In un periodo storico, sociale ed economico in cui tutto sembra andare sempre peggio, è fondamentale soffermarsi su ogni nuova conquista tecnologica, su ogni nuova politica volta alla protezione dell’ambiente e su ogni miglioramento del pianeta terra. Senza dubbio i cambiamenti climatici non ci risparmieranno, ma ogni tanto arrivano anche delle notizie positive che incrementano e rafforzano l’importanza di certe politiche, di certe nuove abitudini e delle azioni dedite alla salvaguardia dell’ambiente e del mondo.
in questo caso, sembra che con il 2024 si possa pensare ad una stabilizzazione o piccola ed iniziale ripresa del buco dell’ozono.
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Il buco dell’ozono
Il buco dell’ozono è un fenomeno che indica la riduzione dello spessore dello strato di ozono nella stratosfera, particolarmente evidente sopra le regioni polari, come l’Antartide. Questo strato è fondamentale per la vita sulla Terra poiché assorbe la maggior parte delle radiazioni ultraviolette (UV) nocive provenienti dal Sole, in particolare le radiazioni UV-B e UV-C. La diminuzione dell’ozono permette a una maggiore quantità di raggi UV di raggiungere la superficie terrestre, con conseguenze gravi per la salute umana e per gli ecosistemi.
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Le principali cause del così detto “buco” dell’ozono sono i clorofluorocarburi (CFC) e altri composti chimici rilasciati dalle attività umane, come l’uso di spray e refrigeranti. Nonostante gli sforzi internazionali, come il Protocollo di Montreal del 1987 che ha limitato l’uso di queste sostanze, il recupero completo dello strato di ozono è previsto solo per la metà del XXI secolo. Questo a causa delle persistenti emissioni e delle incertezze legate al cambiamento climatico.
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Ovviamente tale fenomeno ha degli effetti negativi per l’intero pianeta e non solo degli umani. Per prima cosa l’aumento di tali radiazioni comporta un incremento dei casi di cancro della pelle, cataratta e indebolimento del sistema immunitario negli esseri umani. Inoltre, le radiazioni non filtrate possono danneggiare gravemente gli ecosistemi, compromettendo la fotosintesi nelle piante e riducendo la produzione di fitoplancton, che è essenziale per la catena alimentare marina.
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L’evoluzione del fenomeno.
Negli ultimi 40 anni, il buco dell’ozono ha subito significative variazioni, influenzate principalmente dalle attività umane e dai cambiamenti climatici. Scoperto nel 1985 sopra l’Antartide, il fenomeno ha spinto all’adozione del Protocollo di Montreal nel 1987, che ha ridotto drasticamente l’uso di clorofluorocarburi (CFC), principali responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono. Nonostante ciò, negli anni ’90, il buco ha continuato ad espandersi, raggiungendo nel 2000 la sua massima estensione, pari a circa 29,9 milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, segnali di recupero sono emersi dal 2006 grazie alla riduzione dei CFC e nel 2016, il buco si era ridotto di 4 milioni di chilometri quadrati rispetto al 2000.
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Negli anni recenti, però, il fenomeno ha mostrato fluttuazioni significative. Nel 2023, il buco ha raggiunto un’estensione di oltre 26 milioni di chilometri quadrati, confermando una persistente variabilità nonostante i progressi ottenuti. Nonostante i progressi, gli scienziati avvertono che il recupero completo dello strato di ozono potrebbe richiedere decenni e che le dimensioni del buco continueranno a essere influenzate da variabili meteorologiche e dall’impatto del cambiamento climatico 12. Se le attuali tendenze continueranno, il buco dell’ozono potrebbe chiudersi completamente entro il 2066. Forse però, proprio il 2024 potrebbe essere l’anno di stabilizzazione o almeno di ripresa.
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Il miglioramento del 2024
Negli ultimi quattro anni, il buco annuale dell’ozono antartico si è protratto più a lungo del solito, chiudendosi nella seconda metà di dicembre. Invece quest’anno, il fenomeno ha mostrato segnali di ritorno a comportamenti tipici, iniziando a chiudersi all’inizio di dicembre, un periodo più vicino alla media storica rispetto agli ultimi anni. Questo progresso è stato monitorato in tempo reale dal Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus (CAMS), che ha evidenziato una riduzione significativa dell’area massima del buco, scesa a 22 milioni di km² rispetto ai 25 milioni del 2023 e del 2022. Secondo il monitoraggio, l’area del buco si era ridotta costantemente nel mese di ottobre, seguendo l’andamento medio, per poi stabilizzarsi a circa 10 milioni di km² al giorno durante il mese di novembre. Inoltre, l’interruzione del vortice polare nella prima settimana di dicembre aveva contribuito a far sì che la chiusura del buco dell’ozono del 2024 si allineasse con la media registrata tra il 1979 e il 2021.
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Laurence Rouil, direttore del Servizio, ha sottolineato che il Protocollo di Montreal e i suoi emendamenti avevano svolto un ruolo fondamentale nel contenere le emissioni di sostanze dannose per l’ozono. Tuttavia, aveva aggiunto che permaneva una certa variabilità legata alle dinamiche naturali delle altre variabili atmosferiche e che si sperava di osservare i primi segnali di recupero del buco dell’ozono nei prossimi decenni. Al netto di tali cambiamenti e piccoli successi, si prevede che i primi segnali concreti di recupero dello strato di ozono emergeranno nei prossimi decenni.