Quando si verifica un’invasione di un territorio di una specie aliena (animale o vegetale che sia), ci si trova sempre in una situazione delicata. È importante valutare l’impatto di ogni passaggio, metodo di monitoraggio e riqualifica degli ambienti colonizzati ecc. Ma ci sono dei casi in cui tutto questo sembra molto più semplice di quanto sembri.
L’invasione del granchio blu
Sono ormai anni che si parla dell’invasione del granchio blu e della sua pericolosità per biodiversità del Mediterraneo. Avendo già esaminato questa situazione nel tempo, ci si può accorgere di come la narrazione di tale problema sia cambiata radicalmente nell’arco di un anno.
Se prima il granchio blu faceva preoccupava tutti, non si trovavano modi per limitare la sua riproduzione o i suoi movimenti, ora è oggetto di discussioni culinarie. Infatti, come abbiamo riportato qualche mese fa, il granchio blu è arrivato nelle pescherie italiane, proprio per ridurne la quantità in mare. Poco dopo il suo exploit, chef e cuochi amatori hanno proposto svariate ricette a base del crostaceo, rivoluzionando l’idea della specie aliena invasiva e pericolosa.
Tale passaggio è stato accolto così positivamente e rapidamente, che il granchio blu sembra far parte della nostra dieta da sempre. Ma nonostante si tratti di un buon metodo per limitare la colonizzazione delle nostre acque, c’è chi è andato oltre. Nello specifico l’Università Ca’ Foscari ha intrapreso un corso di ricerca per riscontrare nuovi e possibili utilizzi della specie aliena, che possano incrementare l’economia sostenibile.
Il team e la ricerca
L’Università Ca’ Foscari di Venezia sta sviluppando un metodo per estrarre la chitina dal carapace dei granchi blu per farne nanomateriali per futuri impieghi. Il team costituito da:
- La professoressa di Chimica generale e inorganica, Claudia Crestini,
- il professore di Fondamenti chimici delle tecnologie, Matteo Gigli,
- dottorando Daniele Massari del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi,
- la professoressa Livia Visai e la dottoressa Nora Bloise dell’Università di Pavia,
è riuscito a brevettare una tecnica per trasformare la chitina in nanomateriali intelligenti, grazie alle nuove tecnologie e alla versatilità del materiale stesso. Tra i vari ambiti di ricerca, la squadra conta la biomedicina, i packaging sostenibili e la protezione per i materiali scrittori.
L’obiettivo di questi studi è quello di isolare la chitina dai gusci in una modalità efficiente e funzionale all’industria. Per ora il team è in grado di isolare e modificare chimicamente una frazione nanocristallina della chitina, creando delle nanostrutture. Quest’ultime sono state impiegate per lo sviluppo di materiali straordinariamente innovativi, attraverso processi scalabili a livello industriale.
Industria alimentare
La chitina determina un mercato globale di 1,8 miliardi di dollari, derivato principalmente all’industria alimentare, agrochimica e sanitaria. Non a caso il gruppo di ricerca si è specializzato in questi ambiti, primo fra tutti l’alimentare, con nuovi film e packaging sostenibili.
Infatti, i ricercatori stanno sviluppando film nanostrutturati che possono sostituire le plastiche tradizionali per realizzare pellicole flessibili completamente biobased. Con la seguente aggiunta di composti naturali si potrebbero ottenere anche capacità antiossidanti ed antimicrobiche. Le proprietà funzionali di tali prodotti consentono di prolungare la durata della conservazione dei cibi proteggendoli da processi che ne accelerano il deterioramento. È importante anche ricordare che si tratta di film e pellicole biodegradabili, quindi, si potrebbero creare packaging che aderiscono pienamente ai principi di circolarità.
In ambito sanitario
Oltre al settore alimentare, la squadra si è interessata anche a quello sanitario. Un esempio è legato ai film flessibili, che abbinati a sostanze di origine naturale possono trasformarsi in validi patch medicali, cerotti speciali. Tale operazione è possibile grazie alla loro biocompatibilità ed emocompatibilità. Inoltre, possono avere una composizione chimica diversa per ottenere film adesivi o antiadesivi con proprietà simili all’eparina. Così facendo si possono offrire soluzioni nuove e personalizzate per le esigenze mediche.
La chitina per la scrittura
Passando da un ambito all’altro, si può notare l’importanza e la grande versatilità della chitina, poiché può aiutare anche nella conservazione di materiale scrittorio antico. Gli studiosi hanno sviluppato un progetto rivolto ai rivestimenti (coating) per il restauro e la conservazione di tale materiale. In più, la proteina ha la capacità di rallentare e prevenire diversi fenomeni di degradazione della carta inchiostrata: come? Essenzialmente la chitina riesce a contrastare l’aumento di acidità della carta e contrastare la proliferazione di microrganismi. Inoltre, è capace di impedire il deterioramento delle proprietà meccaniche della carta, rinforzando le sue fibre.
Si può affermare che l’università abbia iniziato un processo di upcycling, col quale trasforma biomasse di scarto in prodotti sostenibili e ad alto valore aggiunto. Tutto questo rientra in un ciclo di economia circolare poiché, la chitina viene estratta dagli scarti dell’industria ittica (specialmente di granchi e gamberetti). Quindi l’emergenza per l’industria ittica del nordest, riguardante il granchio blu, rappresenta un’ottima occasione per sperimentare nuove tecniche e prodotti.