
Da anni di discute sulla questione della contaminazione delle acque italiane. Tanti sono stati gli studi pubblicati, i report sviluppati e le manifestazioni svolte. Eppure ancora nessuno aveva mai mappato la situazione nazionale in modo preciso e completo. Greenpeace si è fatta carico di questo studio, proponendo una mappatura chiara, in prossimità dell’approvazione della legge sui PFAS, che sembra non essere la soluzione al problema italiano.
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Emergenza PFAS
I PFAS, sostanze chimiche usate nell’industria per le loro proprietà idro- e oleo-repellenti, sono noti come “inquinanti eterni” perché si degradano molto lentamente, contaminando acqua, aria, alimenti e il corpo umano. Alcuni, come il PFOA e il PFOS, sono cancerogeni o interferenti endocrini, con effetti negativi su tiroide, fegato, sistema immunitario e fertilità. Nonostante la loro pericolosità, solo poche molecole sono vietate a livello globale o europeo, mentre nuove varianti continuano a diffondersi. Particolarmente preoccupanti sono i PFAS a catena ultracorta, come il TFA, che si trovano ovunque e non possono essere rimossi con i trattamenti di potabilizzazione. In Italia, non esistono dati pubblici sulla loro presenza.
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Nonostante ciò, in Italia, la direttiva comunitaria 2020/2184, recepita con il D.Lgs 18/2023, introdurrà limiti ai PFAS nelle acque potabili solo dal 12 gennaio 2026. Attualmente, non esiste l’obbligo di monitorare questi inquinanti, nonostante casi gravi di contaminazione siano stati documentati in Veneto e Piemonte, con criticità anche in Lombardia e Toscana. Inoltre, i controlli sulle acque potabili sono limitati, determinando delle grandi lacune di dati, che possono aggravare l’emergenza. Non è un caso che i dati ambientali raccolti tra il 2019 e il 2022 segnalano una contaminazione diffusa in tutte le regioni monitorate, confermata anche dall’Agenzia Europea per l’Ambiente.
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Le carenze delle leggi
La direttiva UE 2020/2184 ha fissato limiti per i PFAS nelle acque potabili: 500 nanogrammi per litro per i PFAS totali e 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 molecole in Italia. Tuttavia, questi valori non sono pienamente allineati con le soglie di rischio per la salute umana. Nello specifico, l’EFSA, nel 2020, ha raccomandato limiti di esposizione molto più bassi per quattro PFAS (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS), spingendo Paesi come Danimarca, Germania, Svezia e Stati Uniti a introdurre limiti più severi, vicini alla “soglia zero”.
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Consapevole della necessità di proteggere meglio la salute pubblica, la Commissione Europea ha incaricato l’OMS di valutare i rischi dei PFAS nell’acqua potabile. Anche l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha sollecitato una revisione dei limiti. In Italia, già nel 2019, l’Istituto Superiore di Sanità consigliava restrizioni più rigide, sottolineando che PFOA e PFOS non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano.
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Nonostante ciò e pur non disponendo delle stesse risorse degli enti pubblici, l’indagine di Greenpeace Italia, “ACQUE SENZA VELENI” rappresenta un’iniziativa pionieristica. L’organizzazione ha realizzato la prima mappa della presenza di PFAS nelle acque potabili italiane, analizzando le reti acquedottistiche di diverse regioni prima ancora delle autorità competenti.
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I risultati della ricerca
Secondo i dati raccolti dall’indagine, il 79% dell’acqua potabile in Italia contiene inquinanti eterni, i “forever chemicals” che sono legati a patologie come tumori e interferenze con il sistema endocrino. La contaminazione da PFAS, le sostanze per- e polifluoroalchiliche, riguarda tutte le regioni e la concentrazione di sostanze pericolose spesso supera ampiamente i limiti che sono considerati sicuri per legge.
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La ricerca si è svolta nei mesi di settembre e ottobre in Italia, per la raccolta di ben 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, i campioni sono stati analizzati da un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei PFAS. Per ogni provincia i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo. In alcune grandi città sono stati eseguiti due campionamenti (Ancona, Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Torino, Trieste, Venezia).
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I dati hanno dimostrato che 206 i campioni su 260 risultano contaminati da almeno una delle 58 sostanze monitorate, con soli 54 campioni (21%) privi di PFAS. Le molecole più diffuse sono risultate, nell’ordine:
- il cancerogeno PFOA (nel 47% dei campioni);
- il composto a catena ultracorta TFA (in 104 campioni, il 40% del totale, presente in maggiori quantità in tutti quei campioni in cui è stato rilevato)
- il possibile cancerogeno PFOS (in 58 campioni, il 22% del totale).
Livelli elevati si registrano in Lombardia, Piemonte, Veneto, in Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Sardegna, Perugia e Umbria. Nell’ambito delle sue analisi indipendenti, Greenpeace Italia ha inoltre verificato la presenza nelle acque potabili italiane del TFA, la molecola del gruppo dei PFAS più diffusa sul pianeta, per cui nel nostro Paese non esistono dati pubblici. Il TFA è una sostanza persistente e indistruttibile ancora oggetto di approfondimenti scientifici che, per le sue stesse caratteristiche, non può essere rimossa mediante i più comuni trattamenti di potabilizzazione.
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Il comune di Castellazzo Bormida (AL) ha mostrato i valori più elevati (539,4 nanogrammi per litro), seguito da Ferrara (375,5 nanogrammi per litro) e Novara (372,6 nanogrammi per litro). Concentrazioni molto alte si registrano anche ad Alghero (SS), Cuneo, Sassari, Torino, Cagliari, Casale Monferrato (AL) e Nuoro. La Sardegna (77% dei campioni positivi), il Trentino Alto Adige (75% dei campioni positivi) e il Piemonte (69% dei campioni positivi) sono le Regioni in cui la contaminazione da TFA è risultata essere più diffusa.
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In conclusione
Nonostante le evidenze sui gravi danni alla salute causati dai PFAS e la loro diffusa contaminazione nelle acque potabili italiane, il governo continua a ignorare l’emergenza senza adottare misure efficaci per proteggere la popolazione e l’ambiente. In Italia non esiste ancora una legge che vieti l’uso e la produzione di queste sostanze, rendendo urgente un’azione immediata per eliminarle. Greenpeace Italia ha lanciato una petizione, firmata da oltre 136 mila persone, per chiedere il bando totale dei PFAS e la loro sostituzione con alternative più sicure, già disponibili in quasi tutti i settori industriali. Tuttavia, il governo non ha ancora risposto, lasciando milioni di persone esposte a questa contaminazione.
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Tuttavia, quella di Greenpeace è la prima mappatura completa degli inquinanti eterni nell’acqua potabile mai realizzata nel nostro paese, dunque c’è margine di miglioramento, di progresso e di speranza.