È finalmente terminata la 28 esima Conferenza delle parti, dopo due settimane di discussioni e polemiche, con un “accordo storico”. Ma parliamo di una vera vittoria, o di un compromesso volto alla serenità dei rapporti tra gli stati firmatari?
Il termine della COP 28
Il termine della COP di Dubai, previsto per martedì 12 dicembre è slittato di un solo giorno, dopo una notte di trattative. L’accordo è stato raggiunto sorprendentemente mercoledì 13 dicembre e tutto è stato risolto con modi poco condivisi. Infatti, dopo la presentazione del documento erano attese le dichiarazioni dei Paesi sul testo, che non sono pervenute per poter chiudere velocemente la plenaria.
Così, dopo 3 minuti dall’annuncio del presidente Sultan Al -Jaber, era tutto finito. Nessuno si aspettava una chiusura del genere, così veloce, senza opposizioni esplicite (attese e previste): non c’è stato tempo. La Conferenza è terminata dopo la stesura della terza bozza accettata dagli stati partecipanti, che tuttavia hanno espresso pareri negativi solo dopo la conclusione. Per esempio, pochi minuti dopo l’approvazione la rappresentante di Samoa che ha criticato Sultan Al-Jaber:
Signor presidente, ha fatto come se noi non fossimo nella stanza”
Luca Bergamaschi, direttore del think tank italiano Ecco sul clima, ha affermato che comunque da Riad non ci si poteva aspettare altro. Di base “Riaprire il testo avrebbe significato squilibrarlo e rischiare di non chiudere”.
Le “vittorie” di Dubai
Ovunque si legge di un accordo storico, una vittoria per il pianeta, un passo in avanti per l’ingente e necessaria transizione ecologia. Ma concretamente quali sono i veri punti positivi, di due settimane di trattative mondiali?
Sicuramente è importante ricordare che per la prima volta in assoluto, nella storia delle COP, sia riportato il termine “combustibili fossili” nel testo. Sembra assurdo ma è tutto vero. Da oggi il fossile è nel documento finale della Conferenza di Dubai, peccato però che non sia accompagnato dal verbo “eliminare”. Proprio così, il phase out è sparito definitivamente già dal testo delle prime bozze. Il compromesso trovato è il termine “transizione verso l’allontanamento”, una specie di parafrasi, che non porta ad un obbligo, ma ad un invito. Non era questa l’ambizione di circa 150 Paesi che si sono scontrati col fronte invalicabile degli stati dell’Opec che hanno trovato un “sinonimo”. In questo modo, la presidenza è riuscita ad ottenere il consenso di tutti i 224 Paesi mettendo in piedi uno scenario debole e poco chiaro. Dunque, per la prima volta, i paesi sottoscrittori prendono l’impegno a ridurre tutti i combustibili fossili entro il 2050.
Le rinnovabili
Una seconda nota positiva è il voto unanime per le rinnovabili, forse il compromesso più facile. Passo possibile anche grazie all’impegno decretato durante l’incontro del 15 novembre a Sunnylands tra Cina e USA. In questo caso si parla di 3 punti fondamentali ossia:
- triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030;
- accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone ’unabated’, ovvero senza tecnologia di cattura e stoccaggio;
- accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo
Peccato che ci siano delle grandi lacune anche in questo senso e delle grossolane contraddizioni. Si parla di accelerare le tecnologie a zero e a basse emissioni, ma tra queste vengono indicate nuovamente il nucleare. Nonostante la dichiarazione, tale soluzione non rappresenta un’alternativa, secondo gli esperti, a causa degli alti costi e dei tempi lunghi. Infatti è stato stimato un minimo di 30 anni per rendere la fusione un’opzione su scala. Così come le tecnologie di “abbattimento e rimozione” delle emissioni come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio in particolare nei settori “hard to habate”.
Come anticipato, nonostante si tratti di punti positivi, non c’è nulla di chiaro e il linguaggio usato risulta molto debole. Un passaggio alle rinnovabili è fondamentale ma deve essere regolamentato sotto ogni punto di vista. Altrimenti rischia di essere una transizione traumatica che può causare scompensi socioeconomici.
Le previsioni
Per arrivare al testo finale, sono state fatte delle analisi riguardanti il picco massimo di emissioni di carbonio, previsto per il 2025. Anche in questo caso però, si lascia un margine di manovra a singoli Paesi come la Cina per raggiungere il picco più tardi. Sempre al punto 28, si riconosce la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra in linea con il percorso dell’1,5 gradi. Si invita poi le parti a contribuire agli sforzi globali, secondo modalità determinate a livello nazionale, tenendo conto dell’accordo di Parigi.
Nonostante ciò, il linguaggio resta delicato, debole, fatto ancora di inviti e non di obblighi, di possibilità non di azioni concrete. Non a caso, Jean Su, direttrice del Center for Biological Diversity per la giustizia energetica interviene. Secondo lei, i pochi dettagli creano lacune che consentono agli Stati produttori di combustibili fossili di continuare a espandere i loro affari. Nello specifico perché sarà consentito l’utilizzo di “combustibili di transizione” che non sono altro gas naturale, che emette anche carbonio.
Nel frattempo che si snocciolano tutte le seguenti questioni, la Terra sta per registrare il record come anno più caldo.
Conclusioni
In tutto ciò non abbiamo fatto passi in avanti in ambiti quali:
- il debito dei paesi poveri e vulnerabili, che hanno bisogno di aiuti e non di prestiti;
- la continua mancanza di un’azione che includa in maniera efficiente i diritti umani (saltata dal paragrafo relativo al fondo per compensare i Paesi poveri);
- il loss and damage, che ha raccolto solo 700 milioni di dollari, quando solo nel 2022, gli impatti sono costati 109 miliardi.
L’unico obbligo previsto è quello dei 224 Paesi partecipanti, a presentare i nuovi piani nazionali di azione climatica – i cosiddetti Ndc – entro il 2025. Con questo si dovranno documentare anche gli impegni per i successivi cinque o dieci anni e si devono dimostrare anche i miglioramenti per i precedenti.
In conclusione si può dire che questa Conferenza sia stata un compromesso al ribasso, fatto per mantenere la pace tra tutti. Se non altro è un piano che consente di far salire a bordo anche i paesi esportatori di petrolio, che da poco sono entrati in questi accordi. Sicuramente non si tratta di una vera vittoria. Tutti potranno continuare a seguire i loro affari, i più inquinanti, mentre i più poveri continueranno ad essere le vittime di accordo fittizio.