cambiamenti degli ultimi anni, c’è ancora una grande parte di popolazione che volta lo sguardo altrove.

La risposta si trova osservando i grandi avvenimenti degli ultimi 10, 20 anni che hanno determinato rilevanti modifiche del sistema. Le guerre, la pandemia, le crisi economiche, sono eventi che recano gravi danni ad elevate quantità di persone (o a tutto il mondo). Per di più avvengono in una linea temporale simile per tutti; dunque, sono eventi tangibili che allarmano tutti nello stesso momento.

Al contrario i cambiamenti climatici si sviluppano nel tempo, determinando “piccole” modifiche dell’ambiente, anno dopo anno.  Di conseguenza, consente di estraniarsi in modo facile e veloce da quello che accade intorno a noi, pensando al maltempo, oppure delle disgrazie della vita.

    

Inoltre, non viene preso così tanto in considerazione perchè non si bada al quadro completo dei danni che crea. Infatti, i pericoli ambientali, che ci riguarderanno sempre in prima persona, non sono gli unici che dobbiamo tenere sotto controllo.  

   

In conclusione, per affrontare questa “inflazione climatica”, è fondamentale scegliere delle politiche opportune (per ogni settore) di mitigazione e adattamento.
Questo è possibile con investimenti nella ricerca, nelle nuove tecnologie e nella sostenibilità, nella formazione e sensibilizzazione dei cittadini del mondo.

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Treviso in finale per l’European Green Capital e Green Leaf Award.

By : Aldo |Agosto 01, 2023 |Emissioni |Commenti disabilitati su Treviso in finale per l’European Green Capital e Green Leaf Award.

Le pratiche sostenibili attuate nelle città sono sempre di più e derivano da una grande volontà di aiutare il pianeta e noi stessi. Spesso migliorano la nostra vita e tuttavia possono essere degli importanti requisiti per la partecipazione a bandi, gare e per la vincita di importanti premi.

   

European Green Capital Award

L’ European Green Capital Award o anche (premio Capitale verde europea) nasce nel 2006 durante un incontro dell’Unione europea a Tallinn. L’obiettivo è quello di premiare una città europea che si è impegnata nel realizzare ambiziosi obiettivi per la salvaguardia ambientale e lo sviluppo economico sostenibile.

   

L’idea nasce dal sindaco di Tallinn Jüri Ratas e da un gruppo di 15 città europee che insieme hanno firmato un memorandum per l’istituzione del premio.

Quest’ultimo è rivolto alle città dell’Unione europea, di uno stato candidato all’ingresso nell’UE, oppure di Norvegia, Svizzera, Liechtenstein e Islanda.  Si tratta di centri urbani con almeno 100.000 abitanti e che abbiano sviluppato delle capacità precise nell’ambito “green”. Pertanto, la città candidata deve dimostrare:

  • Capacità di raggiungere obiettivi notevoli in fatto di tutela ambientale;
  • Impegno nel raggiungere obiettivi permanenti e ambiziosi per migliorare l’ambiente e incentivare lo sviluppo sostenibile;
  • Saper fungere da modello per altre città che vogliano intraprendere buone pratiche ambientali.

Successivamente, una giuria internazionale, valuta i candidati sulla base dei seguenti indicatori:

  • Gestione delle acque,
  • Gestione dei rifiuti ed economia circolare,
  • Qualità dell’aria,
  • Biodiversità, aree verdi e uso sostenibile del suolo,
  • Mitigazione del cambiamento climatico,
  • Adattamento ai cambiamenti climatici,
  • Mobilità urbana sostenibile,
  • Inquinamento acustico,
  • Crescita verde e innovazione tecnologica sostenibile,
  • Prestazioni energetiche.

European Green Leaf Award

L’ European Green Leaf Award non è altro che una versione simile al primo premio, ed è stato istituito nel 2015 dalla Commissione europea.  Dato il successo della gara originaria, la secodna venne creata per premiare tutte le città europee tra i 20.000 e i 100.000 abitanti.

   

Nonostante ciò, come il Capital Award, si premiano i centri urbani che si distinguono per buone pratiche di sostenibilità ambientale. In questo caso i 3 obiettivi del premio sono:

  • Riconoscere le città che dimostrano una buona reputazione ambientale e l’impegno a generare crescita verde;
  • Incoraggiare le città a sviluppare attivamente la consapevolezza e il coinvolgimento ambientale dei cittadini;
  • Identificare le città in grado di agire come un “ambasciatore verde” e incoraggiare altre città a progredire verso risultati di sostenibilità migliori.
       

Il premio 2023 e 2025

Il prossimo appuntamento sarà a Tallinn, l’attuale European Green Capital 2023, il 5 ottobre, per la premiazione finale e l’elezione della Capitale Verde del 2025. Mentre Valencia si è aggiudicata il premio 2024.

Delle 10 città selezionate per partecipare alla gara del 2025, sono arrivate in finale solo Graz (Austria), Guimarães (Portogallo) e Vilnius (Lituania).  Tuttavia, l’Italia riesce a conquistare la finale dell’European Green Leaf Award grazie a Treviso, in sfida con la città spagnola Viladecans.

 

Nonostante ciò, il Belpaese aveva partecipato con 2 capoluoghi di provincia quali Brescia, Novara e il capoluogo sardo Cagliari, che non hanno passato il turno.

