Arrivati alla conclusione di questa 29 esima conferenza, la situazione globale è cambiato poco. Gli interessi dei vari stati non sembrano coincidere e in certi casi le sfide climatiche non preoccupano proprio.
Al netto di tutto quello che è stato discusso nelle due settimane di conferenza, i risultati generali non fanno ben sperare. Ecco i punti sviluppati e i nuovi accordi.
Il “clima” della COP
COP29, Baku 2024, il clima dei negoziati non è mai stato così teso, con una bozza di accordo che ha suscitato forti critiche da parte di rappresentanti dell’Unione Europea e di paesi sviluppati. Dopo le prime proposte messe in tavola dai vari delegati, Woepke Hoekstra, capo della delegazione UE, aveva definito il testo “sbilanciato” e “inattuabile”. Questo perché il documento non affrontava adeguatamente la riduzione delle emissioni di gas serra rispetto agli impegni presi a Dubai l’anno precedente. Anche l’Australia ha espresso preoccupazioni simili.
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Dall’altra parte, i leader africani del Gruppo dei 77 più Cina hanno evidenziato l’assenza di un importo specifico che i Paesi ricchi dovrebbero versare ai Paesi in via di sviluppo. Evidenziando tale questione hanno chiesto un contributo annuale di almeno 1,3 trilioni di dollari così da trattare con cifre concrete e non ipotetiche. Invece il ministro italiano dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha insistito sulla necessità di non fermarsi solo alla finanza, ma di discutere anche sulla mitigazione.
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A questo punto la bozza presentata prevedeva due opzioni ministeriali contrastanti:
- La prima stabiliva un obiettivo collettivo per la finanza climatica, richiedendo ai Paesi sviluppati di fornire almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno in sovvenzioni a fondo perduto.
- La seconda, proponeva un aumento della finanza globale per il clima a un importo non specificato (X trilioni) per tutti i Paesi, inclusi quelli in via di sviluppo.
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Tuttavia, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito che le posizioni iniziali delle delegazioni sarebbero dovute cambiare per raggiungere un accordo il prima possibile. Nonostante, la presidenza azera era alla ricerca di un compromesso prima della conclusione della conferenza, l’assenza di una forte leadership americana e le tensioni tra Nord e Sud globale hanno reso incerta la possibilità di un risultato positivo. Ovviamente, la Cina avrebbe avuto un ruolo cruciale nel determinare l’esito dei negoziati.
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Nuovi accordi e patti consolidati
Gli ultimi aggiornamenti sui negoziati della COP29 sono arrivati e sembrano puntare ad un accordo significativo.
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Sicuramente il primo obiettivo è quello richiesto dai Paesi in via di sviluppo come essenziale per affrontare la crisi climatica. Infatti, si tratta di raggiungere 1.300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima entro il 2035. Nello specifico la bozza prevede che i Paesi sviluppati contribuiscano con 250 miliardi di dollari all’anno, un aumento rispetto al precedente impegno di 100 miliardi.
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Successivamente si può evidenziare un importante cambiamento con l’inclusione di nuovi donatori nella bozza. Questo significa che i Paesi in via di sviluppo sono “invitati” contribuire senza compromettere il loro status, permettendo così anche a nazioni come Cina e India di partecipare come donatori. Nonostante ciò, l’accordo riconosce la necessità di risorse pubbliche e finanziamenti altamente agevolati, in particolare per i Paesi più vulnerabili.
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Critiche e dubbi
Le decisioni prese durante la COP29 hanno sollevato dubbi e critiche, soprattutto per quanto riguarda gli impegni finanziari dei Paesi sviluppati nei confronti di quelli in via di sviluppo. Nonostante i progressi, l’importo proposto di 250 miliardi di dollari è stato giudicato insufficiente per affrontare le sfide climatiche globali. Le stime indicano che i Paesi in via di sviluppo necessiteranno tra 5.100 e 6.800 miliardi di dollari entro il 2030, con ulteriori costi di adattamento annuali stimati tra 215 e 387 miliardi di dollari, ma non sono stati fissati impegni vincolanti per colmare questo divario.
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Altre critiche riguardano l’eliminazione di riferimenti importanti, come le emissioni storiche e il PIL pro-capite, che avrebbero potuto garantire una maggiore equità nella distribuzione degli oneri. Anche sul fronte dei diritti umani, i riferimenti alle categorie vulnerabili restano vaghi, senza indicazioni concrete su come garantire loro accesso prioritario ai fondi.
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Esponenti come Ali Mohamed, capo delegazione del gruppo africano, hanno definito l’importo proposto gravemente insufficiente, avvertendo che porterà a perdite inaccettabili. Gli esperti chiedono che gli obiettivi finanziari siano aumentati per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi. La conferenza ha messo in evidenza il divario tra le aspettative dei Paesi in via di sviluppo e gli impegni dei Paesi sviluppati, in attesa di un documento finale che potrebbe delineare nuove direzioni per i negoziati.
Proteste
Anche quest’anno non sono mancate proteste proteste e campagne per evidenziare le profonde ingiustizie climatiche e la necessità di azioni più decise contro le aziende di combustibili fossili. Tra queste, la campagna #PaybackTime, sostenuta da celebrità come Jude Law e promossa da Global Witness, ha puntato il dito contro le multinazionali del settore energetico, accusate di generare enormi profitti a scapito del Pianeta. Con un guadagno di 4 trilioni di dollari nel 2022, queste aziende sono state esortate a contribuire ai costi dei danni climatici, che colpiscono in modo sproporzionato i Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa ha incluso l’uso provocatorio del dominio cop29.com per denunciare i dirigenti delle aziende fossili, evidenziando la loro responsabilità diretta nella crisi climatica.
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Parallelamente, movimenti come Fridays for Future e Greenpeace hanno organizzato manifestazioni per chiedere una transizione energetica più ambiziosa e per denunciare l’iniquità nei finanziamenti climatici. I manifestanti hanno sottolineato il paradosso di promuovere azioni climatiche mentre si continuano a sostenere nuove infrastrutture per carbone, petrolio e gas. Le proteste hanno anche evidenziato l’esclusione di gruppi vulnerabili e comunità indigene dai benefici delle politiche climatiche.
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Figure simboliche come Greta Thunberg hanno criticato la mancanza di coerenza tra le promesse dei leader e le azioni concrete, definendo la COP29 un’occasione mancata. Eventi simbolici, come un “funerale climatico” organizzato da rappresentanti di Paesi insulari come Vanuatu e Tuvalu, hanno ricordato i rischi imminenti legati all’innalzamento del livello del mare, richiamando l’urgenza di un cambiamento.