Sappiamo che il settore tessile è uno dei più inquinanti sul pianeta perché non impiega solo tessuti, ma quantità ingenti di acqua e suolo ed emette tantissima CO2. Greenpeace ha deciso di indagare su questo problema per dimostrare i danni che il fast fashion arreca al mondo.
Fast fashion
Da tempo ormai si può fare shopping direttamente da casa, con qualche click, senza uscire o prendere la macchina. Sembra tutto più semplice e poi che prezzi! E se il capo non fosse della taglia giusta si potrebbe fare il reso a pochi euro, a volte anche gratuitamente: cosa c’è meglio di così?
Nulla.
Esattamente nulla perché il fast fashion, un trend in drastico aumento negli ultimi anni sta giovando ai nostri portafogli ma non al nostro pianeta. Questo perché si tratta di merce di bassa qualità, solitamente fatta di fibre plastiche, che durano poco prima di sgualcirsi e costano relativamente poco. Il fast fashion è figlio di una società consumista che non riesce (o almeno ancora non lo ha fatto) a capire che un’economia circolare sarebbe la soluzione perfetta ai grandi problemi del momento. Che siano la crisi economica o climatica.
Secondo le stime attuali, a livello globale la produzione e il consumo di prodotti tessili sono raddoppiati dal 2000 al 2015 e potrebbero triplicare entro il 2030. Questo determina un tasso minimo di riciclo, non a caso solo l’1% dei vestiti viene creato da abiti vecchi e il 3% è circolare. Infatti, ogni secondo un camion pieno di capi d’abbigliamento finisce in discarica o inceneritore.
L’indagine di Greenpeace
Per chiarire e dimostrare con dati certi l’impatto di questo settore, Greenpeace Italia in collaborazione con Report ha svolto un’indagine non solo sul consumo ma sui resi online dei vestiti. Come detto in precedenza, pochi click bastano per comprare e fare resi gratuiti ma il pianeta paga un alto prezzo per queste attività. Lo afferma una ricerca del 2020 pubblicata su Nature, in cui si parlava del crescente impatto ecologico del fast fashion:
- quasi il 18% delle emissioni globali di CO2 prodotte dall’industria manifatturiera;
- milioni di litri di acqua utilizzata per lavorare cotone e tessuti;
- almeno 100 milioni di rifiuti tessili gettati via ogni anno.
Ora invece il focus è sui resi e quindi sui viaggi infiniti che gli indumenti fanno, una volta rispediti al mittente. I risultati ottenuti dall’inchiesta sono a dir poco assurdi e sottolineano come questa pratica veloce e diffusa stia compromettendo la salute della Terra.
L’indagine durata 2 mesi si è basata su 24 capi acquistati online da grandi marchi quali Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, Ovs, Shein e Asos e poi rispediti. Prima di rimandarli al mittente però, sono stati inseriti dei piccoli air tag (localizzatori GPS) per tracciarne gli spostamenti. In questo modo, i due gruppi sono riusciti a creare delle vere e proprie mappe dei resi, ma soprattutto sono riusciti a calcolare con precisioni le emissioni derivate da tali movimenti.
Gli abiti, quindi, hanno transitato più volte lungo tutto l’asse della nostra penisola, poi alcuni sono finiti in Europa e altri sono tornati direttamente in Cina. Questo perché gli stessi 24 capi sono stati venduti e rivenduti quasi 40 volte e resi 29 volte: ancora oggi 14 dei 24 vestiti non sono stati rivenduti. Questo giro intorno al mondo è durato ben 100 mila chilometri tra 13 Paesi europei e Cina. In media ogni pacco ha viaggiato, per consegna e reso, quasi 4500 chilometri: il tragitto più breve è stato di 1.147 chilometri, il più lungo di circa 10.300. Addirittura, sette capi che in totale hanno volato complessivamente per oltre 34 mila chilometri.
Le emissioni
I dati raccolti in chilometri sono stati trasformati in emissioni di CO2 grazie alla startup INDACO2, la quale ha determinato l’impatto ambientale di tutti i viaggi. Ovviamente tale valutazione tiene conto anche del packaging non solo del viaggio. Quindi l’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di CO2e, di cui il 16% di packaging. Tali dati determinano un aumento di circa il 24% delle emissioni per pacco.
L’indagine di Greenpeace e Report conferma come la velocità nell’effettuare i resi in questo settore determiino un elevato impatto sul Pianeta. Nello specifico in Europa, il consumo di prodotti tessili sia il:
- 4° settore per impatti su ambiente e clima,
- 3° settore per consumo d’acqua e di suolo.
Sarebbero necessarie quindi delle leggi o delle normative per arginare o limitare tali operazioni o per regolamentare il transito dei resi. O ancor di più la distruzione di capi ancora utilizzabili o riciclabili. Perché una pratica che incentiva il reso attraverso i bassi prezzi, favorisce anche l’aumento dei cambiamenti climatici.