Il premio riguarda una somma del valore di 600.000 euro ed include ulteriori benefici che escludono il denaro in sé.  Infatti i vincitori godranno di una grande visibilità che permetterà di incrementare il turismo e i servizi, efficientando i sistemi urbani.

Senz’altro tutti i progressi sviluppati a livello ambientale energetico e sociale migliorano la qualità della vita dei cittadini. Questo permette l’aumento di produttività che favorisce anche l’accesso privilegiato ai Fondi europei, nazionali o regionali, alle città vincitrici.

   

L’istituzione di questi premi accentua l’attenzione sulle possibili soluzioni urbane necessarie per la cura dell’ambiente e anche per una pianificazione urbana lungimirante. Soprattutto si valutano le possibilità di adattamento ai cambiamenti climatici, una capacità fondamentale per il futuro ma troppo spesso dimenticata.

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Lidl si attiva per ridurre lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.

By : Aldo |Luglio 31, 2023 |Emissioni, Home, menorifiuti, plasticfree |Commenti disabilitati su Lidl si attiva per ridurre lo spreco alimentare: così nasce il “sacchetto antispreco”.

Sono tante le realtà nel mondo che promuovo iniziative per ridurre la produzione di rifiuti, con l’obiettivo di dare un nuovo valore a tali prodotti.

Purtoppo il settore alimentare, resta un ambito nel quale si scartano tonnellate di cibo solamente perchè non rispetta gli standard estetici del mercato. Proprio per tale ragione si parla di nuove attività per far fronte a questo problema.

    

Il “sacchetto antispreco”

Negli ultimi anni sono stati messi in atto molteplici programmi per la riduzione dello spreco alimentare anche in Italia.

I metodi scelti sono di vario tipo, tra cui si possono elencare applicazioni, offerte dei supermercati o collaborazione con enti sociali del territorio. Proprio la catena di supermercati Lidl ha sviluppato un ottimo progetto a riguardo.

Il “sacchetto antispreco” è il piano attivo da luglio 2023 che mira al recupero di frutta e verdura invendute. Questi pezzi restano solitamente in negozio perchè non belli oppure per difetti del loro packaging, ma ancora freschi e buoni per la consumazione.

Gli obiettivi di tale programma sono molteplici ma rispettano i criteri di sostenibilità che sono fondamentali ora più che mai nella nostra società.

 

I vantaggi sostenibili

Sicuramente grazie a questa idea, si riduce la mole di rifiuti della catena, si rispetta l’ambiente e si creano vantaggi economici per tutti.

I “sacchetti” sono preparati quotidianamente dal personale del punto vendita, a seconda disponibilità giornaliera di prodotti ortofrutticoli brutti ma buoni.  Di solito, queste buste di ortaggi sono posizionate nello spazio che si trova dietro le casse, in modo da invogliare i consumatori ad acquistarli.

Quindi nei negozi della Lidl sono disponibili sacchi da 4 kg di frutta e verdura, al prezzo fisso di 3 euro. In questo modo guadagna sia il supermercato che il cliente, come? Il primo crea guadagno da prodotti che solitamente avrebbe buttato, mentre il consumatore, prende ad un prezzo irrisorio una grande quantità di prodotti risparmiando.

 

Tale programma rientra nel progetto Too Good To Waste, lanciato sempre da Lidl nel 2019, che prevede sconti su prodotti vicini alla data di scadenza.  Anche grazie a questi affari si incentiva la vendita di alimenti che andrebbero buttati, abbattendo così lo spreco alimentare.

   

Insieme alla Fondazione Banco Alimentare

Non si ferma qui la lotta allo spreco alimentare della grande catena; infatti, già da tempo vanta una solida collaborazione con un importante ONLUS italiana.

“Oltre il carrello – Lidl contro lo spreco” è il nome della collaborazione tra Lidl e la Fondazione Banco Alimentare. Grazie a tale iniziativa sono state recuperate più di 31mila tonnellate di cibo, diventate 62 milioni di pasti donati a persone bisognose.

  

Nel 2017 è stato creato un team di lavoro interfunzionale per sviluppare un processo idoneo alla donazione delle eccedenze alimentari a Banco Alimentare. Nel 2018 è stata avviata la cooperazione che prevede un ritiro praticamente giornaliero degli alimenti da distribuire nel territorio.

Così facendo si aiuta anche il settore sociale, poiché i pasti creati con tali alimenti, vengono distribuiti nei centri caritativi in tutta Italia. Questo è un impegno tangibile che rafforza ulteriormente il legame del brand con il territorio.

   

La sostenibilità di Lidl

La catena di supermercati tedesca, ora diffusa in tutta Europa, sembra essere molto attenta alla sostenibilità.  La sua ottica antispreco ha reso possibile una grande ottimizzazione dei processi di ordine, stoccaggio e rotazione della merce.

In aggiunta all’impegno nei programmi appena descritti, la società si occupa anche di sensibilizzare i suoi clienti sui temi della cura dell’ambiente. Infine partecipa ad iniziative e collaborazioni con REset Plastic, Science Based Target, UN Global Impact, ABIO, PizzAut, la fondazione Umberto Veronesi e la Croce Rossa Italiana.

   

Dall’alimentare al sociale, dall’acqua al tessile, fino alla ricerca, la catena di supermercati, è molto attenta all’ambiente. Con ben 730 punti vendita in Italia punta a migliorarsi sempre più, rendendo positivo il suo impatto nel mondo giorno dopo giorno.

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