Giovedì 30 novembre si è aperta la COP 28 a Dubai, tra vecchie speranze e dubbi per i risultati della conferenza. L’UE scende in campo decisa a raggiungere i suoi obiettivi comportandosi come un capofila e da modello per le altre nazioni. Ma a distanza di soli 6 giorni dall’inizio, avvenimenti, affermazioni ed interventi hanno già sorpreso tutti, sia in modo positivo che negativo.
L’era delle caverne
Lunedì il mondo scientifico si è bloccato per qualche secondo dopo la dichiarazione del presidente della COP28, Sultan al-Jaber. Quest’ultimo parlando dell’eliminazione dei combustibili fossili, durante un incontro online, afferma:
Non esiste alcuna scienza che indichi sia necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Anzi, la loro eliminazione – anche graduale – non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”.
Parole, le sue, che fanno rabbrividire tutti, in primis i massimi esperti mondiali, compresi gli scienziati del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Lo scalpore deriva anche dal discorso precedente, che annunciava l’impegno delle 50 principali compagnie petrolifere globali a raggiungere emissioni di metano prossime allo zero. Tra queste l’Aramco dell’Arabia Saudita, la Petrobras del Brasile e la Abu Dhabi National Oil Company di cui proprio al-Jaber è a capo. Le prime perplessità sull’efficacia e la possibilità di un’azione concreta iniziano proprio qui. Inoltre, la “Carta globale della decarbonizzazione” non è in linea con l’obiettivo di restare sotto 1,5° Celsius. E non pone alcun vincolo allo sviluppo di nuovo petrolio e gas e prevede obiettivi di emissione volontari e non prescrittivi.
Dopodiché subentrano i giornalisti indipendenti presso il Center for Climate Reporting (in collaborazione con la BBC) che chiedono spiegazioni al presidente. L’inchiesta dimostrava che la presidenza della Cop 28 aveva programmato una serie di incontri per favorire nuovi accordi commerciali internazionali legati ai combustibili fossili. A tali accuse al-Jaber ha assicurato di non aver mai visto questi punti, né di aver partecipato a tali incontri. Nonostante ciò, parliamo della stessa persona che in apertura della COP ha esortato a “garantire di includere il ruolo dei combustibili fossili nel documento finale”.
Gli scienziati sbigottiti hanno definito l’uscita del presidente come “Parole al limite del negazionismo”. D’accordo anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres e Bill Hare, ceo di Climate Analytics, preoccupati per il risultato delle prossime azioni.
A sorpresa, dopo l’assurda affermazione, il sultano ha convocato una conferenza stampa per chiarire quanto detto. Innanzitutto, non si è scusato ma ha detto di essere stato “travisato” dai media, accusandoli di non riportare il suo vero messaggio. Poi ha continuato ricordando quanto la scienza sia parte della sua vita e della fiducia che ripone nelle scelte fatte in questi giorni.
Dalla sua parte
Al contrario di quello che è appena stato descritto c’è chi ha interpretato in altro modo, le parole di Sultan Al Jaber in modo diverso. Il discorso si dirama attorno al seguente concetto: la sostenibilità della transizione. Quindi perché la transizione energetica sia sostenibile per tutti, vuol dire che nessuno può, ne deve essere lasciato indietro.
Pertanto, sulla base del fatto che l’eliminazione dei fossili sia la via sa seguire, al-Jaber dice che è necessaria un’eliminazione graduale. Questo perché eliminare una fonte così diffusa (per esempio in Europa) causerebbe una grande crisi, simile a quella vissuta con l’inizio della guerra in Ucraina. In breve, non si possono lasciare tutti a piedi perché non hanno la possibilità comprarsi l’auto elettrica: non sarebbe un cambiamento sostenibile.
Anzi, secondo l’articolo di Angelo Bruscino (HuffPost), da un simile passo, ne godrebbe solo la Cina ed il motivo è semplice. Avendo il controllo delle terre rare che servono alle batterie elettriche, incrementerebbe di gran lunga la sua economia. Oppure ne gioverebbe l’America che con l’Inflation Reduction Act ha fatto sì che i costi di transizione li pagasse la collettività e non il singolo che non può permetterselo.
Conclusioni
Tuttavia, lo sceicco Yamani (Ministro del petrolio dell’Arabia Saudita dal ’62 allo’ 86) disse:
L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. Non bisogna aspettare che finisca il petrolio per far finire l’età del petrolio”
Questo sta a significare che per quanto abbiamo bisogno ancora oggi dei combustibili fossili, la loro permanenza non assume automaticamente un’accezione positiva. Ossia, per affrettare la transizione è necessario un cambio deciso, che possa smuovere anche la burocrazia dietro certi meccanismi. Solo in questo modo potremmo effettivamente eliminare i fossili e ridurre il nostro impatto sul pianeta.
Rispetto al tema affrontato, si possono riportare altre notizie peculiari riguardanti i primi 6 giorni della conferenza. Per esempio:
- l’assenza inaspettata del presidente degli USA Joe Biden;
- la presenza quadruplicata (rispetto al 2022) di lobbisti legati ai produttori di combustibili fossili;
- la premier Meloni che parla di una la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio deve essere equilibrata e realizzabile. Inoltre, riporta l’accento sulla fusione come nuova frontiera energetica.
Di certo non è iniziata nei modi migliori la 28a Conferenza delle Nazioni unite sui Cambiamenti Climatici. C’è ancora tempo per rimediare, ma è necessario rispettare gli obiettivi prefissati e pensare ad azioni concrete e sostenibili.