Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

By : Aldo |Gennaio 07, 2024 |Arte sostenibile, Emissioni, Home |Commenti disabilitati su Approvato il PNACC: dopo 7 anni arriva la nuova strategia “soft”.

Il Decreto del MASE n. 434 del 21 dicembre 2023 è stato approvato. L’Italia pubblica il suo PNACC tra perplessità e preoccupazioni per le emergenze future.

    

Il nuovo Decreto del MASE

Finalmente è arrivato. Dopo l’ultimo documento, risalente a 7 anni fa, è stato approvato il nuovo PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici). L’obiettivo del testo è quello di fornire un quadro nazionale per:

  • contrastare i rischi;
  • migliorare le capacità di adattamento;
  • trarre vantaggio dalle opportunità legate alle nuove condizioni climatiche.
    Si tratta di un piano di attuazione della strategia creata nel 2015, per


contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.

Il PNACC è fondamentale soprattutto per uno stato come quello italiano, per via delle sue caratteristiche geomorfologiche, climatiche e ambientali. L’Italia è un’area estremamente vulnerabile ed un rilevante hot-spot di biodiversità; pertanto, tale traguardo è fondamentale per affrontare le difficoltà del futuro.

   

La struttura del testo

Il documento necessario per adattarsi ai cambiamenti climatici individua 361 misure di carattere nazionale o regionale, azioni di informazione, sviluppo di processi organizzativi e partecipativi. Tali misure sono divise in 3 fasce:

  • soft: non richiedono interventi strutturali e materiali diretti;
  • green: quando necessitano di soluzioni naturali;
  • grey: se hanno bisogno di azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture.

Ma proprio tale suddivisione ha già sollevato polemiche e dubbi, poiché ben oltre 250 azioni su 361, sono classificate come soft. Pensando a tutti gli eventi estremi di quest’anno, alle grandi lacune del nostro paese, sicuramente non era quello che ci si aspettava. Gli interventi strutturali sono dunque solo 87, di cui solo 46 sono green. Per esempio, un fenomeno che oggi tiene in mano oltre il 93% dei comuni italiani, rientra nell’ambito del dissesto idrogeologico. Proprio questo problema riserva solo 29 interventi tutti catalogati come classe “soft”.
     
Forse si sperava in un piano molto più rigido, concreto che analizzasse ogni singola tematica e trovasse la soluzione adatta a ciascuna. L’insieme di queste misure dovrebbe esse in grado di incidere sui seguenti settori:

  • acquacoltura, pesca, zone costiere
  • agricoltura e foreste
  • ecosistemi acquatici e terrestri;
  • desertificazione, dissesto idrogeologico, risorse idriche;
  • energia;
  • insediamenti urbani, patrimonio culturale, turismo, trasporti, industrie.
  • salute;

In particolare, sono state evidenziate delle linee più forti per quanto riguarda le risorse idriche, forse uno dei temi più dibattuti e preoccupanti degli ultimi anni. In questo senso si punta ad incrementare la connettività delle infrastrutture idriche e la loro manutenzione, l’irrigazione e la bonifica. Dunque, una maggior cura della rete fluviale liberandola da barriere e la capacità di accumulo.  Mentre per l’agricoltura si consigliano maggiori investimenti cosicché i nostri terreni possano resistere ed adattarsi ai nuovi climi.
    
Di seguito si parla quindi di protezioni per il gelo e le grandinate (sempre più frequenti e potenti), l’efficientamento delle risorse per coltivare. E in più si citano idee per aumentare il benessere animale. Per fare un esempio, solo nel 2023, la mancanza di un piano simile ha provocato nel Paese oltre 6 miliardi di euro di danni all’agricoltura italiana.

    

La situazione in Italia

Il testo riporta tuttavia le criticità riscontrate negli ultimi anni con previsioni, studi e ipotesi per l’avvenire. Tra gli argomenti più complessi, sono stati affrontati:

  • La siccità: anomalie legate fino a -40% di piogge;
  • Innalzamento dei mari: si prevede un aumento di 19 cm entro il 2065;
  • Temperature dei mari: le analisi ipotizzano un aumento del 1,9° C nel Tirreno tra il 2036-2065, addirittura 2,3° C nell’Adriatico;
  • I ghiacciai: hanno perso il 30-40% del loro volume;
  • Copertura nevosa (fondovalle e versanti meridionali): si limiterà a 5 settimane fino ai 2000 m, a 2,3 settimane fino ai 2500 m.

Tali questioni sono concatenate l’una con l’altra e determinano maggiori e più frequenti fenomeni estremi. Questi sono a loro volta legati all’aumento delle emissioni di CO2, che non sembrano diminuire. In questo senso si presentano 3 scenari, di esito diverso, dal peggiore al migliore. Nel caso peggiore, le concentrazioni a fine secolo saranno quasi quadruplicate rispetto i livelli preindustriali; si pensa ad un range tra gli 840-1120 ppm. Precisamente questo potrebbe essere il quadro peggiore con un conseguente aumento della temperatura globale (nel 2100) di 4-5° C. il caso migliore è quello di una ipotetica e forte mitigazione delle emissioni che verrebbero dimezzate entro il 2050. Infine, l’esempio intermedio prevede la riduzione delle concentrazioni sotto il livello attuale (400 ppm) entro il 2070.

    

In conclusione

Ancora una volta, un piano necessario, fondamentale per il nostro Paese è arrivato deludendo le aspettative di molti. O forse tutti sapevano come sarebbe andata. Per di più, il testo presenta un secondo e particolare problema, ossia i finanziamenti. Infatti, oltre alle misure che danno poca affidabili, c’è una seconda questione ovvero i costi. In pratica, secondo gli autori ci sarebbero molte risorse per attuare le azioni prima citate, tuttavia solo una parte è direttamente disponibile in Italia. Ossia, i fondi europei sanno erogati solo a seguito di evidenti sforzi e la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti.

Non ci resta dunque che pensare che il futuro in questo senso sia prevedibile e già scritto, oppure sperare in una svolta vera e propria.  Sicuramente lo scopriremo solo col passare del tempo.

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