È passata una settimana dall’inizio della 28a COP e già tanti punti sono stati sviluppati, rivisti, approvati e criticati. Chiunque sia interessato direttamente o indirettamente a questo argomento è pronto ad affrontare i prossimi giorni, nella speranza dell’approvazione di documenti che possano fare la differenza.
I punti principali
La COP 28 come anche le altre, è iniziata con la determinazione di una serie di punti da chiarire e di questioni per le quali servono soluzioni concrete. Dunque, sono state stabilite quattro grandi aree di azione che includono ulteriori sottoschemi quali:
- La campagna Fossil to Clean, avanzata da 131 aziende, coordinate da “We Mean Business Coalition” e dai suoi partner.
- Un’alleanza per la decarbonizzazione, con l’obiettivo di trovare un accordo tra Stati per un piano di transizione energetica che punti a delineare come catturare e stoccare la CO2 che oggi è in eccesso.
- L’impegno degli Stati per il clima.
- Il sostegno finanziario ai Paesi emergenti.
- L’impegno disatteso di 100 miliardi all’anno per sostenere la transizione ecologica dei Paesi emergenti.
- L’impatto sociale, focalizzandosi sull’aspetto sociale della transizione energetica favorendo l’inclusione.
- Adattarsi al cambiamento climatico attraverso l’Adaptation Agenda di Sharm-el-Sheikh che ha l’obiettivo di migliorare la resilienza di quattro miliardi di persone nelle regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici
- Piani di adattamento nazionali
Iniziare col piede sbagliato
Da tempo l’apertura delle COP è preceduta da una serie di polemiche più o meno condivisibili. Queste sono dettate dal fatto che dopo 28 anni, ancora non siano stati realizzati degli impegni fondamentali e quasi sembra non esserci un risvolto positivo. Così anche quest’anno, la pioggia di critiche è arrivata ed era indirizzata su vari argomenti e scelte discutibili per la conferenza più importante del 2023.
Per prima cosa si è discusso della scelta della Presidenza ed alla presenza elevata di rappresentanti dell’industria petrolifera. Si contano ben 2.500 su 80mila partecipanti, secondo la ong Global Witness, una percentuale troppo alta per alcuni, e ambigua rispetto al contesto di sostenibilità. Tra questi si può citare per l’appunto, il presidente della conferenza Sultan Al-Jaber, amministratore delegato del colosso petrolifero Adnoc.
Come se questo non bastasse, la plenaria è iniziata in un tunnel buio, visti gli studi dell’Unfcc relativa al Global Stocktake. L’iniziativa che prevede il check della situazione attuale e delle iniziative da implementare presentava una realtà molto tetra che ha scaturito molte lamentele. I dati scientifici confermano che ci avviamo verso 2,6 gradi di riscaldamento globale e che quindi dobbiamo tagliare le emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% nel 2035. Proprio legato a questo, si è discusso molto del “phase out” dei combustibili fossili, per il quale sono favorevoli i governi occidentali. Al contrario, i grandi produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita e la Russia si sono opposti.
Numeri e accordi raggiunti
Passando oltre le polemiche iniziali, gli interventi clamorosi del presidente, i ripensamenti e le ambiguità, si trova molto da raccontare. Una parte positiva di questa 28° conferenza è sicuramente la velocità con la quale certi fondi sono stati creati o attivati.
Primo tra tutti il fondo Loss and Damage. Esattamente il primo giorno di Cop28 è arrivato l’accordo sul fondo annunciato alla COP27, diventando così operativo sotto sotto la gestione della Banca Mondiale. Si tratta forse del risultato più importante per velocità di realizzazione e fondi: conta ben oltre 726 milioni di dollari. Soprattutto poiché a sopresa di tutti, l’Italia ha promesso 100 milioni di euro, diventando uno dei maggiori contributori insieme a Francia, Germania ed Emirati.
Successivamente si parla delle rinnovabili, con un testo firmato da 123 Paesi i quali si impegnano a triplicare le rinnovabili e aumentare l’efficienza energetica. L’obiettivo è quello di arrivare a 11.000 GW e per raggiungerlo, l’UE ha annunciato un impegno da 2,3 miliardi di euro per la transizione. Per ora sono stati impegnati ben 6,8 miliardi per l’energia. A tale argomento si può affiancare il nucleare, per il quale 22 Paesi hanno firmato un documento. In questo caso l’obiettivo è quello di triplicare la capacità di produzione nucleare nel mondo; tuttavia, resta un tema che mette in disaccordo molti. Resta a lunghissimo raggio la scommessa sulla fusione (abbracciata dall’Italia), per la quale l’orizzonte viene indicato tradizionalmente al 2040-2050.
Per il Green Climate Fund (2010), sono stati raccolti 3,5 miliardi di dollari (di cui 3 dagli USA), su un tetto di 13 miliardi. Il patto è stato sottoscritto da soli 25 Paesi. E poi ancora si parla di salute. Con tale documento, i 121 Stati firmatari si impegnano nella riduzione delle emissioni nel settore e sulla considerazione dell’impatto sulla salute delle persone della crisi climatica.
Infine, si è trattato un settore fondamentale, quello dell’agricoltura e del cibo. Si tratta del testo firmato da più Nazioni, 134 per la precisione. L’idea è quella di integrare il settore nei propri piani climatici nazionali, avendo questo un ruolo nella cattura del carbonio e non solo. È responsabile di una grossa quota di emissioni
Non è tutto
Dall’inizio della COP, sono stati raggiunti 83 mld di euro di investimenti tra tutti gli impegni previsti. Oltre a quelli già riportati, sono stati raggiunti:
- 61,8 miliardi per la finanza
- 8,5 miliardi per le comunità
- 1,7 miliardi per l’inclusione
- 134 milioni per l’Adaptation fund
- 123 milioni per i Paesi meno sviluppati
- 31 miloni per lo Special climate change fund.
Inoltre 11 promesse e dichiarazioni sono state lanciate e hanno ricevuto un enorme sostegno. Come, per esempio, il rapporto scientifico intitolato “Global Tipping Point” redatto da più di 200 scienziati, che avverte sui “punti di non ritorno” climatici. Oppure la “Dichiarazione congiunta sull’urbanizzazione e il cambiamento climatico” sostenuta da 40 ministri. Propone un piano in 10 punti per integrare l’azione climatica a tutti i livelli di governo e incrementare i finanziamenti urbani per il clima.
Mentre continua ad essere oggetto di discussione il “phase out” dei combustibili fossili, per il quale è stato proposto un “phase down”. Tutto ciò nonostante la conferma che il 2023 sarà l’anno più caldo della storia e che a novembre sono state raggiunte temperature record. L’aggiunta del paragrafo 36, che riconosce la necessità di una giusta transizione energetica, rappresenta un passo senza precedenti verso la trasformazione equa di cui necessitiamo.
Per non parlare del Global Carbon Budget, che non prevede nulla di positivo. Anzi conferma che nel 2023 le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) raggiungeranno un nuovo record a quota 36,8 miliardi di tonnellate. Questo rappresenta un aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente e dell’1,4% in più rispetto al 2019, ultimo prima della pandemia.
Conclusioni
Dopo un anno in cui nessuno nel mondo, è sfuggito agli eventi estremi e ai pericolosi effetti dei cambiamenti climatici, questa COP deve essere decisiva. È chiaro a tutti ormai che servono mosse e azioni veloci ma concrete, decise e mirate per rimettere in piedi l’Accordo di Parigi. Dunque, per poterci salvare serve ancora molto, ma ancora è in dubbio il potere di questa Conferenza.
Ora bisogna solo aspettare i risultati finali.