Le ultime settimane sono state particolarmente difficili in tante regioni italiane a causa dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici.
In realtà due grandi piani dovrebbero aiutarci in questo senso, ma sono tanti i dubbi riguardo la loro efficienza.
Il PNACC
PNACC sta per Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un documento redatto al fine di proteggere il nostro Paese dai futuri (ma non così lontani) fenomeni estremi che potrebbero verificarsi.
Il piano nasce per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) del 2015 e quindi nel 2018 viene pubblicata la prima proposta.
Ha l’obiettivo di offrire uno strumento di indirizzo per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento più efficaci nel territorio italiano. Tutto ciò era pensato in relazione alle criticità riscontrate e alla necessità di integrare punti e criteri in procedure e strumenti di pianificazione esistenti.
Il PNRR
Il PNRR invece, è un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ideato per accedere ai fondi del programma Next generation EU (NGEU).
Si tratta di un programma presentato alla Commissione Europea e approvato il 13 luglio 2021 che intende portare a termine due grandi sfide:
- rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolando una transizione ecologica e digitale;
- favorire un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle diseguaglianze di genere, territoriali e generazionali.
Il piano da sviluppare in 5 anni è diviso in 6 missioni principali:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
- Rivoluzione verde e transizione ecologica;
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile;
- Istruzione e ricerca;
- Inclusione e coesione;
Il Governo italiano ha messo in atto il programma nella seconda metà del 2021, quindi dovrà completarlo e rendicontarlo entro la fine del 2026. Tuttavia, sono state apportate delle modifiche di recente che, come nel caso del PNACC, lasciano perplessi.
Cosa sta succedendo?
Visti gli ultimi avvenimenti nella Penisola, ci si domanda quali azioni sono state svolte per rimediare ai danni arrecati dagli eventi climatici. In particolare, ci si domanda come potremmo prevenire pericoli e danni irreparabili nei prossimi anni. Programmi come il PNRR e il PNACC dovrebbero supportare a pieno tali questiti, anzi dovrebbero consentire allo Stato di attivarsi per il futuro.
Purtoppo in entrambi i casi sono state mosse tante critiche negli ultimi mesi, proprio per l’inefficienza di tali programmi. Dunque, ci si chiede: cosa sta facendo l’Italia in questo senso?
Critiche
Le critiche che riguardano il PNACC sono varie tra cui la mancanza di priorità, integrazione e risorse. Mentre nel caso del PNRR, si punta il dito contro i tagli ad una serie di piani ambientali necessari, ora più che mai.
Il PNACC al momento non presenta altro che una descrizione della crisi climatica in Italia e la mette nel contesto euro-mediterraneo. Riporta:
- 361 possibili azioni di adattamento che i vari enti territoriali possono intraprendere;
- 27 indicatori ambientali per quantificare e caratterizzare gli impatti della crisi climatica sul territorio;
- 17 settori di interesse prioritario su cui intervenire.
Purtoppo il 76% delle azioni segnate sono considerate “soft”, quindi poco impattanti nella risoluzione dei problemi e mancano ulteriori indirizzi o metodologie per attuare questi piani. Questo permette ad ogni territorio di investire e svolgere gli opportuni lavori senza delle vere e proprie regole (sempre che gli enti decidano di iniziarli).
Inoltre Legambiente, accusa la mancanza di priorità o delle metodologie specifiche, con le quali si fa richiesta delle risorse. Spesso si ricorre all’incentivo di bandi europei nella speranza di una vincita che possa aiutare il Paese.
Invece il WWF critica l’assenza di vera integrazione tra le misure del piano, le altre politiche di mitigazione e le policy a livello europeo. Ogni giorno si ribadisce quanto ogni mossa di un settore possa influenzarne altri, ma si continua a trattare il tema dell’ambiente, come campo a sé.
Ed è qui che sarebbero dovuti entrare in gioco i finanziamenti svaniti per la sicurezza ambientale italiana. Peccato che proprio a fine luglio sono state pubblicate le tanto attese modifiche al PNRR, che hanno fatto svanire ogni speranza. Ben 15,9 miliardi di euro, sono stati cancellati dal PNRR e dirottati nel piano Repower Eu (dedicato al raggiungimento dell’autonomia energetica e alla transizione ecologica). Quando in realtà servivano per altro come:
- lotta al dissesto idrogeologico (1,3 miliardi);
- Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi);
- Rigenerazione urbana e il contrasto alla marginalizzazione (3,3 miliardi);
- Piani urbani integrati (2,5 miliardi);
- Diffusione dell’idrogeno nei settori più inquinanti (1 miliardo);
- Impianti di rinnovabili (675 milioni);
- Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie (300 milioni);
- Valorizzazione del verde urbano (100 milioni).
Con quei finanziamenti, c’era la possibilità di iniziare un percorso vero e proprio per l’adattamento di strutture e servizi della Nazione. Sviluppando in tal modo una resilienza capace di portare avanti la vita di tutti senza gravi danni o pericoli ingestibili. Ma senza fondi e con linee guida generiche, siano in mano alla buona volontà delle singole amministrazioni. Quest’ultime dovrebbero studiare i rischi dei propri territori e avanzare richieste, nella speranza di un aiuto concreto da parte dello Stato.
È vero che ognuno di noi può fare la differenza, ma in questo caso bisogna sperare in un cambiamento sostanziale.